martedì 31 ottobre 2017

VIAGGIO IN OMAN, PAESE DI SINDBAD IL MARINAIO (racconto per immagini)


Nel 1997, su invito del ministero dell'Informazione, in compagnia del fotografo Mario Boccia, visitai il Sultanato dell'Oman per un servizio giornalistico pubblicato sul settimanale "Avvenimenti". Queste mie foto, per quanto un pò sbiadite, spero riescano a dare un'idea del bellissimo viaggio alla scoperta del paese di Sindbad il Marinaio l'eroe leggendario de "Le Mille e una notte" che molti omaniti giurano fosse originario di queste parti. Nella penisola arabica l'Oman é una realtà appartata, quieta, e assai interes-sante sotto vari profili: paesaggistico, culturale, etnico, religioso. E con cinquemila anni di storia alle spalle.                                                          Agostino Spataro*




Donna con maschera nera



Stemma del sultano Qaboos
A nord c'era il paese di Magan, dove cinque mila anni fa si fondeva il rame puro che si esportava, in lingotti, nel regno dei Sumeri.
A sud c'era il paese di Ofir, nei paraggi del reame di Punt, dove dalla corteccia di un arbusto nano si estraeva l’incenso odoroso che profumava templi e palazzi dei Faraoni e di tutte le civiltà mediterranee.
Anche a cercarli questi paesi non li troverete sulla carta geografica poiché la geo-politica moderna li ha cancellati riunendoli sotto il nome di Oman: un sultanato esteso quanto due terzi dell’Italia, con una popolazione di circa due milioni di abitanti...




Muscat. residenza del Sultano


Bandiera dell'Oman
... L’Oman non è il migliore dei mondi possibili, tuttavia costituisce uno dei rari esempi in cui “i doni del petrolio e del gas” sono stati messi al servizio del progresso civile del paese, in armonia con i valori della tradizione. E qui si rivela la lungimirante saggezza del sultano Qaboos. E della stessa classe dirigente omanita che non è formata da cortigiani che si sollazzano fra i piaceri dell’harem o del bagno turco, ma da giovani (molte le donne) dinamici, competenti che si danno molto da fare per proiettare il Paese in un futuro di prosperità condivisa. Lontano, comunque, dal medioevo dal quale è uscito soltanto nel 1970...


Nizwa, bottega dei coltelli (jambia)

Alla fiera di Nizwa
... Magan, Ofir, Punt sono, ormai, soltanto luci di nomi che illuminano il passato fascinoso e fiero di un piccolo popolo di beduini, di marinai e di abili mercanti.
Quasi ignorata in Occidente, la storia plurimillenaria dell'Oman costituisce un caso a se stante nella penisola arabica...


Muscat, centro storico

Mercato circolare
... Capitiamo di venerdì, giorno della fiera settimanale degli animali. Il commercio si svolge secondo un meccanismo "circolare" ossia all'interno di un cerchio umano ai lati del quale siedono i potenziali acquirenti, fra questi anche donne con le tipiche maschere nere. L'originale meccanismo è finalizzato a velocizzare le transazioni, le lunghe trattative sono impossibili. L'avventore ha solo il tempo di tastare la gorgia e le spalle e di dare uno sguardo veloce alla dentatura dell'animale in vendita (solitamente capre e bovini) e, quindi, offrire un prezzo al sensale; se questi non accetta, la bestia viene spinta in avanti perché dietro ce n'è un'altra che attende. E la ruota del commercio continua a girare…

Mario Boccia nel cortile del forte di Nizwa
Oltre al falaj, i segni distintivi di Nizwa sono un forte mastodontico, munito di cannoni col marchio di Filippo II, e la medina circondata di alte mura di fango...

Nizwa, forte spagnolo


Nizwa mura medioevali
Oman, dove uomini e culture ancora si nutrono di datteri neri e di favole bellissime e leggende immortali che aiutano a preservare lo stadio infantile cui nessuno sembra voler rinunciare. Una condizione negata a noi "occidentali" impregnati di paure e di arroganze e dominati da un "dio" straniero. E' stato un errore aver girato lo sguardo solo a Occidente. In Europa le grandi culture sono arrivate dall'Oriente, mai dall'Occidente di cui ci sentiamo debitori e sudditi.
Nizwa alla fiera del bestiame


Cortile di abitazione

Nizwa, artigiano dell'argento

Con Amir, al mercato di Nizwa


Le anime dei Templari
Fra le sabbie infuocate del “Rab al khali” (il “Quarto Vuoto”), lo sterminato deserto della penisola arabica, vagano alcune centinaia d’indi­vidui biondi, uomini e femmine, figli di una santa missione che, secoli fa, partì dalla Renania per portare la luce della scienza e della medicina ai beduini. Si dice che fossero medici, infermieri, astrologi, predicatori venuti a “salvare” i figli del deserto, ma dal deserto furono abbagliati, inghiottiti. 
Vagano per il “quarto vuoto”, a piccoli gruppi.  Ognuno porta con sé i figli e le capre. Dormono in tende nere. Fra loro parlano una lingua strana ma conoscono l’arabo, perfettamente. Altro non si sa della loro misteriosa esistenza. Forse, è una delle tante favole fiorite fra le sabbie, nella solitudine del deserto. Qualcuno sostiene di averli avvistati, di avere, addirittura, parlato con loro… 
Non svelano mai la loro identità. Forse, dopo tanto tempo, l’avranno smarrita. Dicono solo di rappresentare l’avanguardia di un esercito invisibile: i figli delle anime dei templari massacrati venuti nel deserto in cerca di silenzio e di pace. Mah!  Questo “segreto” mi confidò Amir durante una sosta di preghiera fra le dune intorno all’oasi di Nezwa, in Oman.

Beduino con fucile alla fiera di Nizwa

Birkat, case di fango


Birkat al Mawz, Falaj (corso d'acqua sotterraneo)
... Lo "sceicco dell'acqua" controlla la puntuale esecuzione dei calendari di erogazione, custodisce i regolamenti, le mappe catastali, gli accordi di spartizione sottoscritti dai capi delle varie tribù e clan...


Birkat, centro storico


Kalhat, Moschea di Bibi Mariam

Khadra, moschea
... Mentre di ciò si parla, Amir si ricorda della preghiera pomeridiana. Lo vediamo scomparire nella piccola moschea di Khadra Beni… L'Islam omanita è di osservanza ibadita, una delle tante confessioni derivate dallo sciitismo. La giustizia si basa sulla "sharja", tuttavia, a parte taluni divieti (alcool, carne di maiale), nel Paese non si respira aria di fanatismo come nell'Iran degli ayatollah o di cupo rigorismo come nella confinante Arabia saudita wahabbita...

Nizwa, fiera animali

Nizwa, venditore di carne essiccata di squalo

Litoranea Muscat- Sur, con i miei due "angeli custodi" del Ministero Informazioni

Oasi di Rustaq

Nakal, scolaro che guada il falaj

Porta (interna) forte di Rustaq
... Le periodiche piogge monsoniche impinguano le falde che alimentano l'ingegnoso sistema idrico degli "aflaj" (singolare "falaj") introdotto dai persiani nel V secolo a.C.
E' questa una profonda condotta sotterranea, lunga anche decine di km, che dalle viscere delle montagne induce la massa d'acqua fino alle oasi e alle città moderne.
Da qui si diparte una rete di canali che irrigano i palmeti (che danno un dattero nero) e i sottostanti orti di verdure e cereali.
A Nizwa, capitale di questa regione, sfocia il più grande falai dell'Oman. Acqua chiara e fluente, abbondante che s'insinua fin dentro il reticolo di vie e viuzze della casbah... 


Nizwa, falaj che attraversa la città

Rustaq, panorama

Hotel Sawayd, ristorante.

Vegetazione litoranea Muscat-Sur
... Da Sur a Nizwa, corriamo dentro una grande vallata inaridita. E' un deserto di pietra popolato di strani monticelli che sembrano propaggini di gigantesche colate di lava o vulcanelli di poca pretesa. Piccole escrescenze di una natura bizzarra che non ci lasceranno fino a Nizwa.
Dopo le lave, ecco, finalmente, il deserto di sabbia rovente di Ramlat. Ci inoltriamo fra alte dune, dove crescono rari alberelli di "summer" (un arbusto spinoso) e qualche ciuffo erboso cui brucano mandrie di dromedari e capre nere... E, non ci crederete, anche gli eleganti orici cornuti che qui abbondano perché protetti, così come altre specie animali e vegetali, da un'avanzata e severa legislazione dello Stato...

 
Rustaq, ospite al forte dell'Imam.
Litoranea Muscat-Sur, villaggio pescatori.
... Lungo i 123 chilometri di pista che da Quryat giunge fino a Sur, corre un nastro di sabbia finissima che il sole, al tramonto, accende di un tenue rosa...
Sopra di noi un cielo di stelle vividissime; a nord ovest, sul massiccio del Jebel Khadar, si sta scaricando un temporale.
Il mare è pescosissimo e ricco di specie rare. Ogni mattina, su queste spiagge è come una festa, una ressa di pescatori, scalzi e a torso nudo, che scaricano il pescato della notte (abbondano sarde e vari tipi di pesce pregiato e anche barracuda, tonni e qualche squalo) e lo espongono agli acquirenti venuti da Mascate e da altre città dell'interno...


Quriat, rientro delle barche e vendita del pescato

Tratto di costa sul Mare Arabico

Sur, cantieri di Dhow (imbarcazioni tipiche)
... La laguna di Sur forma spettacolari insenature, un tempo rifugio delle flotte portoghesi, olandesi e inglesi e anche d’indomabili pirati. Sulle rive, fioriscono i cantieri, a cielo aperto, dei “dhow” costruiti a braccio, secondo i canoni della tecnica tradizionale. Qui, tutti giurano che da questa costa sia partito “Sindbad, il marinaio” per le sue leggendarie, e romantiche, avventure descritte in "Le Mille e una notte”...

Sur, forte portoghese

Al cantiere di Sur, fra i falegnami a lavoro


Autostrada Muscat-Seeb, hotel Muscat

Mutrah, giochi d'acqua nel parco naturalistico

... Lasciamo l'Oman con la gradevole impressione di avere visitato un paese abitato da un popolo gentile, governato da un sultano saggio e lungimirante che ama i bambini e la musica classica. Qaboos bin Said, infatti, rifugge dal gossip e dai piaceri dell'harem, dai cortigiani servili e impudenti e lavora per proiettare il Paese in un futuro di prosperità condivisa, fuori dal medioevo infinito dal quale uscì soltanto nel 1970, dopo l'estromissione del padre Taimur.

Articoli connessi:
http://notizie.tiscali.it/socialnews/articoli/spataro/8725/viaggio-nel-meraviglioso-paese-di-magan/ 
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/08/07/ma-oman-non-eldorado.html 
* Autore de "La notte dello sceicco- Reportage dallo Yemen"-  https://www.amazon.com/notte-dello-sceicco-Reportage-dallo/dp/8826702322
(Tutti i diritti riservati) 

martedì 24 ottobre 2017

LAMPEDUSA, UN RICORDO...



di Agostino Spataro
…Ricordo anche i compagni Giovanni Nicolini e Martello, padri di due nostri sindaci, rispettivamente di Giusy Nicolini e di Totò Martello… Oggi, Giusy e Totò vivono i loro importanti ruoli da posizioni politiche contrapposte, ma in passato, insieme, hanno fatto grandi cose… Capirete, perciò, che a me fa male assistere a questo scontro duro fra due nostri "ragazzi" della Fgci di Lampedusa, in gran parte dovuto a una diversità di vedute sulla questione dell’accoglienza agli immigrati!...

1... Ogni qual volta che leggo o sento il nome “Lampedusa” in me ritornano lontani ricordi e immagini di quest’isoletta sperduta nel Mediterraneo, più vicina all’Africa che all’Europa.
Si era verso la fine degli anni ’60 del secolo trascorso. Lampedusa era povera e negletta e anche un po’ diffamata. Era un’isola remota, spoglia. Dall’alto appariva come una “pietra” arida e piatta affiorata (o gettata) nel Mediterraneo, dove nessuno voleva andare.
Nemmeno i dirigenti della federazione comunista di Agrigento cui l’isola si riferiva per appartenenza territoriale.
Bisognava fare un viaggio disagevole, talvolta perfino avventuroso, sopra una vecchia nave che spesso non partiva "causa maltempo”.
E poi a Lampedusa, per noi, c’erano soltanto quattro voti presidiati da quattro eroici compagni, veramente devoti alla Causa, i quali, senza mezzi e senza nemmeno i “conforti” politici (stavo scrivendo “religiosi”) della federazione, dovevano contrastare il predominio assoluto di una DC arrogante, clientelare al massimo che nell’isola faceva il bello e il cattivo tempo e raccoglieva percentuali bulgare, senza essere “partito unico”.
Attenzione. Per centinaia di pescatori lampedusani l'andamento del tempo era importantissimo. “Bel tempo”erano due paroline magiche.
Volevano dire, infatti, potere uscire in mare, riempire la barca di pescato e tornare sani e salvi dalla famiglia. E non è cosa da poco!
Il “tempo bello” era talmente desiderato che i nostri dirigenti locali lo promettevano perfino nei manifesti elettorali. In un comizio (forse del 1968), il compagno Totò Geraci, segretario di sezione, presentandomi a quei pochi che si erano avvicinati, concluse con uno slogan da lui ideato: “Se volete tempo bello, votate falce e martello”. Un esempio felice di rima baciata che, però, non intenerì i cuori dei votanti.

2... È passato tanto tempo (oltre mezzo secolo) ma alcuni nomi li ricordo ancora. In primis, il detto compagno Geraci il quale, una volta, addirittura, mi accolse al molo di sbarco con un'impavida “Bandiera rossa” intonata da una striminzita banda musicale di cui era componente. Tre compagni davanti e quattro musici dietro, era questo il nostro corteo. Una scena bizzarra, stravagante, felliniana. Ora che ci penso: bellissima!
Tanta era la gioia di potere accogliere, finalmente, un compagno della Federazione! Una gradita rarità che loro ricompensavano con grande senso di fraternità, con tanta generosità. Con quel poco che c’era, naturalmente.
Ricordo anche i compagni Giovanni Nicolini e Martello, padri di due nostri sindaci, rispettivamente di Giusy Nicolini e di Totò Martello.
Più di una volta, andai in casa del primo a gustare gli ottimi piatti preparati dalla sua cara moglie (e nostra altera compagna) e dal secondo, nell’alberghetto vicino al porto, dove pernottavo (talvolta gratuitamente) e da lui ascoltavo lunghi racconti sulla vita di mare.
Capirete, perciò, che a me, senza entrare nel merito delle ragioni dell’una o dell’altro, che per altro non conosco appieno, fa male assistere a questo scontro duro fra due nostri "ragazzi" della Fgci di Lampedusa, in gran parte dovuto a una diversità di vedute sulla questione dell’accoglienza agli immigrati!
Oggi, Giusy e Totò vivono i loro importanti ruoli da posizioni politiche contrapposte, ma in passato, insieme, hanno fatto grandi cose. Ovviamente, con il concorso di tanti altri compagni, fra i quali ricordo il professor Giovanni Fragapane, uomo di raffinata cultura e indimenticato sindaco dell’isola.
A quel tempo, vedemmo nascere un gruppo affiatato di “vecchi” e di giovani compagni che portarono sull’isola il vento del cambiamento ispirato dal partito di Berlinguer, delle grandi riforme sociali e morali, il senso di un’Italia nuova che si apriva ai diritti (nell’isola quasi del tutto sconosciuti o conculcati) dei lavoratori, degli studenti e, in generale, delle popolazioni meridionali.
Rifondarono il partito, ampliarono la sua base sociale e crearono una seria forza elettorale che ci consentì, in pochi anni, di conquistare, e mantenere (fino ad oggi), il Municipio ossia la fortezza inespugnabile della DC.

3... Tempi difficili, quelli. Allora, nessuno andava a Lampedusa, tranne pochi turisti durante l’estate. Per il resto dell’anno l’isola era quasi spopolata. I giovani “emigravano” per motivi di studio, mentre la gran parte degli adulti, provetti marinai, s’imbarcavano su navi mercantili per mesi e mesi. La loro vita si svolgeva fra l’isola e i mari del mondo.
Io andavo, con piacere, a Lampedusa e anche in altri posti politicamente “disagiati”, difficili. Desideravo confrontarmi con le difficoltà, in nome del Partito. Così come, tempo dopo, partivo per le capitali dei Paesi arabi del c.d. “fronte del rifiuto” (Damasco, Baghdad, Algeri e Tripoli) inviato dai dirigenti della sezione esteri del Pci che, forse,  volevano evitare incontri diretti, “compromettenti”con gli esponenti radicali di quei Paesi che avevano rifiutato gli accordi israelo - egiziani. Io capivo e partivio lo stesso. E così, senza compromettermi con nessuno, ebbi l’opportunità di conoscere realtà sociali e culturali di enorme interesse politico e d’incontrare, salutare i loro prestigiosi leader. Chiudo la parentesi araba e rientro a Lampedusa dove andavo soprattutto d’inverno o in primavera (per le campagne elettorali) e mi godevo l’amabilità dei compagni e delle loro famiglie e…il vento incessante che scuoteva la quiete irreale di quel pezzo di roccia emersa dal mare.
Oggi, Lampedusa è divenuta “appetibile”. D’estate vi arrivano (in aereo) tanti turisti milanesi; durante tutto l’anno, sfidando le tempeste e le brutali pretese dei vari “caronte”, vi giungono migliaia d’immigrati dai paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia, a bordo di “carrette” che già alla partenza dalle coste maghrebine sembrano segnate dal teschio fatale.
Più volte, da parlamentare, mi occupai dei problemi dei lampedusani. Presentai interrogazioni, interpellanze ai governi per tutelare i diritti degli isolani. Soprattutto, dopo il “lancio” (vero o presunto?) dei due missili di Gheddafi. Visitai l’Isola trasformata in presidio per il controllo delle comunicazioni militari nel Mediterra-neo.
Il nostro “sogno” era la pace, la cooperazione, economica culturale e reciprocamente vantaggiosa, fra l’Italia e i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, anche per dare un futuro di progresso al Sud italiano, alla Sicilia, a Lampedusa.
Anche oggi, nel vivo di questa infinita “emergenza” migratoria, penso che il futuro di quest’isola diletta è affidato al rafforzamento delle relazioni pacifiche, alla cooperazione fra tutti i Paesi del Mediterraneo. E al “tempo bello”…

4... Purtroppo, nelle acque del Mediterraneo continua a svolgersi la tragica avventura di decine di migliaia di disperati che rischiano la vita (molti la perdono) pur di raggiungere la costa siciliana.
Nell’immaginario degli immigrati Lampedusa è divenuta l’approdo verso la salvezza e la possibilità di un lavoro, anche a nero.
Per questo suo ruolo la piccola isola delle Pelagie è divenuta famosa nel mondo. Soprattutto nei Paesi e nelle città africane e asiatiche di partenza. Sicuramente, gli immigrati se ne ricorderanno per la vita come di un luogo magico dell’approdo, in senso lato, dove si esce dal tunnel della miseria e si spera di entrare in Europa, nell’agognato mondo della prosperità mal distribuita. Alcuni restano in questa Sicilia dolente, sbeffeggiata dalla mala politica e angariata dalla criminalità. In questa realtà cercheranno, tenteranno d’inserirsi pur sapendo che trattasi di una condizione socio-economica difficile, molto al di sotto degli standard medi europei.
Forse, loro non sanno che anche la nuova Europa che abbiamo sognato si ferma a Latina. Per giungere, per attraversare il Mezzogiorno, l’U.E. deve superare una serie di posti di blocco e pagare esosi pedaggi alle forze della conservazione affaristica e parassitaria.
In Sicilia, addirittura, vi giunge sfinita e con lo spirito infranto, seppure carica di finanziamenti che raramente producono nuova ricchezza e posti di lavoro e per lo più vanno ad alimentare un sistema di potere soffocante e retrogrado.
Com’è noto, buona parte di questi stanziamenti resta inutilizzato e/o si perde nei tortuosi meandri dell’ignavia governativa e di una burocrazia elefantiaca e inconcludente.
Anche la classe dirigente del Paese sembra ignorare il dramma secolare che avvolge la Sicilia. L’importante che continui a fornire braccia e intelligenze per far girare il meccanismo economico del centro-nord e voti moderati per bloccare e/o neutralizzare le riforme più innovative.
Per premio hanno promesso lo zuccherino di opere e operette inutili e talvolta immorali.
In realtà, la Sicilia sta soffocando non per carenza di finanziamenti, ma per mancanza d’infrastrutture veramente utili e di libertà d’impresa e di mercato che inducono l’imprenditoria sana a scappare o a non venire… (Continua)
(dal mio libro, in corso di stampa, “Immigrazione, la moderna schiavitù”  http://ilmiolibro.kataweb.it/…/immigrazione-la-moderna-sch…/)

giovedì 19 ottobre 2017

Nuovo Libro "IMMIGRAZIONE, LA MODERNA SCHIAVITU' "



INDICE
Introduzione                                                                                       Pag 1

Agli inizi del fenomeno: le proposte della sinistra                           Pag 7
1980. La prima Conferenza nazionale sull’immigrazione araba in Italia e in Sicilia; Introduzione generale di Agostino Spataro, membro della comm/ne Esteri Camera dei Deputati e della Presidenza dell’Associazione nazionale di amicizia italo- araba; 1981. Le proposte del PCI: disegno di legge alla Camera dei Deputati.
                                                                           
L’emigrazione siciliana                                                                      Pag 25
Quando i clandestini siciliani sbarcavano in Tunisia; Sicilia, un secolo di emigrazione; I nostri emigrati; Migranti o emigranti?; Sicilia, riap­pare lo spettro della povertà.

Lampedusa                                                                                          Pag 39
Le strane rotte che portano gli immigrati clandestini in Sicilia; Perché i trafficanti d’immigrati preferiscono sbarcare a Lampedusa?; Lampedusa, un ricordo; Oltre Lampedusa; Flussi migratori, la Sicilia il collo dell’imbuto; Quelli che restano…

La moderna schiavitù                                                                        Pag 59
Morte sotto la luna; L’emergenza prossima futura; Ritorna la schiavitù; Budapest, cronaca di una partenza negata; “Il dramma migratorio deve essere risolto subito”. (intervista a “La Capital”-Argentina)

Accoglienza e multiculturalità                                                           Pag 77
Gli immigrati nell’Italia che verrà: società laica o mosaico di comu­nità?; Minareti e crocifissi: una pericolosa mistificazione; Patria, di tutti o di chi?; Quando un ateo favorisce la costruzione di una mos­chea; La Sicilia sbarca a Le Kram; Servono dialogo e cooperazione.

Che fare?                                                                                            Pag 101
Una conferenza intergovernativa sulle mi­grazioni: Si può ancora trattare con il regime libico?; Parole chiare sull’immigrazione; Fermare la pericolosa de­riva dell’Europa!; Il diritto di non emigrare.

Il dolore e la rabbia di una madre del Sud. (racconto)                    Pag. 133





Introduzione
IMMIGRATI, ACCOGLIENZA NELLA LEGALITA’
1… Con questo libro, frutto di una selezione di miei articoli e interventi, desidero offrire un  contributo al dibattito in corso, soprattutto fra le forze progressiste e di sinistra, sulle migra­zioni attraverso l’area mediterranea che, in vario modo, seguo dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso. Ciò anche per far notare che non parliamo per sentito dire.
Per altro, da figlio di operaio siciliano emigrato, osservo il fe­nomeno da una posizione “privilegiata” essendo la Sicilia divenuta il principale punto di approdo e di transito dei flussi di emigranti. Ov­viamente, non è un problema solo siciliano, ma una drammatica questione globale nata da cause diverse e che interessa tutte le regioni del Sud del mondo: dall’Africa all’America Latina, dal Me­dio Oriente alla Cina, dall’India al Sud est asiatico. Al Sud Europa. Insomma, una “moderna schiavitù” che, come quella dei secoli tra­scorsi, proviene, soprattutto dall’Africa ossia dalla nostra Terra ma­dre, un continente ricchissimo di risorse naturali e di contraddizioni politiche e sociali.
Certe condizioni sono mutate ma non la sostanza. A quel tempo, il traffico schiavistico verso le Americhe era promosso, orga­nizzato da spietati negrieri e mercanti islamici in combutta (d’affari) con cristianissimi armatori europei e latifondisti delle Americhe.
Oggi, i “nuovi schiavi” non vengono cacciati e incatenati come i loro antenati, ma sospinti, incoraggiati, talvolta anche finanziati, ad emi­grare clandestinamente verso questa vecchia Europa, opulenta e mo­rente, dove saranno usati come manodopera irregolare in taluni settori dell’economia locale.

Per giungere in Europa gli immigrati devono sottostare ai tormenti di due “catene” infernali: la prima, fatta di pericoli e di violenze disumane, che si snoda dal luogo d’origine fino alle coste europee; la seconda, fatta di mala accoglienza e di lavoro nero, che li accompagna nei luoghi di destinazione.
Partono all’avventura, soprattutto quelli che sono in grado di pagare l’esoso passaggio ai traf­ficanti della “prima catena”, di sobbarcarsi migliaia di km per deserti inospitali, mesi e mesi di permanenza in terribili campi di concentramento, tra­versate a bordo di natanti precari e rischiosi, ecc.
E, finalmente, quando i più fortunati riescono ad approdare in Europa li attende una seconda, variegata catena di profittatori.
In realtà, questi flussi sono anche incoraggiati dalle grandi oligar­chie globalizzate dominanti che perseguono un obiettivo chiaro e, per loro, molto conveniente: produrre a costi da terzo mondo e vendere a prezzi da primo mondo.

2… Tutto ciò è umano? Chi è il vero razzista: il lavoratore preoc­cupato di perdere il posto di lavoro, la vecchia signora che si lamenta per certi disagi che riscontra nel suo quartiere di periferia o chi or­ganizza e/o sponsorizza tali traffici per trarne vantaggi e profitti scandalosi?
La questione non è nominalistica ma di sostanza ed ha un risvolto specificamente italiano. C’è, infatti, un dato drammatico, larga­mente sottovalutato, ignorato, che segnala una fragorosa ripresa dell’emigrazione italiana. I numeri sono davvero allarmanti. Dai media si  apprende che, negli ultimi anni, sono emigrati all’estero 265.000 cittadini italiani. Si legge che, nel 2016, dalla Sicilia ne siano partiti circa 1.000 al mese!
Immigrazione ma anche emigrazione, dunque.
Comunque sia, di la delle singole situazioni, bisogna affrontare tali problematiche riaffermando i principi di solidarietà nella legalità, secondo  un assunto inconfutabile: il mondo é uno ed é abitato da una sola razza, quella umana! Non ci sono superuomini, popoli eletti e primi dei non eletti! Siamo tutti uguali. Figli dello stesso Sole che ci scalda e della stessa Terra che ci nutre…
Storicamente, l’umanità è stata tormentata da grandi disuguaglianze di classe, oggi acuite dalla ricerca spasmodica del profitto, spesso illecito, come vuole il neoliberismo dominante che produce ingiustizie e nuove povertà; che, di fatto, ha annullato il diritto a un lavoro stabile e sicuro, ha alterato pesantemente, a suo favore, il rapporto capitale-lavoro fino a degradare il lavoratore da persona  a “capitale umano”,  a “risorsa umana” .
Nefandezze che offendono la dignità dei lavoratori e , ancor di più,  quella degli emigrati che si vogliono schiavi e proni ai voleri di padroni e padroncini.
Contro tali ingiustizie le forze di progresso dovranno riprendere la sana abitudine di battersi, unite e dovunque nel mondo, per riformare le società, l’economia secondo principi di equità, nel rispetto della Natura e dell’ambiente, all’insegna della cooperazione fra i popoli e gli Stati, anche per ciò che riguarda l’emigrazione.
A mio parere, l’Europa, per mantenere un livello accettabile e diffuso di benessere, deve far ricorso all’immigrazione. Ma questo non può avvenire, come oggi avviene, in maniera disumana, incivile e illegale. I “corridoi umanitari” invocati possono lenire parte delle  sofferenze ma non estinguerle. Ci vogliono accordi di cooperazione con i Paesi d’origine, per legalizzare i flussi e sottrarli alle catene di profittatori. Gli emigrati dovrebbero venire in Europa con aiuti statali a bordo di mezzi di trasporto moderni e sicuri e, una volta inseriti nelle realtà produttive, devono essere trattati alla pari dei lavoratori residenti. Questa sarebbe la vera svolta! Altro che la carità pelosa, il pietismo d’occasione, invocato anche dagli alti pulpiti.    

3… Ciò detto, andiamo al tema specifico che dovrebbe essere affrontato non con le contumelie, con le intolleranze, odio perfino, ma  con serenità e con  proposte risolutive.
E’ inaccettabile questa conflittualità da “opposti estremismi” che impedisce una discussione libera e proficua, che rischia d’ intaccare perfino il diritto costituzionale di potere esprimere la propria opinione. Della serie: chi più blatera ha più ragione. E dire che, solo pochi mesi fa, abbiamo difeso, a grande maggioranza, la nostra bellissima Costituzione laica e antifascista.
In realtà, siamo in presenza di una colossale mistificazione che vorrebbe dividere gli italiani in razzisti e buonisti!
Si tratta di due rumorose minoranze, due opposti che alla fine convergono: da un lato una subcultura di tipo razzistico, xenofobo che rifiuta l’immigrato per principio, cui si contrappone una subcultura di stile “buonista”, per usare una fraseologia impropria, che non si fa carico di tutti i problemi (e dei diritti) delle comunità d’origine e di accoglienza.
In questo crogiuolo di posizioni convivono posizioni “in buona fede” e mire inconfessabili di carattere elettorale e venale. Il problema è uscire da questa logica paralizzante e ragionare, lottare per una giusta accoglienza nella legalità. A certa “sinistra” impellicciata si deve ricordare che - così agendo - si finisce per favorire l’affermazione elettorale (e culturale) delle destre in Europa e non solo.
Il risultato delle recenti elezioni tedesche e austriache dovrebbe essere di monito. Per tutti. Un’Europa dominata dalle destre non sarebbe un buon viatico, prima di tutto per gli emigrati.

4… Dopo oltre un ventennio di migrazioni  verso l’Italia e l’Europa, appare chiaro che non trattasi di un’emergenza ma di un fenomeno di massa incontrollato, indotto da plausibili cause socio-economiche, sovente strumentalizzate (talvolta alimentate) da certi gruppi di potere locali e internazionali per obiettivi che poco o nulla hanno a che fare con la dignità degli emigrati e con l’umanitarismo da più parti invocato.
Un’emergenza si apre e si chiude entro breve tempo. Quando supera l’arco dei decenni diventa qualcos’altro che abbiamo il diritto di capire e, se del caso, intervenire per regolamentarla, per correggerne le storture.
Ogni Paese ha dei limiti nel suo sviluppo, problemi di compatibilità, di legalità, di bilancio, di sicurezza collettiva di cui devono farsi carico i governi e le forze responsabili, con spirito di solidarietà e in armonia con le norme del diritto nazionale e internazionale.
Intanto ribadendo, con chiarezza, la differenza giuridica fra profughi e altri flussi di migranti. Secondo le vigenti Convenzioni internazionali, i profughi sono persone provenienti da zone di guerra o con gravi limitazioni dei diritti umani, ecc.
Con i mezzi di oggi non dovrebbe essere difficile accertare, in  tempi brevi, lo status giuridico di ogni richiedente asilo.

5… Ogni Stato europeo, firmatario di tali convenzioni, ha il dovere di accogliere i profughi provenienti da ogni parte del mondo, nella misura necessaria e sulla base di un’equa distribuzione sul territorio dello Stato e dei diversi Paesi aderenti all’U.E.
A proposito di accoglienza dei profughi c’è - a mio avviso- un aspetto non secondario, di solito  trascurato, e che riguarda la responsabilità risarcitoria di chi ha provocato il “danno” ossia le guerre, gli atti di terrorismo, le occupazioni militari, ecc. 
Si dovrebbe trovare, cioè, il modo di stabilire, nelle sedi opportune (Onu, tribunale internazionale), un obbligo di accoglienza, commisurato al danno provocato, da parte di quei Paesi che, con il loro interventismo militare e con i loro intrighi politici, hanno generato decine di milioni di profughi dal Medio Oriente all’Africa, al Sud est asiatico, ecc.
Il discorso vale anche per le quote di  partecipazione agli aiuti che la “comunità internazionale” dovrà mettere a disposizione per la ricostruzione dei Paesi distrutti o fortemente danneggiati.
Non é ammissibile, politicamente e moralmente, che i Paesi aggressori, taluni per altro molto ricchi, possano godersi la “scena” delle loro distruzioni e passare il conto all’Europa o comunque a Paesi indenni da tali colpe.
La lista dei Paesi “interventisti” è arcinota. A chi rifiuta: sanzioni, sanzioni, sanzioni!

6… Per i flussi di altro tipo valgono le norme vigenti nei singoli Paesi di accoglienza che i governi devono applicare, invece che stare a guardare o, peggio, assecondare.
So di urtare la sensibilità di molti amici di FB, ma credo che abbia ragione il ministro Minniti quando afferma che: «L'immigrazione è una gigantesca questione epocale, di fronte alla quale una democrazia forte e autorevole non si colloca con l’idea di inseguire il fenomeno, ma con quello di governarlo…”.
Su come “governarlo” e con quali proposte c’è da discutere. Importante è ragionare con la propria testa e sulla base di giudizi ponderati e non di pregiudizi inveterati, come spesso accade.
In attesa delle nuove regole, l’Unione Europea, invece di limitarsi a gestire malamente i flussi,  dovrebbe attivarsi per costruire, insieme ai Paesi d’origine, una soluzione politica duratura e condivisa. Potrebbe promuovere una Conferenza intergovernativa sulle migrazioni per giungere ad accordi, bilaterali e multilaterali di regolamentazione dei flussi, di cooperazione, di aiuto ai Paesi più poveri, finanziando programmi per uno sviluppo auto-centrato e diversificato.
“A chi ha fame - diceva Mao - non si deve offrire un pesce, ma insegnargli a pescare”. A tale fine, appare necessario riformulare gli strumenti d’intervento della cooperazione internazionale, introdurre nuove norme per riqualificare la spesa di settore e rimodulare e re-indirizzare il ruolo delle Ong le quali devono produrre, in loco, istruzione, formazione e, soprattutto, assistenza allo sviluppo economico, occupazione e cultura democratica, ecc. 
Ovviamente, tali ipotesi non sono esaustive. Altre ve ne sono o potranno venire. Il dibattito resta aperto, senza dimenticare un diritto umano fondamentale che ho richiamato nel testo: “Se il mondo fosse più giusto e solidale, dovrebbe riconoscere, e attuare, come primo diritto umano quello di non- emigrare ossia non costringere gli uomini e le donne del Pianeta ad abbandonare la propria casa, la propria terra in cerca di un lavoro, di una vita migliore.
Per chi lo desidera dovrà sempre esserci un diritto a emigrare, di spostarsi liberamente, per scelta non per costrizione. Purtroppo così non è.”
(a.s.- ottobre, 2017)