venerdì 24 maggio 2019

IL POPULISTA


Foto da Google


di Agostino Spataro

E’ assurdo che il 26 maggio andremo a votare per un Parlamento che non ha poteri legislativi degni e vincolanti; così com'è incomprensibile che i vertici, il governo della U.E., siano nominati e non eletti. Perciò, dette istituzioni non servono granché, tranne che agli addetti ai lavori. L’esercizio del potere nella UE non è regolato dal metodo democratico...

Il voto del 26 maggio in Ungheria: Orban verso il 50%?
Da giornalista”senza giornale”, dico in premessa, per obbligo di verità, che non è corretto definire il popolo ungherese (del post ’89) come nazionalista, sciovinista perfino.
Prima dell’affermazione di Orban, per ben 4 volte l’elettorato magiaro ha dato la maggioranza al Mpsz ossia al partito socialista erede di quello “unico” del vecchio regime. I suoi leader (tutti qualificati esponenti del regime di Kadar) divennero primi ministri, presidenti della Repubblica, ministri, commissari europei, ecc.
In sostanza, quegli stessi ungheresi che oggi votano Orban (48,9%), taluni anche il Jobbik (un partito reazionario, al 19,6%) non ebbero pregiudizio verso la sinistra, anzi la preferirono.
Il ripensamento nacque quando, dopo gli errori della sinistra, irruppe sulla scena Victor Orban il quale abbracciò, in modo spregiudicato, le bandiera del populismo, del vittimismo e dell’anticomunismo. In ciò sostenuto dal suo mentore e finanziatore George Soros, il multimiliardario Usa nativo di Budapest, con un passato, e un presente, in gran parte da chiarire.
Il giovane Orban pose al centro del suo discorso il vittimismo e la paura di perdere l’identità nazionale, dopo avere perso gran parte del territorio nazionale (Trianon). Il Fidesz, sospinto dal partito ultradestra Jobbik, divenne il campione della riscossa magiara contro i “torti” storici e le ingiustizie provocate dalla vecchia Europa del primo dopoguerra e da quella attuale, unitaria, con capitale Bruxelles.
Ovviamente, il personaggio presenta qualità politiche fuori del comune (lo riconoscono anche i suoi  avversari), frammiste a una spregiudicatezza senza limiti. Viene dipinto come vero “animale politico”, dotato di fiuto e di carisma, di capacità di manovra, di saper fare squadra a suon di premi politici e/o affaristici e di costruire tanti… campi di calcio. Chissà perché!

La “sinistra” ungherese debole e divisa e carica di errori.
Tuttavia, la sua fortuna politica fu agevolata dagli errori della sinistra nella gestione governativa e, soprattutto, dall’attuazione del programma di privatizzazioni dei settori portanti dell’economia  (dalle industrie alle catene commerciali, dall’immobiliare alle strutture alberghiere, ecc,) a favore di capitali provenienti dalle multinazionali europee e d’oltreoceano, ma anche da Russia e Cina. E da altre incerte fonti.
Come dire, se ai propri meriti si aggiungono i demeriti altrui il trionfo è assicurato.
Questo accadde anche in altri Paesi europei, fra cui l’Italia.



In Ungheria, dove lo stato si era ridotto all’osso e l’economia era in asfissia per mancanza d’investimenti pubblici e privati, il danno fu assai più grave.
Il popolo ungherese visse la svendita del patrimonio pubblico come un secondo tradimento, dopo quello catastrofico del trattato di Trianon che, cent’anni fa, tolse all’Ungheria più della metà del suo territorio storico.
In questi giorni, a piazza degli Eroi, il luogo più patriottico e visitato di Budapest, è possibile ammirare 72 bandierine di altrettante città (sottratte) che vanno dalla Transilvania (oggi rumena) alla  Slovacchia, dalla Croazia alla Serbia.
A questi ungheresi irredenti Orban ha concesso la doppia cittadinanza, una serie di agevolazioni commerciali e di accesso al Paese (leggi immigrazione), il diritto di voto per le consultazioni politiche magiare. Oltre mezzo milione di elettori che fanno la differenza. Anche questo è un aspetto serio del problema.  

Più Europa per assorbire i separatismi e le conflittualità territoriali.
E inutile dire che su tali “ingiustizie” continuano a soffiare i demagoghi di tutte le risme, gli irredentisti nostalgici, la destra di Jobbik e ancor di più il Fidesz di Orban il quale, per non farsi scavalcare, alza la posta, con il consenso dei vertici della chiesa cattolica.
E dire che questo dramma, i vari “separatismi” potrebbero essere risolti, senza rotture e/o improbabili modifiche dei confini, con “più Europa” ossia con l’attuazione del progetto di unione politica effettiva dei popoli europei.
Questa è la via, l’unica possibile da percorrere. Correggendo, però, gli attuali indirizzi politici, economici e i vigenti meccanismi di gestione dell’euro; superando le pratiche consociative e subalterne (verso forze e interessi extraeuropei) che stanno vanificando quel tanto di positivo fino a oggi prodotto.
E’ chiaro che, in questa eventualità gli Stati diventerebbero un’articolazione funzionale di un’Europa democratica e solidale nella quale tutti i cittadini si potrebbero riconoscere.
Nonostante le gravi difficoltà attuali, questo percorso può essere ripreso e concluso con successo.  L’Europa può diventare il terzo è polo dello sviluppo mondiale, nella pace e nella solidarietà, e nel rispetto della vita del e sul Pianeta. e quindi una speranza per le nuove generazioni, per tutti i popoli europei.
Se si vogliono battere il populismo e isolare le destre fascisteggianti, la sinistra (quella autentica), insieme a tante altre forze sinceramente europeiste devono rioccupare gli spazi perduti e intraprendere, dopo il voto, uno sforzo congiunto per un serio processo di riforma delle politiche e delle istituzioni europee. E’ assurdo che il 26 maggio andremo a votare per un Parlamento che non ha poteri legislativi degni e vincolanti; così com'è incomprensibile che i vertici, il governo della U.E., siano nominati e non eletti. Perciò, dette istituzioni non servono granché, tranne che agli addetti ai lavori.
L’esercizio del potere nella UE non è regolato dal metodo democratico. Questo è il punto nodale, irrisolto, che contrasta con la regola aurea della democrazia che avverte che senza controllo democratico ogni potere può trasformarsi in abuso. 
        
L’Europa che stiamo perdendo
E’ inutile girarci intorno. Da quando si è diffusa l’idea che questa nostra Europa è “vecchia” (quindi morente) e quindi viene vista, da più parti, come una pingue preda, è iniziato una specie di assedio ( non tanto dai migranti che vanno accolti nella solidarietà e nella legalità), quanto da mire e disegni d’influenza di potenze e superpotenze vecchie e nuove.
La navicella dell’ Europa arranca, vacilla a ogni zaffata di vento proveniente dall’Oriente asiatico o da oltre Atlantico. Contro tutto ciò, bisogna riaffermare la necessità di un ruolo autonomo di sviluppo e di pace, mettendosi bene in testa che gli interessi europei non sempre coincidono con quelli dell’uno e dell’altro blocco di potere.
Purtroppo, per come è stata progettata, costruita e diretta, l’U. E. non ha un futuro certo. Continuerà a oscillare, a districarsi fra una decadenza che sembra ineluttabile e una sorta di servitù volontaria dei suoi ceti dirigenti verso i disegni delle oligarchie finanziarie e delle super potenze.
Resterà impigliata fra tentazioni nazionalistiche autoritarie (la nuova destra eterodiretta) e malcelate dipendenze di forze europeiste importanti che sembrano aver rinunciato a battersi per un ruolo autonomo dell’Europa .
Una pericolosa situazione di stallo, di decadimento anche morale che ha creato sfiducia e smarrimento nei cittadini i quali percepiscono la crisi come un assedio, mosso da più parti, che potrebbe condurre l’U.E. alla dissoluzione.
Reale o presunta, questa è la sensazione- piuttosto diffusa- che evoca altri, veri, assedi della storia sotto i quali crollarono imperi e grandi civiltà.
Memorabile è rimasto il lungo assedio mosso dai turchi ottomani contro Costantinopoli che resistette con fierezza e spirito di sacrificio, anche perché ben protetta dalle sue munite mura che nessuno era riuscito a penetrare. Fino al 29 maggio (!) 1453. Quel giorno cadde l’ultimo baluardo della civiltà greco-romana.
Talune fonti ci dicono che la fatale caduta avvenne perché, improvvisamente, apparve sotto le possenti mura un super cannone che riuscì a sfondare i contrafforti e ad aprire diverse brecce che consentirono alle armate ottomane di dilagare dentro la città.
Si dice anche che l’inventore di questo super cannone fu un ungherese di nome Orban!
Ovviamente, ogni riferimento a fatti e a persone realmente esistenti è puramente casuale.

Agostino Spataro- biografia in:
Articolo collegato:  http://montefamoso.blogspot.com/2019/05/a-budapest-la-fabbrica-del-populismo.html

A BUDAPEST LA FABBRICA DEL POPULISMO


Budapest, Piazza degli Eroi- Bandierine delle città sottratte all'Ungheria dal trattato di Trianon del 1920. (foto a.s.)

di Agostino Spataro / (Budapest, 21 maggio 2019)

La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini.

La sorprendente assenza del partito di Orban a Milano
Avrete notato che, sabato scorso, a Milano, sul palco della manifestazione d’incoronazione di Matteo Salvini, fra le delegazioni straniere presenti (non molte in verità), spiccava l’assenza di quella del Fidesz del premier ungherese Victor Orban. Forse, la più attesa e importante.
Un’assenza, a dir poco, sorprendente, visto che, giorni prima dell’evento milanese, il ministro Salvini si era recato in Ungheria per complimentarsi con Orban per l’erezione del muro/ reticolato al confine con la Serbia per impedire l’ingresso agli immigrati irregolari.
Una parentesi. Si continua a parlare del muro di Berlino (crollato anche per volontà dei suoi costruttori sovietici), ma non si parla abbastanza di altri muri rimasti in piedi e/o dei nuovi costruiti (vedi Israele) o in costruzione. Bisogna prendere atto che le destre populiste (dagli Usa all’Europa, al M.O.) hanno un comune tratto distintivo: costruire muri invece che ponti. 
Naturalmente, il ministro dell’interno è venuto anche per prendere consiglio e accordi sulla conduzione della campagna elettorale europea. E, soprattutto per il dopo.
In base ai risultati del 26 maggio, questo “dopo” potrà costituire una spinosissima questione politica nell’ambito del centro-destra e, in primo luogo, del gruppo del Partito Popolare (PP), di cui il Fidesz, formalmente, fa parte anche se momentaneamente risulta sospeso.
A destra del PP si collocano alcuni gruppi della destra autoritaria, xenofoba che potrebbero risultare numericamente decisivi per la formazione della nuova maggioranza al Parlamento europeo e per le nomine di governo della Unione Europea. 
Se dovesse verificarsi tale convergenza, si verrebbe a creare una contraddizione evidente che potrebbe frantumare la convivenza fra le componenti tradizionali del gruppo PP (per altro maggioritario nel Parlamento europeo), cui aderiscono deputati eletti nei partiti moderati, laici o d’ispirazione cristiana. 


Una sorda lotta per la leadership populista
Orban mira a collocarsi nel mezzo, a candidarsi come mediatore fra le due entità. Anche per recuperare appieno la fiducia del PP. 
La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini.
L’assenza dei rappresentanti di Fidesz a Milano conferma l’esistenza all’interno dell’area populista di questa sorda contesa. Come sorda è anche l’intesa fra loro: intanto prendiamoci quanti più voti possibili e dopo chi vivrà vedrà o si vedrà.


Ma i sostenitori di Orban non hanno dubbi: a lui spetta la leadership. Secondo il quotidiano magiaro  (https://magyarnemzet.hu/…/diplomaciai-nagyuzem-az-unios-va…/ ), filo governativo, l’Ungheria è oggi una “grande fabbrica” della diplomazia europea e internazionale.
E qualche ragione l’hanno. Infatti, l'Europa neo-conservatrice si riconosce, ruota intorno alle politiche populiste di Orban che si atteggia a leader di tale corrente e a grande statista di livello internazionale.
Certo, in ciò c’è l’enfasi della compiacenza mediatica verso il potente di turno (cosa che accade dovunque nel mondo), tuttavia la pretesa non è da sottovalutare. Negli ultimi tempi, Orban si è reso protagonista di una vera offensiva diplomatica. Un turbinio d‘incontri al massimo livello con i principali leader internazionali: da Putin a Ching-Ping, dal premier israeliano Netanyau, costruttore di muri e tenace persecutore delle popolazioni palestinesi, al reazionario presidente brasiliano Bolsonaro, al recentissimo ricevimento di Trump, a Washington, di cui si è detto.
Con queste solide relazioni internazionali e con il PIL in crescita del 4,9 %, un saldo positivo della bilancia commerciale di circa 6 miliardi di euro e una disoccupazione (dichiarata) al 3%, (fonte: dati 2018, da Infomercati- Min. Esteri/Italia, 2019),  Orban naviga piuttosto tranquillo (come qui molti prevedono) verso la riconferma del 50% nel voto di domenica prossima.
Difficile capire esattamente cosa potrà accadere. Una cosa è certa: il “fenomeno” Orban esiste e, in qualche misura, potrà incidere sul gioco politico del primo gruppo del parlamento europeo.
Bloccarlo è difficile, tanto più se si continua a combatterlo soltanto con gli insulti, con i luoghi comuni. Senza sforzarsi d’indagare le ragioni del suo successo, le motivazioni di questa massa di elettori che, puntualmente, votano Fidesz.
Anche per l’Ungheria vale il detto secondo cui “l’elettore ha sempre ragione”.   
Perciò, si raccomanda ai commentatori un po’ più d’umiltà, meno certezze e più impegno d’analisi per cercar di capire le cause di questa preoccupante spinta al populismo.
Perché il successo di Orban, creatura politica di Soros, oggi suo acerrimo nemico?
Anche qui: che cosa hanno visto di male l’uno dell’altro che noi non sappiamo?
Davvero una bella domanda alla quale si può rispondere con il motto: “Se lo conosci lo eviti”.

L’equivoco sul “sovranismo”: la sovranità è un valore non una colpa da emendare.
Ma torniamo al populismo che consiglio di non chiamare “sovranismo” perché si crea un altro equivoco a favore ai populisti. Sovranismo? Che cosa vuol dire?  
Si tratta, infatti, di una specie di “parola d’ordine” ripetuta ossessivamente sulla stampa.
Impartita da chi?
Il risultato potrebbe essere controproducente. Infatti, non basta un “ismo” per dileggiare la sovranità popolare ossia una delle più grandi conquiste della Storia, a base della nostra vigente Costituzione. La sovranità nazionale è un valore, fondante e condiviso, da salvaguardare e non una colpa da emendare, da espiare.
E poi perché pretendere tale rinuncia soltanto dai Paesi europei?
Provate a mettere in discussione la sovranità nazionale degli Usa, della Cina, della Russia? Del piccolo stato d’Israele che vorrebbe estendere la propria sovranità oltre il territorio concesso dall’Onu, sui territori dei palestinesi, dei siriani, ecc ?
Inoltre, dove sta scritto che la sinistra debba rinunciare a valori fondanti (costituzionali) quali la sovranità nazionale, l’identità culturale, la solidarietà e la pace fra i popoli, ecc. ?
Si tratta del nostro patrimonio politico e culturale che le “sinistre”, di fatto, hanno abbandonato, rimosso. Il populismo, le destre se ne sono appropriati volgendoli in chiave reazionario, sciovinista. 
Per altro, nessuno pretende una difesa di tipo integralista. Sappiamo benissimo che in certi casi si possono cedere quote di sovranità (già ne sono state cedute), ma sapendo esattamente in quali mani andranno a finire e per quali scopi. 
In realtà, le oligarchie neoliberiste dominanti non vogliono una crescita libera e corresponsabile dei popoli, ma solo fiaccare, indebolire la sovranità nazionale dei popoli, in particolare di quelli della U.E., destinati ad accodarsi ai loro disegni egemonici e a quelli delle superpotenze commerciali e militari.

Lo spirito pubblico europeo in depressione

Si è voluto ingigantire, oltre misura, anche il dramma delle migrazioni, creando allarmismi e una sorta di caos funzionale, uno scontro a tratti durissimo all’interno di ciascun Paese d’accoglienza.
In realtà, di fronte ai grandi problemi che attanagliano l’Europa di oggi e di domani, quello dei flussi migratori non è da considerare come prioritario. Ovviamente, non si dovrà sottovalutare, ma operare per risolverlo con politiche di cooperazione con i Paesi d’origini, sulla base di una rinnovata disponibilità all’accoglienza, nella solidarietà e nella legalità.
Invece, si è voluto privilegiare il tema dell’immigrazione, forzandone i contenuti e scatenando una guerra politica e mediatica, per eludere le vere grandi questioni a base della crisi della U.E.
Tutto ciò scoraggia, deprime lo spirito pubblico degli europei e favorisce l’insorgere dei populismi che, certo, sono un prodotto della crisi, ma anche una demagogica pretesa a cavalcare le paure, le reazioni della gente che, nell’intimo, si sente minacciata più che dall’immigrazione dai disegni neoliberisti.
A mio parere, i populismi sono anche conseguenza del grande vuoto, sociale e politico, lasciato dalla sinistra riformista e/o socialdemocratica, inopinatamente, passate dal campo del mondo del lavoro a quello del capitalismo neoliberista e globalista.
Mai come oggi il conflitto capitale/lavoro è stato così acuto e asimmetrico, a favore del primo.
In questo spazio, animato da masse di cittadini senza un lavoro certo, con meno diritti, abbandonati al loro destino, si sono inseriti, con discorsi ingannevoli, i movimenti qualunquisti, sfascisti, i partiti populisti, i gruppi della destra neofascista, mietendo insperate adesioni e disperati consensi elettorali. E ora siamo qui, in attesa del voto, sperando che l’elettorato non rafforzi loro e indebolisca l’Europa.
Poiché è chiaro che tali movimenti, muovendo da punti di vista differenti, talvolta contrapposti, mirano a indebolire, fors’anche a distruggere l’Unione europea, invece che riformarla, in senso democratico e sociale, come sarebbe necessario.


Agostino Spataro- biografia in:
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