lunedì 20 gennaio 2014
RIFORMA ELETTORALE: A MISURA DEGLI ELETTORI O DEI CAPIPARTITO?
Il voto di preferenza, per favore.
di Agostino Spataro
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale si dovrà fare la riforma del sistema elettorale per l’elezione del Parlamento. Le domande che tutti si pongono sono: quando, come, per chi ?
E’ presto per una valutazione articolata, definitiva. Tuttavia, da questi primi, contestati incontri, gli esponenti dei due maggiori partiti (Renzi e Berlusconi), con la scusa della “governabilità”, hanno dato un approccio, a mio parere, sbagliato, di bottega.
Nel senso che si vorrebbe una riforma a misura delle loro esigenze di partito, perfino personali, e non per dare all’Italia una buona legge elettorale e agli italiani la possibilità di scegliere, col voto di preferenza, il loro candidato al Parlamento che è della Repubblica non di una diecina di capi partito.
Manca, cioè, uno spirito autenticamente riformatore, la necessaria ampiezza di vedute, l’orizzonte del bene comune per la nuova Italia.
E così, dopo tanto gracchiare, constatiamo che è stato partorito un “porcellinum” ossia le “liste corte”, sempre bloccate e decise dai capipartito.
Ma che cavolo di riforma sarebbe questa!
Si dimentica che col “porcellum”, che un po’ a tutti ha fatto comodo, e stato compiuto un grave misfatto politico ai danni della democrazia e della sovranità popolare, trasferendo il potere elettivo dal popolo a un gruppo ristretto di capipartito i quali, di fatto, hanno nominato i membri di Camera e Senato, talvolta anche mogli, figli, amanti, portaborse, avvocati e fiscalisti di fiducia e via via degradando…
Da questa legge ignobile si originano molte delle cause della crisi che stiamo vivendo: dalla sfiducia dei cittadini verso le Istituzioni repubblicane al pericoloso infiacchimento del sistema democratico partecipativo, alla stessa recessione economica e sociale. Così eletto, il Parlamento è divenuto un corpo separato, avulso dalla realtà drammatica del Paese.
Perciò, si deve cambiare e nel senso richiesto dalla stragrande maggioranza degli italiani: garantendo un’adeguata rappresentanza alle “minoranze” e, in primo luogo, il voto di preferenza agli elettori.
Con ciò non si vuol sostenere che il voto di preferenza sarebbe la panacea per tutti i mali. Sicuramente, però, aiuterebbe a sconfiggere il “male maggiore” ossia quella pratica assurda che porta a un Parlamento non di eletti ma di “nominati”.
Sappiamo che il voto di preferenza comporta qualche problema, soprattutto quello della compravendita dei voti. A mio parere, si potrebbe agevolmente prevenire introducendo una sola preferenza numerica (non nominativa) e, ancor di più, con l’introduzione del voto elettronico, come si fa in Usa, in Brasile e in tanti Paesi anche in via di sviluppo.
Noi che conosciamo, anche per averlo subito, l’abietto meccanismo della compravendita del voto, riteniamo che esprimendo solo un numero diventerà impossibile per gli acquirenti potere controllare il voto dei venditori. Senza la sicurezza della resa elettorale, l’acquisto sarebbe soltanto un cattivo affare. Di conseguenza, senza la compravendita dei voti si ridurrebbe la spesa elettorale. A parte il fatto che si potrebbero inasprire le pene e le sanzioni (compresa la sospensione e la decadenza dall’incarico parlamentare) nei confronti di coloro che persistono in questo vergognoso commercio.
La re-introduzione del voto di preferenza, oltre che legittimata dalla sentenza della Corte, appare come la risposta più attesa della stragrande maggioranza degli italiani. Eppure, stranamente, quasi tutti i partiti (tranne Udc e Ncd di Alfano) non la desiderano, non ne parlano.
Quel’è il motivo di tanta trasversale avversità?
Forse temono che dare agli elettori il diritto di scegliere il parlamentare provocherebbe una sorta di “rivoluzione copernicana” nel sistema politico italiano: il sole non sarebbe più il capo-partito che nomina, ma l’elettore che sceglie, col voto, anche il capo partito.
Agostino Spataro
(20 gennaio 2014)
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