lunedì 25 gennaio 2016

GIORNO DELLA MEMORIA: RICORDARE TUTTE LE VITTIME DEL NAZIFASCISMO



di Agostino Spataro
Confesso la mia perplessità di fronte al fatto che siano necessarie una legge dello Stato e/o una circolare ministeriale per (far) ricordare a un popolo civile, ai giovani italiani la terribile tragedia, provocata dal nazifascismo, ai danni soprattutto degli ebrei e di altri gruppi della società europea quali gli zingari, gli antifascisti di varia tendenza politica, i soldati italiani che, dopo l’8 settembre del 1943 e il tremendo monito di Cefalonia, rifiutarono di combattere nelle armate nazifasciste.
Se per ricordare un crimine così efferato ed evidente bisogna fare una legge, probabilmente altre leggi saranno necessarie per ricordare i frequenti e recenti massacri (alcuni con caratteristiche genocide) in Africa, in Medio Oriente, nei Territori palestinesi occupati dagli eserciti israeliani. Tanto per ricordare…la realtà attuale.
Comunque sia, il 27 gennaio è il “Giorno della memoria” in base alla legge n. 211 del 20/7/2000  che va  rispettata in tutte le sue parti, come previsto nei due articoli che la compongono. Intendo dire: è giusto porre l’accento sulla “shoa” (evitando però strumentalizzazioni che poco hanno a che fare con le vittime, con lo stesso popolo ebraico di ieri e di oggi), ma senza dimenticare le vittime non ebree richiamate dalla legge medesima ossia gli zingari (circa mezzo milione), gli antifascisti e i militari italiani (circa seicentomila) “internati” nei lager nazisti. In realtà, questi ultimi, chiamati anche “schiavi di Hitler”, per quasi due anni furono obbligati a lavorare per l’industria di guerra nazista in condizioni massacranti, senza cure mediche e adeguata nutrizione. Molti morirono di fame e di malattie, pochi riuscirono a sopravvivere.
Fra questi soldati c’era mio padre, Pietro Spataro, operaio siciliano mai iscritto al partito fascista e caporalmaggiore del regio esercito italiano, il quale, rifiutò la collaborazione con i nazifascisti e per questo venne catturato sul fronte dei Balcani e deportato in Germania a lavorare in uno stabilimento di riciclaggio di metalli.
Di quella drammatica esperienza egli ne ebbe riconoscimento purtroppo postumo, consistente in una medaglia del Presidente della Repubblica che fu consegnata a me dal signor prefetto di Agrigento. Potenza della burocrazia, papà si fece la guerra e il lager nazista, ma la sua medaglia fu data a me, a oltre 60 anni dalla fine della guerra!


 A parte il fatto personale, è giusto ricordare tutte le vittime per meglio rendere la vastità  e la varietà della catastrofe della guerra nazifascista che, oltre agli eccidi dei lager, provocò circa 50 milioni di morti e d’invalidi, la gran parte civili inermi.
Onorare, dunque, la memoria di tutte le vittime, soprattutto per inculcare ai giovani il valore inestimabile della pace, della fratellanza fra tutti i popoli del mondo, per prevenire altre guerre che potrebbero verificarsi in questo nuovo secolo e per chiudere tutti i conflitti aperti oggi nel mondo. A  iniziare da quello, emblematico e crudele, israelo-palestinese, per assicurare al popolo martire di Palestina, dopo 68 anni di sofferenze, di esodi e di guerre, una patria e uno Stato sovrani come deciso dall’Onu e com’è giusto che sia. 

P.S. Per dare un’idea della tragedia e anche delle complicità che l'hanno accompagnata e ben sfruttata, allego alcuni brani tratti dal mio “I giardini della nobile brigata” * relativi all’iniziativa “imprenditoriale” di Hugo Boss il quale, grazie alle amicizie con i capi nazisti, alla guerra e alle deportazioni di cui sopra, realizzò una grande fortuna. 
"…Fra le tante fortune insanguinate, formatesi col beneplacito del nazismo, un posto di rilievo spetta a quella di Hugo Ferdinand Boss, il creatore della omonima casa di moda tedesca e nazista della prima ora, il quale, sfruttando le buone relazioni con la gerarchia, divenne il for­nitore unico delle divise per le squadracce naziste e, dal 1938, di quelle per l’esercito e per le famigerate SS.
Affari e politica, dunque, e lauti guadagni per Boss che- secondo un libro del prof. Roman Koester- riuscì, perfino, a farsi assegnare dal re­gime un “lotto” di 180 prigionieri (francesi e polacchi) che sfruttò a sangue nei suoi stabilimenti. In particolare, al Boss si attribuisce il di­segno e la confezione delle divise delle Waffen SS.
Un vero successo! Molti biondi giovanotti tedeschi furono attratti dalla bellezza, elitaria e inquietante, di questa divisa che prometteva gloria e potere a chi l’indossava.
Il biondo- si sa- spezza bene col nero!
Se questo fu l’effetto che provocava sugli aspiranti aguzzini, provate a immaginare il terrore di chi si trovò davanti questa “divisa” che veniva per arrestarlo e/o deportarlo nei campi di sterminio.
Sicuramente, molti ebrei, zingari, antifascisti, apolidi, ecc, saranno morti con negli occhi l’immagine, pietrificata, di questa terrificante griffe di Hugo Boss….
... Personalmente, sapendo cosa c’è dietro questo marchio, non sono mai entrato in un negozio Hugo Boss. Anche perché quei 180 prigionieri a lui asserviti, mi ricordano la vicenda drammatica di mio padre che, come loro, fu catturato (sul fronte d’Albania) e internato in un lager nazista e costretto a lavorare, da schiavo, in una fabbrica di me­talli. A pane e acqua. Quando c’era il…pane!
Ovviamente, da tali responsabilità sono esclusi i nuovi, gli attuali proprietari della società e del marchio…”



mercoledì 20 gennaio 2016

FERMARE LA PERICOLOSA DERIVA DELL’EUROPA



di Agostino Spataro

1... Le scaramucce fra Renzi e il presidente della commissione UE, Juncker, e prima le più aspre polemiche e i diktat imposti ai Paesi del sud e dell’est Europa, credo siano spie allarmanti di un diffuso disagio politico derivato dall'incapacità manifesta di governare la crisi che investe le istituzioni, l’economia e le stesse società europee. Da un certo tempo, infatti, l’Unione continua ad avvitarsi su stessa, sulle proprie contraddizioni senza più riuscire a esprimere un ruolo primario nel mondo, neanche nelle regioni vicine di sua più diretta pertinenza politica e commerciale. Al disagio politico fanno da contraltare una crescente crisi di fiducia verso le istituzioni comunitarie e lo stesso progetto d’Unione e una serie di preoccupazioni di ordine morale che deprimono lo spirito pubblico europeo. Questi e altri fattori, in assenza di riforme democratiche e di progetti di sviluppo propulsivo, rischiano di disgregare quel tanto di Europa che si è riusciti, faticosamente, a costruire, a unire; di far saltare perfino il processo unitario. A cominciare dagli accordi di Schengen sottoposti a un’eccessiva, lunga pressione migratoria clandestina proveniente da varie regioni del pianeta. Per la durata e per le dimensioni assunte, tale fenomeno, di là del dramma umano dei singoli da affrontare con la solidarietà nella legalità, non può essere più considerato una “emergenza umanitaria”, ma si configura agli occhi della stragrande maggioranza degli europei come una sorta di “invasione pacifica” ben mirata, sfruttata da una miriade di organizzazioni criminali, schiavistiche.  (vedi in http://www.cittafutura.al.it/web/_pages/detail.aspx?GID=20&DOCID=17918) Il fenomeno richiama, inoltre, la delicata questione delle frontiere di Schengen e dei singoli Stati le quali, fino a quando esistono, vanno rispettate e, se del caso, difese.

2... Una situazione che bisogna affrontare con riforme incisive e con scelte conseguenti, prima che il populismo razzista delle destre dilaghi, anche sul terreno elettorale, e assesti un colpo mortale a ogni politica di accoglienza, all’idea stessa di un’Europa solidale, laica, fondata sull’inclusione sociale e  sull’equa distribuzione della ricchezza e dei servizi.
Poiché questo è il vero problema irrisolto; questa è l’Europa che non si vuol costruire! Insomma, invece di beccarsi con battutine per nulla spiritose, qualcosa bisogna fare, e subito, per fermare la  deriva e tentare di uscire dalla crisi più forti e più giusti. Ma che fare? La risposta dovrebbero darla le forze politiche che rappresentano la volontà popolare nelle istituzioni europee. Quello che assolutamente non si può più fare è continuare con politiche ispirate (dettate?) da interessi forti (anche extracomunitari) basate su una lista di tagli e di divieti, di sacrifici senza compensazioni sociali, senza un paniere di riforme capaci di rilanciare il ruolo di pace e di cooperazione dell’Europa nel mondo.

3... Di fronte a così evidente declino, le grandi borghesie nazionali hanno abbandonato l’idea primigenia dell’Europa, consentendo la penetrazione d’interessi economici e strategici esterni e la crescita di un populismo demagogico, nazionalistico che richiama quello degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso.
Purtroppo, nemmeno la sinistra (variamente connotata) si è dimostrata all’altezza della gravità della situazione, tant’è che è stata relegata all’opposizione quasi dappertutto.
Dov’è “l’Europa socialista? Socialdemocratica?
Quella che resta (a parte il tentativo difficile di Tsipras in Grecia) non sembra volersi armonizzare con i bisogni reali dei lavoratori, dei giovani, dei poveri (che sono tanti!), ma perseguire, in termini subalterni, gli interessi dei grandi trust industriali e finanziari, europei e nordamericani.  

Questo, a me sembra, il punto centrale della crisi profonda della sinistra europea. Da qui è necessario partire per costruire uno schieramento politico, sociale e culturale, nel quale confluiscano forze di sinistra e progressiste e pacifiste, per salvare l’Europa e rilanciare il progetto d’unione su idee e programmi nuovi, ampliando gli orizzonti della visione strategica a paesi importanti come la Russia e altri di prevalente cultura europea.    
Se la borghesia ha abbandonato l’idea di un’Europa coesa e solidale, spetta alla sinistra, alle forze progressiste  riprendere la via, e la lotta, per realizzarla.

*Quelli che seguono sono spunti di riflessione inseriti nel mio“I giardini della nobile brigata”  http://www.amazon.com/dp/B00JLD0AAW ). Se volete, date un’occhiata.     

Europei, verso l’estinzione? 

Parafrasando Empedocle, quando parla dei suoi dissennati concittadini akragantini, si potrebbe dire che gli europei costruiscono ponti e palazzi come se dovessero vivere in eterno e s’ingozzano come se dovessero morire il giorno dopo. In realtà, vivono nel presente e si crogiolano nel loro favoloso, talvolta tragico, passato. L’Europa sta andando alla deriva, ma nessuno si preoccupa di fermare il disegno distruttore. Simili a uccelli suicidi, gli europei volano incontro all’inesorabile sciagura, come razza rassegnata all’estinzione. Generano pochi figli e allevano cani e gatti come se volessero affidare la loro posterità a queste specie zoologiche.

Il futuro non li riguarda. Forse, lo temono perché non riescono a immaginarlo migliore di questo ridondante (anche se non per tutti) presente.

Vecchia Europa un corno!
È vero. Da un certo tempo, l’Europa appare fiacca, stanca, incerta, spaventata. Mostra, evidenti, i segni del declino economico, morale e soprattutto demografico. Rischia di perdere il suo ruolo primario (non sempre positivo) nel mondo.
Ironia della storia, l’Europa, fautrice del colonialismo “civilizzatore”, potrebbe divenire preda dell’espan-sionismo strisciante di varia prove­nienza.
Qualche avvisaglia si ebbe in passato quando i grandi imperi del Sud (specie islamici) si espansero verso il cuore dell’Europa e per poco non la conquistarono.
Oggi, tale pericolo non è all’ordine del giorno. Tuttavia, sono in corso azioni mirate a fiaccare il morale dei popoli europei scaricando su di loro misure antisociali, conseguenze di una crisi, in gran parte, “importata” e di una guerra infinita portata nei territori vicini.
Anche sul piano psicologico si tende a indebolire l’immagine dell’Europa mediante una campagna basata  sull’uso eccessivo della vulgata della “vecchia Europa” che un po’ deprime lo spirito pubblico.
A forza di ripeterla, qualcuno si sarà convinto che vecchia lo è davvero. E siccome dopo la vecchiaia viene la morte, l’Europa è una regione morente.
Una vulgata da sfatare, poiché l’Europa, essendo un’appendice geografica dell’Asia, non è un territorio più vecchio di altri, ma coevo come si può desumere dalle teorie più accreditate sulla formazione geologica dei continenti.
Se, poi, si vuol fare derivare la “vecchiezza” dalla durata della sua civiltà, c’è da osservare che quella asiatica (dal medio all’estremo oriente) è molto più vetusta di quella europea e, oggi, sta perfino risorgendo.Quindi, vecchia Europa un corno!


Eurorussia: unire Europa e Russia
Per taluni l’Europa non è un continente, ma solo una propaggine dell’Asia verso l’Atlantico e il Mediterraneo. Fisicamente, così è.
Tut­tavia, da tremila anni, l’Europa è fonte e sede di una delle più grandi civiltà umane. Purtroppo, oggi, è in affanno, in evidente declino e molti, amici e concor­renti, cercano di condizionarla, d’invaderla “pacifica-mente”, di anticiparne la caduta, per spolparsi le sue enormi ricchezze materiali e immateriali.
Più che una speranza ben riposta, il futuro dell’Europa è un problema mal posto, poiché resta incerto e succube di forze e interessi ostili e contrapposti. L’Europa ha smarrito il senso della sua dignità storica, della sua autonomia culturale e politica.
La soluzione? La risposta non è facile. Abbozzò un’ipotesi, così di getto, che forse un po’ risente della contingenza.
La crisi è tale che l’U.E. potrebbe, perfino, disgregarsi. Per evitare tale pericolo, bisogna cambiare registro politico e strategico e puntare a un’Europa dei popoli e non più delle consorterie multinazionali. Per essere credibile, il progetto europeo dovrà conquistare un largo consenso democratico, popolare e aggregare una nuova classe dirigente coerentemente europea.  
Sulla base di tali correzioni e innovazioni, dovrà proseguire l’allargamento fin dove è possibile nell’ambito dei popoli di cultura europea, abbandonando la politica di provocazione e delle tensioni svolta, per conto terzi, in ambito Nato.
In tale prospettiva, diventa auspicabile, possibile il progetto di unire l’Europa con la Russia o, se preferite, di associare la Russia all’Unione europea. Sì, avete letto bene, la sterminata Russia che ci viene presentata come l’eterno nemico. Oggi, un’idea siffatta può apparire paradossale, fuori da ogni ragionevole previsione. Tuttavia, un senso lo ha, una logica pure specie se immaginata nel medio/ lungo termine e alla luce delle nuove ri-aggregazioni (spartizioni?) mondiali che stanno avvenendo su basi continentali e non più ideologi­che.
Purtroppo, in questo nuovo scenario (in formazione) l’U.E., barcollante e squilibrata al suo interno, rischia di apparire un “continente” in bilico, alla deriva.
L’Europa, da sola, difficilmente potrà uscire da tale, precaria condizione; dovrà aggregarsi per creare un nuovo polo dello sviluppo mondiale.
Con chi? Gli Usa sono lontani e i loro interessi non sempre comba­ciano con quelli europei; l’ipotesi euro-mediterranea è stata fatta fallire per volere degli Usa e per subalternità francese.
Non resta che la Russia ossia un Paese- continente, di prevalente cultura europea, che dispone di territori sterminati e di enormi riserve energetiche e metallifere, di boschi, di acque, di terre vergini, di mari pescosi, ecc.
Evito ogni riferimento agli apparati e potenziali militari e nucleari che spero possano essere liquidati in tutto il mondo. Che, però, esistono!
Risorse importanti, strategiche che, unite al grande patrimonio europeo (tecnologie, saperi, scienze, professioni, tradizioni democratiche, ecc), potrebbero costituire il punto di partenza per dare vita a “EuroRussia” ossia a una nuova “regione” geo-economica mondiale (dall’Atlantico al Pacifico, al Medi-terraneo) che bandisca la guerra dalle sue prospettive e riesca a proiettare una forte iniziativa di cooperazione, di convivenza pacifica, in primo luogo verso il mondo arabo e l’Africa con i quali ci dobbiamo riconciliare.
Ovviamente, questo è solo uno spunto, una “bella utopia”. I giochi di guerra, gli intrighi per il nuovo ordine mondiale sono in corso da tempo. E sono ancora aperti. Il problema è come vi si partecipa, se da protagonisti o da comprimari. E con quali progetti e proposte.
All’orizzonte si profila una nuova bipartizione del mondo, con Cina e Usa come capifila. Taluno prevede un’improbabile tripartizione, inserendo la Russia nel terzetto.
Nessuno pronostica un ruolo primario dell’U.E., condannata a restare sottoposta agli Usa.
Non sappiamo quali saranno la collocazione, il ruolo della Russia e dell’Europa fra 30/50 anni. Una cosa sembra sicura: divise, potranno solo sperare che uno dei due capifila le inviti ad accodarsi.
      
                           (Agostino Spataro)


lunedì 18 gennaio 2016

IL CAPITALISMO DAL VOLTO (dis)UMANO: PRIMA TI AFFAMA E POI TI FA L'ELEMOSINA


(Budapet, piazza Blaha Lujza (centro storico e commercile della città) ore 13,00 del 18 gennaio 2016- Temperatura: -4 gradi- giornata soleggiata (per fortuna)

LE PERSONE QUI ACCALCATE NON SONO BARBONI, NON SONO PROFUGHI, MA COMUNI CITTADINI UNGHERESI OSSIA EUROPEI SENZA PIU' LAVORO, FAMIGLIE SENZA CIBO E TALUNE SENZA CASA CHE ATTENDONO DA ORE LA DISTRIBUZIONE DI UN PO' DI PANE E DI PASTA. 
INVECE DI DIRITTI E DI DIGNITA', CARITA' PELOSA: QUESTO E' IL VOLTO (dis)UMANO DEL NEO-LIBERISMO CHE PRIMA TI AFFAMA E POI TI  COSTRINGE A  FARE LA FILA PER L'ELEMOSINA.
SITUAZIONI DEL GENERE NON SI VERIFICARONO MAI DURANTE IL VECCHIO REGIME SOCIALISTA/STATALISTA CHE, PER QUANTO ILLIBERALE, RIUSCIVA AD ASSICURARE A TUTTI I CITTADINI I DIRITTI SOCIALI E I BENI PRIMARI. (a.s)



In fila anche famiglie con bambini


Blaha Lujza ter

Parte terminale della lunga fila



L'autore di questo libro si domanda: democrazia illiberale?

(foto mie,col telefonino)

martedì 5 gennaio 2016

UCCISIONE DI UN IMAM SCIITA : C’E’ UN PRECEDENTE CHE SFIORO’ L’ITALIA



di Agostino Spataro
La vicenda dell’esecuzione dell’imam sciita Nimr Al-Nimr per sentenza delle autorità saudite sta provocando serie ripercussioni nelle relazioni fra Iran e Arabia Saudita e, più in generale, fra le due principali comunità islamiche: sunnita e sciita.

Sperando che si giunga a un chiarimento e a una ricomposizione pacifica dei pericolosi contrasti insorti, desidero segnalare, per gli appassionati d’intrighi politici, l’episodio, altrettanto grave e destabilizzante, della scomparsa (si saprà poi che fu un assassinio consumato in Libia) del prestigioso imam Musa Al- Sadr, capo della comunità sciita libanese, con legami altolocati in Iran.  Anche allora (1978) la comunità sciita minacciò rappresaglie contro la Libia.

Per evitarle, Gheddafi tentò di scaricare le responsabilità della “scomparsa” sull’Italia che non c’entrava nulla, come scrivo nel mio “Nella Libia di Gheddafi”( http://www.amazon.it/NELLA-LIBIA-GHEDDAFI-Centro-Mediterranei-ebook/dp/B00DSQ1WEG) nel capitolo “L’assassinio dell’ambasciatore” di cui segnalo i seguenti brani.


L’operazione Albolcan
... L’associazione italo- libica andò per la sua strada, senza la mia partecipazione. Per altro, i rapporti con l’ambasciata si allenta­rono, divennero sempre più radi. In via Nomentana non c’era più un am­bascia- tore, ma un consiglio popolare composto di giovani irruenti, per nulla diplomatici, con i  quali era difficile perfino parlare.
Avevo praticamente sospeso, quasi del tutto, i rapporti, in attesa di tempi migliori. Quando, la sera del 21 gennaio 1984 appresi, sgo­mento, dal Tg la notizia che Tagazzi era stato fatto segno di un at­tentato, a colpi d’arma da fuoco, davanti alla porta della sua abita­zione romana, in via Mogadiscio. Morirà alcuni giorni dopo, a causa delle gravi ferite riportate…
…Anche l’omicidio del povero Tagazzi finirà nel pozzo dei misteri insoluti. Difatti, non si saprà mai nulla del clamoroso attentato, delle sue motivazioni, dei suoi esecutori e mandanti.
Un delitto apparentemente inspiegabile, inatteso anche per la vit­tima che si muoveva per la città senza alcuna precauzione, senza scorta.
Gli inquirenti italiani vagavano nel buio più completo, mentre s’infittivano voci e rivendicazioni provenienti dall’estero. Fra cui una proveniente da Londra che fu ritenuta falsa, deviante poiché attribuiva la responsa-bilità ai fuoriusciti libici colà riparati, i quali avrebbero agito per vendicare alcuni loro sodali uccisi a Roma, tempo prima, da sicari inviati da Tripoli.
Fu scartata anche l’altra rivendicazione, firmata “Albolcan” un’organizzazione d’ispirazione sciita, che si attribuiva il delitto come rappresaglia per la sparizione, avvenuta in un contesto d’intrigo interna-zionale, di Musa al Sadr prestigioso imam e leader influente del movimento sciita libanese.

Era questo un altro giallo, un nuovo inquietante mistero che si svolgeva tra la Libia e Roma.
Secondo la versione data dalle autorità libiche, Musa al- Sadr era prenotato (e quindi imbarcato) sul volo n. 881 dell’Alitalia in par­tenza, il 31 agosto 1978, da Tripoli con destinazione Roma.
Effettivamente, qualcuno s’imbarcò con quel nome. Tuttavia, se­condo le indagini effettuate dagli inquirenti italiani, sul quel volo Musa al- Sadr non c’era.
Come, in seguito, dichiareranno i magistrati italiani, l’imam non arrivò a Fiumicino, tantomeno a casa sua, a Beirut. Insomma, l’imam sparì. Ma come, dove spari?  
Un altro, sanguinoso intrigo internazionale si profilava all’orizzonte, già incandescente, del nostro paese, della città di Roma da anni tormentata dagli attentati, dalle stragi terroristiche tra cui quella gravissima, avvenuta, pochi mesi prima, in via Fani nella quale erano stati massacrati cinque poliziotti della scorta di Aldo Moro, a sua volta sequestrato e, dopo 55 giorni, “giustiziato” dalle sedicenti “brigate rosse”.
Si temeva, inoltre, che qualora fosse stata accreditata o, peggio, ac­certata l’ipotesi della sparizione di Musa al Sadr in Italia, ne sareb­bero derivate serie conseguenze sul terreno della sicurezza.
Per evitare tutto ciò, senza conoscere tutti i retroscena della vicen­da, presentai un’interrogazione urgente al governo mirata a scagionare la nostra compagnia di bandiera dalla insinuazione e, così, allontanare il pericolo di eventuali rappresaglie contro l’Italia.
Per l’omicidio di Tagazzi l’accusa più grave, fatta circolare da ta­luni ambienti politici libici, fu quella che ne attribuiva la responsa­bilità a sicari dell’Olp che avrebbero agito per rappresaglia contro le ingerenze libiche nella complicata situazione interna dei palesti­nesi, contro il sostegno dato da Gheddafi ai gruppi più estremisti contrari alla politica e alla leadership di Arafat.
Anche questa parve una perfida montatura di chi cercava di pescare nel torbido. Da Tunisi, il quartiere generale dell’Olp condannò du­ramente l’attentato e respinse categoricamente le accuse di un suo coinvol-gimento. Ovviamente, anche il governo e i principali partiti e sindacati italiani condannarono il vile attentato che contribuiva ad acuire le tensioni nel nostro Paese e complicava il quadro delle relazioni italo-libiche
Enrico Berlinguer inviò alle autorità libiche un telegramma di con­danna dell'attentato e di solidarietà con la famiglia dell’ambasciatore e con il governo della Jamahirya. 

(http://www.amazon.it/NELLA-LIBIA-GHEDDAFI-Centro-Mediterranei-ebook/dp/B00DSQ1WEG)



UN VIAGGIO A BAGDAD, AL TEMPO DI SADDAM



Visita in Iraq (12-18 luglio 1981) di una delegazione parlamentare italiana composta da  Agostino Spataro (Pci), Gilberto Bonalumi (Dc), Giorgio Mondino (Psi)





A mò di conclusione…
Per concludere trascrivo alcune considerazioni politiche contenute nel mio rapporto alla segreteria nazionale e alla commissione steri del PCI.
“In un clima operoso e austero, in cui si riflettono le asprezze e le contraddizioni interne, i piani di sviluppo (iracheni n.d.r.) avanzano vincendo talune resistenze anche di tipo culturale e morale.
Tende ad affermarsi una nuova idea di progresso inteso non più come privilegio di pochi, ma come fattore di emancipazione di massa.
Tutto questo sta avvenendo in Iraq senza suscitare esasperazioni di tipo religioso e con spirito improntato al laicismo possibile, senza cioè sconvolgere il delicato equilibrio fra progresso e tradizione.
Semmai si pongono alcuni problemi in relazione al grado di consistenza ed unità del blocco politico e sociale che fino ad oggi ha guidato il Paese sulla via di uno straordinario sviluppo.
La gestione del sistema di potere, in larghissima misura concentrata nelle mani degli uomini del Baath, ed esercitata secondo  uno schema rigido si contraddice palesemente con i principi del socialismo nella libertà proclamati con la vittoriosa “rivoluzione” del 17 luglio 1968.
L’unità del fronte delle forze di progresso ne risulta incrinata fino al punto di costringere il Partito Comunista iracheno, una delle componenti più vivaci e impegnate, a passare dal governo a una condizione di semiclandestinità.
I compagni iracheni contattati chiedono di denunciare con più forza e chiarezza la dura repressione esercitata nei loro confronti.
In conseguenza di tale “stretta”, l’’immagine democratica e popolare del regime di Saddam Hussein appare offuscata agli occhi delle masse popolari irachene e dell’opinione pubblica internazionale…”

Nota a margine:
In quello stesso periodo, su iniziativa del Psi di Bettino Craxi, fu creata a Roma l’Associazione di amicizia italo -irachena, composta da esponenti del Psi, del Pci e della Dc.
Presidente fu nominato l’on. Seppia del Psi, vicepresidenti  gli onn. Spataro del Pci e Aiardi della DC.
La mia permanenza in quella Associazione fu breve e piuttosto turbolenta poiché quando mi accorsi di certe, ambigue finalità, posi alcuni “paletti” sui contenuti e sulle modalità della cooperazione economica fra i due Paesi. Rimasi isolato e pertanto decisi di uscirne con l’accordo del Pci che mi aveva proposto per quell’incarico.

P.S. Questo pezzo è la conclusione  sintetica di un testo, che spero di pubblicare al più presto, relativo a taluni aspetti delle relazioni fra Italia, PCI e Paesi arabi da me, personalmente, vissuti in qualità di membro delle Commissioni esteri del Pci e della Camera dei Deputati.