giovedì 29 novembre 2012

LA PALESTINA MEMBRO DELL'ONU, SI DEL GOVERNO MONTI

Finalmente, una buona notizia: l'Italia e buona parte dei Paesi europei voteranno a favore della richiesta avanzata dall'Autorità nazionale Palestinese di far parte, come membro Osservatore, del consesso delle Nazioni Unite. Non è il riconoscimento pieno, ma un serio passo in avanti.
Fa piacere che, oggi, il governo italiano di Monti abbia dichiarato il suo appoggio alla sacrosanta richiesta dei Palestinesi, mentre un anno fa il governo Berlusconi aveva votato contro, come si evince dall'allegato articolo.

L'ITALIA RICONOSCA LO STATO PALESTINESE
di Agostino Spataro

1.. Mentre ri-esplodono gli scandali delle frequentazioni notturne e diurne di Silvio Berlusconi, permettetemi di ricordare che il suo governo si è assunto la grave responsabilità di votare contro la richiesta, avanzata all’Onu da Abu Mazen, per il riconoscimento pieno dello Stato del popolo martire di Palestina entro i territori del 1967.
Chiariamo, per chi si attarda a capire, che tali “territori” sono da intendere come palestinesi a tutti gli effetti anche in base alla ripartizione decisa dall’Onu nel 1947 e confermati dalla risoluzione n. 242/1967 del CdS che chiedeva l’immediato sgombero delle forze d’occupazione israeliane.
Purtroppo, in Italia, questo grande problema rischia di passare sotto silenzio, come tanti altri urgenti, sociali e politici, affogati nella brodaglia dello scandalismo suscitato e alimentato dai discutibili stili di vita del presidente del Consiglio.
Insomma, il “no” detto da Berlusconi ai palestinesi credo sia molto più importante e grave di quello che egli avrebbe ricevuto da Emanuela Arcuri.
Perciò, parliamone e soprattutto agiscano i responsabili politici e parlamentari per evitare questo nuovo errore che sbilancia, pesantemente, la posizione dell’Italia a favore della parte occupante.
Al ministro Frattini che considera un errore la richiesta dei rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese del riconoscimento del loro Paese quale 194° membro della Nazioni Unite, bisogna dire che il “vero errore” è quello commesso dal governo italiano che nega tale riconoscimento, senza portare motivazioni convincenti.
Il governo, infatti, non può rifiutare, in nome del popolo italiano, una richiesta legittima e dolorosamente motivata da 63 anni (sì, sessantatre anni, avete letto bene!) di spoliazioni di beni, espulsioni, diaspore, massacri, occupazioni militari, distruzioni di abitazioni, repressione, incarceramenti, sfruttamento della forza lavoro, miseria, privazioni di ogni sorta e persino tentativi di distruzione della identità culturale ed etnica.

2.. Esagerazioni? Faziosità? Per una verifica di tali affermazioni, rimando agli scritti di diversi pacifisti israeliani che le documentano.
Per tutti cito “Sacred Landscape” opera di Meron Benvenisti, esponente israeliano della prima ora, a lungo amministratore di Gerusalemme, ampiamente richiamato da Riccardo Cristiano nel suo “La speranza svanita” (Editori Riuniti, 2002).
In questo testo, scritto non da un arabo facinoroso, fazioso, ma da uno “dei più grandi figli d’Israele”, troverete quello che mai nessun giornalista e commentatore occidentale ha detto sui metodi adottati dagli israeliani per cacciare dai loro villaggi, dalle loro terre gli arabi palestinesi e privarli di ogni diritto.
Dopo è venuto il “terrorismo” palestinese, che personalmente condanno, ossia la risposta disperata di alcuni gruppi al permanere dell’occupazione israeliana.
Per altro, non bisognerebbe dimenticare che in Palestina il terrorismo l' hanno introdotto e, sanguinosamente sperimentato, le bande armate di Begin (che diventerà primo ministro d’Israele) ai danni degli arabi e delle forze di garanzia inglesi che esercitavano il mandato internazionale.

3.. Ho accennato a questi gravissimi precedenti solo per ricordare a certi “benpensanti”, che enfatizzano i “limiti” dell’Autorità palestinese, com'è nato e si è affermato lo Stato d’Israele che, nel prosieguo, ha realizzato anche tanti fatti positivi; quanto è stato lungo il “calvario” del popolo palestinese al quale, dopo 63 anni, non si può chiedere di aspettare ancora, magari altri 40, per vedere riconosciuto il diritto ad avere uno Stato.
Da notare che tale iniquo trattamento è stato applicato soltanto ai danni dei palestinesi.
Mentre, cioè, l’intero terzo mondo si liberava dal giogo coloniale, nascevano nuovi Stati (l’ultimo, il Sud Sudan, è nato un mese fa) e confederazioni di stati, soltanto il popolo palestinese è rimasto senza Stato.
Perché? Che cosa ha fatto di male?
In realtà, i palestinesi il male lo hanno subito, nell’indifferenza generale del mondo; hanno perfino rischiato di essere cancellati dalla faccia della terra, di perdere la loro dignità di popolo che solo grazie all’opera di Yasser Arafat e dell’Olp è stata salvaguardata e rilanciata come una “questione” primaria della politica internazionale.
Se tutto ciò è vero, ognuno si chiede: perché questo popolo al quale è stata sottratta metà della sua terra sulla quale viveva da millenni per insediarvi lo stato d’Israele, che da oltre 40 è sotto occupazione militare israeliana, non debba avere il diritto a creare uno Stato nei territori assegnati dall’Onu?
Domanda semplice e al contempo tremenda, ineludibile, alla quale l’Italia, l’Europa e il mondo intero sono chiamati a rispondere il 22 settembre a New York.

4.. Votare "no" vuol dire negare ai palestinesi, solo a loro nel mondo, il sacrosanto diritto alla libertà e alla sovranità statuale.
Di fronte a questo diritto, non reggono gli speciosi argomenti per aggirarlo e tanto meno le minacce di taluni esponenti israeliani che dimenticano che Israele è uno Stato creato dall’Onu per un risarcimento da altri dovuto, che ovviamente ha diritto di esistere e di vivere in pace con i suoi vicini, ma non di occuparli.
Quanto è difficile fare capire le ragioni dei deboli! Soprattutto, a certi esponenti politici ed analisti, che, spesso, sbagliano l’analisi come l’ultima sulla “primavera araba” che per cacciare il tiranno ha aperto, magari senza volerlo, la porta del dragone.
Forse, per capirle servirebbero più spirito di comprensione e anche uno sforzo d’immaginazione: in questo caso, provando a mettersi nei panni dei palestinesi.
Non può esserci confronto fra chi oggi è vittima di un’occupazione e chi paventa di poterlo diventare domani.
Perciò, spiace che gli Stati Uniti di Obama, invece di dare corso alle speranze che egli stesso aveva acceso anche riguardo alla questione palestinese, continuano a minacciare incomprensibili veti.
L’Italia e l’Europa sono altra cosa; non possono consentire il perdurare di questa grave ingiustizia. Il "no" risulterebbe incomprensibile a tutti i Paesi della Lega araba.
E pregiudicherebbe le possibilità di una ripresa, su basi di equità e di solidarietà (non con la petropolitica e con i bombardamenti della Nato, per intenderci), delle relazioni euro arabe che costituiscono il baricentro, il punto di snodo della prospettiva di pace e di progresso nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, in Africa e in Europa.

5.. Infine, il voto contrario dell’Italia andrebbe contro il sentimento della maggioranza degli italiani che, da sempre, hanno perorato i diritti d’Israele e quelli (purtroppo disattesi) del popolo palestinese: due Stati per due popoli che potrebbero convivere in pace e in cooperazione.
Su questa scia è andata avanti, anche se pavidamente, la politica estera del nostro Paese.
Se oggi una piccola, ibrida minoranza di deputati chiede al governo di votare "no", ricordo che nel 1982 presentammo al governo una richiesta unitaria, sottoscritta dalla stragrande maggioranza dei deputati (450, fra i quali i tre segretari di Dc, Pci, Psi: Zaccagnini, Berlinguer e Craxi ossia i rappresentanti di circa il 90% dell’elettorato italiano), con la quale si chiedeva il riconoscimento dei diritti nazionali del popolo palestinese.
La mozione fu approvata dalla Camera, ma il governo, allora presieduto dal troppo filo atlantico Spadolini, non volle dare seguito alla decisione parlamentare.
Non so se si possa fare un confronto fra la maggioranza parlamentare di allora e la minoranza attuale.
So di sicuro che il no annunciato dal governo Berlusconi è il vero errore che bisognerebbe evitare.

Agostino Spataro
16 settembre 2011


P.S.
Mi dispiace tediarvi, ma poiché nel nostro Paese, fra pensiero unico e pulsioni sanfediste, la libertà di pensiero pericolosamente si assottiglia, sono costretto a ribadire che questa presa di posizione non scaturisce da un sentimento antiebraico o anti-israeliano, ma solo dalla solidarietà dovuta al popolo palestinese vittima di una lunga ed assurda occupazione straniera.
Sono stato, sono, a favore della giusta causa palestinese, ieri in Parlamento oggi da cittadino comune, ma non per ciò avversario degli israeliani, tanto meno degli ebrei.
A noi piace stare dalla parte delle vittime. Come lo siamo stati, sempre, con gli ebrei perseguitati, massacrati dal nazismo tedesco e dal fascismo italiano.
Quindi, per favore, non si rispolveri l’abusata accusa di antisemitismo, per altro imprecisa poiché – secondo il racconto biblico- semiti dovrebbero essere anche gli arabi.
In ogni caso, la nostra cultura politica marxista ci rende immuni da ogni tentazione razzistica e sciovinista. Non so se chi lancia anatemi possa vantare la medesima immunizzazione.
Se questa precisazione non dovesse essere bastevole, aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano (Pietro Spataro) che è stato deportato e per due anni rinchiuso in un lager nazista in Germania e per questo insignito (purtroppo post- mortem) di una medaglia d’onore del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Gio, 29 Novembre







  

mercoledì 28 novembre 2012

ITALIA: DEMOCRAZIA DELL'INFORMAZIONE

ANCHE IN ITALIA: PLURALISMO, INFORMAZIONE ONESTA, DIGNITA' E LIBERTA' PER I GIORNALISTI

pubblicata da Agostino Spataro il giorno Mercoledì 28 novembre 2012 alle ore 18.46 ·
IL CENTRO SINISTRA, OLTRE A LITIGARE PER LE PREFERENZE ALLE PRIMARIE, DOVREBBE IMPEGNARSI A PROPORRE UNA LEGGE SUI MEDIA ANTIMONOPOLISTA E PLURALE.
SE MANCANO LE IDEE, SI PUO' COPIARE DA QUELLA ARGENTINA CHE ENTRERA’ IN PIENO VIGORE IL PROSSIMO 7 DICEMBRE.
(Vedere sotto)
…La legge argentina, approvata dopo tre mesi di battaglia parlamentare (ne abbiamo dato conto nel “Latinoamerica” n. 108), riconosce che è interesse della società limitare la concentrazione editoriale, deframmentare i media e aumentare il pluralismo diluendo l’omologazione dei media commerciali e il potere dei latifondi mediatici. Questi, ovviamente, (il Grupo Clarín in Argentina, ma potrebbe essere Televisa in Messico, Mediaset in Italia oppure il Grupo Prisa in Spagna) aborriscono la nuova legge, e tentano di stravolgerne il senso spacciandola come censura. Dalla loro hanno il complessomediatico-industriale mondiale che infatti batte all’unisono demonizzando la nuova legge.
La realtà è che da domani, e con gradualità nei prossimi tre anni, se la riforma non sarà vanificata, l’Argentina andrà costituendo un sistema mediatico pluralista, dove tale pluralismo non sarà più garantito dal pensiero unico del mercato e dalle corporazioni mediatiche ma dai cittadini stessi. Come detto, lo spazio mediatico sarà diviso in tre e i media commerciali non ne potranno continuare ad occupare più di un terzo. Non solo: si dividerà chi produce contenuti da chi li veicola. Chi vorrà continuare a stare sul mercato ricchissimo della televisione via cavo, capillarmente diffuso, dovrà vendere i canali che eventualmente possiede. Almeno due dei cinque canali televisivi nazionali saranno messi sul mercato e andranno a soggetti diversi dagli attuali proprietari. Inoltre nessun soggetto potrà possedere più di diecimedia (giornali, radio, tivù), nazionali o locali. Infine le licenze dureranno dieci anni, proiettando l’Argentina in un nuovo mondo nel quale le frequenze non vengano più assegnate di fatto in eterno a soggetti privati com’è tuttora in paesi come il Messico o l’Italia. L’idea è che nel corso del tempo possa ridisegnarsi l’immaginario collettivo oggi monopolizzato dal pensiero unico mercatista e consumista. Come ha detto il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel “finalmente in Argentina si sradicheranno i monopoli perché o si mette davvero fine ai monopoli oppure non cambierà mai nulla”. Non sarà facile ed evidentemente il cambiamento sarà segnato da contraddizioni, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare.

(Gennaro Carotenuto)

sabato 24 novembre 2012

LA GRANDE REGRESSIONE: ATTACCO ALLE CONQUISTE DEI LAVORATORI E DEGLI STUDENTII

DENUNCIA GIUDIZIARIA PER OCCUPAZIONE LICEO CLASSICO DI AGRIGENTO (1968)

pubblicata da Agostino Spataro il giorno Sabato 24 novembre 2012 alle ore 16.21 ·

   Stamani ho visto la bella e combattiva manifestazione studentesca dei licei e delle altre scuole agrigentine e mi sono ricordato dell'occupazione del liceo classico del dicembre 1968 (perchè anche ad Agrigento abbiamo fatto il nostro '68), per la quale siamo stati indagati dalla polizia e denunciati all'autorità giudiziaria come si evince dall'allegato Ordine di comparizione, firmato dal procuratore della Repubblica, dott.Luigi Croce (attuale commissario del comune di Messina) per reati piuttosto gravi: Giusepe DI NOLFO (per vilipendio), Agostino SPATARO, Calogero RAMPELLO, Giovanni SACCO, Giuseppe TAGLIALAVORO e Aldo MINIO per "avere, con circa trecento studenti del Liceo classico "Empedocle" di Agrigento, invaso arbitrariamente l'edificio...al fine di occuparlo. Con l'aggravante di cui all'art. 122 di essere stati gli organizzatori..."
     Effettivamente, occupammo il liceo (era la prima volta che succedeva ad Agrigento) e lo tenemmo fino alla concessione dell'assemblea d'istituto. Il procedimento giudiziario andò avanti (ci venne negato il rinnovo del passaporto), ma alla fine fummo prosciolti da ogni addebito.
    Da allora ad oggi ne abbiamo fatto di strada. Forse troppa per Lor Signori che vorrebbero assestare un duro colpo alla scuola pubblica e quindi al diritto all'istruzione, alla formazione dei figli dei lavoratori. Poichè, questo è il vero obiettivo che si nasconde dietro i tagli e la legge di (in)stabilità.

lunedì 19 novembre 2012

BLOCCARE L'AGGRESSIONE ISRAELIANA, STATO PALESTINESE SUBITO




di Agostino Spataro

Nessuno, in Italia e nel mondo, può restare indifferente di fronte alla escalation della brutale aggressione israeliana e alla delirante proposta di Gilad Sharon, degno figlio di Ariel, il massacratore di Sabra e Shatila, di “radere al suolo” Gaza e sterminare i suoi abitanti “come fecero gli americani in Giappone”.
Proposta indegna, terribile (da non sottovalutare) che un po’ assomiglia alla “soluzione finale” di tragica memoria.
Eppure, in Italia tutto tace. Perché?
Tutti quei morti, tutti quei bambini massacrati dai bombardamenti israeliani, non sono esseri umani al pari di noi, dei nostri figli, parenti e amici?
Nella funesta contabilità bisogna mettere, ovviamente, anche le poche vittime civili israeliane. Anche se la sproporzione è enorme, a danno dei palestinesi,
E’ tempo che il Governo, i parlamentari, i partiti, i sindacati, le istituzioni, le associazioni culturali e religiose, fra cui anche le “comunità ebraiche”, i singoli cittadini facciano conoscere al popolo italiano e al mondo intero il loro punto di vista.
Tradizionalmente, la stragrande maggioranza degli italiani è favorevole alla creazione di uno Stato palestinese in base alle decisioni dell’ONU.
Il popolo martire di Palestina è l’unico al mondo ad essere stato espropriato della sua Terra e a non avere uno Stato sovrano, come tutti gli altri popoli del Pianeta. Un’ ingiustizia che dura da 65 anni. Perché?
Il silenzio attuale dei governanti e della classe dirigente non rappresenta il sentimento, la volontà di pace e di giustizia del popolo italiano.
Prima che tutto esploda, e si allarghi il conflitto all’intero Mediterraneo, bisogna prendere posizione, bloccare l’aggressione israeliana e adoperarsi per la creazione, SUBITO, di uno Stato palestinese indipendente entro i confini riconosciuta dalla Nazioni Unite.
I palestinesi hanno diritto alla loro sovranità e libertà, non possono restare, abbandonati, alla mercè dei vari Sharon, nella miseria e nella disperazione,  schiavi senza diritti e senza dignità. 
Se il popolo palestinese avrà pace, terra e sovranità anche Israele, l’intero Medio Oriente, il Mediterraneo avranno pace e prosperità, nella sicurezza e nella cooperazione.
 

                    Agostino Spataro

(già membro della Commisione Esteri della Camera dei Deputati)

Lì 19 nov.2012

giovedì 15 novembre 2012

SICILIA, IL DECENNIO BIANCO- nuovo libro di Agostino Spataro




PS. Il libro (2° edizione, 268 pagine, 17 euro), si può acquistare on line presso www.ilmiolibro.it e presso www.lafeltrinelli.it o in una delle librerie della rete italiana Feltrinelli.



INDICE

A MO’ DI PRESENTAZIONE                                  pag. 1

Capitolo primo                                                            pag. 5
IL FALLIMENTO DELL’AUTONOMIA
Il declino della Sicilia, il suo fatale enigma
Ai confini dello Statuto
Sicilia - Paesi Baschi: accomunati da un infausto destino?
La trappola del federalismo
L’Autonomia dello spreco
Garibaldi fu ferito da…Lombardo e Miccichè
Il Sud fra pregiudizi nordisti e tentazioni secessioniste
Il miglior programma per le province? Abolirle

Capitolo secondo                                                        pag. 26
PERCHE’ CRESCE L’ANTIPOLITICA
L’eterna Sicilia dei vicerè
Sicilia, il mercato elettorale
Il laboratorio politico siciliano
Liste regionali: come prima, peggio di prima
Sicilia, magistrati al governo
La porta girevole
La transumanza
La frantumazione della politica
Favole del trasformismo
La servitù volontaria
“Porcellum”, il male maggiore

Capitolo terzo                                                             pag. 57
LOMBARDO O DEL CLIENTELISMO SCIENTIFICO
Il modello - Catania
Il clientelismo scientifico
Le false riforme del governo Lombardo
Il ritorno dei Beati Paoli
Le geometrie invariabili
La commedia degli equivoci
Sicilia, lo strappo è servito
Il doppio gioco
Partito del Sud: il grande inganno
Destrutturare per sopravvivere
Fine della “fronda” neosudista?
Il partito del Sud e la legione straniera
Sicilia, una magnifica desolazione

Capitolo quarto                                                           pag. 90
DISASTRI PUBBLICI E AFFARI PRIVATI
Riappare lo spettro della povertà
Guerriglia fra le due Sicilie: la mutazione delle clientele
Lavoratori precari: la coscienza sporca dei politici siciliani
Il gioco degli opposti: lo scudo morale
I veri colpevoli dei disastri del Sud
Messina: paesi distrutti e illese impunità
Favara: una tragedia siciliana

Capitolo quinto                                                           pag. 108
L’ECLISSI DELLA SINISTRA SICILIANA
Un’opposizione asimmetrica
Il rinnovamento della sinistra per recuperare il consenso perduto
Profumo di nuovo, anzi d’antico
Candidature, ma chi decide?
Le liste dei candidati già eletti
Sicilia, il crollo
PD: espugnare il quartiere generale
L’abbraccio mortale
Il PD prigioniero di Lombardo
I gattopardi del PD
Dov’è la vittoria?

Capitolo sesto                                                             pag. 136
IL SERVILISMO ECONOMICO: LA SICILIA UN HUB ENERGETICO
La Sicilia e le rotte del gas
Sul ponte Roma si defila
Stop ai quattro inceneritori
L’illusione petrolifera di Joppolo Giancaxio
L’improvvisazione al potere: il federalismo energetico
L’Isola un hub energetico al servizio del…Nord
Se un giorno esplodesse una nave di metano…
Il rigassificatore della discordia
Una commissione indipendente per verificare la sicurezza del rigassificatore di Porto Empedocle

Capitolo settimo                                                         pag. 160
LA PRIVATIZZAZIONE AUTORITARIA
Acqua ai privati: una pipì provvidenziale
I frutti amari della psicosi-rifiuti
La chiave dell’acqua
Gestione rifiuti: un’idra dalle 27 teste
La privatizzazione autoritaria

Capitolo ottavo                                                           pag. 176
USI E (MAL)COSTUMI
Delitti e razzismo
Sicilia: miseria e dissolutezza
Agrigento, le candidature scambiate
Fuori la mafia dal…vocabolario
Tutti sul carro del vincitore
Fermare la macchina infernale del clientelismo
I due Mori
Il genitivo siculo

Capitolo nono                                                              pag. 196
SICILIANI, MALGRADO TUTTO
Perché ci chiamiamo siciliani?
Ignacio Corsini, il siciliano del tango
Una regressione felice: dalla metropoli alla terra del padre
Paulo Coelho e gli asini di Empedocle
Montalbano trasferito: una contesa siciliana
Tre preti siciliani: dignità della parola e vergogna del silenzio
Alcune cose sul rapporto fra Leonardo Sciascia e il PCI
Scorreva sangue siciliano nelle vene del Re Sole? Indagine sul cardinale Mazzarino
Gabriele Colonna di Cesarò: il duca in camicia rossa
Borges, viaggio nella Sicilia del mito


Capitolo decimo                                                          pag. 236
CRONACHE DI VARIA ATTUALITA’
Dall’Isola fuggono anche gli immigrati
Anche nella follia fummo primi
Morti sulle strade: una maledizione statistica?
Ma chi difende le forze dell’ordine?
Mediterraneo, un mare di…convegni
Crocifisso, oggi la multa, domani che cosa?
Fiat, a Termini Imerese si cambia, anzi si chiude
Sicilia ad alto rischio: i vulcani sommersi
A Comiso, 30 anni dopo



DALLA  PRESENTAZIONE…
... Il libro contiene una selezione mirata di articoli quasi tutti apparsi su “La Repubblica- Palermo”, con la quale ho condiviso oltre un decennio di appassionate battaglie democratiche e di civiltà, e pochi altri pubblicati in combattive testate online citate a piè di pagina.
Un excursus giornalistico che ripercorre il tortuoso percorso della politica siciliana dal 2006 a oggi.
Il quinquennio precedente l’ho tratteggiato in “Sicilia, cronache del declino”, Edizioni Associate, Roma. .
Un “decennio bianco” che ha segnato la vita della Regione in questo nuovo secolo. Bianco per il colore politico dei due “governatori”che lo hanno guidato ossia i “dioscuri” Cuffaro e Lombardo, dal passato democristiano, famosi il primo per le “vasate” e il secondo per avere innalzato il clientelismo a un livello sistemico o se, si preferisce, “scientifico”.
Entrambi si sono dimessi, anticipatamente, dall’incarico in conseguenza di gravi provvedimenti giudiziari.
Decennio (in) bianco, soprattutto, per l’inconcludenza che lo ha caratterizzato, per le riforme annunciate e non attuate, per la sterilità dei suoi esiti, politici e di governo, che ha bruciato cospicue risorse finanziarie e ogni speranza di cambiamento, nello sviluppo e nella legalità.
La realtà è sotto gli occhi di tutti. Basta aprirli, gli occhi, per vedere il disastro in cui l’Isola è stata cacciata: una “magnifica desolazione”, per l’appunto; un’onerosa eredità, ora, consegnata al nuovo presidente della Regione, on. Rosario Crocetta, al quale auguro di potere attuare la sua “rivoluzione”.
Anche se, ancora, non si è ben capito cos’è.
1...         Onestamente, dobbiamo anche dire che il processo di decadenza della Regione e, in generale, dell’Isola è cominciato prima di questa decade infausta, con altre gestioni.
L’ultimo tentativo serio di risalire la china, e salvare la Sicilia da sicuro disastro, fu quello portato avanti, sul finire degli anni ’70, con gli accordi delle “larghe intese”che ebbero come espressione di punta Piersanti Mattarella, presidente democristiano della Regione, e Pancrazio De Pasquale, presidente comunista dell’Ars.
Purtroppo, quella esperienza fu troncata la mattina del sei gennaio 1980, col barbaro assassinio di Mattarella
Da quella tragica data riprese la “discesa verso gli inferi” di questa nostra Isola bellissima ma infelice.
Entrarono in campo, violentemente, nuovi poteri e oscuri interessi (non solo criminali) e tutto s’involse, si aggrovigliò accelerando il lungo processo di generale decadenza, da tempo in corso.
Tuttavia, il tracollo si è avuto durante l’ultima decade, dominata dai primi due “governatori” eletti direttamente dal popolo.
Anche questo tipo di elezione (che, di fatto, consegna a un sol uomo un enorme potere decisionale, anche quello di vita e di morte del parlamento regionale) credo abbia influito a far degenerare la crisi, ormai, irreversibile dell’Autonomia.
2...         Mi è stato fatto notare che, già dal titolo, questo lavoro appare un po’ troppo pessimista. Chiarisco, intanto, che “magnifica desolazione” è il titolo di un articolo inserito nel testo, a sua volta, mutuato dalla celebre esclamazione di Aldrin quando mise piede sulla superficie lunare.
Insomma, magnifica e desolata la Luna, per sua natura. Magnifica e desolata la Sicilia, perché devastata da decenni di malgoverno e d’illegalità.
Pessimismo? Potrei rispondere come rispose Leonardo Sciascia a Marcelle Padovani “Come mi si può accusare di pessimismo se la realtà è pessima… “.
Semmai, “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”, come quello di Antonio Gramsci.
Infatti, insieme alle critiche, talvolta severe, troverete suggerimenti, idee, ipotesi propositive che, come previsto, nessuno ha ritenuto di prendere in considerazione.
Perciò, non possiamo continuare a dividerci fra pessimisti e ottimisti, talvolta interessati. Mi sembrano categorie dello “spirito” che, generalmente, non producono risultati apprezzabili.
O forse, qualcuno confonde, intenzionalmente, gli ottimisti con i “nuovi ottimati” ossia una minoranza cresciuta dentro quello spazio opaco in cui confluiscono malaffare e cattiva politica, ricchezze equivoche e poteri forti, antidemocratici.
I “nuovi ottimati” per l’appunto, coloro ai quali le cose vanno sempre bene. Anche durante la crisi più nera.
Ma, oltre gli “ottimati”, c’è una Sicilia positiva, prosperosa, dinamica, libera?
Parrebbe proprio di no, a parte qualche rara “eccellenza”. Ad ogni modo, così la vedo e così la (de) scrivo, la realtà. L’analisi politica, la buona politica non si possono fare in base a sensazioni umorali, ma partendo dai dati di fatto, da percezioni razionali della realtà e avendo come riferimenti principali l’interesse pubblico, il bene comune.
Insomma, più che pessimismo, la mia è indigna-zione per come vanno le cose, è pena d’amore per quest’Isola paralizzata, devastata, umiliata da un lungo periodo di malgoverno. E, si sa, chi ama brucia. E, talvolta, s’incazza!
… In questo lavoro, fatto in casa e con mezzi propri, troverete analisi oggettive, commenti, riflessioni e ipotesi, talvolta, anticipatrici di tendenze, denuncie di comportamenti furbeschi, amorali che, purtroppo, (per la Sicilia) si sono avverati. E anche qualche errore di valutazione, di battitura, qualche svarione.
Quello che non troverete sono i commenti sguaiati, gridati, gli attacchi faziosi, odiosi, stupidamente aggressivi.
Non solo per una questione di stile, ma perché sono persuaso che, in democrazia, chi alza troppo la voce e fa piroette in pubblico, in genere, è qualcuno a corto d’argomenti e di serie proposte alternative.
Attenti a codesti individui: potrebbero essere stati sguinzagliati per tv e quotidiani a grande tiratura per coprire, con i loro latrati, ben altri misfatti e interessi inconfessabili dei loro committenti e sponsor.
Potevo pubblicare il libro all’inizio o nel bel mezzo della recente campagna elettorale regionale e fruire dell’oggettivo vantaggio del “contesto”, ma ho preferito attendere la sua conclusione per non esserne minimamente coinvolto.
3...         Come sempre, a ogni inizio di un nuovo lavoro, mi sorge il dubbio sull'utilità dello scrivere: per che cosa, per chi si scrive?
Domande pertinenti specie in questa fase di fuga dei lettori da libri e giornali verso nuove forme di comunicazione. Ormai è chiaro: la carta stampata è il passato, il web rappresenta il futuro.
Tuttavia, la mia angoscia non deriva tanto da tale mutazione epocale, che, in qualche modo, le nuove generazione sapranno introiettare e governare, quanto dal fatto, come in questo caso, di avere speso circa ottantacinquemila (85.000) parole per illustrare le gesta poco esaltanti di un pugno di politicanti che hanno mortificato, svilito la nobile arte della politica e ridotto la Sicilia in questo stato. Ma, questo passa il convento!
Ne valeva la pena? Non sta a me dirlo.
6… Infine, consentitemi una nota intima, personale. Ho dedicato il libro a Jolikè alias Laky Ilona Gyongyver, ungherese radicatasi in Sicilia, mia compagna di vita da 41 anni, “sicula” di Transilvania per parte di madre il cui cognome Szekely, secondo il geografo Hubnero, vuol dire “siculo”. (vedi articolo nel testo)
Jolikè merita questo e altro. Con Lei ho condiviso momenti difficili e gioiosi, grandi passioni e ideali di libertà e di emancipazione dei lavoratori, dei giovani e delle donne, dell’umanità, soprattutto di quella più povera e sfruttata dalla quale mi onoro di provenire.
Con Jolikè abbiamo cresciuto due bei ragazzi, Monica e Claudio, che sono la principale ragione della nostra vita.
             a.s.

Joppolo Giancaxio, novembre 2012


Dal capitolo primo...


IL DECLINO DELLA SICILIA, IL SUO FATALE ENIGMA

Dentro il circuito dell’illegalità
All’interno di tale prospettiva si dovrà ricollocare il ruolo della Sicilia, grande regione europea e mediterranea, segnata da aspri contrasti e da grandi potenzialità.
Isola - baricentro del Mediterraneo, in passato sede d’incontro fra culture diverse, la Sicilia vanta una storia pluri-millenaria e un ricco patrimonio archeologico e monumentale che ne fanno uno fra i più importanti “giacimenti” culturali del pianeta.
E’ da circa 40 anni che andiamo proponendo, talvolta in solitudine, un’ipotesi euro - mediterranea per il futuro dell’Isola.
Ora tutti si scoprono “mediterranei”. Anche se, nel migliore dei casi, il Mediterraneo è argomento di conversazione, nel peggiore motivo per lucrare sui finanziamenti europei.
In questi decenni, poco o nulla si è fatto per valo-rizzare la naturale vocazione mediterranea della Sicilia e, soprattutto, per superare gli ostacoli interni ed esterni che ne impediscono una sua proiezione dinamica e moderna.
Quest’Isola lenta e dubbiosa verso un “progresso invadente e livellatore, battuta dal vento di scirocco che qui giunge impregnato dell’eco torrida di lontani deserti africani”, [1] sembra chiudersi in se stessa, rientrare nel suo fatale enig-ma.
Alla politica è subentrata la cabala per cui comanda chi meglio riesce a interpretare il mistero.
Una fase difficile, dunque, segnata da una tendenza al declino, generale e diffuso.
Certo, anche nell’Isola si registrano cambiamenti positivi, ma non tali da allinearla, per redditi e qualità di vita, alle tendenze in atto in altre regioni italiane.
Si tratta, infatti, di poche realtà pregevoli, anche d’eccellenza, che rischiano d’infrangersi contro una sorta di “circuito dell’illegalità”, eretto intorno all’Isola da forze potenti, che svilisce gli sforzi mirati a sviluppare la produzione e una moderna organizzazione dei servizi e delle professioni.
Un declino evidente accelerato da taluni passaggi cruciali, fra i quali il temuto capovolgimento di ruoli fra politica e “poteri forti”, a favore di questi ultimi. Com’è successo un po’dovunque nel mondo a seguito del prevalere delle pratiche neo-liberiste, la politica ha perduto il suo primato, altre entità si sono insediate al posto di comando.
Con una differenza, però, che in Sicilia a comandare non sono le grandi corporazioni multinazionali ma oscure consorterie locali.

E la palma non potrà più salire…
Nonostante questa specificità, la Sicilia non è una scheggia im-pazzita all’interno di un sistema sano. La sua condizione riflette l’andamento generale della situazione italiana. Esiste, infatti, un legame forte fra l’isola e la penisola, di scambio e di reciproca influenza colto, a più riprese, anche dalla letteratura, soprattutto straniera.
Alcuni esempi. Goethe, nel 1787, addirittura sentenziò: “Senza la Sicilia, l’Italia non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”. [2]
Edmonda Charles Roux, premio Gongourt 1966, forse più realisticamente, ha sottolineato come: “La Sicilia, nel bene e nel male, è l’Italia al superlativo”. [3]
Il pensiero della Roux rende di più l’idea di una Sicilia “eccessiva”, un po’ supponente come quando si propone come “laboratorio politico”, anticipatore delle alleanze politiche nazionali.
Leonardo Sciascia intravide una “linea della palma” che dall’Isola sale verso il nord. Una dolente metafora per segnalare il pericolo di un’esportazione del “modello siciliano”verso la penisola.
Punti di vista, naturalmente. Per altro, la profezia sciasciana non potrà più avverarsi giacché le palme non potranno più salire.
Almeno da Palermo, dove stanno morendo, attaccate da un parassita (il punteruolo rosso) che, come la vendetta di un dio spietato, sta facendo strage dei rigogliosi palmizi, fin dentro il celebre Orto botanico dei Borboni.

Un regime a sovranità limitata
Per queste e altre ragioni, il solco fra La Sicilia e il Paese si è allargato. Il nuovo spazio è stato occupato da un sistema di potere arcaico, fami-listico, parassitario e mafioso che ha bruciato le migliori risorse, umane e materiali, e prodotto una classe dirigente consociativa e autoreferenziale, oscillante fra l’astrattezza politica e il gattopardi-smo deteriore.
Un sistema opprimente che ha generato un regime a sovranità limitata che ha conculcato i diritti fondamentali dei cittadini, trasformandoli in favori da concedere in cambio di voti e/o di tangenti, e sfumato i doveri dei governanti.
E dire che il molto speciale Statuto di Autonomia, che fa della Sicilia “una quasi nazione”, avrebbe dovuto garantire il massimo dello sviluppo possi-bile.
A differenza di altre regioni a statuto speciale, quali la Val d’Aosta, il Friuli- Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige, la stessa Sardegna, l’Autonomia siciliana non ha prodotto i frutti sperati, ha deluso le attese ed ha subito una sorte infelice: in parte non attuata e in parte abusata, stravolta.
Alla base di tale distorsione penso ci sia un equivoco, mai chiarito, che di tanto in tanto riaffiora: l’autonomia invece di uno strumento di autogoverno e di crescita civile ed economica, è stata concepita come surrogato del separatismo, per erigere intorno all’Isola un recinto, una sorta d’anello di fuoco, dentro il quale esercitare uno spudorato dominio e bloccare di là del Faro (di Messina) le innovazioni, i cambiamenti provenienti dall’Italia e dall’Europa.

Un secolo di migrazioni
Di conseguenza, oggi vediamo una regione bloccata nel suo naturale sviluppo, avvilita dal clientelismo, dalla disoccupazione, dal lavoro nero, sfregiata dall’abusivismo edilizio e non solo.
Si vive una condizione, per molti versi, insopportabile, con la quale devono fare i conti, i cittadini e gli imprenditori onesti, ossia la stragrande maggioranza della popolazione.
In primo luogo, i giovani ai quali restano due sole scelte: adattarsi o fuggire. Una terza via non è praticabile.
Si calcola che, nel quinquennio 2002-07, siano emigrati dall’Isola verso le ricche regioni del nord, almeno 150.000 giovani, in gran parte diplomati e laureati.
Ancora emigrazione! Per i siciliani il novecento è stato il secolo dell’emigrazione.
Sono partiti a milioni verso le più lontane con-trade del mondo e insieme ad altri hanno scritto uno dei capitoli più drammatici della storia universale delle migrazioni.
Si sperava che col boom economico italiano l’esodo si sarebbe interrotto. Invece è ripreso, anche se- nel frattempo- la Sicilia è divenuta terra d’approdo e di (mala) accoglienza per centinaia di migliaia d’immigrati provenienti dal sud del mondo.
Oggi, con la recessione in atto, non sappiamo cos’altro potrà accadere.


Anche Platone se ne fuggì deluso
In questo clima di grave incertezza, molti si chiedono dove stia andando la Sicilia. Verso quale approdo, quale futuro?
La risposta non è facile, anche se l’interrogativo non è più eludibile. Il futuro è il grande assente nell’immaginario dei siciliani.
Un po’ tutti ne avvertono la mancanza: chi parte e chi resta.
Eppure, non si chiede un avvenire mirabolante, ma un futuro da normali cittadini europei, una prospettiva migliore di quest' opaco presente.
Ai siciliani questo futuro è stato negato, rubato perciò preferiscono guardare al passato. Pensano e parlano al passato. Addirittura, nella parlata locale per indicare il futuro si usa il (verbo) presente.
Ostentano un orgoglio, talvolta smisurato, per il loro passato visto come una sorta di eternità volta all’indietro nella quale, come nota Fernando Pessoa “ciò che passò era sempre meglio”.
Ovviamente, l'assenza di futuro non è una devianza grammaticale, ma la spia di un disagio psicologico collettivo che nasce dall’esperienza storica e spinge i siciliani a rifugiarsi in un mondo sepolto, mitizzato, ritenuto, più a torto che a ragione, migliore dell’attuale.
C’è chi chiama tutto ciò “pessimismo” inveterato, connaturato. Anche contro Leonardo Sciascia, per il quale la Sicilia era “irredimibile”, fu lanciata tale accusa che lo scrittore respinse con serena fermezza: “Come mi si può accusare di pessimismo se la realtà è pessima?[4]
In realtà, non si tratta di un’inclinazione pessimistica dei siciliani, ma della percezione di un male oscuro che permane nel tempo, fin dagli albori della storia siciliana, già durante la splendida civiltà siculo - greca.
Significativa appare, a questo proposito, la “Settima lettera” di Platone (autentica o meno che sia) nella quale il sommo filosofo chiarisce le ragioni che lo spinsero a viaggiare, per ben tre volte e in condizioni drammatiche, da Atene a Siracusa per aiutare il suo discepolo Dione ad insediare in Sicilia la sua “Repubblica”.
Tentativi falliti, miseramente. Com’è noto, il filosofo, per salvarsi, fuggì precipitosamente dalla Sicilia, portandosi dietro l’amarezza della delusione patita: “Mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto…
Insomma, anche nei tempi antichi la vita politica siciliana era piuttosto inquinata. Oggi la situazione è mutata, ma temo in peggio. Se Platone ritornasse per la quarta volta nella Trinacria avrebbe ben altro di cui lagnarsi.

Cambiare si può, si deve
Per concludere. La Sicilia ha un grande bisogno di libertà e di un forte recupero della sua identità culturale e storica che, senza scadere nella velleità indipendentista, per altro dolorosamente sperimentata, ridia ai siciliani il senso della loro storia e quindi la responsabilità di costruire un futuro di progresso nella legalità.
Si può fare. Importante è partire, riavviare la ricerca e la cooperazione fra tutte le forze sane dell’Isola che resistono e attendono un segnale di autentica liberazione.
Ma i siciliani desiderano il cambiamento? Talvolta parrebbe di no. Si accetta di vivere, rassegnati, in una società immobile, individualis-ta che tende a escludere i settori più problematici, compresi i suoi figli ventenni.
In realtà, la maggioranza dei siciliani non è contenta di tale condizione, anzi la vive nell’angoscia, come nell’attesa del crollo.
C’è una contraddizione latente fra consenso politico e spirito pubblico che nasce dallo scetticismo verso ogni ipotesi di cambiamento, verso un sistema politico, affaristico e consociativo, tale da far della Sicilia una regione “senza governo e senza opposizione”. [5]
Tuttavia, sperare si può, si deve. Anche attraverso una sorta di autocoscienza collettiva. Tutti devono riflettere.
Anche coloro che rappresentano il “male assoluto”.
A questa gente, ferme restando le responsabilità penali, bisogna provare a chiedere di riflettere sugli errori e sugli orrori commessi, ponendosi dal punto di vista di chi li ha subiti, per capire il dolore degli altri e cambiare rotta.
Soprattutto dovranno meditare e cambiare registro tutti quelli che hanno abusato del potere loro conferito dalla legge e dagli elettori. Alla Sicilia bisogna offrire una nuova chance.
Qualcosa si muove sotto la superficie di questo mare cupo e limaccioso. Si agitano insofferenze e fermenti di cambiamento, s’intravede come una linea di riscatto in emersione attorno alla quale aggregare e mobilitare forze e risorse in grado di spezzare il circuito dell’illegalità. Per riprenderci il nostro futuro.
* testo italiano di brani del mio saggio apparso sul n. 68 della rivista francese “Confluénces éditerranée”,Ed.“l’Harmattan”, Paris, febbraio 2009.


[1] Mi scuso per non potere citare l’autore di tale bellissima frase perché non lo ricordo; pronto a rimediare in un’eventuale nuova edizione.
[2] Johann W. Goethe in “Viaggio in Italia”, Garzanti Editore, 1997
[3] Edmonda Charles Roux, “Oublier Palerme”, ed. Grasset, Paris, 1966
[4] Leonardo Sciascia “La Sicilia come metafora” (intervista di Marcelle Padovani), Arnoldo Mondadori Editore, 1979
[5] Agostino Spataro in “La Repubblica” del 17/4/2004
 



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domenica 4 novembre 2012

CASUALITA' O SCELTA OCULATA?

Foto Agostino Spataro, Budapest,ottobre 2012




                                         



     CHI VI RICORDA?
      Guardate qui:

  


 In alto: foto di una ragazza ungherese che pubblicizza i servizi della "Western Union"
Sotto: foto di Evita Duarte Peron, la leggendaria "pasionaria" del popolo, dei poveri argentini che tengo sulla mia scrivania.
               (Agostino Spataro)


sabato 3 novembre 2012

I MORTI VOLANTI ovvero la nostra, favolosa"festa dei morti"

I MORTI VOLANTI ovvero la nostra, favolosa “festa dei morti”

di Agostino Spataro



… Stamattina siamo andati al cimitero, a visitare i nostri morti. Non avendo defunti intimi colà residenti, le nostre visite si svolgono serenamente, quasi in allegria.
Per me sono anche l’occasione per rivangare, guardando i nomi e le foto, le vicende del nostro paesino.
I nostri morti sono nonni, zii e parenti piuttosto larghi, ai quali portiamo un fiore e accendiamo una candelina, per ravvivarne il ricordo, come vuole la tradizione.
I nonni paterni, purtroppo, sono finiti nella fossa comune e non possiamo onorarli. Mi sarebbe tanto piaciuto conoscere mio nonno Calogero Spataro, amante dei viaggi e del buon vino. Di lui non so nulla, poiché nessuno ne parla in famiglia, credo per vergogna.
La vox populi racconta ch’era un viaggiatore indefesso e avventuroso. Partiva da Joppolo, con pochi soldi e con mezzi di fortuna, per lunghi viaggi in nave o in groppa ad un ronzino.
Memorabile è rimasto il viaggio in Tunisia dove si recò per andare a comprare un… asino di una razza speciale ossia di quelli che lavorano tanto e mangiano poco.
(Come, oggi, si vogliono i lavoratori extracomunitari! Aggiunta redazionale)
Non lo trovò e ritornò, dopo più di un mese, senza soldi e senz’asino.
Insomma, un vero precursore della cooperazione siculo- araba!
O l’altro, a cavallo, alla volta della Spagna interrotto per mancanza di viveri e mezzi  a Civitavecchia da dove telegrafò alla famiglia per tranquillizzarla e chiedere soc-corso.
Il nome della cittadina laziale colpì talmente  la fantasia dei paesani che glielo ap-piopparono come “ngiuria”. E fu questo soprannome l’unica eredità che il nonno las-ciò a figli e nipoti, quando mori alla bella età di 85 anni. Alla faccia dei suoi detrattori e critici che, in gran parte, lo precedettero nell’unico “viaggio” da quale non si torna. 
… La sera precedente avevamo parlato di questa visita. Le avevo detto che se avesse portato i fiori ai nonni la notte successiva questi sarebbero venuti in volo a portarle tanti regalini. Bastava mettere le scarpine fuori della finestra.
Le spiegai che i morti volano senza avere le ali, non entrano nelle case, si avvicinano alle finestre e depositano i  regalini soltanto dentro le scarpe dei bambini bravi.
Monica appariva perplessa, non tanto sulla capacità di volare dei morti, quanto per le sue scarpette che, essendo piccole, non potevano contenere molti regalini.
Mi propose: “perché non mettiamo anche gli stivali tuoi, della mamma che sono grandi?”
Mi parve una buona idea e così facemmo.
I morti volanti, i loro doni! Una favola bellissima che ancora resiste (per quanto ancora?), che rinsalda il legame fra i vivi e i morti e offre della morte una rap-presentazione naturale, umana. Da ricordare non come un evento tragico ma con una festa, per l’appunto.
A nessuno piace morire, tuttavia la  morte è ineluttabile e pertanto bisognerebbe im-parare ad accoglierla senza terrore,  con naturalezza.
Prima era così. Ho visto vecchi contadini in punto di morte, serenamente seduti al centro del letto, impartire alle mogli, ai figli e ai nipoti le ultime raccomandazioni a tutela della famiglia e della proprietà; inviare saluti ai parenti lontani; ricevere ambasciate e saluti da recapitare agli amici defunti che sicuramente avrebbero incontrato nel “viaggio”.
Veri testamenti morali, quando non proprio  patrimoniali.
Oggi, temiamo, aborriamo la morte perché ci siamo troppo innamorati della vita!
Perciò, desidero che Monica viva questa ricorrenza come una festa. Come  l’abbiamo vissuta noi, da bambini.
Ricordo l’attesa dei morti volanti e le suggestioni che s’impadronivano della nostra mente: il fruscio, lieve, delle loro tuniche bianche, la ricerca della  scarpa giusta dove infilare il regalo corrispondente.
“Ascolta, ascolta! Questa mi pare la zia Rosina. Speriamo che non sbagli scarpa! Era sbadata in vita figurarsi da morta”
In certe notti ventose, ci stringevamo intorno al tavolo, in cucina. Avevamo paura del vento, del suo atroce sibilo. Mia madre diceva che quello non era il vento, ma il brusio dei morti che ritornano in paese a cercare le case dove hanno vissuto, a portare i regali ai loro bambini.
E l’indomani mattina presto tutti a guardare dentro le scarpe. Ne uscivano pupi di zucchero, melegrane dai chicchi dolcissimi e vermigli, taralli e biscotti al vino cotto, panareddri (panierini) impreziositi con semi di “diavolina” e con un uovo sodo al centro.
Doni semplici confezionati in casa e frutti della nostra terra generosa.
Soprattutto, c’era grande attesa per i “pupi di zuccaru”, una sorta di giocattolo com-mestibile, nelle sembianze di vigorosi paladini di Francia o di fieri cavalieri saraceni.
Eroi - pupi, di zucchero o di latta, che ancora si contendono il nostro destino!
I pupi c’entrano sempre nella tradizione siciliana, nella vita come nella festa dei morti.
Da loro deriva anche un verbo “pupiddriari” usato per declinare gli effetti cinetici di un barbaglio agli occhi.
Il pupo è la chiave per aprire lo scrigno delle nostre finzioni, dei nostri camuf- famenti, dei nostri trucchi.
E’ una maschera che indossiamo per la vita.
Siamo tutti pupi, secondo Pirandello. Ancora lui! Non so quanto sia vero tale assunto che potremmo anche accettare solo se fossimo pupi liberi di vivere nel mondo del fantastico e schivare la pessima realtà che ci circonda.
Ma nemmeno questa libertà ci è con sentita: dietro o sopra i pupi c’è sempre un pupa-ro che tira i fili.
A Palermo sono maestri nel fabbricare pupi di zucchero e di altro materiale. Ne ho comprato uno per Monica. Rappresenta una principessa araba e il suo spavaldo cava-liere con elmo e sciabola.
Domattina, lo troverà nella sua scarpina, sulla finestra…

(da “Monica, storia di un’infanzia ritrovata”, di Agostino Spataro- Edizioni “Il mio libro”, 2011)