venerdì 24 maggio 2019

A BUDAPEST LA FABBRICA DEL POPULISMO


Budapest, Piazza degli Eroi- Bandierine delle città sottratte all'Ungheria dal trattato di Trianon del 1920. (foto a.s.)

di Agostino Spataro / (Budapest, 21 maggio 2019)

La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini.

La sorprendente assenza del partito di Orban a Milano
Avrete notato che, sabato scorso, a Milano, sul palco della manifestazione d’incoronazione di Matteo Salvini, fra le delegazioni straniere presenti (non molte in verità), spiccava l’assenza di quella del Fidesz del premier ungherese Victor Orban. Forse, la più attesa e importante.
Un’assenza, a dir poco, sorprendente, visto che, giorni prima dell’evento milanese, il ministro Salvini si era recato in Ungheria per complimentarsi con Orban per l’erezione del muro/ reticolato al confine con la Serbia per impedire l’ingresso agli immigrati irregolari.
Una parentesi. Si continua a parlare del muro di Berlino (crollato anche per volontà dei suoi costruttori sovietici), ma non si parla abbastanza di altri muri rimasti in piedi e/o dei nuovi costruiti (vedi Israele) o in costruzione. Bisogna prendere atto che le destre populiste (dagli Usa all’Europa, al M.O.) hanno un comune tratto distintivo: costruire muri invece che ponti. 
Naturalmente, il ministro dell’interno è venuto anche per prendere consiglio e accordi sulla conduzione della campagna elettorale europea. E, soprattutto per il dopo.
In base ai risultati del 26 maggio, questo “dopo” potrà costituire una spinosissima questione politica nell’ambito del centro-destra e, in primo luogo, del gruppo del Partito Popolare (PP), di cui il Fidesz, formalmente, fa parte anche se momentaneamente risulta sospeso.
A destra del PP si collocano alcuni gruppi della destra autoritaria, xenofoba che potrebbero risultare numericamente decisivi per la formazione della nuova maggioranza al Parlamento europeo e per le nomine di governo della Unione Europea. 
Se dovesse verificarsi tale convergenza, si verrebbe a creare una contraddizione evidente che potrebbe frantumare la convivenza fra le componenti tradizionali del gruppo PP (per altro maggioritario nel Parlamento europeo), cui aderiscono deputati eletti nei partiti moderati, laici o d’ispirazione cristiana. 


Una sorda lotta per la leadership populista
Orban mira a collocarsi nel mezzo, a candidarsi come mediatore fra le due entità. Anche per recuperare appieno la fiducia del PP. 
La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini.
L’assenza dei rappresentanti di Fidesz a Milano conferma l’esistenza all’interno dell’area populista di questa sorda contesa. Come sorda è anche l’intesa fra loro: intanto prendiamoci quanti più voti possibili e dopo chi vivrà vedrà o si vedrà.


Ma i sostenitori di Orban non hanno dubbi: a lui spetta la leadership. Secondo il quotidiano magiaro  (https://magyarnemzet.hu/…/diplomaciai-nagyuzem-az-unios-va…/ ), filo governativo, l’Ungheria è oggi una “grande fabbrica” della diplomazia europea e internazionale.
E qualche ragione l’hanno. Infatti, l'Europa neo-conservatrice si riconosce, ruota intorno alle politiche populiste di Orban che si atteggia a leader di tale corrente e a grande statista di livello internazionale.
Certo, in ciò c’è l’enfasi della compiacenza mediatica verso il potente di turno (cosa che accade dovunque nel mondo), tuttavia la pretesa non è da sottovalutare. Negli ultimi tempi, Orban si è reso protagonista di una vera offensiva diplomatica. Un turbinio d‘incontri al massimo livello con i principali leader internazionali: da Putin a Ching-Ping, dal premier israeliano Netanyau, costruttore di muri e tenace persecutore delle popolazioni palestinesi, al reazionario presidente brasiliano Bolsonaro, al recentissimo ricevimento di Trump, a Washington, di cui si è detto.
Con queste solide relazioni internazionali e con il PIL in crescita del 4,9 %, un saldo positivo della bilancia commerciale di circa 6 miliardi di euro e una disoccupazione (dichiarata) al 3%, (fonte: dati 2018, da Infomercati- Min. Esteri/Italia, 2019),  Orban naviga piuttosto tranquillo (come qui molti prevedono) verso la riconferma del 50% nel voto di domenica prossima.
Difficile capire esattamente cosa potrà accadere. Una cosa è certa: il “fenomeno” Orban esiste e, in qualche misura, potrà incidere sul gioco politico del primo gruppo del parlamento europeo.
Bloccarlo è difficile, tanto più se si continua a combatterlo soltanto con gli insulti, con i luoghi comuni. Senza sforzarsi d’indagare le ragioni del suo successo, le motivazioni di questa massa di elettori che, puntualmente, votano Fidesz.
Anche per l’Ungheria vale il detto secondo cui “l’elettore ha sempre ragione”.   
Perciò, si raccomanda ai commentatori un po’ più d’umiltà, meno certezze e più impegno d’analisi per cercar di capire le cause di questa preoccupante spinta al populismo.
Perché il successo di Orban, creatura politica di Soros, oggi suo acerrimo nemico?
Anche qui: che cosa hanno visto di male l’uno dell’altro che noi non sappiamo?
Davvero una bella domanda alla quale si può rispondere con il motto: “Se lo conosci lo eviti”.

L’equivoco sul “sovranismo”: la sovranità è un valore non una colpa da emendare.
Ma torniamo al populismo che consiglio di non chiamare “sovranismo” perché si crea un altro equivoco a favore ai populisti. Sovranismo? Che cosa vuol dire?  
Si tratta, infatti, di una specie di “parola d’ordine” ripetuta ossessivamente sulla stampa.
Impartita da chi?
Il risultato potrebbe essere controproducente. Infatti, non basta un “ismo” per dileggiare la sovranità popolare ossia una delle più grandi conquiste della Storia, a base della nostra vigente Costituzione. La sovranità nazionale è un valore, fondante e condiviso, da salvaguardare e non una colpa da emendare, da espiare.
E poi perché pretendere tale rinuncia soltanto dai Paesi europei?
Provate a mettere in discussione la sovranità nazionale degli Usa, della Cina, della Russia? Del piccolo stato d’Israele che vorrebbe estendere la propria sovranità oltre il territorio concesso dall’Onu, sui territori dei palestinesi, dei siriani, ecc ?
Inoltre, dove sta scritto che la sinistra debba rinunciare a valori fondanti (costituzionali) quali la sovranità nazionale, l’identità culturale, la solidarietà e la pace fra i popoli, ecc. ?
Si tratta del nostro patrimonio politico e culturale che le “sinistre”, di fatto, hanno abbandonato, rimosso. Il populismo, le destre se ne sono appropriati volgendoli in chiave reazionario, sciovinista. 
Per altro, nessuno pretende una difesa di tipo integralista. Sappiamo benissimo che in certi casi si possono cedere quote di sovranità (già ne sono state cedute), ma sapendo esattamente in quali mani andranno a finire e per quali scopi. 
In realtà, le oligarchie neoliberiste dominanti non vogliono una crescita libera e corresponsabile dei popoli, ma solo fiaccare, indebolire la sovranità nazionale dei popoli, in particolare di quelli della U.E., destinati ad accodarsi ai loro disegni egemonici e a quelli delle superpotenze commerciali e militari.

Lo spirito pubblico europeo in depressione

Si è voluto ingigantire, oltre misura, anche il dramma delle migrazioni, creando allarmismi e una sorta di caos funzionale, uno scontro a tratti durissimo all’interno di ciascun Paese d’accoglienza.
In realtà, di fronte ai grandi problemi che attanagliano l’Europa di oggi e di domani, quello dei flussi migratori non è da considerare come prioritario. Ovviamente, non si dovrà sottovalutare, ma operare per risolverlo con politiche di cooperazione con i Paesi d’origini, sulla base di una rinnovata disponibilità all’accoglienza, nella solidarietà e nella legalità.
Invece, si è voluto privilegiare il tema dell’immigrazione, forzandone i contenuti e scatenando una guerra politica e mediatica, per eludere le vere grandi questioni a base della crisi della U.E.
Tutto ciò scoraggia, deprime lo spirito pubblico degli europei e favorisce l’insorgere dei populismi che, certo, sono un prodotto della crisi, ma anche una demagogica pretesa a cavalcare le paure, le reazioni della gente che, nell’intimo, si sente minacciata più che dall’immigrazione dai disegni neoliberisti.
A mio parere, i populismi sono anche conseguenza del grande vuoto, sociale e politico, lasciato dalla sinistra riformista e/o socialdemocratica, inopinatamente, passate dal campo del mondo del lavoro a quello del capitalismo neoliberista e globalista.
Mai come oggi il conflitto capitale/lavoro è stato così acuto e asimmetrico, a favore del primo.
In questo spazio, animato da masse di cittadini senza un lavoro certo, con meno diritti, abbandonati al loro destino, si sono inseriti, con discorsi ingannevoli, i movimenti qualunquisti, sfascisti, i partiti populisti, i gruppi della destra neofascista, mietendo insperate adesioni e disperati consensi elettorali. E ora siamo qui, in attesa del voto, sperando che l’elettorato non rafforzi loro e indebolisca l’Europa.
Poiché è chiaro che tali movimenti, muovendo da punti di vista differenti, talvolta contrapposti, mirano a indebolire, fors’anche a distruggere l’Unione europea, invece che riformarla, in senso democratico e sociale, come sarebbe necessario.


Agostino Spataro- biografia in:
Articolo collegato: http://montefamoso.blogspot.com/2019/05/il-super-cannone-di-orban.html

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