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domenica 29 dicembre 2013
AUGURO A TUTTI, SOPRATTUTTO AI NEONATI, UN NUOVO ANNO DI API
AUGURO A TUTTI, SOPRATTUTTO AI NEONATI, UN NUOVO ANNO DI API. LA NOSTRA STUPIDA (IN)CIVILTA' DEL PROFITTO LE STA DISTRUGGENDO. E SENZA LE API NON CI SARA' VITA SUL PIANETA.
Agostino Spataro
(Ape impollinatrice dentro un fiore di cappero sulla terrazza di casa mia)
Se ne avete voglia date un'occhiata a questo recente articolo del Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/scienze/13_novembre_15/api-rischiarano-fine-dinosauri-65-milioni-anni-fa-3d141374-4df9-11e3-a50b-09fe1c737ba4.shtml
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sabato 28 dicembre 2013
IL KALASHNIKOV E' DI SINISTRA?
di Agostino Spataro
1… Lo scorso 23 dicembre è morto, all’età di 94 anni, Mikhail Kalashnikov inventore dell’omonimo fucile. Per tale “merito”, egli fu insignito per ben due volte del titolo di “eroe del lavoro socialista” dell’Urss e di “eroe della Russia” di Putin.
Pur col rispetto dovuto al fervore patriottico del suo inventore, c’è da restare quantomeno perplessi per questo triplice riconoscimento che due regimi ideologicamente contrapposti hanno conferito all’ideatore di un terribile strumento di morte divenuto l’arma più diffusa nel mondo.
Sul kalashnikov (AK-47) si sono dette e scritte tante cose. Taluni, muovendo dal fatto che essendo stato assegnato in dotazione alle forze dei Paesi ex socialisti e ai reparti di resistenza e/o di guerriglia, sono giunti a etichettare questo fucile come una sorta di “arma di sinistra”.
Oggi, specie dopo il crollo del blocco sovietico, tale definizione appare, a dir poco, impropria poiché il kalashnikov, in parte superato da nuove tipologie e tecnologie, viene usato diffusamente anche dalla criminalità organizzata e da gruppi terroristici integralisti religiosi che con la sinistra non hanno nulla a che fare.
Ovviamente, per sinistra s’intende quel complesso di partiti e movimenti che vogliono effettivamente cambiare lo stato di cose presente e non certa “robetta” scaduta, oggi prevalente in Italia e in Europa, ma anche in Cina, che vorrebbe contrabbandare come riformismo socialista la propria subalternità al dio mercato e al grande capitale finanziario che lo domina.
E qui mi fermo, poiché desidero parlare del kalashnikov in base al ricordo di un’esperienza vissuta (nel 1981) nel deserto del Sahara Occidentale .
2… Fu qui, infatti, che vidi, per la prima volta, quest’arma cucita addosso ai guerriglieri saharoui che ci scortavano in quel viaggio, lungo e accidentato, intrapreso, in compagnia di altri parlamentari italiani, su invito del Fronte Polisario che lottava, (ancora lotta) per l’autodeterminazione del suo popolo.
Il programma della nostra missione consisteva in visite ai campi profughi dov’erano ammassati decine di migliaia di saharoui (soprattutto donne, bambini e vecchi), in colloqui con i principali dirigenti del Fronte e in un sopralluogo a Guelta Zammur, una collinetta fortificata al confine con il deserto mauritano considerata strategica poiché sovrastava una sorgente (guelta) d’acqua chiara, l’unica in quella desolata regione.
Sapevamo che per possesso di tale “guelta” si erano affrontati, un mese prima, le forze regolari marocchine che la presidiavano e reparti combattenti del Polisario che sostenevano di averla conquistata.
Una vittoria contestata, negata (dalle autorità marocchine) che la delegazione parlamentare andava a certificare mediante una constatazione de visu.
Nella battaglia erano caduti, da entrambi le parti, centinaia di combattenti a molti dei quali non fu data nemmeno una degna sepoltura. Vedemmo corpi, pezzi di corpi umani, affiorare, semisepolti, dal sottile strato di sabbia che li copriva.
Migliaia di morti per una conca d’acqua che, quasi per una beffa del destino, non era più potabile poiché era stata avvelenata dai marocchini in ritirata. Noi stessi, per dissetarci, dovemmo raggiungere un pozzo posto a circa cento km di distanza.
3… Le jeep filavano dentro quel deserto piatto e brullo. A parte un paio di pastori, secchi e scuri come una carruba ragusana, non incontrammo in quel lungo cammino altre tracce d’umanità. La notte si dormiva all’addiaccio, sotto un tetto di vivide stelle, ognuno dentro un fosso ch’egli stesso s’era scavato nella calda sabbia per combattere gli effetti algidi dell’escursione termica.
Ogni tanto una sosta per sgranchirci le gambe. Intorno al pentolino del the si fraternizzava con quei giovani guerriglieri che non si staccavano un attimo dal loro fucile d’ordinanza.
Ci parlarono, con un entusiasmo quasi sportivo, della recente battaglia e del kalashnikov come del fucile più efficiente in circolazione: leggero, duttile e preciso “ riusciva a colpire- dissero- con micidiale precisione, un bersaglio posto a 700 metri”.
Vista la nostra assoluta incompetenza in fatto di armi, i fedayn- per risultare più convincenti- ci proposero di provarlo. Quasi a dire: provare per credere.
Anch’io tirai un colpo per curiosità, quasi per gioco. Una mattina, addirittura, imbracciai il fucile, così per celia, per indurre l’on. Tessari a fare le abluzioni mattutine. (vedi foto sotto)
Tuttavia, per quanto nobili fossero le ragioni della loro lotta, quell’elogio un poco mi atterriva, specie dopo aver visto tutti quei corpi semisepolti.
Immagini indelebili, ossessive che s’intrecciavano con quelle delle cataste di armi e di mine antiuomo e anticarro affastellate sul pianoro. La zona tutt’intorno alla sorgente, infatti, era minata. Gli sminatori avevano aperto un corridoio per consentire il nostro passaggio. Per tutto il tragitto di avvicinamento ci era stato caldamente sconsigliato di abbandonare lo stretto corridoio sminato da poco.
4… Tutti questi rischi per una conca d’acqua?
Interrogativi intimi, pensieri nascosti, forse da tutti condivisi ma inespressi.
Non riuscivo a liberarmi di quel funesto assillo, di quella mortifera relazione fra il fucile e quei corpi, quegli arti inanimati.
Sentivo, forte, una sensazione di repulsione, di sgomento per l’infamia delle armi verso le quali nutrivo un’innata avversità.
Contrarietà che diventerà rifiuto dopo aver percepito meglio, più distintamente, come membro della commissione difesa della Camera dei Deputati, gli intrecci perversi, spaventosi, e assai lucrosi, esistenti fra produzione, commercio e uso delle armi.
Oggi, il tempo vissuto, le lotte pacifiste e le tragiche conseguenze delle guerre in corso mi hanno convinto dell’inutilità delle armi ai fini della lotta politica, del ricorso alle guerre anche quelle cosiddette “umanitarie” o “fraterne” e di ogni forma di terrorismo (rosso, nero, verde, ecc) che della guerra è la degenerazione più odiosa. Per progredire, l’umanità ha bisogno di pace e di solidarietà!
Storicamente, la sinistra italiana edeuropea si è sempre ispirata alla pace, ha rifiutato la guerra e il metodo terroristico. A maggior ragione oggi in situazioni dove sono garantite le libertà fondamentali (di voto, di espressione, di associazione) l’unica “arma” è la scheda elettorale. Bisogna solo saperla usare.
5… Nel passato, talvolta, abbiamo sottostimato, perfino deriso, certe esperienze basate sulla “non-violenza”. A mio parere, oggi, è tempo di ricredersi e di assumere quel metodo di lotta politica come uno dei valori fondanti della nuova sinistra che, prima o poi, rinascerà dalle ceneri dell’impantanata sedicente sinistra attuale che, pur essendo al governo, non riesce (non vuole) a bloccare certe forsennate spese militari.
Ovviamente, sappiamo che è difficile parlare di non-violenza a chi lotta contro un’occupazione straniera o contro una crudele dittatura per affermare i diritti all’indipendenza e alla libertà dei popoli.
Tuttavia, secondo i casi, la non-violenza potrebbe essere la soluzione. La lotta dell’India di Gandhi è davvero emblematica.
D’altra parte, il conflitto del Sahara Occidentale dura dal 1976 con i marocchini barricati dietro un lunghissimo muro di sabbia (un'altro muro di cui nessuno parla!)che segna il confine del cd. “triangolo utile” e i saharoui “padroni” della restante parte del Paese ossia del vasto ed arido deserto nel quale hanno insediato il loro simulacro di Repubblica araba saharoui democratica (Rasd).
Da oltre 30 anni, nessuno dei due contendenti riesce a prevalere militarmente sull’altro, mentre la “comunità internazionale” cincischia, rinvia, non riesce a imporre una soluzione politica secondo i principi della Carta dell’Onu.
Un conflitto dimenticato che dilania un popolo altrettanto dimenticato, nel quale si confrontano aspirazioni legittime e avide pretese sub imperialiste che stanno portando l’Africa alla deriva, alla completa rovina.
Insomma, nel Sahara occidentale, come in tante altre realtà conflittuali, si è dimostrato che il kalashnikov non ha reso l’indipendenza al popolo saharoui.
Checché se ne dica delle sue favolose virtù micidiali, il kalashnikov non è la soluzione. In ogni caso non può essere etichettato di sinistra o di destra, è solo un’arma che, al pari di tutte le altre, va bandita.
(Agostino Spataro)
27 dic. 2013
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venerdì 27 dicembre 2013
QUANDO I CLANDESTINI SICILIANI SBARCAVANO IN TUNISIA
di Agostino Spataro
1... C'era un tempo, non molto remoto, in cui erano i "disperati" siciliani ad attraversare le acque del Canale di Sicilia per emigrare nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: in Tunisia, Libia, Egitto, Marocco, Algeria. Un percorso inverso rispetto all'attuale intrapreso dalle migliaia d'immigrati arabi e africani i quali, come i nostri di allora, fuggono dalla miseria e dalle guerre. Chi desidera documentarsi o semplicemente rinfrescarsi la memoria, può attingere una vasta e variegata bibliografia, inchieste sociologiche e giornalistiche, memorie e testimonianze di grande interesse. Sull'emigrazione siciliana in Tunisia, Stefano Savona, giovane regista palermitano, ha realizzato un cortometraggio "Un confine di specchi", premiato al 20° Torino Film festival edizione 2002. Esiste, inoltre, una letteratura (in gran parte in francese) dell'emigrazione europea e siciliana nel Maghreb.
E ricercando fra questi materiali si trovano tantissimi riferimenti all'emigrazione siciliana nel nord Africa, in particolare in Tunisia, iniziata a partire dal 1835, in piena epoca borbonica, col trasferimento di alcuni gruppi di tonnaroti e di corallari (soprattutto trapanesi) in diverse località costiere tunisine e algerine, a pesca di tonni e del pregiatissimo corallo. (vedi: Giuseppe Bonaffini-"Sicilia e Maghreb tra Sette e Ottocento", Salvatore Sciascia Editore)
Da emigrazione "specializzata" (che detto per inciso operava in condizioni di vita e di lavoro davvero disumane) i trasferimenti acquistarono le dimensioni di veri e propri flussi migratori; a partire dagli anni 70 dell'800, quando la presenza degli italiani, incoraggiata dal Trattato della Goletta (1868), veniva stimata fra gli 11 e i 25 mila. Anche allora era difficile censire gli immigrati, perché in maggioranza erano clandestini. Esattamente come accade oggi in Italia.
2... Nel 1870, il 94% dell'emigrazione siciliana era orientata verso la Tunisia- sostiene A. Grisafi.- I 4/5 della colonia italiana in Tunisia erano d'origine siciliana. Già nel 1860, nella sola città di Tunisi - rileva F. Arnoulet- su una popolazione stimata in centomila abitanti, vi erano fra 3 e 4 mila siciliani, 6-7 mila maltesi (anch'essi di origine siciliana) e solo 600 francesi.
Un richiamo specifico va dedicato a Lampedusa, divenuta uno dei simboli di questo dramma universale, sperando di far riflettere quanti nella piccola isola pelagica manifestano disagio o aperto rifiuto rispetto all'emergenza immigrati che, in quanto tale, non dovrebbe durare in eterno. E va citato quel ristorante, pardon a quella titolare di ristorante che si è schierata a fianco dei leghisti Bossi e Borghezio in questa poco esaltante battaglia d'inciviltà.
Anche se temo che sarà un'impresa ardua far riflettere un "ristorante" alla ricerca di clienti facoltosi.
"Ad Hammamet, la popolazione italiana era composta unicamente d'emigrati originari dalle isole di Pantelleria e Lampedusa. Essi vivevano di pesca ed erano anche proprietari di frutteti e vigneti dai quali traevano un reddito apprezzabile?"
Basterebbero queste poche righe, tratte dal libro dello storico tunisino Mustapha Kraiem ("Le fascisme et les italiens de Tunisie, 1918-1939") per aiutare a ricordare quanti non sanno, o fingono di non sapere, che negli anni venti e trenta del '900 erano lampedusani e, più in generale, siciliani, sardi, calabresi e perfino toscani e genovesi gli emigranti che sbarcavano sulle coste della Tunisia e d' altri Paesi del nord- Africa per sfuggire alla miseria, alle guerre e alle repressioni del fascismo imperante in Italia.
"Gli immigrati italiani- si legge nell'inchiesta condotta, fra il 1918-20, da Arthur Pellegrin- sono circa 100 mila e appartengono in gran parte alla classe lavoratrice e analfabeta. La maggioranza sono originari dalla Sicilia e dalla Sardegna. I loro costumi, in particolare quelli dei siciliani, sono un po' rozzi e violenti. Nella loro evoluzione mentale sono più passionali che razionali?" (citato da Guy Dugas, Università Paris 12, www.limag-refer.org)
3... Come si vede anche i nostri erano classificati rozzi, analfabeti, violenti, sporchi ecc, ecc. Addirittura, la propaganda xenofoba francofona coniò un odioso slogan "le peril italien" per indicare la presenza degli immigrati italiani come un rischio per la convivenza pacifica di quelle popolazioni e perfino per la stabilità politica di quei regimi sotto tutela francese. In particolare i siciliani erano dipinti come "criminali incalliti, irascibili, imprevedibili, violenti e molto pericolosi nella loro maggioranza gli europei della Reggenza e la popolazione tunisina accettarono questa rappresentazione negativa dell'elemento siciliano. Il luogo comune del siciliano bellicoso, armato di coltello o di revolver, che uccide per futili motivi rimase fisso nel tempo" (Alì Noureddine: "Le cas de la "criminalità sicilienne"- Sousse 1888-98). Per altro, va dato atto a Noureddine di avere, col suo pregevole saggio, tentato di demolire la falsa rappresentazione del siciliano "violento e arretrato".
Si trattava, infatti, di un'ingiusta generalizzazione, di uno stereotipo artatamente gonfiato e diffuso dalla propaganda razzista che fece presa sulla maggioranza della popolazione tunisina per un lungo periodo. A pensarci bene, quanti stereotipi anti-immigrati si stanno diffondendo in Italia, in particolare nelle regioni ricche del nord che sono quelle che più sfruttano, a loro esclusivo vantaggio, la presenza degli immigrati. In buona sostanza, la xenofobia, espressione di un egoismo gretto e ignorante solitamente al servizio d'interessi economici forti e sovente poco leciti, ha usato sempre e dovunque lo stesso linguaggio, le stesse immagini distorte e le medesime tecniche di comunicazione e di persuasione.
Rileggere queste cose, dette e scritte più di un secolo addietro contro i siciliani, e come leggere oggi quanto scritto e detto dai giornali e dai massimi esponenti della Lega Nord contro gli arabi e gli africani immigrati in Sicilia e in Italia. Tuttavia, fra le due esperienze si può rilevare una differenza nella qualità del trattamento e nelle opportunità d'inserimento nella società d'accoglimento, certamente più favorevole ai nostri, allora, emigrati in Tunisia.
4... La numerosa colonia italiana, distribuita lungo tutta la costa tunisina, era adeguatamente tutelata da accordi di cooperazione bilaterali stipulati sia con le autorità ottomane sia, a partire dal 1870, con quelle francesi che esercitavano il "Protettorato".
Gli italiani in Tunisia disponevano di una efficiente organizzazione economica e finanziaria, di una camera di commercio (fondata nel 1884), di alcune banche fra le quali la "Banca siciliana" e di una rete culturale e assistenziale di tutto rispetto: un quotidiano (l'Unione), teatri, librerie, cinema, un ospedale italiano, scuole di vario ordine e grado e numerosi enti di beneficenza. Non mancava nulla: persino una loggia massonica "Concordia" fu creata a Tunisi durante il ministero di Francesco Crispi, con l'intento di far fronte alla preponderanza francese.
I nostri emigranti erano in gran parte braccianti e contadini poveri, pescatori, artigiani, minatori, manovali, piccoli commercianti, ecc; tutta gente di fatica che fuggiva dalla miseria e dalla disoccupazione del sud e delle isole. E qualcuno anche dalle patrie galere. Cercavano l'America in Tunisia e molti la trovarono fra i vigneti, nelle miniere di bauxite e nei fondali pescosi.
Nonostante il fatto che il governo di Parigi incoraggiasse la "naturalizzazione" di migliaia di nostri emigrati in Tunisia, gli italiani erano molto più numerosi dei francesi: nel censimento del 1926, su una popolazione europea di 173.281 abitanti, figuravano 89.216 italiani, 71.020 francesi, 8.396 maltesi, ecc. (in Moustapha Kraiem, op.cit.). Una prevalenza anomala che fece scrivere a Laura Davi (nelle sue "Memoires italiennes en Tunisie") che "La Tunisia è una colonia italiana amministrata da funzionari francesi".
A parte queste eloquenti statistiche, c'è da aggiungere che i siciliani in Tunisia, oltre ad essersi bene integrati nel tessuto economico, vissero quella esperienza in un clima di reciproco rispetto, di tolleranza e di solidarietà con i locali. Vi sono, ancora oggi, a Tunisi, a Sousse, a Madia, a Sfax, quartieri dove si possono riscontrare i segni di questa feconda convivenza, anche sul terreno difficile delle religioni. La Goulette, la cittadina balneare fra Tunisi e Cartagine, era chiamata "la piccola Sicilia" poiché era stata creata (un po' abusivamente in verità) dai siciliani provenienti dalle province di Trapani, di Palermo e di Agrigento i quali crearono un idioma tutto loro: un arabo infarcito di siciliano, tuttora usato come lingua locale. In questa bella e solare cittadina nacque, da genitori trapanesi, Claudia Cardinale che nel 1956, a Tunisi, fu incoronata reginetta italiana e in questa veste partecipò al concorso di Miss Italia, da dove spiccò il volo verso una fantastica carriera cinematografica.
Memore di tutto questo e d'altro, la Sicilia, democratica e solidale, deve contribuire a risolvere il problema degli immigrati, anche per evitare che si affermi una pericolosa visione xenofoba, al limite razzista, che non rende onore al suo passato e al suo (purtroppo) presente di terra d'emigrazione.
In "La Repubblica", Palermo 28.6.2003
lunedì 16 dicembre 2013
IL PAPA NON SI OFFENDE SE LO CHIAMANO MARXISTA, MOLTI (ex) MARXISTI INVECE SI
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sabato 14 dicembre 2013
ALDO MORO, IL VERO ARTEFICE DELLA SVOLTA VERSO IL MONDO ARABO
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martedì 10 dicembre 2013
MANDELA: AI FUNERALI CI SONO TUTTI, NELLA LOTTA A SUO FIANCO ERANO POCHINI
MANDELA: AI FUNERALI CI SONO TUTTI, NELLA LOTTA A SUO FIANCO ERANO POCHINI
10 dicembre 2013 alle ore 13.23
E' bello leggere che la gran parte dei Capi di Stato, non solo i soliti "grandi della Terra", sono oggi in Sud Africa a rendere omaggio a Mandela, all'Uomo che, con le sue idee, il suo sacrificio, il suo alto esempio, ha indicato al suo popolo la via della liberazione dall' odiosa politica segregazionista della minoranza bianca.
Questo illustre e affollato corteo è, sicuramente, la sua più grande vittoria morale!
Oggi, tutti considerano Mandela un Eroe, un benefattore dell'umanità, soprattutto di quella ancora vittima del razzismo, della miseria, della esclusione sociale.
Ieri, purtroppo, così non era: molti trattavano Mandela e la sua ANC alla stregua di terroristi fanatici e sanguinari. Per queste ragioni è stato imprigionato e perseguitato così a lungo.
Di questa "solitudine" ho fatto un cenno nel mio libro "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi" (vedi foto)
Ricordo queste cose non per ritorsione polemica, nè per orgoglio, ma solo per accendere una riflessione, per ricordare che Nelson Mandela non era un cherubino disceso dal cielo, ma un Compagno in carne ed ossa, un esponente di primissimo piano della sinistra sudafricana e mondiale che ha saputo gestire, con fermezza, intelligenza e realismo, una lotta memorabile ed anche la successiva, difficile fase di transizione.
Insomma, un dono della sinistra più autentica per la libertà e la dignità dei popoli.
Siamo consapevoli che nella sua prima esperienza storica la sinistra (al potere) ha compiuto errori anche gravissimi (specie nei Paesi dell'Est europeo) che dobbiamo condannare desisamente. Tuttavia, non possiamo subire un giudizio liquidazionista della sinistra che ha dato al mondo uomini come Mandela, Che Guevara, Allende, ecc., e idee e valori di giustizia sociale, di emancipazione politica e di progresso culturale.
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mercoledì 4 dicembre 2013
"PORCELLUM", FINALMENTE LA SENTENZA: NO AL PREMIO DI MAGGIORANZA, SI AL VOTO DI PREFERENZA
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martedì 3 dicembre 2013
ALCUNE FOTO DEL VIAGGIO IN MESSICO, ottobre 2013
domenica 1 dicembre 2013
CO-INQUILINI INTELLIGENTI
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sabato 30 novembre 2013
QUANDO LA LOTTA PAGA, IL PRD ESCE DAL "PATTO PER IL MESSICO"
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U.S.A: COME UNA CERTA DESTRA SFRUTTA UNA CRITICA DI SINISTRA
Pubblico uno dei numerosi, nuovi commenti, apparsi su vari giornali online e social network Usa e di altre nazionalità, a proposito di alcune mie considerazioni sul caso di Malik Obama, sollevato da eminenti autorità egiziane e riportato da Tv e organi di stampa italiani e stranieri (che nessuno ha smentito), da cui ho attinto per formulare una valutazione critica.
Appare evidente che certi settori della destra Usa vorrebbero strumentalizzarle per fini interni.
Il gioco è chiaro: usare la mia critica (da sinistra), contenuta nel mio "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi" , nella loro lotta contro il presidente Barak Obama. Ovviamente, non mi monto la testa: il Presidente ha ben altri problemi cui badare. Tuttavia, per quello che vale, desidero dissociarmi da tale maldestro tentativo e, in ogni caso, precisare che rispondo solo di quello che ho scritto nel mio libro. Infine, faccio notare ai solerti commentatori che sono un ex parlamentare e che il libro è uscito da qualche mese (si vende nelle librerie Feltrinelli e in varie altre on line) e l'ho anche presentato in diverse università messicane. Saluti. (a.s.)
TCUnation
social network for conservatives
ITALIAN MP ACKNOWLEDGES MALIK OBAMA SCANDAL
Posted by Kathryn McEwen on November 21, 2013 at 1:41am in KEEP-AMERICA-SAFE/Liz Cheney
Back to KEEP-AMERICA-SAFE/Liz Cheney Discussions
ITALIAN MP ACKNOWLEGES MALIK OBAMA SCANDAL
http://shoebat.com/2013/11/20/italian-mp-acknowledges-malik-obama-s...
...The important thing is that he is acknowledging Jebali’s charges and seems to think they will hurt the U.S. President. Here is what Spataro has to say about the Muslim Brotherhood in Egypt as well as Barack Obama’s half-brother Malik.
Mursi yes, Mursi no. Al-Sisi yes, Al-Sis No: Egypt entangled in the chain of Western contradiction
.....
Probably, even from these concerns came the “go-ahead” to use the top Egyptian military to depose the legitimate President Mohamed Morsi, leader of the sect of the “Muslim Brotherhood”.
A real coup, carried out with the silent complicity of the NATO powers, against the first democratically elected (government)…
Egypt is today the most striking example of the dangerous impasse that is the result of Western governments’ inability to deal with the complex realities of the Arab / Islamic world. These governments seem to arrogate the “law of contradiction” without paying heed to the serious consequences caused.
If these consequences include the ambiguous personal behavior of certain heads of state, the picture gets really dark and disturbing, the prospect very confusing.
In this regard, affecting the very serious charges launched by Tahani al-Jebali, Egyptian Vice President of the Constitutional Court, according to whom – as reported by “the Press” – Malik Obama, half-brother of the U.S. President, is linked hand-in-glove with the Muslim Brotherhood, the organization of the deposed Mohammed Mursi, initially also supported by the White House.
Indeed, al-Jebali’s claims get worse when her charge states explicitly that, “the brother of the president, Barack Obama, is one of the architects of the major investments of the Muslim Brotherhood.”
(Source: Francesca Canelli in “Libero-Quotidiano.it” of August 27, 2013)
There is no need to draw excess attention to this complaint, but nor should it fall on deaf ears. It is clear that, if confirmed, these charges would cast a shadow over the image and the work of the first African-American president of the United States of America whose election (and re-election) was hailed as a great achievement for the civil and political life of the American people and, in general, as a victory against racist ideologies worldwide – an event almost similar to the election of Nelson Mandela as president of South Africa. {emphasis ours}
The Malik Obama story seems to be finding somewhat of an audience in Italy. Last month, an Italian publication reported on an event that featured Jebali, even interviewing her on the topic.
As for Spataro, it’s easy to see his communist leanings when reading his take but it is not insignificant for an Italian MP to express concerns about the possibility that Jebali’s claims have merit, regardless of his effort to downplay them.
to read full article;
http://shoebat.com/2013/11/20/italian-mp-acknowledges-malik-obama-s...
Tags: Brotherhood, Egypt, Malik, Morsi, Muslim, Obama
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martedì 26 novembre 2013
Italian MP acknowledges Malik Obama scandal
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domenica 24 novembre 2013
venerdì 22 novembre 2013
Agostino Spataro, Italian MP acknowledges Malik Obama scandal
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Sunday, 24 November 2013
Article and comments
Italian MP acknowledges Malik Obama scandal
Added: 20.11.2013 22:48 | 3 views | 0 comments
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A Communist member of Italy's Parliament and rather prolific author - Agostino (Augustine) Spataro - is obviously familiar with the claims against Malik Obama. In a discussion about his latest book, entitled "Watcher of the PCI in Gaddafi's Libya-A trip to Tripoli"
, Spataro references the charges made against Malik and is scheduled to appear at [...]
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Italian MP acknowledges Malik Obama scandal
• Posted by Bill Bissell, Admin II on November 21, 2013 at 10:44am in Patriot Action Alerts
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A Communist member of Italy’s Parliament and rather prolific author – Agostino (Augustine) Spataro – is obviously familiar with the claims against Malik Obama. In a discussion about his latest book, entitled Watcher of the PCI in Gaddafi’s Libya-A trip to Tripoli, Spataro references the charges made against Malik and is scheduled to appear at a conference on November 21st.
Spataro: Italian Communist MP acknowledges Malik Obama scandal.
Spataro is scheduled to appear at the annual “Mediterranean, yesterday and today” Forum on November 21st. This year’s theme according to La Valle Dei Templi has to do with the “SPRINGS betrayed”, which is a discussion about how the ‘Arab Spring’ countries haven’t fared so well.
In reporting on the event and Spataro’s appearance there, the publication excerpted portions of the former’s book. Keep in mind that Spataro is a communist as you read. The important thing is that he is acknowledging Jebali’s charges and seems to think they will hurt the U.S. President. Here is what Spataro has to say about the Muslim Brotherhood in Egypt as well as Barack Obama’s half-brother Malik, via La Valle Dei Templi:
Mursi yes, Mursi no. Al-Sisi yes, Al-Sis No: Egypt entangled in the chain of Western contradiction
Staying inside the metaphor, it was necessary to know that the warmth of the “spring” follow the scorching heat of summer and autumn and the winter.
Now, however, unwisely, the door has been opened and the “dragon”, with long chains, is free to act. The first to experience the looming danger were the Israeli rulers who fear, with growing unrest, the thickening boundaries of new Islamist regimes that do not tolerate the presence “of the hated Zionist entity.”
Probably, even from these concerns came the “go-ahead” to use the top Egyptian military to depose the legitimate President Mohamed Morsi, leader of the sect of the “Muslim Brotherhood”.
A real coup, carried out with the silent complicity of the NATO powers, against the first democratically elected (government)…
Egypt is today the most striking example of the dangerous impasse that is the result of Western governments’ inability to deal with the complex realities of the Arab / Islamic world. These governments seem to arrogate the “law of contradiction” without paying heed to the serious consequences caused.
If these consequences include the ambiguous personal behavior of certain heads of state, the picture gets really dark and disturbing, the prospect very confusing.
In this regard, affecting the very serious charges launched by Tahani al-Jebali, Egyptian Vice President of the Constitutional Court, according to whom – as reported by “the Press” – Malik Obama, half-brother of the U.S. President, is linked hand-in-glove with the Muslim Brotherhood, the organization of the deposed Mohammed Mursi, initially also supported by the White House.
Indeed, al-Jebali’s claims get worse when her charge states explicitly that, “the brother of the president, Barack Obama, is one of the architects of the major investments of the Muslim Brotherhood.”
(Source: Francesca Canelli in “Free-Quotidiano.it” of August 27, 2013)
There is no need to draw excess attention to this complaint, but nor should it fall on deaf ears. It is clear that, if confirmed, these charges would cast a shadow over the image and the work of the first African-American president of the United States of America whose election (and re-election) was hailed as a great achievement for the civil and political life of the American people and, in general, as a victory against racist ideologies worldwide – an event almost similar to the election of Nelson Mandela as president of South Africa. {emphasis ours}
The Malik Obama story seems to be finding somewhat of an audience in Italy. Last month, an Italian publication reported on an event that featured Jebali, even interviewing her on the topic.
As for Spataro, it’s easy to see his communist leanings when reading his take but it is not insignificant for an Italian MP to express concerns about the possibility that Jebali’s claims have merit, regardless of his effort to downplay them.
Spataro: Malik Obama scandal “should not fall on deaf ears”.
Shoebat Foundation
Walid Shoebat
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martedì 19 novembre 2013
"LE PRIMAVERE TRADITE", Agostino Spataro alla Biblioteca "L. Pirandello" di Agrigento
COMUNICATO DELLA LIBERA UNIVERSITA’ AGRIGENTINA- AUSER
Nel quadro del programma annuale “Mediterraneo, ieri e oggi”, la LUA ha organizzato una conversazione con Agostino Spataro, autore di diverse opere sul Mediterraneo e sul Mondo Arabo, sul tema: “LE PRIMAVERE TRADITE”
L’incontro si svolgerà giovedì 21 novembre alle ore 17, 00 presso la Biblioteca“L. Pirandello” di Agrigento (via Imera, n. 50)- Ingresso libero
Allego sull'argomento alcune pagine tratte dal mio libro "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi- Un viaggio a Tripoli" Ed. Centro Stuidi Mediterranei, 2013. Saluti. a.s.
Cap. IV
LIBIA, UN’INSURREZIONE NON FA “PRIMAVERA”
Le “primavere” arabe
1... Se è vero che “una rondine non fa primavera”e altrettanto vero che “una primavera”non fa una rivoluzione. Ovviamente, se per “rivoluzione” s’intende uncambiamento profondo dello stato di cose presente e non un mero ricambio diceti dominanti.
Stiamo parlandodelle “primavere” arabe o “rivoluzioni degli internauti”che hanno scosso,ribaltato gli assetti del potere in alcuni paesi nordafricani.
In Tunisia un vasto,e inatteso, movimento popolare, sostenuto e orientato dalle forze politiche diopposizione (fra cui il partito islamista “Ennadha”) ha indotto Ben Alì allafuga.
In Egitto, ilpresidente Moubarak è stato costretto alle dimissioni dal venir meno delsostegno degli Usa e dalle lotte poderose di uno schieramento ampio,soprattutto urbano, apparentemente dominato dalle componenti giovanili laiche eprogressiste.
In realtà, dietro edentro tali movimenti c’erano i “fratelli mussulmani” i quali, pur avendoun’influenza sociale diffusa e un’organizzazione radicata e ramificata nellasocietà, hanno mantenuto un comportamento defilato, in attesa di subentrarealle prime elezioni libere che, com’è noto, sono state stravinte in entrambi iPaesi dai partiti islamisti.
Con tutto ilrispetto dovuto alle centinaia di vittime delle repressioni poliziesche, alcoraggio e alla determinazione di grandi masse giovanili, femminili e operaie,bisogna, però, rilevare che quelle non furono vere rivoluzioni, ma generoserivolte giovanili, concentrate nelle grandi realtà urbane (molto meno nellecampagne), che, senza volerlo, hanno spianato la via del potere alle formazioniislamiste. Oggi, in questi Paesi è in atto una drammatica regressionepolitica e culturale (anche rispetto ai vecchi regimi) che nessuno dei grandimedia illumina, forse perché troppo concentrati sulla Siria a… spianare lastrada del potere ai Fratelli musulmani, amici dell’Arabia Saudita e degliamericani. Sappiamo che in Siria c’è una dittatura, ma deve essere quel popoloa liberarsene con le pro-prie forze e con i propri mezzi e non con armi e forzestraniere come quelle provenienti dalla Francia e da altri paesi della Nato chesembra sia stata trasformata in un nuovo gendarme del mondo.
2... Tali movimenti, infatti, sono esplosi perlegittime rivendicazioni endogene (la mancanza di libertà, di diritti civili,la sete di giustizia, di modernità, la lotta alla corruzione e alla disoccupa-zione,ai privilegi, ecc), ma anche per induzione esterna mediante l’uso mirato eraffinato dei social network .
L’obiettivo eraquello di rovesciare i regimi tirannici, quasi tutti amici dell’Occidente. Difatto, però, le “primavere” hanno agevolato la vittoria dei “fratellimusulmani “e di altre organizzazioni islamiste, anche di tendenza salafita.
Un processo contraddittorio, ambiguo come rileva Mahdi Darius Nazemroaya, nella sua analisi “Dividere,conquistare e regnare in Medio Oriente”, pubblicata alla fine del 2011:
“Il processo della “primavera araba” haribaltato in Nord Africa, dal Marocco all’Egitto, regimi politici autoritarifondamentalmente laici e con più o meno sbiadite venature socialiste, portandoa capo dei nuovi governi gruppi islamici moderati. In Tunisia, Rachid Gannouchileader del partito Ennahda ha rimpiazzato Zine el Abidine Ben Ali. Nellavecchia Jamiryia i ribelli jihaddisti libici riuniti nel Cnt si sono sbarazzatidi Gheddafi grazie all’appoggio degli anglo-franco-americani, instaurando lasharia nella legislazione della “nuova Libia”.
In Marocco, il partito islamico-moderato elegittimista Giustizia e Sviluppo ha vinto le elezioni legislative portando ilsuo leader Abdelilah Benkirane ad esercitare il ruolo da primo ministro. InEgitto, il nuovo Parlamento, il primo da quando Mubarak ha lasciato il Paese,è composto per tre quarti da islamici, vale a dire dai Fratelli Musulmani e daisalafiti. All’appello nordafricano mancherebbe soltanto Ennahda, il movimentoislamico algerino che concorrerà alle presidenziali nel 2014. [1]
3... Com’era prevedibile, l’appoggio datodall’Occidente alle“primavere arabe” si è risolto in un madornale errore. Masi tratta di errori o di qualcosa d’altro? Errori così pacchiani, ripetuti autorizzano, infatti, un dubbio atroce: gli Usasbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di “sbagliare”?
Difficile scioglieretale dubbio, anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali Usa, pur dicontrollare il petrolio e il gas arabi, non si fanno scrupoli di allearsi anchecon i più fanatici nemici degli Usa e dell’Occidente ossia con la “tendenzaintegralista”, variamente connotata, l’unica in grado di controllare il poterepolitico e, quindi, le risorse degli Stati islamici.
Nel suo saggio,Sebastiano Caputo da questa interpretazione:
“Al momento né Washington né Tel Aviv hannosuonato il campanello d’allarme, difficile capire il perché. La prima ipotesipresuppone che gli Usa sappiano che questi nuovi governi islamo- neoconservatoriagiranno principalmente nel campo del sociale attraverso leggi che limiterannola libertà, mentre difficilmente metteranno le mani alla macroeconomia, vale adire il libero mercato e il sistema monetario attuale, di conseguenzarisulterebbe inutile scatenare pressioni o sanzioni…
Tuttavia l’eclatante trionfo dei valoriislamici su quelli laici racchiude in sé una situazione paradossale. Se sianalizza l’evoluzione della politica estera nord-americana dopo i cosiddettiattentati dell’11 settembre e l’atteggiamento scettico nei confronti dell’Islam,la domanda che viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “garantidella democrazia nel mondo” permet-tono un tale evento storico- politico?Perché Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e pro-palestinesi digovernare Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?”[2]
Morsi si, Morsi no. Sissi si, Sissi ni: l’Egittoimbrigliato nella catena delle contraddizioni occidentali
Restando dentro la metafora, bisognava sapere che aitepori della “primavera” seguono il caldo torrido dell’estate e dell’autunno eil freddo dell’inverno.
Ormai, però, laporta incautamente è stata aperta e il “dragone”, da tempo incatenato, è liberodi agire. Ad avvertire, per primi, l’incombente pericolo sono stati igovernanti israeliani che temono, con crescente inquietudine, l’addensarsi ailoro confini di nuovi regimi islamisti che non tollerano la presenza “della odiata entità sionista”.
Probabilmente, anche da tali preoccupazioni è venuto il“nulla-osta” Usa ai vertici militari egiziani di destituire il legittimo pre-sidenteMohamed Morsi, leader della setta dei “Fratelli musulma-ni”.
Un vero e propriocolpo di Stato, attuato con la silente complicità delle potenze della Nato,contro il primo rais eletto democratica-mente, come hanno garantito i mediaoccidentali; gli stessi che hanno applaudito il generale Sissi che lo hacacciato e che ora non sanno cosa diredi fronte alla sanguinosa reazione del governo militare contro le proteste dei “fratelli musulmani”.
L’Egitto è, oggi,l’esempio più clamoroso e pericoloso della impasse in cui si sono cacciati igovernanti occidentali, della loro incapacità di rapportarsi con la complessarealtà del mondo arabo e islamico.
Questi governisembrano arrogarsi perfino il “diritto di contraddizione”, senza pagare dazioper le gravi conseguenze provocate.
Se a tutto ciò siaggiungono i comportamenti personali ambigui di taluni capi di Stato il quadrodiventa davvero fosco e preoccupante e la prospettiva molto confusa.
A tale proposito, colpisconole accuse gravissime lanciate da Te-hani al- Gebali, vicepresidentedella corte costituzionale egiziana, secondo il quale - come riportato da “la Stampa” - “Malik Obama, fratellastro dell’omonimoPresidente (Usa n.d.r.), sarebbe legato a doppio filo con la Fratellanza musulmana,l’organizzazione del deposto Mohammed Morsi, inizialmente sostenuta anche dallaCasa Bianca.”
Addirittura, al- Gelali rincara la dose quando afferma,esplicitamente, che : “il fratello delpresidente, Barack Obama, è uno degli architetti dei maggiori investimentidella Fratellanza musulmana”.
(fonte: Francesca Canelli in “Libero- Quotidiano.it”del 27 agosto 2013
Non è il caso di enfatizzare questa denuncia, ma nemmeno dilasciarla cadere nel vuoto, poiché è chiaro che, se confermata, gette-rebbeun’ombra inquietante sull’immagine e sull’operato del pri-mo presidente afro -americano degli Stati Uniti d’America la cui elezione (meno la rielezione)abbiamo salutato come una grande conquista civile e politica del popolo americanoe, in generale, co-me una vittoria sull’ideologia razzista mondiale. Un eventoquasi assimilabile all’elezione di Nelson Mandela a presidente del Sud-Africa.
Ho menzionato tale “notizia” per correttezza d’informazionee an-che perché, in qualche misura, evoca due episodi richiamati nel libro che credo meritino una riflessione, senon altro per le sorpren-denti analogie e coincidenze. Eccoli :
1) nel capitolo “La Sicilia e la Libia” dove si parla diBilly, fratello di Jimmy Carter altro presidente in carica, sbarcato in Libiaper rendere omaggio a Gheddafi e alla sua “rivoluzione” antimpe-rialista chegli Usa avevano messo al bando. A queltempo (1979), il “Billygate” fu fatto passare per una stravaganza di un uomo assillatodai debiti e dall’alcool, ma - come documentiamo- si trattò di una sorta di “missione patriottica” cheserviva al presidente Carter per risolvere, tramite il fratello, alcuniproblemi di vitale importanza.
2) nel “Viaggio aTripoli” segnalo, invece, la rumorosa presenza in Libia, nel 1984, perpartecipare alla conferenza internazionale di solidarietà con il regime diGheddafi, di un afro - americano qualificatosi (e accolto) come presidentedella proclamata “Repubblica islamica degliStati Uniti d’America”.
Si trattava del dottor Louis Raphael, leader dei “BlackMuslim” americani, il quale promise (24 anni prima dell’elezione di Obama!)che presto avrebbero “piantato labandiera verde di Allah sul pennone della Casa Bianca”.
L’Algeria ha già subìto il “trattamento” islamista
Questa catena d’intrighi e di “contraddizioni”, forse,aiuta a capire perché l’onda lunga della “primavera” araba non sia arrivata inBahrain e in altre petro-monarchie del Golfo, nella stessa Algeria.
Per quanto concernel’Algeria, c’è da notare che questo importante Paese, arabo e mediterraneo, hasubito il “trattamento” (islamista) negli anni scorsi, con conseguenze davverodevastanti.
I governantialgerini capirono l’antifona e aprirono le porte alle multinazionali Usa efrancesi ma anche russe.
Oggi, il terrorismoislamista è “sotto controllo” e le multinazionali possono controllare,tranquillamente e per vie traverse, i traffici d’idrocarburi e anche lagestione (questa è la novità) di taluni settori strategici algerini quali itrasporti, i servizi d’igiene e la produzione e la distribuzione di energiaelettrica.
L’allarme lo harilanciato, recentemente, Salima Tlemcani, su “El Watan” del 27/4/2013:
“Mai,l’Algeria è stata così minacciata nellasua esistenza che in questi ultimi anni, a causa della sua rendita petrolifera.Il malgoverno, la corruzione e gli interessi dei politicanti hanno finito perconsegnarla alla vecchia potenza coloniale e agli Stati Uniti che, oggi, hannopraticamente il monopolio sui due settori strategici più sensibili : itrasporti e l’energia… Gli uomini a più alto livello dello Stato hanno messo ilPaese nelle mani degli Americani e dei Francesi, unicamente per comprare laloro benedizione”.
Più chiaro di così!
La “primavera” non sboccia in Bahrain
Stranamente, nel vasto panorama delle petro- monarchiearabe, assolutiste e oscurantiste, la “primavera” non è arrivata, si è infrantaalle porte dei loro avamposti più tirannici.
E’ stata “dirottata”in Siria, si potrebbe dire. Non è riuscita a sbocciare nemmeno nel piccolo ericco emirato del Bahrain perché repressanel sangue dall’intervento militare delle truppe dell’Arabia saudita, suopotente vicino e tutore, e perché mistificata dalle tv satellitari arabe e ignoratadai media occidentali.
Nel Bahrain (loscontro è ancora in corso) si vorrebbe salvare, ad ogni costo, una “dittaturaamica” poiché nell’emirato, pieno di ban-che arabe e occidentali e di basimilitari Usa, la protesta non corre sulweb, ma viene dalla casbah, dal popolo sfruttato, in gran parte di confessione“sciita”, e perché in seconda fila non ci sono i “fratelli musulmani”, prontia subentrare senza traumi, ma il popolo sciita in sintonia con il vicino Irandegli ayatollah.
Evidentemente, all’interno del “cerchio Mena” il trattamentonon è uguale per tutti i Paesi: il Bahrain va difeso perché fa parte dellacatena delle dittature amiche, mentre Siria e Iran, considerate dittatureostili e indisponibili, vanno sovvertite, scalzate con ogni mezzo, compresol’intervento militare.
Questa è la lettura più realistica degli avvenimenti!
La posta in gioco è altissima e perciò non si bada a spese ea scrupoli di sorta. I decisori occulti e palesi sanno benissimo che chi, inquesto secolo, controllerà il “cerchio Mena” influenzerà il futuro del mondo.
Il controllo di una regione così vasta e difficile, un po’scottata dall’esperienza coloniale europea, richiede la collaborazione in locodi vecchi e nuovi amici più solidi politicamente, disponibili a condividere irischi e i frutti dell’ambizioso progetto.
Insomma, non ci si poteva più appoggiare su dittatoriesausti, screditati, corrotti che non avrebbero potuto più tenere a bada lemasse giovanili e popolari diseredate, ma bisognava individuare, promuoveresoggetti nuovi, decisi, influenti, capaci di generare anche un certo grado diconsenso sociale e politico.
Dopo le intese con i re e con gli emiri, “moderni”all’estero e retrivi in patria, con gli uomini delle vecchie dinastiepetroliere, scan-dalosamente ricchi e gaudenti, con i rappresentantidell’aristocrazia compradorainternazionale, sono stati ricercati accordi con la “fratellanza musulmana”l’unica, nel mondo islamico, a essere ben organizzata, motivata e, dunque,capace di governare quelle società turbolente.
Qua e là- secondo il bisogno- sono state contattate ereclutate anche talune formazioni più estremiste.
[1] S. Caputo “PianoYinon: la”primavera araba” per spaccare l’Africa” in “Informareper Resistere” del 8/4/2013
[2] S. Caputo, op. cit.
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