venerdì 28 dicembre 2012

AUGURI PER UN NUOVO ANNO DI PACE E DI PROSPERITA' CONDIVISE

                                          Fiore di cappero con ape. Joppolo, 2012

Agostino Spataro augura un Nuovo Anno di pace e di prosperità condivise

Finchè c'è l'ape, c'è speranza...anche per noi.





Pensierino per vivere meglio:

“…L’uomo di propositi prosegue pieno di disprezzo. Lui non
perde mai la sua strada. Sa dove sta andando e cosa vuole.
Andando avanti raggiunge una grande lunghezza senza nessuna
larghezza e battuto, insudiciato e affaticato, alla fine consegue il
suo scopo, afferra il premio della sua perseveranza, della sua virtù,
del suo sano ottimismo: una menzognera pietra tombale sopra una
tomba scura e presto dimenticata…”

Joseph Conrad, in “Il reietto delle isole”.


Joppolo Giancaxio, 28 dicembre 2012

sabato 22 dicembre 2012

L'ILLUSIONE DEL GOVERNO APOLITICO



                                         L'arcobaleno sopra Montefamoso. Oggi

L’ILLUSIONE DEL GOVERNO APOLITICO

di Agostino Spataro

Ora che il tempo del governo dei “tecnici” è scaduto e Mario Monti parrebbe orientato a candidarsi alla guida di una concentrazione centrista si potranno comprendere meglio il senso e il fine del cosiddetto “governo apolitico”.
Ovviamente, ognuno è libero di fare le scelte che vuole, purché si esca dall’equivoco della soluzione tecnica, mai esistita, e che, in ogni caso, non ha prodotto i risultati promessi e/o attesi. Anzi! In questi tredici mesi, il debito pubblico e la disoccupazione sono cresciuti, mentre il risanamento è stato fatto a senso unico, in pratica a spese dei ceti medi e meno abbienti.
Comunque, di là degli esiti di questa esperienza, la probabile candidatura di Monti potrà aiutare a fare chiarezza, a sfatare il mito dell’apoliticità degli uomini, dei governi e, soprattutto, a ripristinare la corretta dialettica politica e parlamentare e il normale esercizio democratico del governo del Paese, di fatto “sospesi” durante l’ultimo anno.
Ciò detto, passiamo ad altro. Poiché, il nostro intento non è quello di occuparci della sorte personale dell’insigne professore, quanto dei problemi e delle polemiche che il suo governo “apolitico” ha  ingenerato e posto al centro del dibattito in corso e che, ancor più, lo saranno durante l’imminente campagna elettorale.

Si è fatta la lotta alla politica, quando al comando ci sono stati i “tecnici”
Quello di Monti è stato il primo governo, dichiaratamente e interamente, “tecnico” della storia repubblicana. Una forte anomalia, nel bel mezzo di una crisi strana e gestita con un approccio socialmente unilaterale, quasi come una rivincita dei più forti contro i più deboli i quali, nel corso degli ultimi decenni, erano riuscirti a strappare, con il lavoro e la lotta, alcune importanti conquiste sociali e contrattuali.
L’esecutivo Monti è stato insediato al culmine di un percorso, snodatosi per l’intero ventennio della “seconda repubblica”, in cui si sono alternati diversi governi presieduti da “tecnici” di area (Amato, Ciampi, Dini).
Insomma, è stata fatta una campagna incessante, distruttrice contro la politica (antipolitica), contro i politici rappresentati come il male maggiore, talvolta con qualche ragione, ma non si è detto che, nei fatti, questa lunga transizione (1992-2012) è stata caratterizzata, pilotata da governi diretti da “tecnici” “prestati” alla politica e non più restituiti alle professioni originarie.
Ai nomi prima citati, si possono associare anche quelli del professor Romano Prodi e dell’imprenditore Silvio Berlusconi i quali, per quanto diversamente connotati sul piano politico e morale, pur essendo stati votati dagli elettori, non sono politici di professione, ma personalità scelte per le loro caratteristiche prevalentemente tecniche: il primo per essere stato un importante manager d’aziende di Stato, il secondo perché ricco proprietario di un impero mediatico e non solo.
Se ci fate caso, in questo ventennio, abbiamo avuto, per un breve periodo e per vie un po’ traverse, un solo capo di governo che può definirsi politico a tutti gli effetti: l’on. Massimo D’Alema. 
Crisi della politica o volontà di annichilimento da parte dei poteri extraparlamentari?
Comunque sia, questo è il dato reale cui non fanno cenno le ben orchestrate campagne mediatiche mirate ad  eccitare l’opinione pubblica contro la “casta” dei politici (sottraendo le altre “caste” al pubblico ludibrio) e ad evocare come “soluzione” il “governo tecnico”, apolitico, non ideologico, ecc. Magari, in attesa che arrivi il “gran governo” diretta espressione di banche e di oligopoli.

I governi “apolitici” e l’iniqua distribuzione della ricchezza della Nazione
Una colossale manipolazione della realtà che ha deviato l’attenzione della gente dai veri interessi in campo (spesso inconfessabili) e creato, alimentato, l’illusione che il buon governo deve essere “apolitico” ossia diretto da tecnici super partes.
E così abbiamo visto avvicendarsi, alla guida dei governi e delle più alte istituzioni dello Stato, tecnici che hanno conseguito, all’ombra della politica durante la vituperata “prima repubblica”,  splendide carriere e accumulato ricchezze inusitate.
Sia chiaro: nessuno vuole fare sconti al ceto politico e parlamentare che si è prestato a questo gioco  perverso, accollandosi gravissime responsabilità nella gestione della crisi, ma solo rilevare che la malfamata “politica” non ha dominato, come si vuol far credere, il governo effettivo del Paese e tantomeno deciso le scelte fondamentali del suo sviluppo.
Il risultato? Basta andare a vedere cosa è cambiato durante la “seconda repubblica”. Poiché, molto è cambiato a favore di gruppi ristretti di imprenditori e di affaristi della finanza ossia la  vera “casta” dominante di cui nessuno parla o scrive sui giornali.
Sono stati profondamente modificati lo schema, i meccanismi di distribuzione della ricchezza nazionale prodotta dai lavoratori. Le statistiche più recenti ci dicono che il 10% dei dichiaranti possiede il 47% dei beni e della ricchezza del Paese. Se ci mettessimo le enormi ricchezze non dichiarate (e non tassate), tali percentuale andrebbe ben oltre il 50%.
Un risultato clamoroso che genera nuove ingiustizie, nuove povertà. A tali ricchezze l’uscente governo “tecnico” non ha voluto (o potuto) imporre nemmeno una patrimoniale, un’imposta una tantum, come ha fatto, in Francia, il nuovo governo socialista.

Il “porcellum” il male maggiore
Le cause della crisi italiana sono diverse, molteplici. Tuttavia, ritengo che in cima alla lista ci sia la vigente legge elettorale “porcata” che nega agli elettori il diritto al voto di preferenza e trasferisce  ai capi-partito, ossia ad una ristretta cerchia di persone, il potere di nominare, nei fatti, il Parlamento della Repubblica. Tutto ciò è inaccettabile oltre che disastroso per la democrazia italiana. 
La legge, attribuita al leghista Calderoli, in realtà è stata da quasi tutti voluta e da tutti usata ed abusata.
Il “porcellum” è un cancro per la democrazia, ma per i gruppi dirigenti/dominanti dei partiti è divenuto una pacchia poiché consente di perpetuare cordate e ruoli parlamentari senza essere legittimati dal voto (democratico) di preferenza.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’infiacchimento, il discredito del ruolo costituzionale del Parlamento e un diffuso sentimento d’insofferenza verso la politica (antipolitica) che ha indotto settori importanti della società a invocare il governo “apolitico”.
Si poteva, si doveva abolire, quanto meno modificare, questa legge ignobile. Invece, nulla! Per la terza volta, si andrà a votare col “porcellum”.
Al PD, che- chissà perché- si è opposto risolutamente alla re-introduzione del voto di preferenza, va dato atto dello sforzo ammirevole di volere, con le “primarie”, attenuare il danno e consentire una partecipazione di base alle scelte di una quota di candidati. Meglio del nulla degli altri partiti!
Tuttavia, le vere primarie sono il voto di preferenza! Uno solo, e numerico, per evitare brogli e/o la compravendita di voti.
Se si vogliono fare le primarie bisogna introdurle nell’ordinamento, con una legge ad hoc che le regolamenti e le renda obbligatorie per i partiti che attingono al finanziamento pubblico.
Purtroppo, a febbraio, nonostante le “primarie”, le “primariette”, le “parlamentarie”, i decaloghi berlusconiani, le aperture alla “società civile” (come se l’altra fosse “incivile” o “militare”) dei centristi vecchi e nuovi, avremo un ricambio minimo e una grande lottizzazione di parlamentari.
Esattamente, il contrario di quanto sarebbe necessario per affrontare in altro modo la crisi e anche per avviare una nuova fase costituente. E per evitare la minaccia, sempre incombente, di un nuovo governo “tecnico”.

                        Agostino Spataro

22 dicembre 2012  

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venerdì 14 dicembre 2012

COME PREVISTO: IL CAIRO NON E' BERLINO

Il Cairo non è Berlino

dicembre - 14 - 2012

Come previsto, la rivoluzione degli “internauti” si è fermata a Piazza Tahrir. In Egitto, il potere è nelle mani di Morsi e dei Fratelli musulmani, con la compiacenza delle Forze armate del vecchio regime. E’ successo quel che si temeva: in Egitto come in Libia, in Tunisia. Domani, il copione potrebbe ripetersi in Siria. Insomma, è stata aperta la porta per cacciare il tiranno ed è entrato il dragone!

L’opinione pubblica, italiana ed europea, è sconcertata, preoccupata per le pretese di predominio, anche ideologico, che intende attribuirsi il presidente egiziano Morsi per conto della sua organizzazione “I fratelli musulmani”. Molti, fra governanti, analisti e inviati di grido, che hanno appoggiato, senza riserve, le “rivolte” dello scorso anno, ora fingono di strapparsi le vesti per le tradite promesse di libertà e laicità, di benessere economico e civile. Evidentemente, la gran parte di tali soggetti continua a fingere, a ingannare le opinioni pubbliche che, in buona fede, hanno incoraggiato le “rivoluzioni”, le “primavere” arabe. Giacchè intuivano, sapevano, o avrebbero dovuto, quel che si stava apparecchiando.
E dire che lo intuimmo perfino noi che viviamo, appartati, in uno sperduto borgo siciliano, come si può verificare da questo articolo (in: www.infomedi.it/rivolta-egitto.htm)  scritto agli inizi delle manifestazioni di piazza Tahrir, quando ancora Mubarak non aveva abbandonato il potere.
Ora, il problema non è di chi l’ha detto prima (anche se chi lo ha detto dopo non ha titoli per rivendicare granché), ma di capire perchè tali ”soggetti”, che sapevano quello che stava accadendo, e sarebbe accaduto dopo “piazza Tahrir”, non l’hanno detto e/o scritto.
Probabilmente, per accompagnare la “rivoluzione” nella braccia dei Fratelli musulmani. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non solo in Egitto, ma anche in Tunisia, in Libia. Ora, sia chiaro, nessuno desidera difendere l’operato dei “rais” destituiti e/o eliminati (per altro tutti “amici” e soci di vari governanti occidentali), ma solo tentare di ristabilire la verità dei fatti e delle intenzioni che vi stanno dietro.
Lo scriviamo da decenni: i diversi regimi arabi sono tutti, più o meno, autoritari, assolutisti. Più che “Stati canaglia” sono “Stati-caserma”. E’ giusto quindi che i giovani, le donne, i cittadini si ribellino a tali sistemi e pratiche illiberali ed è altrettanto giusto che la comunità internazionale (non solo alcuni paesi NATO) li aiuti a liberarsi dal giogo opprimente. Ma senza nuove guerre e, soprattutto, con l'obiettivo di andare avanti, nel segno della democrazia, del pluralismo, della libertà, della laicità e non per andare indietro, come sta avvenendo in tutti i Paesi “liberati”.
Insomma, appare evidente che in questi Paesi è in atto una drammatica regressione politica e culturale (anche rispetto ai vecchi regimi) che nessuno dei grandi media illumina, forse perché troppo concentrati sulla Siria a… spianare la strada del potere ai Fratelli musulmani, amici dell’Arabia Saudita e degli americani. Sappiamo che in Siria c’è una dittatura, ma deve essere quel popolo a liberarsene con le proprie forze e con i propri mezzi e non con armi e forze straniere come quelle provenienti dalla Francia e da altri paesi della Nato che sembra sia stata trasformata in un nuovo gendarme del mondo.
Tutto ciò è inaccettabile, anche perchè si interviene soltanto contro i dittatori “disubbidienti” e si lasciano indisturbati i dittatori “amici”, in Medio Oriente e in altre regioni del Pianeta. E', forse, questo il "nuovo ordine mondiale"?
In realtà, si tratta di pericolose ingerenze e di guerre costosissime per i bilanci dei Paesi partecipanti, fra cui l'Italia, nel bel mezzo di una crisi economica e finanziaria che sta seriamente intaccando i livelli di occupazione e di reddito e il sistema di protezione sociale. Invece di fare guerre in casa d’altri, i governi della Nato dovrebbero prima guardare in casa propria ed occuparsi delle  condizioni di vita della (nostra) gente, della (non più) libera informazione, dei diritti civili e sociali (al lavoro, allo studio, alla salute, ecc).
Per altro, agiscono in nome della Nato che dovrebbe essere sciolta giacché, dopo il crollo e la dissoluzione del Patto di Varsavia, non ha più alcun motivo di esistere. Infatti, fu creata (nel 1949) per difendere l’Europa occidentale dal presunto pericolo “comunista” dell’Unione Sovietica. Pericolo inesistente- come abbiamo visto- poiché quei regimi, statalisti e autoritari, si sono autodistrutti da soli.  Un nuovo ordine mondiale è necessario, perfino urgente, ma deve essere progettato e approvato, nel segno della pace e della cooperazione fra i popoli, all’interno di una nuova Organizzazione delle Nazioni Unite e sulla base dei nuovi equilibri maturati e di nuove regole rispettaose della libertà e sovranità degli Stati.
Per intanto, tornando alle “rivoluzioni” arabe, sarebbe il caso che Qualcuno risponda ad alcuni, inquietanti interrogativi che l’opinione pubblica si pone.
Perchè le potenze occidentali della Nato (Usa, Gran Bretagna, Francia e la povera Italia) le hanno appoggiate, anche militarmente, pur conoscendo la realtà delle cose e le conseguenze politiche cui si andava incontro?
Dove si vuole andare a parare? Qual'è la (nuova) dottrina politica e militare? Forse, nel mondo arabo si è deciso di cambiare cavallo: dal dittatore logoro, ormai “scomodo”, alla potente organizzazione dei Fratelli musulmani che, per sua natura e statuto, è contraria alle legittime e laiche rivendicazioni degli internauti e dei progressisti in genere?
In ballo ci sono, come sempre, non le libertà dei popoli arabi, ma il loro petrolio e i grandi flussi di petrodollari che approdano comodamente in Europa e negli Usa. Petrolio e petrodollari ossia due elementi molto appetibili che hanno fatto la fortuna di petrolieri e banchieri d'Occidente e principi regnanti d'Oriente.
Vedremo. Ma se così dovesse essere non si sta facendo un buon servizio per la pace e per la libertà del mondo arabo, per la cooperazione e il progresso pacifico dell’area mediterranea, per la stabilità dei Paesi del Sud Europa, e in generale per i buoni rapporti fra Europa e mondo arabo.

                       Agostino Spataro



mercoledì 5 dicembre 2012

"L'Islam politique" (french edition) su Amazon Kindle

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L'ISLAM POLITIQUE- Des origines à Ben Laden (French Edition)
 
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L'ISLAM POLITIQUE- Des origines à Ben Laden (French Edition) [Kindle Edition]

Agostino Spataro



Book Description

December 4, 2012
Afin de faire comprendre les termes et les protagonistes du débat e du conflit entre musulmans et entre Occident et Orient, dans ce livre Agostino Spataro fait « parler » surtout les auteurs arabes de diverses tendances et quelque spécialiste occidental.
Il en résulte un contexte animé, riche, contradictoire qui s’entrecroise avec les événements tragiques actuels, démontrant que la bataille idéale et politique reste ouverte et imprévisible dans ses résultats. Comme la « printemps arabe » a démontrée.

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domenica 2 dicembre 2012

"SICILIA, IL DECENNIO BIANCO" SU AMAZON KINDLE


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SICILIA, IL DECENNIO BIANCO- Una magnifica desolazione (I libri del Centro Studi Mediterranei) (Italian Edition)
 
 

   Agostino Spataro


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Product Description

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Un “decennio bianco” che ha segnato la vita della Regione Sicilia in questo nuovo secolo. Bianco per il colore politico dei due “governatori”che lo hanno guidato ossia Cuffaro e Lombardo, ex democristiani, famosi per avere innalzato il clientelismo a un livello “scientifico”.
Entrambi dimessisi, in anticipo, in conseguenza di gravi provvedimenti giudiziari.
Decennio (in) bianco per le riforme annunciate e non attuate, per l’inconcludenza, per la sterilità dei suoi esiti, politici e di governo, che ha bruciato cospicue risorse finanziarie e ogni speranza di cambiamento, nello sviluppo e nella legalità.

Product details

  • Format: Kindle Edition
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  • Publisher: Centro Studi Mediterranei (17 Nov 2012)
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  • Language: Italian
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giovedì 29 novembre 2012

LA PALESTINA MEMBRO DELL'ONU, SI DEL GOVERNO MONTI

Finalmente, una buona notizia: l'Italia e buona parte dei Paesi europei voteranno a favore della richiesta avanzata dall'Autorità nazionale Palestinese di far parte, come membro Osservatore, del consesso delle Nazioni Unite. Non è il riconoscimento pieno, ma un serio passo in avanti.
Fa piacere che, oggi, il governo italiano di Monti abbia dichiarato il suo appoggio alla sacrosanta richiesta dei Palestinesi, mentre un anno fa il governo Berlusconi aveva votato contro, come si evince dall'allegato articolo.

L'ITALIA RICONOSCA LO STATO PALESTINESE
di Agostino Spataro

1.. Mentre ri-esplodono gli scandali delle frequentazioni notturne e diurne di Silvio Berlusconi, permettetemi di ricordare che il suo governo si è assunto la grave responsabilità di votare contro la richiesta, avanzata all’Onu da Abu Mazen, per il riconoscimento pieno dello Stato del popolo martire di Palestina entro i territori del 1967.
Chiariamo, per chi si attarda a capire, che tali “territori” sono da intendere come palestinesi a tutti gli effetti anche in base alla ripartizione decisa dall’Onu nel 1947 e confermati dalla risoluzione n. 242/1967 del CdS che chiedeva l’immediato sgombero delle forze d’occupazione israeliane.
Purtroppo, in Italia, questo grande problema rischia di passare sotto silenzio, come tanti altri urgenti, sociali e politici, affogati nella brodaglia dello scandalismo suscitato e alimentato dai discutibili stili di vita del presidente del Consiglio.
Insomma, il “no” detto da Berlusconi ai palestinesi credo sia molto più importante e grave di quello che egli avrebbe ricevuto da Emanuela Arcuri.
Perciò, parliamone e soprattutto agiscano i responsabili politici e parlamentari per evitare questo nuovo errore che sbilancia, pesantemente, la posizione dell’Italia a favore della parte occupante.
Al ministro Frattini che considera un errore la richiesta dei rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese del riconoscimento del loro Paese quale 194° membro della Nazioni Unite, bisogna dire che il “vero errore” è quello commesso dal governo italiano che nega tale riconoscimento, senza portare motivazioni convincenti.
Il governo, infatti, non può rifiutare, in nome del popolo italiano, una richiesta legittima e dolorosamente motivata da 63 anni (sì, sessantatre anni, avete letto bene!) di spoliazioni di beni, espulsioni, diaspore, massacri, occupazioni militari, distruzioni di abitazioni, repressione, incarceramenti, sfruttamento della forza lavoro, miseria, privazioni di ogni sorta e persino tentativi di distruzione della identità culturale ed etnica.

2.. Esagerazioni? Faziosità? Per una verifica di tali affermazioni, rimando agli scritti di diversi pacifisti israeliani che le documentano.
Per tutti cito “Sacred Landscape” opera di Meron Benvenisti, esponente israeliano della prima ora, a lungo amministratore di Gerusalemme, ampiamente richiamato da Riccardo Cristiano nel suo “La speranza svanita” (Editori Riuniti, 2002).
In questo testo, scritto non da un arabo facinoroso, fazioso, ma da uno “dei più grandi figli d’Israele”, troverete quello che mai nessun giornalista e commentatore occidentale ha detto sui metodi adottati dagli israeliani per cacciare dai loro villaggi, dalle loro terre gli arabi palestinesi e privarli di ogni diritto.
Dopo è venuto il “terrorismo” palestinese, che personalmente condanno, ossia la risposta disperata di alcuni gruppi al permanere dell’occupazione israeliana.
Per altro, non bisognerebbe dimenticare che in Palestina il terrorismo l' hanno introdotto e, sanguinosamente sperimentato, le bande armate di Begin (che diventerà primo ministro d’Israele) ai danni degli arabi e delle forze di garanzia inglesi che esercitavano il mandato internazionale.

3.. Ho accennato a questi gravissimi precedenti solo per ricordare a certi “benpensanti”, che enfatizzano i “limiti” dell’Autorità palestinese, com'è nato e si è affermato lo Stato d’Israele che, nel prosieguo, ha realizzato anche tanti fatti positivi; quanto è stato lungo il “calvario” del popolo palestinese al quale, dopo 63 anni, non si può chiedere di aspettare ancora, magari altri 40, per vedere riconosciuto il diritto ad avere uno Stato.
Da notare che tale iniquo trattamento è stato applicato soltanto ai danni dei palestinesi.
Mentre, cioè, l’intero terzo mondo si liberava dal giogo coloniale, nascevano nuovi Stati (l’ultimo, il Sud Sudan, è nato un mese fa) e confederazioni di stati, soltanto il popolo palestinese è rimasto senza Stato.
Perché? Che cosa ha fatto di male?
In realtà, i palestinesi il male lo hanno subito, nell’indifferenza generale del mondo; hanno perfino rischiato di essere cancellati dalla faccia della terra, di perdere la loro dignità di popolo che solo grazie all’opera di Yasser Arafat e dell’Olp è stata salvaguardata e rilanciata come una “questione” primaria della politica internazionale.
Se tutto ciò è vero, ognuno si chiede: perché questo popolo al quale è stata sottratta metà della sua terra sulla quale viveva da millenni per insediarvi lo stato d’Israele, che da oltre 40 è sotto occupazione militare israeliana, non debba avere il diritto a creare uno Stato nei territori assegnati dall’Onu?
Domanda semplice e al contempo tremenda, ineludibile, alla quale l’Italia, l’Europa e il mondo intero sono chiamati a rispondere il 22 settembre a New York.

4.. Votare "no" vuol dire negare ai palestinesi, solo a loro nel mondo, il sacrosanto diritto alla libertà e alla sovranità statuale.
Di fronte a questo diritto, non reggono gli speciosi argomenti per aggirarlo e tanto meno le minacce di taluni esponenti israeliani che dimenticano che Israele è uno Stato creato dall’Onu per un risarcimento da altri dovuto, che ovviamente ha diritto di esistere e di vivere in pace con i suoi vicini, ma non di occuparli.
Quanto è difficile fare capire le ragioni dei deboli! Soprattutto, a certi esponenti politici ed analisti, che, spesso, sbagliano l’analisi come l’ultima sulla “primavera araba” che per cacciare il tiranno ha aperto, magari senza volerlo, la porta del dragone.
Forse, per capirle servirebbero più spirito di comprensione e anche uno sforzo d’immaginazione: in questo caso, provando a mettersi nei panni dei palestinesi.
Non può esserci confronto fra chi oggi è vittima di un’occupazione e chi paventa di poterlo diventare domani.
Perciò, spiace che gli Stati Uniti di Obama, invece di dare corso alle speranze che egli stesso aveva acceso anche riguardo alla questione palestinese, continuano a minacciare incomprensibili veti.
L’Italia e l’Europa sono altra cosa; non possono consentire il perdurare di questa grave ingiustizia. Il "no" risulterebbe incomprensibile a tutti i Paesi della Lega araba.
E pregiudicherebbe le possibilità di una ripresa, su basi di equità e di solidarietà (non con la petropolitica e con i bombardamenti della Nato, per intenderci), delle relazioni euro arabe che costituiscono il baricentro, il punto di snodo della prospettiva di pace e di progresso nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, in Africa e in Europa.

5.. Infine, il voto contrario dell’Italia andrebbe contro il sentimento della maggioranza degli italiani che, da sempre, hanno perorato i diritti d’Israele e quelli (purtroppo disattesi) del popolo palestinese: due Stati per due popoli che potrebbero convivere in pace e in cooperazione.
Su questa scia è andata avanti, anche se pavidamente, la politica estera del nostro Paese.
Se oggi una piccola, ibrida minoranza di deputati chiede al governo di votare "no", ricordo che nel 1982 presentammo al governo una richiesta unitaria, sottoscritta dalla stragrande maggioranza dei deputati (450, fra i quali i tre segretari di Dc, Pci, Psi: Zaccagnini, Berlinguer e Craxi ossia i rappresentanti di circa il 90% dell’elettorato italiano), con la quale si chiedeva il riconoscimento dei diritti nazionali del popolo palestinese.
La mozione fu approvata dalla Camera, ma il governo, allora presieduto dal troppo filo atlantico Spadolini, non volle dare seguito alla decisione parlamentare.
Non so se si possa fare un confronto fra la maggioranza parlamentare di allora e la minoranza attuale.
So di sicuro che il no annunciato dal governo Berlusconi è il vero errore che bisognerebbe evitare.

Agostino Spataro
16 settembre 2011


P.S.
Mi dispiace tediarvi, ma poiché nel nostro Paese, fra pensiero unico e pulsioni sanfediste, la libertà di pensiero pericolosamente si assottiglia, sono costretto a ribadire che questa presa di posizione non scaturisce da un sentimento antiebraico o anti-israeliano, ma solo dalla solidarietà dovuta al popolo palestinese vittima di una lunga ed assurda occupazione straniera.
Sono stato, sono, a favore della giusta causa palestinese, ieri in Parlamento oggi da cittadino comune, ma non per ciò avversario degli israeliani, tanto meno degli ebrei.
A noi piace stare dalla parte delle vittime. Come lo siamo stati, sempre, con gli ebrei perseguitati, massacrati dal nazismo tedesco e dal fascismo italiano.
Quindi, per favore, non si rispolveri l’abusata accusa di antisemitismo, per altro imprecisa poiché – secondo il racconto biblico- semiti dovrebbero essere anche gli arabi.
In ogni caso, la nostra cultura politica marxista ci rende immuni da ogni tentazione razzistica e sciovinista. Non so se chi lancia anatemi possa vantare la medesima immunizzazione.
Se questa precisazione non dovesse essere bastevole, aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano (Pietro Spataro) che è stato deportato e per due anni rinchiuso in un lager nazista in Germania e per questo insignito (purtroppo post- mortem) di una medaglia d’onore del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Gio, 29 Novembre







  

mercoledì 28 novembre 2012

ITALIA: DEMOCRAZIA DELL'INFORMAZIONE

ANCHE IN ITALIA: PLURALISMO, INFORMAZIONE ONESTA, DIGNITA' E LIBERTA' PER I GIORNALISTI

pubblicata da Agostino Spataro il giorno Mercoledì 28 novembre 2012 alle ore 18.46 ·
IL CENTRO SINISTRA, OLTRE A LITIGARE PER LE PREFERENZE ALLE PRIMARIE, DOVREBBE IMPEGNARSI A PROPORRE UNA LEGGE SUI MEDIA ANTIMONOPOLISTA E PLURALE.
SE MANCANO LE IDEE, SI PUO' COPIARE DA QUELLA ARGENTINA CHE ENTRERA’ IN PIENO VIGORE IL PROSSIMO 7 DICEMBRE.
(Vedere sotto)
…La legge argentina, approvata dopo tre mesi di battaglia parlamentare (ne abbiamo dato conto nel “Latinoamerica” n. 108), riconosce che è interesse della società limitare la concentrazione editoriale, deframmentare i media e aumentare il pluralismo diluendo l’omologazione dei media commerciali e il potere dei latifondi mediatici. Questi, ovviamente, (il Grupo Clarín in Argentina, ma potrebbe essere Televisa in Messico, Mediaset in Italia oppure il Grupo Prisa in Spagna) aborriscono la nuova legge, e tentano di stravolgerne il senso spacciandola come censura. Dalla loro hanno il complessomediatico-industriale mondiale che infatti batte all’unisono demonizzando la nuova legge.
La realtà è che da domani, e con gradualità nei prossimi tre anni, se la riforma non sarà vanificata, l’Argentina andrà costituendo un sistema mediatico pluralista, dove tale pluralismo non sarà più garantito dal pensiero unico del mercato e dalle corporazioni mediatiche ma dai cittadini stessi. Come detto, lo spazio mediatico sarà diviso in tre e i media commerciali non ne potranno continuare ad occupare più di un terzo. Non solo: si dividerà chi produce contenuti da chi li veicola. Chi vorrà continuare a stare sul mercato ricchissimo della televisione via cavo, capillarmente diffuso, dovrà vendere i canali che eventualmente possiede. Almeno due dei cinque canali televisivi nazionali saranno messi sul mercato e andranno a soggetti diversi dagli attuali proprietari. Inoltre nessun soggetto potrà possedere più di diecimedia (giornali, radio, tivù), nazionali o locali. Infine le licenze dureranno dieci anni, proiettando l’Argentina in un nuovo mondo nel quale le frequenze non vengano più assegnate di fatto in eterno a soggetti privati com’è tuttora in paesi come il Messico o l’Italia. L’idea è che nel corso del tempo possa ridisegnarsi l’immaginario collettivo oggi monopolizzato dal pensiero unico mercatista e consumista. Come ha detto il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel “finalmente in Argentina si sradicheranno i monopoli perché o si mette davvero fine ai monopoli oppure non cambierà mai nulla”. Non sarà facile ed evidentemente il cambiamento sarà segnato da contraddizioni, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare.

(Gennaro Carotenuto)

sabato 24 novembre 2012

LA GRANDE REGRESSIONE: ATTACCO ALLE CONQUISTE DEI LAVORATORI E DEGLI STUDENTII

DENUNCIA GIUDIZIARIA PER OCCUPAZIONE LICEO CLASSICO DI AGRIGENTO (1968)

pubblicata da Agostino Spataro il giorno Sabato 24 novembre 2012 alle ore 16.21 ·

   Stamani ho visto la bella e combattiva manifestazione studentesca dei licei e delle altre scuole agrigentine e mi sono ricordato dell'occupazione del liceo classico del dicembre 1968 (perchè anche ad Agrigento abbiamo fatto il nostro '68), per la quale siamo stati indagati dalla polizia e denunciati all'autorità giudiziaria come si evince dall'allegato Ordine di comparizione, firmato dal procuratore della Repubblica, dott.Luigi Croce (attuale commissario del comune di Messina) per reati piuttosto gravi: Giusepe DI NOLFO (per vilipendio), Agostino SPATARO, Calogero RAMPELLO, Giovanni SACCO, Giuseppe TAGLIALAVORO e Aldo MINIO per "avere, con circa trecento studenti del Liceo classico "Empedocle" di Agrigento, invaso arbitrariamente l'edificio...al fine di occuparlo. Con l'aggravante di cui all'art. 122 di essere stati gli organizzatori..."
     Effettivamente, occupammo il liceo (era la prima volta che succedeva ad Agrigento) e lo tenemmo fino alla concessione dell'assemblea d'istituto. Il procedimento giudiziario andò avanti (ci venne negato il rinnovo del passaporto), ma alla fine fummo prosciolti da ogni addebito.
    Da allora ad oggi ne abbiamo fatto di strada. Forse troppa per Lor Signori che vorrebbero assestare un duro colpo alla scuola pubblica e quindi al diritto all'istruzione, alla formazione dei figli dei lavoratori. Poichè, questo è il vero obiettivo che si nasconde dietro i tagli e la legge di (in)stabilità.