martedì 19 febbraio 2019

PROFESSIONISMO ANTIMAFIA: L’AMARA "RIVINCITA" DI LEONARDO SCIASCIA





di Agostino Spataro 

In certi settori dell’antimafia si creò intorno a Sciascia un vuoto oscuro, attraversato da sentimenti insipidi, da una sorta di disprezzo dichiarato o malcelato. Poi, venne la morte e aggiustò ogni cosa. Gli animi si placarono. Molti corsero ai suoi funerali. Qualcuno si ravvide e iniziò un penoso viaggio alla ricerca di scusanti, d’improbabili giustificazioni…

1… Trent’anni fa (novembre 1989) moriva Leonardo Sciascia. La sua morte suscitò una commozione e un cordoglio diffusi e, forse, anche qualche rimorso in coloro che avevano dileggiato alcune sue prese di posizioni controcorrente.
Fra questi, probabilmente, anche Marcelle Padovani la quale, tre mesi prima della dipartita (agosto 1989), rilasciò all’agenzia d’informazioni “Parcomit” (del Pci) un’intervista, (“Sicilia, fabbrica di eroi”), nella quale la corrispondente da Roma del settimanale francese “Nouvel Observateur” sferrò un attacco durissimo, ingiurioso, oltre che ingiusto, contro lo scrittore di Racalmuto reo di avere scritto, due anni prima (gennaio 1987), sul Corriere della Sera, un articolo di fondo dal titolo (redazionale) assai provocatorio "I professionisti dell'antimafia”.
Titolo redazionale, si badi bene, poiché nel testo sciasciano tale dicitura non figura.
Alla luce della realtà attuale, si può dire che Sciascia scrisse, con largo anticipo, di un fenomeno latente e crescente che, oggi, è esploso in tutta la sua carica distruttiva e delegittimante che pesa come un macigno sul futuro della lotta alla mafia.
Perfino deviante direi, poiché sposta l’attenzione delle forze preposte alla repressione del fenomeno, dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia a quella contro l’antimafia perversa e camuffata.
Insomma, i carrieristi dell'antimafia sono tra noi e sono tanti e, purtroppo, confermano la “profezia” di Sciascia oltre ogni sua pessimistica previsione.
Ecco perché il pensiero corre alla feroce polemica scatenata contro Leonardo Sciascia che presto degenerò in una sorta di linciaggio morale in cui taluni giunsero a bollare lo scrittore come un "traditore" della lotta alla mafia, un "quaraquaqua" e via via blaterando. 
Veemente e Tranciante appare, nella citata intervista, il giudizio di Marcelle Padovani:



Così la Padovani definì il "personaggio" Sciascia.

Nell’intervista la giornalista ribadiva, sostanzialmente, le cose scritte, tempo prima, sul “Nouvel Observateur”, quasi a voler mettere sull’avviso i lettori francesi del cambio di fronte (dall’antimafia alla mafia?) di Leonardo Sciascia assai noto anche in Francia.
Un passaggio di campo dovuto a una pretesa involuzione del pensiero e dell’impegno civile dello scrittore che, dieci anni prima (1979), la stessa giornalista francese, in un libro-intervista * dal tono quasi celebrativo, aveva omaggiato per il suo laicismo volterriano, per il suo illuminismo ispirato a Diderot, ecc…
L’autrice si mostrò talmente filo-sciasciana da chiudere la sua introduzione con una domanda, quasi un monito, rivolta al lettore, alla sinistra: “non è forse giusto e utile per gli stessi lavoratori che il movimento operaio si trovi a fronteggiare le critiche del grande scrittore siciliano e che impari a rispondergli non solo con la polemica, ma dimostrando di essere capace di nuovi comportamenti?”
(* Leonardo Sciascia “La Sicilia come metafora”- Intervista di Marcelle Padovani- Arnoldo Mondadori Editore- 1979)
Dieci anni dopo, l’ostracismo, la “riprovazione morale” verso un “personaggio” che “ormai appare come uno che sta dall’altra parte”.
Evidentemente, in questo caso, esercitò il “diritto a contraddirsi” di sciasciana memoria!

2… Come è noto, vi furono altre prese di posizione di condanna, di distanza dallo scrittore. Rarissime le difese e tanti i silenzi.
In certi settori dell’antimafia si creò intorno a Sciascia un vuoto oscuro, attraversato da sentimenti insipidi, da una sorta di disprezzo dichiarato o malcelato. Poi, venne la morte e aggiustò ogni cosa. Gli animi si placarono. Molti corsero ai suoi funerali. Qualcuno si ravvide e iniziò un penoso viaggio alla ricerca di scusanti, d’improbabili giustificazioni…
Personalmente, pur non condividendo taluni passaggi dell’articolo incriminato (lo scrittore sbagliò persona:  Paolo Borsellino con il quale presto si chiarirono, ma avvertì del pericolo di un possibile snaturamento di quella lotta), non mi accodai quelle dichiarazioni denigratorie che, anzi, criticai, pubblicamente e per iscritto, non per amicizia (giacché amico di Sciascia non fui), ma solo per onestà intellettuale e politica e anche per rispetto della mia autonomia di giudizio.
Come ho scritto in altre occasioni, di Sciascia non fui amico. Lo frequentai in quelle sue rare venute a Montecitorio.
Per alcuni mesi, fu mio collega  nella commissione Affari esteri della Camera. Ricordo che fu tra i deputati radicali che sottoscrissero (Pannella non firmò) la petizione (che proponemmo un gruppo di deputati della Dc, del Pci, del Psi e di DP) rivolta al governo italiano, presieduto da Giovanni Spadolini, per il riconoscimento dell’Olp di Yasser Arafat come unico rappresentante del popolo palestinese e dei suoi diritti nazionali di sovranità.  
In quella importante contingenza, tranne il gruppo parlamentare del Pci che firmò compatto, gli altri gruppi  si spaccarono. Tuttavia, riuscimmo a raccogliere un’ampia maggioranza parlamentare (la prima in un parlamento occidentale) che chiedeva il riconoscimento politico e una patria per i palestinesi.
Leonardo Sciascia firmò perché riteneva sacrosanto tale diritto e, forse, anche perché sentiva il richiamo del mondo arabo, della presenza araba in Sicilia, a Racalmuto da cui- riteneva- si originassero il suo cognome e la sua stessa appartenenza etnica.
Per la cronaca: nonostante il vasto consenso dell’opinione pubblica italiana in favore della Causa palestinese, la qualificata maggioranza parlamentare e l’approvazione in Aula di una mozione di Democrazia Proletaria, il governo rifiutò di dare corso alle richieste del Parlamento. La bella democrazia degli atlantisti!
 
Le firme dei deputati radicali per il riconoscimento dell'Olp. In basso la firma di Leonardo Sciascia, 

























3… Dello scrittore ho sempre apprezzato lo stile conciso, denso, la capacità d'intuizione, anche politica, senza mitizzarne l'opera, il pensiero come taluni continuano a fare.
Alcuni “sciasciani”, con le loro interpretazioni forzate, banalizzanti, adulatorie non hanno reso un buon servizio all’opera e alla memoria dello scrittore.
Penso che Sciascia, per il suo carattere schivo e un po’ introverso, per il suo razionalismo libertario, non avrebbe gradito. Come ritengo che non sarebbe mai entrato in certe foto. 
Ma torniamo- per concludere- alla triste polemica di quei mesi del 1987, all’intervista della Padovani a Parcomit.
Nell’opinione pubblica, nei circoli intellettuali la domanda era: ha ragione Sciascia o i suoi detrattori e accusatori?
Nel Pci, partito che nel dopoguerra aveva subito il più grave attacco omicida della mafia e delle forze collegate, le opinioni erano contrastanti: oltre la persona di Sciascia, in ballo c'erano una certa concezione e pratica della lotta antimafia.
Per rendere meglio l’idea e l'atmosfera del tempo, sono andato a cercare fra le mie carte e ho trovato il testo  dell’intervista a Marcelle Padovani, nella quale si riflette l'asprezza di quella polemica (che investì la sinistra, il Pci) e indusse la famosa giornalista francese a emettere un giudizio molto pesante sullo scrittore.
Pur trattandosi di un'agenzia di stampa del mio Partito, dissentii da quel giudizio e s
enza attendere l’imbeccata di qualcuno, presi carta e penna e dichiarai fra l’altro: “Colpiscono, i termini usati per definire il ruolo di Leonardo Sciascia quando si afferma testualmente che “ormai appare chiaro che è come uno che sta dall’altra parte.”
Intendendo per “alta parte” il fronte politico-mafioso che tira le fila del grave disastro morale e civile che, da lungo tempo, travaglia la Sicilia e opprime i siciliani onesti.
Ora, se è vero che, talvolta, Leonardo Sciascia ha manifestato posizioni controcorrente anche a proposito dei più grandi drammi politici italiani (dal delitto Moro agli eccidi mafiosi), tuttavia le accuse della Padovani sono eccessive, più che eccessive ingiuste, non soltanto riguardo al passato impegno civile dello scrittore contro la mafia e il sistema di potere dominante e collusivo, ma anche rispetto al suo presente agnosticismo. 
In ogni caso, non può passare la logica del “chi non è con noi è contro di noi”, altrimenti la lotta alla mafia sarà più difficile, al limite perdente.”
Che altro dire? Il tempo passa, inesorabile, e come il vento salubre di tramontana smuove le acque stagnanti di certe polemiche, le ripulisce dei torbidi residui e fa emergere la sottostante verità. Anche certe verità amare, inattese.

Agostino Spataro- Bio/bibliografia in :
https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro


20 febbraio 2019.



mercoledì 6 febbraio 2019

UN FUTURO MEDITERRANEO PER IL CANTIERE NAVALE DI PALERMO



di Agostino Spataro

       Il porto e il cantiere di Palermo ( foto da Google) 
"...Trieste/Palermo, 4 febbraio 2019 – L’Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia Occidentale (AdSP) e Fincantieri hanno firmato un protocollo d’intesa per il rilancio in piena sintonia del polo della cantieristica navale nel porto di Palermo, alla base del quale vi è l’obiettivo condiviso di permettere al sito siciliano di affermarsi come uno dei più importanti del Mediterraneo. L’accordo, destinato a rivoluzionare l’assetto, anche infrastrutturale oltre che operativo, dell’intero bacino portuale di Palermo, prevede la concentrazione di tutta l’attività cantieristica industriale, attraverso la realizzazione di diverse opere infrastrutturali, fra cui spicca il completamento del bacino di carenaggio da 150.000 tonnellate di portata lorda e la realizzazione di una banchina di 300 metri di lunghezza nell’area nord del porto (Acquasanta)...."

Il brano, estrapolato dal sito ://www.cittanuove-corleone.net/2019/02/palermo-con-fincantieri-ora-guarda-al.html, costituisce certamente una buona notizia. Finalmente, si potrebbe dire. Dopo decenni di lotte portate avanti da un fronte di forze sociali, culturali e politiche per rivendicare la salvaguardia dei posti lavoro e un ruolo mediterraneo per il cantiere navale di Palermo.
Si é lasciato passare tanto tempo prezioso, facendo perdere tante opportunità create, in questi ultimi 40 anni, dalle grandi trasformazioni industriali, tecnologiche, commerciali, ecc.
Il mancato rilancio del cantiere palermitano ha provocato fenomeni di ridimensionamento, di dequalificazione, di marginalizzazione. Solo grazie alle dure lotte delle maestranze si é riusciti a impedirne la chiusura.
Eppure non era difficile capire come, a partire dalla seconda metà degli anni 70, l'asse dello sviluppo dei trasporti marittimi si spostava, sempre più, verso il Mediterraneo al centro del quale ci sono la Sicilia e il cantiere palermitano.
Si è disconosciuta la centralità mediterranea geo-economica dell'Isola, sacrificandola sull'altare della militarizzazione (anche nucleare) e della creazione di un hub energetico (petrolio, gas, raffinazione, chimica di base, ecc) posto al servizio dello sviluppo del centro-nord italiano.
Una lotta esemplare quella per la difesa e il rilancio del cantiere navale di Palermo che é stata condotta sul terreno sociale, sindacale, ma anche in sede politica e parlamentare, soprattutto dalle forze della sinistra e in particolare dal Pci e dai suoi organi di stampa, primo fra tutti il quotidiano "l'Ora".
Il Pci si batté per salvare e rilanciare, come polo strategico, il cantiere palermitano, in raccordo con altre strutture cantieristiche operanti nell'Isola.
Dopo l'avvio felice della fase della cooperazione fra Italia, Sicilia e il mondo arabo (che s'inaugurò con la realizzazione del grandioso metanodotto Algeria-Tunisia- Sicilia- Italia), elaborammo una vera e propria strategia di cooperazione siculo-araba che inglobava i settori più rilevanti dell'economia siciliana e dei Paesi arabi rivieraschi del Mediterraneo: dall'energia alla chimica fine; dalla cantieristica alle società miste di pesca; dai circuiti turistici integrati agli scambi culturali; dalle nuove tecnologie alle fibre ottiche; dai flussi migratori arabi verso l'Italia e la Sicilia a quelli siciliani verso i paesi arabi, dagli scambi agricoli e commerciali alla Banca mediterranea per lo sviluppo, ecc.
Insomma, una vera programmazione cui contribuirono le forze politiche presenti all'Ars e gli stessi  governi regionali, i grandi Comuni, le province, le forze sindacali e imprenditoriali.
Uno sforzo immane, originale (aderente a sano spirito autonomistico) che cercai di riassumere nel mio libro "Oltre il Canale- Ipotesi di cooperazione siculo-araba" -Edizioni delle Autonomie, Roma, 1986, di cui allego copertina e alcune le pagine relative alla cantieristica palermitana.
Intorno a queste ipotesi, 33 anni fa, si sviluppò un grande dibattito. Tuttavia, poco o nulla si fece  per  valorizzarle, realizzarle. Per indolenza nostrana, ma anche per un'opposizione evidente dei governi nazionali (specie quello presieduto da Giovanni Spadolini) che temevano una sorta di "fuga in avanti" della Sicilia verso il mondo arabo.
Preoccupazioni infondate che però hanno ostacolato tanti progetti, fatto sfumare tante occasioni di sviluppo nella cooperazione pacifica e reciprocamente vantaggiosa, in un contesto, allora, più favorevole dell'attuale. 
Comunque sia, oggi, é arrivata, da Trieste (Fincantieri), la buona notizia. La rileviamo con il più vivo interesse non per rivendicare primati, ma solo per domandare: ma perché ci sono voluti più di tre decenni per fare qualcosa di buono per il progresso della Sicilia?