giovedì 24 settembre 2020

IL PIACERE DEL PLAGIO

di Agostino Spataro “Invece che indignazione il fatto mi procura un’intima soddisfazione, quasi un’eccitazione, come se si trattasse di una nuova forma di erotismo letterario.”
Foto n. 1- Buenos Aires, 25/9/2010- Agostino Spataro intervista Maria Kodama 1… Confesso che a me, con 35 anni d'iscrizione all'Ordine dei giornalisti, mi procura piacere e un certo appagamento ogni qualvolta che uno o più brani di un mio articolo, di un mio libro sono usati da altri sena citare la fonte. Mi dovrei indignare, protestare. Invece, no. Il fatto mi procura un’intima soddisfazione, quasi un’eccitazione, come se si trattasse di una nuova forma di erotismo letterario. Poiché ne deduco che il plagiario sia stato talmente attratto da quel brano fino ad attribuirselo, incurante dei codici etici (la famosa deontologia professionale) e d’altra natura. Immagino che egli vi sarà stato costretto dal… bisogno. Da qui il riconoscimento implicito per il vero autore, il suo meritato appagamento. Dopo questa sintetica premessa, che vale come considerazione personale di ordine generale, andiamo, al caso specifico che desidero segnalare all’attenzione del mio improbabile lettore. Nei giorni scorsi, mi è capitato di leggere un lungo articolo pubblicato sul quotidiano “Il Foglio” (del 24/2/2020.), dal titolo assai bello e intrigante “La vita delle statue”, scritto da Valentina Bruschi, sicuramente una valente collega che però vi ha inserito un paio di frasi mie senza citarne la vera fonte. Non so come siano andate esattamente le cose. Se tale stravaganza sia stata intenzionale o indotta. Fatto sta che nel citato articolo (noi siamo abituati a citare autore e fonte!) si attribuiscono ad altri (o a chi?) le frasi, riportate fra virgolette, (vedi foto n.3) tratte da una mia intervista (di 10 anni fa) alla signora Maria Kodama sul viaggio di Jorge L. Borges in Sicilia, pubblicata in "La Repubblica" del 26 ottobre 2010 (vedi foto n. 2).
Foto n. 2- Mio pezzo tratto da “La Repubblica” del 26 ottobre2010
Foto n. 3- Pezzo tratto da “Il foglio” del 24 /2/ 2020 Ho segnalato il fatto al direttore del quotidiano non per farne una questione formale, ma solo per chiarire la ragione di tale stravaganza, per averne una spiegazione, per il rispetto dovutomi, se non altro perché ho fatto circa 26.000 km per raggiungere B. Aires. E anche a tutela della serietà della categoria. A ulteriore conferma,. aggiungo di avere inserito il testo dell’intervista alla Kodama nel mio libro ("Borges, nella Sicilia del mito"), uscito nel 2016, come tributo al grande scrittore argentino nel 30° anniversario della morte. (vedi sito: https://www.amazon.it/BORGES-NELLA-SICILIA-MITO-conversazione-ebook/dp/B01EXPTLIY) Il libro sarà ampiamente recensito su “Il Venerdì di Repubblica” del 27 maggio 2016 (vedi foto n. 4) da Piero Melati il quale, oltre a cogliere i passaggi più interessanti e piccanti del libro, descrive la mia singolare e piacevole esperienza a Buenos Aires, dove passai alcuni giorni a inseguire la vedova di Jorge L. Borges per farle l’intervista. Ci riuscii in extremis, al ristorante dell’aeroporto di “Ezeiza” di B.A., accompagnandola in taxi per imbarcarsi su un volo per Francoforte, dove era stata invitata come ospite alla fiera del libro.
Foto n. 4- Da “Il Venerdì” del 237/5/2016 Fino ad oggi, il direttore non ha ritenuto di dare un cenno di riscontro alla mia segnalazione. Non c'é problema. Non mi sento ferito nell’orgoglio né leso nella mia dignità. Se mai altri. Noi ci nutriamo di cose semplici e di acqua pura di fonte. Certo, un po’ d’amaro in bocca resta. Tuttavia- ribadisco- il plagio mi lusinga perciò desidero condividerne il piacere con chi è dello stesso avviso. Che altro aggiungere? A parte l’eventuale problema dei diritti che potrebbe sollevare l’editore (Gruppo La Repubblica- Espresso), ricordo che per scrivere quell’articolo ci sono voluti tanto impegno, tanta fatica. Oltre al lungo viaggio, ho dovuto fare diverse ricerche in Argentina, in particolare presso la Biblioteca nazionale di Buenos Aires, dove ho trovato, e letto, libri, documenti, per altro citati nel pezzo. Per quanto mi riguarda, non mi sembra il caso di farne un “caso” (scusate il bisticcio intenzionale), ma solo un esempio sul quale riflettere, per evidenziare la gravità del fenomeno, sempre più diffuso nell’era del web, dell’attribuzione indebita, diretta o indiretta, del lavoro intellettuale degli altri. Prima di tutto, la questione é deontologica, morale e chiama in causa la responsabilità dello scrittore, poiché scrivere può essere una fatica piacevole, ma sempre fatica è: i giorni, le nottate, i caffè amari, gli scatti d’ira davanti un libro, un PC, gli archivi, le biblioteche, le “sacre note” e, soprattutto, l’umiltà, il rispetto verso il lettore e verso la fatica altrui. Data, 24/9/2020

giovedì 17 settembre 2020

ODIO E POLITICA

di Agostino Spataro * 1… Siamo stanchi e avviliti di assistere a continue risse mediatiche, di udire individui, urlanti e ben pagati, insultarsi nei salotti televisivi, secondo un becero copione mirato ad alimentare un fiume di odio che annichilisce l’idea stessa della Politica, purtroppo, oggi strattonata all’interno di un circo buffonesco che si presta volentieri al gioco. Ma perché tanto odio in politica? Si tratta di odio o dietro c’é qualcosa d’altro? In realtà, “lor signori” stanno avvelenando i pozzi. E dopo cosa accadrà? Che cosa ci riserva il trionfo dell’antipolitica? Domande inquietanti che molti si pongono senza trovare risposte chiare, rassicuranti. Anche perché le origini, le ragioni dell’odio, gli interessi che li muovono sono molteplici e non riconducibili a una stessa sorgente. Evidentemente i “committenti” sono consapevoli del danno provocato, dei pericoli derivanti da certe strategie avventuristiche. Eppure, si continua a fomentare la rissa per drammatizzare il confronto politico e fiaccare la coscienza civile del Paese e il ruolo primario delle Istituzioni repubblicane. Pur con tanti limiti, la nostra civiltà politica repubblicana ha cercato di tenere fuori dell’area del confronto l’odio, la violenza che nulla hanno da spartire con una politica partecipata, democratica e antifascista. Di fronte a tale scenario il pubblico reagisce come può: alcuni ne sono attratti, molti preferiscono ritrarsi in solitudine. Entrambe le tendenze favoriscono, di fatto, l’affermazione dell’antipolitica e l’ingresso nella vita pubblica di furbi e furbastri, servi e profittatori di ogni risma. 2… Fra odio e politica il rapporto è inversamente proporzionale: più s’indebolisce la politica democratica più crescono “odio”, invidie e tendenze criminalizzanti dell’avversario, fino all’annientamento politico. E talvolta anche fisico. La “questione” non solo morale, ma di democrazia sostanziale e riguarda il futuro prossimo del nostro Paese. Poiché l’odio è una delle tante forme di espressione dell’antipolitica ovvero di una strategia, apparecchiata ai piani alti del potere reale (soprattutto finanziario) per ridimensionare, e condizionare, il ruolo primario della politica in loro favore. Una situazione complessa, anomala che non si può spiegare con i sentimenti, per altro rancorosi, vendicativi che, semmai, esasperano le estremità degli schieramenti. Il disagio sociale e morale esistono e si diffondono dalle periferie verso il centro della nostra società, dove molti che si sentivano garantiti nei loro diritti fondamentali oggi temono perfino di perdere il posto di lavoro. Paura e corruzione: sono questi i due pilastri su cui poggia la strategia del capitalismo di stampo neo-liberista. La sinistra? Purtroppo, è solo un ricordo, per tanti un bellissimo ricordo di gioventù. Bisogna rifondarla di sana pianta e sulla base di idee e progetti nuovi e condivisi dalle larghe masse popolari, appropriati alle nuove realtà del secolo. Ridisegnando il futuro in base all’eco-compatibilità dello sviluppo, a misura dei 7, 4 miliardi di persone che abitano la Terra e in particolare delle nuove generazioni. Troppo comodo pensare di cavarsela con comportamenti demagogici, razzistici, emotivi e corruttivi. Bisogna scavare più a fondo, fino alle radici del disagio, delle ingiustizie che la gente subisce, impotente. Non tutta la gente, ovviamente. Poiché ai ceti medio - alti l’andazzo attuale va bene. Anzi benissimo. Si stanno arricchendo oltremisura, a danno del popolo. 3… La “seconda repubblica”: dall’inclusione all’emarginazione, all’esclusione. Ma torniamo al tema dell’ odio” e alle vere cause che lo determinano. Fra le quali - a mio parere - la più importante è data dall’attuale politica di progressiva emarginazione, di esclusione d’intere fasce sociali dal contesto economico e politico della nazione. In questa lunga transizione (verso dove?), si è capovolta la logica della politica italiana: dall’inclusione di masse di emarginati perseguita nella “prima” repubblica all’emarginazione, all’esclusione praticata nella “seconda” che, a ben guardare, è la figlia degenere della prima. Questo è il punto politico da cui partire! Certo, gli emarginati, i poveri c’erano anche prima, ma partecipavano alla vita politica e sociale, speravano e lottavano per il cambiamento, soprattutto attraverso l’organizzazione nei grandi sindacati e nei due principali, e contrapposti, partiti di massa: il Pci e la Dc. Ciascuno a suo modo, ovviamente. Rispetto alle terribili condizioni del dopoguerra, il cambiamento c’è stato, anche in loro favore. Perché quella era la democrazia dell’inclusione, come propugnato dalla nostra Costituzione. Oggi, il meccanismo gira al contrario: esclude invece che includere. Ampie e importanti fasce sociali avvertono tutta la precarietà della loro condizione senza, per altro, poter contare su una degna rappresentanza politica, sindacale e parlamentare. Siamo, cioè, in presenza di un’emarginazione quasi senza rappresentanza e quindi senza speranza di redenzione, di riscatto che può sfociare in proteste, anche incontrolate, verso chi quell’esclusione ha determinato, a tavolino. 4… Cala la ricchezza della nazione: aumentano i poveri e i milionari. A ben pensarci, in questa lunga transizione abbiamo assistito a uno stravolgimento caotico delle regole della vita politica e della coesione sociale e all’affermarsi, in economia come in politica, di un rampantismo e di un arrivismo sfrontato e senza limiti che hanno prodotto una rottura profonda del sistema delle solidarietà sociale e nazionale. Non sono state varate le riforme necessarie per l’ammodernamento del Paese, ma spesso provvedimenti particolaristici (se non ad personam) tesi a modificare la redistribuzione della ricchezza nazionale a favore dei ceti apicali della società, a tutto svantaggio dei ceti medio-bassi. Insomma, la cosiddetta “seconda“ repubblica non ha creato un nuovo mercato, libero e veramente concorrenziale, né una nuova, efficiente amministrazione, ma solo le condizioni più adatte al dilagare dell’affarismo e della corruzione. In questo clima confuso hanno scorazzato, sovente impuniti, avventurieri della finanza e settori importanti della criminalità organizzata. Oggi tali gruppi di potere (anche stranieri) esercitano una pesante influenza, diretta e/o indiretta, sulla politica e sulle istituzioni del nostro Paese. Invece di puntare sull’incremento programmato della produzione di beni e servizi, premono, usano la “politica”, i governi per realizzare ambigue operazioni di cartello e massicce evasioni fiscali, contributivi e d’altro genere. Il risultato si può cogliere negli andamenti (in calo) della ricchezza nazionale (Pil) cui corrisponde l’accrescimento e l’accentramento vertiginoso della ricchezza in talune fasce elitarie della società. E siccome il monte della ricchezza nazionale non è cresciuto se ne deduce che i nuovi patrimoni sono frutto di un vertiginoso trasferimento dal basso verso l’alto ossia a danno della gran massa dei ceti medi, dei lavoratori, dei pensionati. Questo è il dato caratterizzante l’ultimo trentennio, che ha modificati gli assetti di potere economici e politici e gli equilibri sociali. Anche sul fronte dei consumi la forbice si allarga nella medesima direzione: si restringe la domanda dei ceti a reddito medio-basso, mentre si amplia quella, per altro più esigente e costosa, proveniente dai ceti più ricchi. Il risultato? Da un lato profitti senza limiti, consumi smodati, offensivi perfino e dall’altro lato importanti fette di società disperate perché non riescono ad arrivare a fine mese Tradotto: la crisi la stanno pagando i lavoratori, i pensionati e- soprattutto- centinaia di migliaia di disoccupati e di lavoratori precari che si dibattono fra disperazione ed emigrazione. Si emigrazione! Avete letto bene. Un altro paradosso che vede arrivare (in Italia) decine di migliaia di “disperati” e partire per l’estero decine di migliaia di giovani italiani diplomati e laureati. E tutto ciò non può, certo, generare amore. 6… L’esproprio del potere di scelta dei cittadini. Siamo in presenza di un progetto di “moderna” e generale regressione sociale e culturale, caotico e destabilizzante degli assetti e della convivenza democratica della nazione che per affermarsi, oltre a produrre odiose iniquità, ha bisogno di un consenso manipolato, condizionato e remissivo. Ecco, dunque, la grande trovata di togliere, in contrasto con lo spirito della Costituzione, ai cittadini-elettori il diritto di scegliere, col voto di preferenza, il proprio rappresentante in Parlamento. Da questa scelta si originino molti dei guai del nostro Paese. Giacché si è tolto il potere legittimo (di scelta) al corpo elettorale per trasferirlo ai partiti e/o a movimenti sui generis, ad altissimo deficit di democrazia interna. Desidero ricordare che i partiti sono- secondo il dettato costituzionale vigente- dei soggetti di diritto privato! Pertanto, la prima riforma è togliere dalle mani di cerchie ristrette il potere di nominare il parlamento della Repubblica. Questo è stato l’errore più grande e pericoloso. Correggerlo sarebbe un segnale forte e credibile per aprire una nuova fase politica senza più odi e rancori, ma all’insegna di una feconda dialettica democratica, per l’alternativa. * Agostino Spataro, giornalista, già membro delle Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati. Biografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro