giovedì 29 dicembre 2016

OCCHI CHE CI GUARDANO...

"OCCHI CHE CI GUARDANO...", (Città del Messico, Nov.  2016- foto di Agostino Spataro)

giovedì 8 dicembre 2016

VIAGGIO IN MESSICO (nota di Agostino Spataro)




A ben pensarci, lo stile messi­cano è più naturale, è più a misura d’uomo. Fra un sano lentore e una stressante frenesia, una mente sana sceglierebbe il primo. Del resto, i messicani provengono da grandi e sontuose civiltà.(Agostino Spataro in "I giardini della nobile brigata")



Dal 1° al 30 novembre 2016, Agostino Spataro, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), già membro delle commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, ha compiuto un viaggio in Messico dove ha preso parte a diverse iniziative di dibattito politico e culturale.

COLLOQUIO INTERNAZIONALE
Su invito dell’Instituto de Ciencias Sociales y Humanidades “Alfonso Vélez Pliego”, della Benemerita universidad autonoma de Puebla (Buap), ha partecipato, come relatore, al Colloquio internazionale, svoltosi a Puebla il 7-8 novembre, sul tema:
“Scenari attuali dei governi progressisti in America Latina: fine del ciclo?”




Nella relazione presentata (“Problemi della sinistra in Europa e in America Latina”) si rileva, fra l’altro, "il grande valore dell’esperienza di alcuni Paesi latino-americani che ha saputo:
- contrastare il neoliberismo dilagante con azioni di lotta e progetti mirati a recuperare, a fissare un’identità politica, etnica e culturale, a dimensione continentale;  
- offrire risposte sociali forti, inclusive alla massa dei lavoratori, a centinaia di milioni di poveri;
- indicare una prospettiva economica auto-centrata alle forze sane della cooperazione e dell’imprenditoria;
- assicurare dignità e sovranità agli Stati nel quadro delle nuove istituzioni regionali, sovranazionali.
In poche parole: ci è parso che lo sforzo intrapreso in diversi Paesi latinoamericani guidati, con alterne fortune, da schieramenti progressisti e di sinistra (dal Brasile all’Argentina, dall’Uruguay al Cile, dall’Ecuador al Venezuela, dalla Bolivia al Nicaragua, ecc), sia riuscito a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, delle masse povere e delle popolazioni indigene.
La novità sta anche nel fatto che tale trasformazione è avvenuta con il consenso elettorale, nel vivo di una rinascita democratica.
Una grande lezione, politica e morale, che le forze di progresso hanno dato alla destra, alle oligarchie internazionali che in America latina hanno spesso favorito, imposto regimi illiberali e antisociali e sanguinose dittature militari.
Insomma, una nuova Liberazione, dopo quella dal colonialismo e dalle dittature militari oppressive.
Così a noi è apparsa la vostra realtà durante le ultime due decadi: un moto di popoli e di culture, felicemente in controtendenza…”
      Fine del ciclo? Non sarebbe un dramma poiché chiuso un ciclo se ne apre un altro! Speriamo migliore del precedente.
A mio avviso, la questione che si pone alla sinistra, ai movimenti progressisti latino- americani non è quella di piangere sul ciclo concluso, ma di pensare a prepararne, organizzarne uno nuovo, coinvolgendo tutte le forze disponibili.
Consapevoli che per spezzare il fronte avversario si devono cercare nuovi alleati con i quali condividere lotte e sacrifici, ma anche i programmi e le responsabilità di governo.
Aprirsi agli altri e non barricarsi dietro parole d’ordine non sempre comprensibili e mobilitanti come mi sembra quella del “socialismo del XXI° secolo” lanciata dai dirigenti chavisti del Venezuela.
Affascinante, ma poco mobilitante, quella parola d’ordine visto che i problemi attuali, più urgenti sono l’attacco virulento della destra, l'emergenza politica e il rifornimento alimentare della popolazione.

Veduta parziale dei partecipanti al Colloquio int.le di Puebla


In Europa la sinistra, storicamente forte soprattutto in Italia, Francia e Spagna, è crollata insieme al “muro” per implosione o perché fagocitata dal canto delle sirene del neoliberismo asociale e corruttore.
La liquidazione dei partiti di massa sia d’ispirazione marxista ma anche (demo)cristiana, il ridimensionamento del ruolo, della forza dei sindacati erano il presupposto necessario per consentire al neoliberismo di avere le mani libere nella destrutturazione, a suo favore, delle economie e delle stesse società.
Anche la sinistra “riformista”, socialdemocratica, quella – per intenderci- che si riconosce nella “internazionale socialista”, è stata ridimensionata, addomesticata e posta al servizio della finanza e del grande capitale speculativo.
A questa specie di sinistra, cui sono stati cambiati i connotati politici tradizionali, sono state affidate importanti funzioni di governo per fare il “lavoro sporco” che alla destra risulterebbe difficile fare.  
Una funzione innaturale, perversa, tanto da far dire che in Europa c’è una “sinistra” che governa per conto della destra.
E’ questo il caso dei vari partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti che hanno governato in Spagna, in Gran Bretagna, in Germania e oggi in Francia e in Italia.
Purtroppo, temiamo che a questa lista si possa aggiungere, involontariamente, anche Syriza in Grecia…
Le conseguenze di tale stravolgimento sono sotto gli occhi di tutti e si materializzano sotto forma di una precarietà diffusa e di un attacco senza precedenti ai diritti sociali e al potere contrattuale dei lavoratori, alla scuola e alla sanità pubbliche, allo stato sociale (“welfar”).
La disoccupazione, in particolare giovanile, ha raggiunto punte davvero inaudite e inaccettabili. Un attacco spietato di fronte al quale i lavoratori, i giovani sono lasciati, praticamente, soli, divisi, disorientati, impauriti.
Non ci sono partiti, sindacati, forze intellettuali disposti a difendere i loro diritti acquisiti negli anni del dopoguerra e di progettare un futuro diverso, alternativo a quello programmato dal neoliberismo…
Soprattutto, nei paesi del sud-Europa crescono disoccupazione e povertà, emigrazione legale (in uscita) e immigrazione clandestina (in entrata). Con un allarmante saldo negativo specie per l’Italia dove, nei giorni scorsi, per la prima volta, il numero dei nuovi emigrati italiani in Europa e nel mondo ha superato il numero degli immigrati (irregolari) arrivati in Italia.
Tuttavia, non tutto è perduto. Esiste una sinistra dispersa, piuttosto diffusa, potenziale direi, che cerca nuovi punti di riferimento per organizzarsi, per proiettarsi nel futuro come forza alternativa.
La nuova sinistra deve darsi un orizzonte ampio, realistico, unitario. Da soli nessuno può farcela…
Utopia? No. Solo la speranza di una grande lotta coordinata a livello mondiale e supportata da un nuovo pensiero...

(Da sin. Carlos Figueroa Ibarra, Francisco Vélez Pliego, Agostino Spataro, Giuseppe Lo Brutto, Hugo Moreno)


PRESENTAZIONE DEL LIBRO

Nel corso del “Coloquio”, nel salone de la Aduana Vieja di Puebla, è stato presentato il libro di Giuseppe Lo Brutto e di Agostino Spataro:
“Siglo XXI- La economia del terror?- America Latina, Mediterraneo y Oriente Medio en un mundo in crisi”- Ediciones “E y C”, Città del Messico, giugno 2016.
Ne hanno discusso il dr. Francisco Velez Pliego, direttore de l’Instituto de Ciences Sociales y Humanidades; il prof. Carlos Figueroa Ibarra, il dr. Hugo Moreno e i due autori i quali, rispondendo alle numerose domande del pubblico, hanno svolto alcune considerazioni sulla realtà delle due importanti regioni del mondo prese in esame e sulle ipotesi proposte per garantire la pace e il progresso condiviso.
La politica estera è sempre più “militarizzata”. La soluzione dei conflitti non è più affidata a quel mastodonte se­mifallito che è l’Onu, ma a interventi militari, falsamente definiti “umani-tari”, nei quali sono impiegati nuovi, sofisticati sistemi d’arma, missili e proiettili di un’efficacia terrificante.
L’ultimo arrivato sulla scena bellica è il “drone”: un vettore senza pilota destinato a cambiare le dinamiche, i canoni della guerra tradizionale perfino nei suoi più abietti aspetti umani.
Un’arma ad alto contenuto tecnologico, asettica, immorale e, anche, imprecisa che vorrebbe essere una risposta alla micidiale (e altrettanto immorale) arma umana costituita dal terrorista kamikaze che si fa esplodere fra la gente innocente.
Ai “caschi blu” sono subentrati i moderni eserciti professionalizzati, le nuove “compagnie di ventura” (contractors”) che hanno fatto della guerra il loro lucroso mestiere.
I principali obiettivi sono il petrolio e altre materie prime strategiche. Per rendersene conto basterebbe fare una comparazione fra guerre e riserve d’idrocarburi, osservare la geopolitica dei conflitti che vede ai vertici della lista quasi tutti i primi 10 paesi detentori di riserve petrolifere.





 
Giuseppe Lo Brutto e Agostino Spataro

PRESENTAZIONE DEL LIBRO ALLA ESCUELA LIBRE DE DERECHO

Il 10 novembre, il libro è stato presentato nell’Aula Magna  della Escuela Libre de Derecho di Puebla, una prestigiosa Università privata a indirizzo giurisprudenziale.
A presentarlo, a un vasto pubblico di docenti e di studenti, sono stati il giurista dr. Felix Noé Avila e il prof. Roberto Mendoza Zarate, direttore di Licenziatura.
I due autori hanno illustrato le linee essenziali del libro e le connessioni esistenti fra la realtà dell’America Latina e quella del Mediterraneo e del Medio Oriente oggi indicata con la denominazione di “regione Mena”).

Da sin. G. Lo Brutto, A. Spataro, dr. Felix Noé Avila, prof. Roberto Mendoza Zarate


Da tempo, le due regioni sono sotto pressione terroristica, militare e golpista per l’ appropriazione da parte delle multinazionali occidentali (ma anche degli organismi di cooperazione cinesi) delle loro enormi risorse materiali (idrocarburi, acqua, terre, minerali, ecc).
L’obiettivo è l’accaparramento delle materie prime tradizionali, in particolare ener­getiche. Da qui, le guerre e la corsa oggi estesa alle “materie prime rare” (quali: rame, uranio, litio, platino, oro, diamanti, manganese, alluminio, ecc) necessarie per alimentare lo sviluppo dei settori tecnologici più avanzati (telefonia satellitare, comunicazioni, con­duttori, media, fotografia, computer, ecc).
Per altro, con l’entrata in campo delle nuove potenze industriali del terzo mondo (i Brics ossia Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa) il fabbisogno totale di materie prime è in crescita espo-nenziale, provocando un’intensificazione della corsa per l’ac­caparramento.
Le grandi catene multinazionali non vanno tanto per il sottile: intrigano, corrom­pono e quando non riescono a spuntarla con tali metodi, attizzano le guerre civili, tribali, religiose, i terrorismi di ogni colore, invocano l’intervento degli eserciti della “madrepatria”.
Sono sorti, così, potenti gruppi di pressione, lobby con il compito d’indurre i governi ad agire, anche mediante l’intervento militare, per assicurarsi gli stock necessari.   
Questa è la natura delle famose “sfide” della competizione globale per l’accaparramento delle ma­terie prime e dei mercati. Ovviamente, tra i competitori esistono differenze di metodo e anche di qualità del potere.
Ad esempio, fra il sistema cinese e quello occidentale c’è una differenza sostanziale di natura politica ossia che al comando della Cina c’è una “testa politica” che, per quanto autoritaria, ha una visione più ampia, mentre in Occidente domina “una testa finanziaria” con una visione particolaristica, privatistica, erroneamente convinta che più alti saranno i suoi profitti, leciti e illeciti, più diffuso sarà il  benessere dei popoli.
La crisi che oggi investe l’Occidente è anche una spia evidente dell’incapacità della finanza di gestire il potere economico e poli­tico di cui si è impossessata. Il predominio dei banchieri e dei grandi speculatori si è dimostrato inadatto al governo degli Stati e delle nazioni e rischia di portare al disastro l’umanità.

Veduta dell’Aula Magna della Escuela Libre de Derecho, durante la presentazione.



PRESENTAZIONE DEL LIBRO A CITTA’ DEL MESSICO

Il 16 novembre, nella prestigiosa sede dell’Instituto mexicano para la Justicia, il prof. Paolo Pagliai, direttore dell’Alta Escuela para la Justicia, ha presentato il libro a un pubblico attento e variegato che ha posto diverse domande ai due autori.
In particolare, sono stati sottolineati i fenomeni migratori che interessano l’America latina e la regione Mena (Medio oriente e nord Africa) che vedono il Messico come principale porta di sbocco dei flussi diretti verso gli Stati Uniti d’America e il Canada e alcuni paesi del Sud-Europa (Italia, Grecia e Spagna, oltre che Turchia) verso l’Europa centro-settentrionale.


Movimenti migratori imponenti, epocali che hanno, ampiamente, superato il limite emergenziale e si configurano come un altro punto cardine della nuova strategia neo-liberista  che, invece di aiutare il terzo e quarto mondo a svilupparsi nella pace, ha deciso di “importare” questi due mondi nel primo. Ciclicamente, si sono registrati migrazioni, anche massicce e segnate da irregolarità.
Nell’ultimo secolo, le migrazioni sono avvenute, in gran parte regolarmente (addirittura contrattate fra gli Stati e regolate dal famoso “atto di richiamo”) e orientate  verso paesi caratterizzati da economie in forte sviluppo quali centro-nord europeo e le Americhe.
Oggi, invece, s’incoraggiano le partenze clandestine (gestite dalla criminalità e dal malaffare politico) verso realtà in crisi, addirittura in recessione, come sono diversi paesi dell’Europa del sud e anche del centro. Gli strateghi occulti stanno facendo un “uso” eccessivo delle migrazioni per raggiungere almeno due obiettivi:
1°) “svuotare” i paesi d’origine delle forze più giovani (potenzialmente ribelli) e avere così, con la complicità di governi corrotti e imbelli, le mani libere di fare e disfare le cose, di condizionare, sfruttare la loro situazione economica;
2°) stravolgere, deregolamentare, condizionare i “mercati” del lavoro dei paesi occidentali, creando una formidabile“riserva”di manodopera a basso costo (spesso a nero) per rimpiazzare e/o condizionare i lavoratori dei paesi d’accoglienza.
Un gioco ormai chiaro che si vuole occultare diffondendo a piene mani il pietismo (la pietà che loro non hanno), infondendo nei cittadini molti sensi di colpa (per colpe che non hanno).
Il fenomeno migratorio ha acquistato dimensioni caotiche, incontrollate e non risparmia neanche i principali Paesi petroliferi, alcuni dei quali (Nigeria, Iraq, Algeria, Messico, ecc) figurano ai primi posti della graduatoria mondiale per riserve e/o produzioni e per emigrazione…
 
Da destra: prof. Paolo Pagliai, Agostino Spataro e Giuseppe Lo Brutto
In realtà, il liberismo si sta dimostrando incapace di governare le economie e gli Stati
Alla sua prima uscita in pubblico, questo neo capitalismo, liberista solo a parole giacché i conti dei suoi disastri li continua a scaricare sui bilanci degli Stati e dei cittadini (vedi crisi delle borse in Usa, crisi finanziaria greca, ecc.), non è stato all’altezza dei compiti derivati dai processi da esso stesso generati.
Questa è la verità o se si preferisce la sorprendente novità: il neoliberismo è un disastro in campo politico e anche nei campi di sua pertinenza della finanza e dell’economia.
Le banche, le borse valori, le società di rating, i manager e i consulenti prezzolati, le teste d’uovo avevano promesso il paradiso in terra, un “nuovo ordine internazionale” più giusto e più equo. Invece, ci ritroviamo con un mondo in disordine e segnato da nuove ingiustizie e disuguaglianze, da mortali pericoli per l’ambiente, per la vita sul pianeta.


UN CORDIALE INCONTRO CON L’AMBASCIATORE ITALIANO IN MESSICO

Il 28 novembre, a conclusione del viaggio, Agostino Spataro è stato, cortesemente, ricevuto dall’ambasciatore Luigi Maccotta presso la Residenza per un saluto e per uno scambio d’impressioni e di opinioni sulla realtà messicana.
 
Agostino Spataro e il dr. Luigi Maccotta, ambasciatore in Messico



L’ambasciatore, da poco insediatosi nella importante sede della missione italiana in Messico, si è mostrato assai disponibile e desideroso di svolgere al meglio il suo delicato ruolo in questo Paese nel quale l’Italia realizza un’importante presenza economica e commerciale e buoni rapporti politici e di cooperazione culturale, professionale. 
In Messico è presente una folta comunità italiana, diffusa su tutto il territorio, che opera in vari settori: dalle Università alle professioni, dalle arti all’agricoltura, al turismo, ecc.
Una realtà viva, pienamente inserità nei settori di competenza, come ho potuto costatare parte-cipando (il 29 novembre) al primo convegno dei ricercatori italiani in Messico, promosso dall’Istituto italiano di cultura, per coordinare e supportare tali presenze e progettualità.



P.S. Dal 19 al 25 novembre ho visitato alcune comunità indigene, città e monumenti del periodo maya dello Stato del Chiapas. 
Chi cerca il “paradiso” qui lo trova. Una meraviglia di natura incontaminata, di bellezze straor-dinarie e di buone maniere che merita un'apposita nota che spero di scrivere appena possibile. 
Intanto accontentativi di alcune mie foto. (a.s.)


Chiapas, Laguna la Ca(g)nada, lago Aqua tinta




 
Chiapas, Aqua Azul


 
Chiapas, San Cristobal, Congresso nazionale indigeno




 
Chiapas, Bonampak, piramide maya




Chiapas, cascata Chiflon





Villahermosa, pappagalli



Sulle rive del rio Cedros


 
Chiapas, dentro la selva

sabato 29 ottobre 2016

PER RICOMINCIARE...






Coloquio internacional
“Escenarios actuales de los gobiernos progresistas en América Latina, ¿fin de ciclo?.
Puebla- 7/8 de noviembre 2016- Aduana Vieja


(BUAP- Università di Puebla- Mexico)



RELAZIONE DI AGOSTINO SPATARO (dir.Informazioni dal Mediterraneo- www.infomedi.it- Italia)

Europa: quando la destra governa mediante la “sinistra”.

1… Desidero ringraziare l’Istituto di Scienze sociali “Alfonso Veléz Pliego” della Benemerita Università di Puebla per avermi invitato a questo Colloquio internazionale, al quale partecipo non per proporre ricette salvifiche, che peraltro non ho, ma soprattutto per conoscere la vostra realtà latinoamericana, per apprendere qualcosa dalle vostre interessanti esperienze politiche e di governo.
Da vecchio militante della sinistra, portero' un modesto contributo, non esaustivo, alla riflessione, al dibattito in corso, qui e altrove, sul futuro della sinistra in Europa e in America latina.

La relazione avrà un taglio eminentemente politico e si articolerà su due punti principali:

1) una valutazione sintetica, un’informazione sullo stato e sulle prospettive della sinistra in Italia e in Europa;

2) alcune impressioni sui processi politici recenti in America latina, come da me percepiti nel corso dei miei studi e viaggi.


Dopo tre decadi di frequentazione e di relazioni con il mondo arabo, l’America latina è stata per me una grande scoperta, per il suo fervore creativo in campo culturale e sociale, per le sue lotte e per le nuove idee politiche messe in campo, per la passione spinta fino al sacrificio supremo di tanti militanti e dirigenti progressisti, uomini e donne, per i suoi contrasti, per quel senso di umanità che qui ancora si respira.
Non voglio dire che il vostro sia il “migliore dei mondi possibili”. Anzi, per certi aspetti, è una realtà molto dura, difficile. Tuttavia, è un mondo per il cui cambiamento vale la pena impegnarsi, lottare, pensare.
Il mio non è un caso isolato. Negli ultimi anni, specie dopo il “crollo” del muro di Berlino, in Italia e in Europa è cresciuto l’interesse verso la sinistra, i movimenti progressisti latino-americani.
Attenzione dovuta all’originale esperienza di lotta e di governo che qui si stava svolgendo, con risultati apprezzabili, in controtendenza con i processi neoliberisti che si affermavano in varie parti del mondo. 
Noi, militanti e dirigenti della sinistra, orfani dei nostri partiti, abbiamo cercato in America latina  un riferimento politico, ideale, una speranza per continuare.

Abbiamo apprezzato il grande valore dell’esperienza latino-americana che ha saputo:
- contrastare il neoliberismo dilagante con azioni di lotta e progetti mirati a recuperare, a fissare un’identità politica, etnica e culturale, a dimensione continentale;  
- offrire risposte sociali forti, inclusive alla massa dei lavoratori, a centinaia di milioni di poveri;
- indicare una prospettiva economica autocentrata alle forze sane dell’imprenditoria;
- assicurare dignità e sovranità agli Stati nel quadro di nuove istituzioni regionali, sovranazionali.

In poche parole: ci è parso che lo sforzo intrapreso in diversi Paesi latinoamericani guidati, con alterne fortune, da schieramenti progressisti e di sinistra (dal Brasile all’Argentina, dall’Uruguay al Cile, dall’Ecuador al Venezuela, dalla Bolivia al Nicaragua, ecc), sia riuscito a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, delle masse povere e delle popolazioni autoctone.
La novità sta nel fatto che tale trasformazione è avvenuta con il consenso elettorale, nel vivo di una rinascita democratica.
Una grande lezione, politica e morale, che le forze di progresso hanno dato alla destra, alle oligarchie internazionali che in America latina hanno, quasi sempre, favorito, imposto regimi illiberali e antisociali e sanguinose dittature militari.

La vostra lotta ci ha fatto capire una sacrosanta verità, generalmente disconosciuta, ossia che di America ce n'é più di una e che quella latina non era più al guinzaglio degli oligarchi nordamericani, e intendeva, intende, costruire il futuro con le proprie idee, valorizzando lo straordinario e ricco patrimonio di risorse umane, materiali, agricole e ambientali, ecc.

Insomma, una nuova Liberazione, dopo quella dal colonialismo e dalle dittature militari oppressive.
Così a noi è apparsa la vostra realtà durante le ultime due decadi: un moto di popoli e di culture, felicemente in controtendenza.
Poiché, mentre in Europa, negli Usa e in varie parti del Pianeta crollavano gli indici di sviluppo, dei Pil, i redditi e diritti dei lavoratori, in varie parti dell’America latina il movimento popolare, progressista ha intrapreso, con successo, battaglie memorabili per la giustizia sociale e per un’equilibrata crescita economica.
Una lotta emblematica, per la vostra, e per la nostra, emancipazione dal tallone di ferro del neoliberismo.        

2… Con questo spirito, con queste speranze abbiamo guardato all’America latina del nuovo secolo, mentre assistevamo, intristiti, alla frantumazione, alla dispersione della sinistra marxista in Italia e in Europa.
In Europa la sinistra, storicamente forte soprattutto in Italia, Francia e Spagna, è crollata insieme al “muro” per implosione o perché fagocitata dal canto delle sirene del neoliberismo asociale e corruttore.
La liquidazione dei partiti di massa sia d’ispirazione marxista ma anche (demo) cristiana, il ridimensionamento del ruolo, della forza dei sindacati erano il presupposto necessario per consentire al neoliberismo di avere le mani libere nella destrutturazione, a suo favore, delle economie e delle stesse società.
Anche la sinistra “riformista”, socialdemocratica, quella – per intenderci- che si riconosce nella “internazionale socialista”, è stata ridimensionata, addomesticata e posta al servizio del grande capitale.
A questa specie di sinistra, cui sono stati cambiati i connotati politici tradizionali, sono state affidate importanti funzioni di governo, per fare il “lavoro sporco” che alla destra sarebbe impedito fare.  
Tanto da far dire che in Europa c’è una “sinistra” che governa per conto della destra.
E’ questo il caso dei vari partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti che hanno governato in Spagna, in Gran Bretagna, in Germania e oggi in Francia e in Italia.
Purtroppo, temiamo che a questa lista si possa aggiungere Syriza in Grecia.

Perciò, c’è bisogno di chiarezza. Per uscire dall’equivoco, per sapere chi è e che cosa rappresenta la sinistra in Europa.

- Le conseguenze di tale stravolgimento sono sotto gli occhi di tutti e si materializzano sotto forma di una precarietà diffusa e di un attacco senza precedenti ai diritti sociali e al potere contrattuale dei lavoratori, alla scuola e alla sanità pubbliche, allo stato sociale (“welfar”).
La disoccupazione, in particolare giovanile, ha raggiunto punte davvero inaudite e inaccettabili. Un attacco spietato di fronte al quale i lavoratori, i giovani sono lasciati, praticamente, soli, divisi, disorientati, impauriti.
Non ci sono partiti, sindacati, forze intellettuali in grado di difendere i loro diritti acquisiti negli anni del dopoguerra e di progettare un futuro diverso, alternativo a quello programmato dal neoliberismo.

-         S’invoca la crisi come alibi. Ma la crisi non è uguale per tutti. Anzi, per taluni gruppi è stata occasione di lucro, di uno scandaloso arricchimento a danno dei ceti popolari. 
-         Proprio durante la crisi, in Italia e in Europa, si è verificato un colossale spostamento di quote della ricchezza nazionale e patrimoniale dai ceti meno abbienti a favore di ristretti gruppi di potere economico e finanziario.
Nulla di nuovo sotto il sole: la tendenza conferma che al centro di ogni scontro politico, ideologico c’è sempre il problema della distribuzione e dell’appropriazione della ricchezza nazionale.

Soprattutto, nei paesi del sud-Europa crescono disoccupazione e povertà, emigrazione legale (in uscita) e immigrazione clandestina (in entrata). Con un allarmante saldo negativo specie per l’Italia dove, nei giorni scorsi, per la prima volta, il numero dei nuovi emigrati italiani in Europa e nel mondo ha superato il numero degli immigrati (irregolari) arrivati in Italia.

3… Tuttavia, non tutto è perduto. Esiste una sinistra dispersa, piuttosto diffusa, potenziale direi, che cerca nuovi punti di riferimento per organizzarsi, per proiettarsi nel futuro come forza alternativa.
A mio avviso, si tratta di un bacino importante, umano e politico, che se organizzato e rinvigorito dalla presenza delle nuove vittime del neoliberismo (giovani disoccupati, tecnici e lavoratori sfruttatti, ecc.) potrebbe ri-aggregare un vasto schieramento sociale e proporsi come nuovo soggetto politico in vari Paesi.
Compito non facile, ma nemmeno impossibile.
La nuova sinistra deve darsi un orizzonte ampio, realistico, unitario. Da soli nessuno può farcela.
Per quanto banale possa apparire il concetto, in democrazia ogni testa è un voto. Le teste dei ricchi e della loro corte di tirapiedi sono una piccolissima minoranza in confronto alla stragrande maggioranza dei poveri e di chi non partecipa al banchetto.
Il problema e’ come far passare tale concetto nella testa della gente, come dare ai lavoratori, al popolo la coscienza della loro forza e la speranza di ristabilire il primato della maggioranza.

Utopia? No. Solo un nuovo pensiero, una grande lotta coordinata a livello mondiale. Del resto, negli ultimi secoli, molte “utopie” hanno valicato gli orizzonti della scienza, della tecnica e della storia e sono divenute realtà portanti dello straordinario progresso dell’umanità.
Il socialismo che vogliamo è oggi un’utopia, la più bella utopia che mente umana abbia concepito, che dobbiamo coltivare, prima di tutto, dentro di noi.
Poiché – come scriveva Platone nel suo “Repubblica”“l’esemplare di questa nostra Città sta forse nel cielo, e non è importante che esista in qualche luogo; a quell’esemplare deve mirare chiunque voglia, in primo luogo, fondarla dentro di se.”   


Oggi, in Europa vi sono tre realtà interessanti da considerare:

1  1)      quella di “Podemos” (in Spagna) che- specie dopo il colpo di scena del Psoe a favore del governo del Partito popolare-  dovrebbe- a mio parere- superare il limite del movimentismo e acquisire una più marcata progettualità di partito di lotta e di governo;
2  2)      il partito “Linke” in Germania che, anche nelle recenti elezioni della regione di Berlino, ha confermato la buona performance elettorale ottenuta in altri importanti land tedeschi;
     

 3) “Syriza” in Grecia che, forse, troppo generosamente si fatto carico del difficilissimo compito di “governare” la devastante crisi greca,  provocata da decenni di malgoverno della destra e dei socialisti del Pasok, in combutta con la UE e con alcune banche tedesche.
Spiace dirlo ma, a parte le buone intenzioni, anche Syriza rischia di apparire come una forza di sinistra che governa per conto di una destra esausta e impresentabile, per conto della Troika.

- Ovviamente, esistono altre realtà “minori” che però non trovano la via, i mezzi, una rinnovata volontà unitaria per ripartire.

E dire che il neoliberismo lavora contro se stesso, produce i suoi potenziali nemici ossia una massa crescente di forze sociali escluse, emarginate dal benessere che potrebbero costituire il nerbo dello schieramento. 
Verso questo enorme bacino la sinistra deve orientare il suo impegno politico e organizzativo.
Abbiamo bisogno di analisi vere, anche autocritiche, di correzioni di rotta e di comportamenti per giungere all’elaborazione di un grande progetto di ricostruzione di una nuova sinistra europea.
Oggi, l’Europa vive una crisi profonda che va ben oltre il dato socio-economico.
Il mondo deve sapere che senza una moderna e forte sinistra di classe, la crisi europea potrebbe degenerare e sfociare in una nuova deriva populista di destra, perfino nazi-fascista.


Alcune impressioni sull’America latina


Detto ciò, desidero presentare alcune riflessioni sulle esperienze dei governi progressisti dell’America latina per come le abbiamo percepite in Italia, in base a un’informazione molto carente e in gran parte distorta, scorretta.

Pensiamo che, seppure con qualche errore e qualche eccesso, la stagione dei governi progressisti sia stata una fase importante di riscatto sociale e democratico, di fuoriuscita dal lungo periodo delle dittature militari di destra e dei governi servili e corrotti al guinzaglio del Fondo monetario internazionale.

governi progressisti hanno ripristinato, rafforzato, la democrazia, favorito un reale avanzamento sociale dei popoli, dei ceti meno abbienti in particolare prima esclusi dai diritti più elementari e fondamentali. Grazie a queste politiche, alle nuove istituzioni regionali, alla coesione continentale creatisi, l’America Latina si è proposta come protagonista della scena mondiale. 
Un bel salto di cui va dato merito a quanti hanno lottato e pagato per realizzarlo.  

In questa importante regione del mondo, prima cavia delle strategie neoliberiste Usa ed europee, c’è stata una reazione democrática di massa che ha prodotto movimenti e governi progressisti, popolari e nazionali, oggi sotto attacco.
Purtroppo, la sinistra, d’ispirazione marxista, non è riuscita a coglire l’occasione per unirsi, rafforzarsi, per uscire dal “minoritarismo”, dall’ideologismo e proiettarsi verso una più proficua politica delle alleanze.  

Per tutti, vorrei citare il caso delle ultime elezioni presidenziali in Argentina, che ho seguito direttamente sul posto. In quel Paese, importantissimo per la tenuta del nuovo equilibrio geo-politico della regione sudamericana, il centro destra di Macri ha vinto il ballottaggio di stretta misura, con un 1,5% in più rispetto a Scioli (Fpv).

In questo duello all’ultimo voto, il Frente de Izquierda (Fit), il cui candidato Cano ottenne al primo turno il 3,38%, dei voti, diede l’indicazione dell’astensione. Così sull’altro versante, il partito socialista. 
 In sostanza, l’astensione di queste due forze di sinistra ha bruciato circa il 5% dei voti e- di fatto- favorito la vittoria di Macri (+ 1,5%) ossia di uno schieramento che sta provocando un danno gravissimo ai lavoratori, al popolo argentini.

Certo, la candidatura di Scioli non era entusiasmante, tuttavia bisognava tener conto- a mio parere- che il FpV, formazione peronista interclassista, rappresenta anche gli interessi di una parte importante (maggioritaria direi) dei lavoratori argentini.

La politica è l’arte delle cose possibili, del raziocinio secondo cui- in certe situazioni- il male minore (ammesso che il kirchnerismo lo sia) è preferibile al male maggiore.                                                                 
Davvero non si capisce questo “regalo” fatto alla destra restauratrice in un paese importante, strategico com’e’ l’Argentina.

A noi hanno insegnato che non si puo’ fare política senza un sano realismo, senza un’attenta analisi dei rapporti di forza in campo, restando impantanati fra le maglie di un pensiero minoritario.

Un piccolo passo nella giusta direzione e' sempre preferibile alla sconfitta.  
La sinistra, i movimenti progressisti lottano per vincere, per governare gli Stati, il mondo. 
E’ un loro diritto democratico, poiché le loro idee, i loro programmi rappresentano, potenzialmente, gli interessi della stragrande maggioranza degli abitanti della Terra.  

La vera dittatura è quella del neo-liberismo ossia una piccolissima minoranza che sta imponendo al mondo il suo rovinoso punto di vista.


Impianto teorico ed esperienze concrete

La svolta democratica in America latina è stata il frutto delle vittorie di  alcune aggregazioni elettorali, nazionali e progressiste, quali: il kirchnerismo in Argentina, il “chavismo” in Venezuela, il lulismo in Brasile e di altre similari in Bolivia, Uruguay, Cile, Ecuador, Paraguay, Nicaragua, ecc. 
Differenti una dall’altra, ma connotate da un comune denominatore politico.

Nonostante i successi evidenti, credo sia opportuno interrogarsi su quanto c’è di sinistra e quanto di opportunismo patriottardo in queste esperienze.
In particolare: sono riproponibili o abbisognano di una correzione di tiro, di un ampliamente del raggio d’azione, della política delle alleanze?                                                          
                                                                                                                                                       
In ogni esperienza si possono verificare errori, abusi che contraddicono i programmi annunciati e lo sforzo unitario. 

E’ tempo di bilanci; di valutare i risultati e anche i limiti e le debolezze riscontrate lungo il cammino.

Vanno verificate- a mio parere- anche le stesse politiche d’inclusione per capire quanto c’è di diritto e quanto di assistenzialismo.

Cos¡ la stessa questione morale. In un mondo dove ricatto e corruzione dilagano, è necessario stabilire una rigorosa incompatibilità fra chi mira ad arricchirsi con la politica e/o col governo e chi dedica il proprio impegno di dirigente e di governante per l’affermazione dei valori morali della sinistra, del progressismo democratico. 
Queste due tipologie non possono convivere nello stesso partito e/o movimento.

Sappiamo che la questione della moralità pubblica non è un problema solo latinoamericano, ma che imperversa in tutto il mondo.
Soprattutto in Occidente dove è alimentata dal disegno perverso del neoliberismo il quale utilizza la paura, il ricatto e la corruzione come strumenti per influenzare, dominare la scena politica e l’azione dei governi.

Questo richiamo non è astratto moralismo, ma sostanza politica!                                        
-         Basterebbe valutare il costo finanziario della corruzione, degli sprechi per rendersi conto del danno materiale che si arreca ai popoli e allo stesso Pianeta.
-         A mio parere, chi è chiamato a un incarico di responsabilità pubblica deve assoggettarsi ai principi della trasparenza, dell’onestà; deve sottoporsi al controllo democratico e popolare.                                                                                                      
      Chi non rispetta tali condizioni non puo’ militare nelle fila della sinistra, di governare in suo nome e/o in quello del popolo.


 Un nuovo “Piano Condor”?

Complessivamente considerata, l’esperienza latino americana è positiva, a tratti esaltante, tanto da configurarsi come una sorta di “anomalia” felice nel contesto globale mondiale.
Tuttavia, oggi, è sotto attacco a causa di certi errori compiuti durante il percorso e, soprattutto, per effetto di manovre oscure, torbide (un nuovo piano Condor?) mirate al superamento dell’anomalia ossia al “recupero” dell’America latina al disegno delle oligarchie economiche e finanziarie Usa ed europee.

Questa è la novità e insieme il grande problema cui devono dare una risposta le forze democratiche e di sinistra della regione e del mondo.

 Per realizzare tale “recupero” sono state reclutate, mobilitate forze diverse, interne e internazionali: dai grandi gruppi mediatici editoriali alle grandi banche d’affari, dai governi servili a personaggi più o meno oscuri della politica, della letteratura, a settori delle gerarchie e dei movimenti religiosi.
E’ stata anche favorita una sorta di “via giudiziaria al neoliberismo” che- come in Italia negli anni ’90- mira alla liquidazione dei partiti di massa, per lasciare campo libero alle politiche di deregulation in campo sociale ed económico.

In tale contesto, sarebbe utile dedicare un po’ più di attenzione al ruolo delle Chiese cristiane e in particolare di quella cattolica che oggi ha un Papa argentino.

Materia delicatissima sulla quale le opinioni sono contrastanti. Forse è prematuro un giudizio definitivo su tale pontificato. Tuttavia non si possono ignorare alcune incongruenze fra il messaggio e l’azione concreta di rinnovamento. Non abbiamo visto atti concreti di dismissione di ruoli mondani (banche e societa', ecc) e del collateralismo della Chiesa rispetto ai poteri forti economici e politici.
In generale- mi sembra ci sia uno scarto fra le clamorose denuncie “anticapitaliste”di Bergoglio (che hanno rabbonito i movimenti della teologia della liberazione) e il dramma attuale dell’America latina sotto attacco di un perverso disegno neo-liberista che ha gia’ destabilizzato il Paraguay, il Brasile e forse la stessa Argentina e oggi minaccia seriamente l’esperienza chavista del Venezuela.

E’ chiaro che queste forze non vogliono il dialogo, ma lo scontro per riappropriarsi del potere.
Una strategia oscura, avventuristica che va condannata senza esitazioni da tutte le forze democratiche e pacifiste. Comprese le gerarchie local della Chiesa che- in certi casi- invece la favoriscono.

All’indomani dell’elezione del Papa argentino espressi, anche alla luce d'informazioni provenienti da ambienti progressisti argentini, in un articolo controcorrente, (http://www.agoravox.it/Un-Papa-argentino-per-frenare-il.html) , tradotto in castillano, una preoccupazione sulle probabili finalità di tale elezione.
Sinceramente, sperai, spero ancora di sbagliarmi quando scrivevo fra l’altro:
“El llamado “gobierno profundo” del mundo occidental, o sea la “cúpula” invisible (o casi) de los grandes oligopolios multinacionales y de los grandes bancos (en dificultades), no puede tolerar que Sudamérica, el primer ratón de laboratorio de su obtusa estrategia de saqueos, llegue a liberarse de su antiguo cepo.
Habiendo fallado con el voto democrático que derrotó a los partidos de derecha (sus aliados), sin poder reproponer la solución autoritaria (nuevas dictaduras), temo que se orientarán a recurrir sobre el difundido y genuino sentimiento religioso católico, sobretodo sobre sujerarquía, para poner en movimiento una contraposición, también de tipo ideológico, con los gobiernos democráticos y progresistas locales.
Es decir, lo que hoy se teme es la repetición de lo que sucedió en la Europa centro-oriental con la elección por sorpresa del “Papa polaco” en los inicios de la estrategia neoliberal...”

- La stessa “operazione Cuba”, suggerita dal Vaticano a Obama, va vista con occhio critico. Anche se fosse una buona intenzione potrebbe essere stata recepita dagli Usa come parte integrante del disegno di “recupero”di cui sopra.
 Vedremo cosa accadrà. Fa ben sperare il recente voto quasi unanime  dell’assemblea dell’ONU col quale s’invitano gli Usa a togliere l’odioso blocco economico contro Cuba. 
Tuttavia, ammesso che si “normalizzino” le relazioni con gli Usa, i problemi restano e- se non si dovesse avviare un serio processo di autoriforma in senso economico e democratico- il sistema cubano potrebbe incontrare serie difficoltà di tenuta.
                                                                                                                    

Fine di un ciclo? Può darsi, ma di per se non sarebbe un dramma.    
                                            
-         Per sua natura, il ciclo presuppone un inizio e una fine. Per ciclo intendo non l'esaurimento del processo politico avviato, ma una fase politica che va a chiudersi e puo' essere seguita da un'altra.
u Complessivamente considerato, il ciclo (sudamericano) non è tutto da buttare. Anzi, emergono diversi aspetti positivi, dinamici che vanno semmai aggiornati e riproposti in forme nuove;

-         Il problema semmai è quello di analizzare criticamente le opzioni politiche, le alleanze sociali, i metodi di governo, i processi e le attese create dai nuovi organismi regionali (economici, politici e d’altro tipo) per individuare gli errori, ma anche le nuove potenzialità .                                                                                                                                                               
PPoiché, chiuso un ciclo se ne apre un altro!

A mio avviso, la questione che si pone alla sinistra, ai movimenti progressisti latino- americani non è quella di piangere sul ciclo concluso, ma di pensare a prepararne, organizzarne uno nuovo, coinvolgendo tutte le forze disponibili.
Sapendo che per spezzare il fronte avversario si devono cercare nuovi alleati con i quali condividere lotte e sacrifici, ma anche i programmi e le responsabilità di governo.

Aprirsi agli altri e non barricarsi dietro parole d’ordine non sempre comprensibili e mobilitanti.
Una di queste mi sembra- può darsi che mi sbagli- quella del “socialismo del XXI° secolo” lanciata dai dirigenti chavisti del Venezuela, ai quali va dato atto di avere avviato uno sforzo serio per migliorare le condizioni, la qualità di vita del loro popolo.
Affascinante, ma poco mobilitante, quella parola d’ordine visto che i problemi attuali, più urgenti sono l’attacco virulento della destra, l'emergenza politica e il rifornimento alimentare della popolazione.

Per altro, bisognerà ben chiarire cosa s’intende per socialismo prossimo venturo.  A mio parere, non sono riproponibili certe esperienze del cosiddetto “socialismo reale” portate avanti nell’ex URSS e nei Paesi dell’Europa centro-orientale.

O nella stessa Cina popolare, con la quale è utile collaborare sul terreno delle relazioni statali,  economiche e commerciali, ma senza farsi illusioni ossia avendo ben presente la realtà della Cina che e’ divenuta una grande potenza politica e militare, uno dei gangli vitali del sistema di produzione e di accumulazione capitalista globale.

A suo tempo, la mutazione dell’Urss, da centro politico di solidarietà internazionalista a potenza politica e militare, indusse in errore i suoi dirigenti, fino al punto di proclamare, nel  22 congresso del Pcus, l’entrata dell’Urss nella fase suprema del comunismo.
20 anni dopo, di quel “comunismo”di Mihail Suslov e Leonid Brezhnev, restarono solo rovine.

Non desidero addentrarmi in una disputa ideologica. Tuttavia, era impensabile che quella esperienza, dopo soli 50 anni di tormentate vicende politiche e militari, di assedio esterno, potesse essere accreditata come “comunismo”, ossia come alternativa operante al capitalismo, a un sistema complesso e multiforme di produzione e di accumulazione che ha alle spalle almeno 3-4 mila anni di storia.

-         Processi così impegnativi richiedono tempo e lungimiranza e in ogni caso non si possono imporre con un decreto d’urgenza.
-         Per altro- a mio parere- abbiamo da fare i conti con la storia, con la nostra storia, con le nostre stesse idee prima d’indicare obiettivi così forti, impegnativi.
-         Dobbiamo sciogliere un nodo cruciale che riguarda la concezione stessa del socialismo che per essere autentico dovra’ saper coniugare il progetto político con la democrazia e con libertà; abrogando (anche sul piano teorico) ogni riferimento alla dittatura. Compresa quella “del proletariato” che nei paesi “socialisti” si trasformò in dittatura del notabilato, della burocrazia di partito. In realtà, in quei paesi c’era poco di socialismo e molto di statalismo che è una degenerazione, una malattia senile del socialismo. 



Il leaderismo

Una riflessione critica merita anche la questione del leaderismo, compreso quello di derivazione costituzionale.                                                                                          

In generale, si puo’ dire che il leaderismo, specie quando e’ autoreferenziale, entra in contraddizione con i principi stessi della democrazia partecipata e mortifica il ruolo propulsivo dei partiti che sono il tramite principale del rapporto di mediazione fra popolo e progetto politico, di governo.                                                                                                                                        

Per altro, il leaderismo si offre come punto debole al  contrattacco dell’avversario il quale indirizza le sue frecce avvelenate contro il leader di turno, sapendo che abbattendo lui, abbatterà il movimento che rappresenta.

Un po’ quello che sta accadendo in Sud America, anche grazie a certi meccanismi costituzionali che - a mio avviso- inficiano il principio della sovranità popolare elettorale. Certo, ogni popolo si dà le leggi che più desidera.                                                                                                                  

Tuttavia, penso che un presidente                                                
eletto dal popolo può essere destituito dal Parlamento solo per gravissime e comprovate accuse e non da una “congiura parlamentare” come e’ avvenuto in Paraguay, in Brasile e che ora si vorrebbe riproporre in Venezuela. Stanno smantellando un grandioso processo di sviluppo sociale democratico ricorrendo al “golpe” parlamentare. Un gruppo di parlamentari che hanno prevaricato la volonta' di decine e decine di milioni di elettori.
Tutto ciò è inaccettabile, anche per la comunità internazionale. In ogni caso, il successore non può essere espressione dei “ congiurati”, ma deve essere eletto dal popolo, col voto democratico.

                                                                                                                            

Le risorse dell’America latina                                                                                                          
Ovviamente, tutto cio' presuppone l'esistenza di un "piano" finalizzato al controllo politico e delle enorme ricchezze dell’America latina.
Ritorna la domanda: le risorse dei Paesi in via di sviluppo sono una ricchezza o una maledizione?
Dovrebbero essere una ricchezza, un’opportunità di equilibrato sviluppo. In realtà si stanno dimostrando una sorta di maledizione per i Pvs, poiché sono fonte di conflitti interminabili, di guerre micidiali.

A causa delle loro risorse naturali, l’America latina e la regione “Mena” (Medio Oriente e nord Africa) sono divenute cibo prelibato per gli interessi strategici delle multinazionali, dei banchieri. Per altre vie e con altra intensità, il discorso riguarda anche l’Africa sub-sahariana destinata a diventare, nel medio termine, una delle aree principali della corsa all’accaparramento e quindi dello scontro globale.

In Medio Oriente sono state scatenate guerre devastanti per il controllo delle risorse energetiche. In America latina, per fortuna, non ci sono guerre, ma si assiste a una corsa sfrenata per l’appropriazione delle sue importanti risorse umane (disponibilità di mano d’opera a basso costo) e naturali: energetiche, idriche, alimentari, minerarie, boschive, ecc.  
Per dare l’idea dell’importanza di tali risorse segnalo solo un dato: quello del Venezuela che detiene riserve accertate di petrolio corrispondenti a 300 anni di produzione ai livelli attuali! (Fonte: report Eni, 2014)
Un dato clamoroso che spiega la pervicacia dei gruppi di potere locali e delle oligarchie nordamericane decisi a riappropriarsi del Paese, a ogni costo.

Chi riuscirà a controllare tali ricchezze avrà in mano una leva potente di potere e di ricatto che condizionerà i mercati, la politica, la vita della gente in questo nuovo secolo.

Confronti e scontri drammatici che sembrano muoversi in vista di un nuovo bi-polarismo (spartizione) del mondo fra Usa e l’asse Cina/ Russia. Una spartizione che sposterà nel Pacifico l’asse dello sviluppo e il cuore del mercato mondiali.
Tendenza confermata anche dalla recente, inattesa decisione del presidente delle Filippine di abbandonare il secolare rapporto di dipendenza dagli Usa per stabilire relazione politiche e di cooperazione economica con Cina e Russia.

                                                                                                                          

Il neoliberismo

Il neo-liberismo ha vinto il confronto con il sistema delle “democrazie socialiste” e detiene gran parte del potere sul mondo. Mai un “impero” aveva avuto tanto potere! 
La sua vittoria si è realizzata, prima di tutto, sul piano culturale, del costume, degli stili di vita, dei consumi, delle tecnologie, ecc..
Esso avanza e penetra anche nelle poche società politicamente “fuori controllo” e/o dei Paesi poveri o in via di sviluppo.
Da qui anche l’origine dei nuovi grandi flussi migratori da Sud verso il Nord (Europa e Nord America in particolare)
Le novità fondamentali introdotte dal neo liberismo, i suoi punti di forza sono l’imposizione di un modello globalizzato di finanziarizzazione dell’economia e di militarizzazione delle relazioni internazionali.
A tale propósito, in Europa- sotto le insegne della Nato- si sta ridestando un pericoloso fervore militarista, interventista.

E’ stato capovolto il rapporto gerarchico fra economia e finanza, tradizionalmente a favore della prima, e sconvolto tutti i processi, gli sforzi per giungere a una politica di convivenza pacifica, di disarmo. 
Lo stesso ruolo dell’Onu è stato travolto, umiliato.

In primo luogo, si cercano nuovi mercati e materie prime strate­giche da sottrarre ai paesi poveri per alimentare l’assurdo mo­dello occidentale di sviluppo e di consumi che sta portando l’umanità alla guerra e la Terra alla distruzione.
L’obiettivo è l’approvvigionamento, a prezzi di favore o di rapina, delle materie prime tradizionali, in particolare ener­getiche e di quelle pregiate, più rare quali: rame, uranio, litio, platino, oro, diamanti, manganese, titanio, alluminio, ecc) necessarie per alimentare lo sviluppo dei settori tecnologici più avanzati.
L'accaparamento di enormi estensioni di buona terra destinate alla monocoltura, delle risprse idriche, boschive, ecc.
Con l’entrata in campo delle nuove potenze industriali BRICS ossia Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa, tale corsa si è intensificata, facendo crescere il fabbisogno totale di materie prime.



I flussi migratori: una doppia opportunità per il neoliberismo

Un altro punto cardine della nuova strategia neo-liberista è costituito dall’uso spregiudicato, spietato dei flussi migratori clandestini, irregolari, dal terzo e quarto mondo verso il primo.
Quello che noi viviamo come un dramma umano, provocato dalla miseria, dalle guerre assurde, per il neo liberismo è una opportunità per aumentare i profitti.
Nel secolo scorso, le migrazioni avvennero, in gran parte, regolarmente (addirittura contrattate fra gli Stati) e orientate  verso paesi caratterizzati da economie in forte sviluppo quali quelli del centro-nord Europa e le Americhe.
Anche oggi si potrebbe organizzare un’emigrazione regolare, legale, più umana, sulla base di accordi bilaterali e multilaterali, come abbiamo riproposto recentemente. 
Vedi in: http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=11679

Ma nessuno vuole le migrazioni legali perché ritenute, economicamente, poco convenienti.
Percio’, si continua a incoraggiare le partenze clandestine di massa (gestite dalla criminalità e dal malaffare politico) anche verso Paesi in crisi, addirittura in recessione, con indici di disoccupazione altissimi, come sono, attualmente, diversi paesi dell’Europa del sud e anche del centro.

In realtà, gli strateghi occulti usano le migrazioni per raggiungere almeno due obiettivi:
- da un lato “svuotare” i paesi d’origine delle forze più giovani (potenzialmenti ribelli) e avere così, con la complicità dei governi locali, corrotti e imbelli, le mani libere per fare e disfare le cose, di condizionare, sfruttare le loro risorse;
- dall’altro lato, stravolgere, deregolamentare, condizionare i “mercati” del lavoro dei paesi  destinatari, creando una formidabile “riserva” di manodopera a basso costo (spesso a nero) per rimpiazzare e/o condizionare i lavoratori dei paesi d’accoglienza.

Il dato è già evidente, ma nessuno vuole considerare gli enormi costi sociali e politici che stanno pagando (pagheranno) le società d’origine.
Nemmeno la “sinistra”, le “organizzazioni umanitarie” che, forse senza rendersene conto, fanno il gioco del grande capitale multinazionale il quale, per massimizzare i profitti e, al contempo, vanificare le conquiste contrattuali dei lavoratori del Nord, sta svenando le società del Sud, bruciando il futuro d’interi continenti, ingenerando nuovi squilibri sociali all’interno delle società di accoglienza.


Insomma, invece di favorire il trasferimento di tecnologie e saperi dal primo al “terzo, al quarto mondo” (il “secondo” è indefinibile), stanno trasferendo questi mondi nel primo.
Non a caso due sono le principali porte d’ingresso: il Messico per i flussi provenienti dai paesi dell’America latina e i Paesi del sud-europeo (in particolare Italia, Grecia e Spagna) per i flussi provenienti dal mondo arabo, dall’Africa e dall’Asia.

Queste e altre rotte secondarie sono controllate da potenti gruppi criminali, da bande di gente senza scrupoli che fanno dei disperati in cerca di lavoro un disumano mercimonio di cui sono tragica conferma le migliaia di morti annegati nel Mediterraneo e/o massacrati lungo i confini fra Messico e Usa dagli aguzzini addetti alla preparazione dei “carichi” umani.


L’Occidente, eterno sprecone

Tutto ciò contribuisce a rendere più difficile la gestione politica e diplomatica della “crisi” che sempre più si manifesta anche come crisi del pensiero occidentale. Poiché, non c’è dubbio che quando per risolvere una crisi politica o d’altro tipo si ricorre alla guerra vuol dire che si è esaurita la capacità egemonica di tipo culturale e morale.
Crisi culturale derivata dai processi di omologazione, dall’infiacchimento della demo­crazia partecipativa e della laicità degli Stati, dalla scomparsa dei grandi partiti di massa e dall’umiliazione della politica oramai asservita ai disegni della finanza e delle con­sorterie economiche internazio­nali, dal dilagare della corruzione e dei poteri criminali.
Soprattutto, pesa la crisi del modello dei consumi (esorbitanti) e della struttura economica dell’Occidente, che non riesce a produrre la ricchezza (tanta) che consuma, importa e spreca enormi quantità di energia di origine fossile, inquinando il Pianeta, e che per procurarsele tormenta l’umanità più po­vera con guerre micidiali, interminabili.
Ai piani alti del potere oligarchico l’arroganza si alterna al nervosismo. Si teme che, a conclusione di questo pro­cesso di globalizzazione, probabilmente, l’Occidente non sarà più il principale protagonista della storia.

In realtà, il liberismo si sta dimostrando incapace di governare le economie e gli Stati.
Alla sua prima uscita in pubblico, questo neo capitalismo, liberista solo a parole giacché i conti dei suoi disastri li continua a scaricare sui bilanci degli Stati e dei cittadini (vedi crisi delle borse in Usa), non è stato all’altezza dei compiti derivati dai processi da esso stesso generati.
Questa è la verità o se si preferisce la sorprendente novità.

Basandosi sul terrore e sul ricatto, il neoliberismo sta disegnando la nuova geo - economia del Pianeta, mediante nuovi strumenti e trattati mirati a garantirsi l’egemonia politica e militare e il controllo dei flussi commerciali: accordi WTO, trattati TTP e TTPI.

Liberisti illiberali! Sì, perché si stanno dimostrando arroganti, intolleranti su tutti fronti: da quello commerciale a quello elettorale, da quello politico a quello culturale.
Il loro obiettivo è il governo del mondo, il “pensiero unico”, l’omologazione.
Tutti uguali, tutti sudditi!

Per realizzarlo stanno rimodellando la scuola secondo i loro interessi, hanno assoggettato, monopolizzato l’informazione, la formazione scientifica e tecnica, la comunicazione mediatica, le reti dei social forum, ecc.
Si mira alla liquidazione di ogni pensiero critico, della sua libera espressione.
      Si vuole un mondo unipolare? Una pretesa pericolosa, inaccettabile che potrebbe portare alla fine di tutto.

Inclusione o esclusione? Questo è il problema.

Un’altro punto dello scontro e’ quello che passa fra le politiche d’esclusione e quelle d’inclusione sociale. Le prime caratterizzano le condotte dei governi occidentetali, portatori del modello neoliberista, iniquo e classista, che non genera sviluppo, ma consumi superflui e lussuosi, speculazioni, concentra­zione apicale della ricchezza e soprattutto nuove povertà, indigenza.

Le seconde sono presenti in alcuni Paesi dell’America del Sud, sottoposti per primi alla cura neoliberi­sta, dove i governi progressisti stanno realizzando una po­litica di più equa ripartizione della ricchezza nazionale, per aiutare decine di milioni di esseri umani a uscire dalla fascia della povertà e dell’indigenza.
Anche in Cina e in India, lentamente, s’include, ma quelli sono casi a se stanti.

Insomma, mentre in America del sud s’include, in Occi­dente si esclude, si tagliano le spese sociali a favore di quelle mili­tari, si consentono le più spudorate speculazioni sulle monete, sul debito pubblico, si tollerano fenomeni abnormi di eva­sione fiscale, ecc.

Per ricominciare…a lottare

Ovviamente, l’analisi dovrebbe abbracciare, illuminare tanti altri aspetti della realtà globale. Ma non è questa la sede per farlo. Ma già dal dibattito emerge la necessità di rilanciare la sacrosanta lotta di classe ovviamente tenendo conto delle mutazioni intervenute nella produzione e nei rapporti social interni alle società.
La sinistra, le forze progressiste devono aspirare, proporsi, a livello mondiale, come polo alternativo al neoliberismo.
Per fare ciò è necessario tirare una netta linea divisoria fra gli interessi delle grandi corporazioni economiche e finanziarie e quelli dell’immensa platea delle vittime delle loro politiche.
Uscendo dall’equivoco, alimentato ad arte, se­condo cui la lotta fra le classi è finita con il “crollo del muro di Berlino”, è stata superata dalla storia, dal mercato.
La lotta di classe non è mai cessata. Semmai, c’é da dire che si sta combattendo su un piano asimmetrico. Il realtà, si assiste alla lotta di una sola classe, quella padronale, contro la classe disarmata dei lavoratori e dei piccoli e medi produttori .

   Lungo questo spartiacque ciascuno dovrebbe collocarsi, secondo l’appartenenza, secondo i propri interessi.
Per invogliare i lavoratori a schierarsi, la sinistra avrebbe bisogno- a mio parere- di un programma minimo che punti alla salvaguardia dei diritti acquisiti e ponga sul tappeto alcuni obiettivi di più drammatica attualità, quali:

1)     La riduzione del ruolo del mercato e la riaffermazione del primato dello Stato democratico, laico e di diritto, unica garanzia per prevenire nuove forme di dominio assolutistico.
Insomma, più Stato e meno mercato, favorendo l’associazionismo cooperativo (specie fra i giovani), l’autogestione degli impianti in crisi o maltenuti, ecc.

2)     La modifica radicale dei vigenti accordi WTO sul commercio internazionale di beni e servizi, di capitali che hanno consegnato il mondo a ciurme di strozzini e di avidi mercanti;

3)     Il contrasto dei due nuovi strumenti che il neoliberismo si è dato per controllore i flussi commerciali fra Nord America e Paesi del’area del Pacifico (TTP) (già varato) e sull’altro versate con i Paesi dell’Unione europea (TTPI) (in itinere);

4)     Porre la questione dell'uso sociale delle scoperte scientifiche e tec­nologiche, frutto della conoscenza umana e della ricerca accademica, che dovrebbero essere considerate patrimonio comune dell'umanità e non proprietà di gruppi ristretti di speculatori.

I benefici prodotti dalle nuove tecnologie non possono essere esclusivo appannaggio di chi le acquista, ma anche delle maestranze, dei lavoratori che le usano.
Pertanto, tali benefici non vanno piu’ distribuiti sotto forma di dividenti a pochi azionisti, ma, equamente, ai lavoratori sotto forma di aumenti salariali e di riduzione del tempo di lavoro anche per creare nuova occupazione.

Il coordinamento internazionale delle forze progressiste di sinistra

Il progetto neoliberista si avvale di una catena di comando molto apicale, a dimensione globale, che consente decisioni rapide, efficaci.

A tale micidiale meccanismo, la sinistra non oppone nulla, poiché non dispone di organismi capaci di realizzare un ordinamento sovranazionale di consultazione, di scambio e di orientamento nelle decisioni.
Senza questa capacità non si può competere.
Si rischia di vanificare gli sforzi di ciascuna forza nazionale, regionale. Serve a poco farsi ammazzare (come accade) in una giungla brasiliana o dell’Honduras se poi questo sacrificio non determina una controreazione coordinata a livello generale, globale.

Concludo, con un flash sulla questione dell’informazione.

Parto da una costatazione: l’Europa, che storicamente ha svolto in America latina un ruolo primario. nel bene e nel male, non ha, forse non desidera, un’informazione più ampia e corretta su questa realtà.
Quel poco che arriva attraverso i media della grande borghesia è fango, informazione a senso univoco.
Questo riferimento per evidenziare l’altro grande problema della sinistra che non riesce a fare arrivare il suo messaggio alle opinioni pubbliche, alle masse giovanili, narcotizzate dall’alcool, dalle droghe, dai giochi informatici e dalla disinformazione.
Forse, è il caso di dire: “Compagni, meno sezioni e più televisioni, più internet, più emissioni satellitari, ecc. ”
La sfida dell’informazione è di una importanza capitale. Su questo fronte si gioca la partita del consenso democratico, del rapporto con le nuove generazioni, per costruire l’alternativa al neo liberismo. Grazie per la vostra attenzione.   
(Agostino Spataro, 8 nov. 2016))