mercoledì 30 dicembre 2020

POVERO YEMEN!

Sanaa Prima  (foto mia)

Sanaa Oggi


di Agostino Spataro

Lo Yemen, ieri sede di civiltà magnifiche, opulente, oggi é alla disperazione, vittima di massacri, di fame, di malattie a causa di una guerra ignobile scatenata da contrasti interni e sostenuta dai suoi potenti vicini sauditi, con armi e aerei venduti da alcuni paesi del "democratico" occidente. Fra cui l'Italia. Nessuno vede, s'indigna, decreta sanzioni contro queste dittature "amiche". Tutto va bene: dopo le bombe, i massacri, gli esodi arriverà (?) la carità pelosa di certuni che mai si spingono a denunciare le vere cause, i responsabili materiali e morali delle aggressioni e degli abusi. Ai bambini, al popolo yemeniti massacrati non basta l'elemosina; prima di tutto bisogna fermare i bombardamenti e garantire loro la pace, la libertà e la dignità Come ho cercato di documentare in un mio libro (1), lo Yemen possiede risorse importanti, materiali e culturali, per risollevarsi. Lo Yemen ha la pioggia! E' l'unico paese d'Arabia a fruire della pioggia benefica e abbondante, indotta dai venti alisei, che- da sempre- irrora le valli e le verdi montagne yemenite e le rende produttive. Un vero miracolo in mezzo all'arido deserto del "Rab al Khali" che copre l'intera superficie della penisola arabica. Per altro, c'é da dire che nello Yemen l'uso razionale dell'acqua ha una storia antichissima, invidiabile. Addirittura, 1700 anni prima di Cristo fu costruita la grandiosa "Dam" (la diga di cui si parla nella Bibbia e nel Corano) i cui resti si possono ammirare nei pressi della prima Mareb (2), l'antica capitale dei sabei, dove Bilqis (la regina di Saba) realizzò per il suo regno un ruolo-chiave nel sistema dei grandi traffici carovanieri. Bella e intelligente la regina il cui mito ancora resiste nel cuore degli yemeniti, nonostante i gratuiti dileggi tramandati! La storia plurimillenaria dello Yemen si coglie in ogni angolo del suo territorio. Soprattutto a Sanaa, dove si stagliano belle e originali architetture, uniche al mondo. Per la sua singolare e fascinosa bellezza, il centro storico di Sanaa fu dichiarato dall'Unesco "patrimonio dell'umanità".

Purtroppo, molti di questi edifici e monumenti sono crollati sotto i bombardamenti sauditi e le cannonate delle due fazioni in lotta nella guerra civile, frutto avvelenato delle cosiddette "primavere arabe", spesso eterodirette, che- di fatto- hanno spianato la via al potere alle sette integraliste islamiche e rafforzato il ruolo delle dittature petroliere (amiche) del Golfo che, stranamente, non furono toccate dal vento impetuoso di quella ambigua "primavera".

Di fronte a tanto strazio, che dire?

Evidentemente, l'umanità (in realtà i potenti del mondo) non sta proteggendo il popolo yemenita e il suo prezioso patrimonio che- secondo l'Unesco- le appartiene!

Lo Yemen é lo scrigno di (quasi) tutti i tesori d'Arabia. Per dire della sua importanza, della sua unicità richiamo una citazione di Pier Paolo Pasolini (che nello Yemen girò buona parte del suo "Il fiore delle Mille e una notte") il quale, restò talmente attratto dalla storia favolosa di questo Paese, da lasciar scritto: "Architettonicamente, lo Yemen é il Paese più bello del mondo... ".

Insomma, di là dello scontro per motivi religiosi (sunniti contro zaiditi), in realtà questo "scrigno" fa gola agli ingordi, ai prepotenti che vogliono sistemare le cose del Medio Oriente alla loro maniera, secondo i loro interessi geopolitici e geostrategici, secondo le direttive formulate dalla dottrina del "cerchio Mena" e della bizzarra alleanza trilaterale: Usa, Israele e Arabia Saudita.

Per questo é stato aggredito e continua a essere massacrato. Impunemente. A noi che amiamo, intensamente, questo Paese, il suo popolo mite e operoso non resta di augurar loro che il nuovo Anno porti un accordo fra le fazioni in conflitto e quindi la Pace nella regione, per farli uscire dal terribile inferno in cui sono stati gettati. (a,s,)

(1) https://www.sanpaolostore.it/notte-dello-sceicco...

(2) di Mareb ve ne sono tre: la prima é quella di Bilqis; la seconda é una città- fantasma, abbandonata per punizione perché nel conflitto anti Imam (1962) parteggiò con i realisti sostenuti dai sauditi; la terza é l'attuale, divenuta centro organizzativo e base di partenza delle forze di Hadi sostenuto e armato dai sauditi contro gli Hutu (zaiditi) che hanno in mano Sanaa e gran parte del territorio nazionale.

 

 


sabato 19 dicembre 2020

QUANTO PESA L'EGITTO?

 

Macron e il gen. Sissi

di Agostino Spataro
L'orribile morte del giovane ricercatore Giulio Regeni ha riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica (meno degli ambienti imprenditoriali e di governo) il "problema" dei rapporti con l'Egitto ossia con un grande Paese, erede di una fra le più grandi civiltà, purtroppo segnato da un regime politico intollerante, oggi punto nevralgico di confluenza di tre importanti entità geopolitiche e culturali: Islam, Mediterraneo e Africa.
Tre "mondi" che rappresentano il futuro delle relazioni dell'Italia e dell'Europa.
E' prevedibile (taluni l'hanno già messo in conto) che Il Mediterraneo possa tornare a svolgere una funzione di vitale importanza per l'economia, per gli scambi commerciali e tecnologici, per progetti alternativi nel settore energetico, ecc, da mettere al servizio della cooperazione pacifica fra i popoli interessati. Perciò tutti si muovono verso questo mare. Ognuno con i propri interessi economici e geo-strategici. La Turchia, buon ultima, é partita alla conquista della sua quota di "patria blu", sognando i fasti del vecchio impero ottomano.
Certo, bisogna fare di tutto per accertare e perseguire le responsabilità in ordine all'orrendo delitto, senza dimenticare, però, che il problema dei diritti umani non si pone solo per l'Egitto, ma, in misura e intensità diverse, in quasi tutti i Paesi di tradizione islamica (specie nelle "dittature amiche" del Golfo che nessuno disturba) e nei territori palestinesi occupati dagli eserciti israeliani.
Purtroppo, in questa delicata materia c'é dove si vede troppo e dove si vede poco o nulla!
Per certi aspetti, il problema comincia ad avvertirsi anche in casa nostra, dove si fanno strada, anche per effetto della pandemia, tendenze liberticide e provvedimenti che cozzano con i principi democratici della nostra, ancora vigente, Costituzione.
Ma torniamo all'Egitto.
Dalla nazionalizzazione del Canale di Suez del 1956 (per ottenerla ci volle una guerra contro l'aggressione congiunta di G.B, Francia e Israele), il peso internazionale dell'Egitto si é accresciuto enormemente sul piano politico e culturale. In quella drammatica contingenza Nasser ottenne il sostegno dichiarato, politico e militare, delle due superpotenze: Usa e URSS. Il che vuol dire qualcosa, anche per l'oggi.
Dopo questa clamorosa vittoria, il ruolo, l'influenza dell'Egitto di Nasser crebbero, soprattutto nei Paesi di tradizione islamica. Sul piano interno lo scontro si focalizzò su due tendenze autoctone contrapposte: il nasserismo e il fondamentalismo dei Fratelli musulmani. Tale schema sopravvisse, seppur con molte contraddizioni, fino alle dimissioni di Moubarak.
Nell'ultimo decennio, in un contesto arabo-mediterraneo segnato da preoccupanti tensioni e nuovi protagonismi nazionalistici, la realtà politica egiziana é mutata.
E non tanto per effetto dell'effimera "primavera" che semmai favorì il disegno dei "Fratelli musulmani" che vinsero le elezioni legislative e presidenziali (Morsi) mettendo in discussione i capisaldi che, per oltre mezzo secolo, avevano caratterizzato la politica interna ed estera egiziana.
E' cambiata perche sono cambiati i referenti internazionali nel Medio oriente, dove si affacciano nuove alleanze e strategie basate su sorprendenti convergenze fra petromonarchie del Golfo, Israele e USA. Pertanto, il ruolo attuale dell'Egitto, divenuto più complesso, difficile da decifrare. non é dato soltanto da certe immagini-standard quali le piramidi, il Nilo, il fiorente mercato delle armi, i nuovi giacimenti petroliferi, ma, soprattutto, dal fatto che il governo egiziano (oggi il gen. Sissi, ieri i suoi predecessori) controlla il Canale di Suez attraverso cui passa un crescente flusso di merci nel 2017 corrispondente al 9% del commercio mondiale.
Merci che, in gran parte, viaggiano da Nord verso Sud ed Est ossia dall'Europa verso i grandi mercati arabi, cinese, indiano, giapponese, ecc.
L'eventuale chiusura del Canale (dal 2015 raddoppiato) o la limitazione dei passaggi sarebbero un disastro economico per l'Europa e, in senso inverso, per le potenze petrolifere del Golfo, per la Cina e per l'India, ecc, ecc.
A conferma, riporti pochi
dati di fonte confindustriale militare:
"Nei primi 9 mesi del 2017, sono transitate attraverso il canale 667,8 milioni di tonnellate di merci (+9,8% rispetto allo stesso periodo del 2016). Da notare che aumenta significativamente il traffico nella direzione Nord-Sud (+18,9%), cioè dal continente europeo all’Asia, ma è in crescita, seppure in maniera minore, anche quello nella direzione opposta (+1,4%)." (Il Sole 24 ore)
"Nel 2018, con un indice di 70,3, l’Egitto è risultato al 18° posto al mondo (la Cina è al primo). E’ il terzo tra i Paesi MENA e secondo tra quelli del Sud del Mediterraneo. L’espansione del Canale di Suez ha contribuito al miglioramento della competitività marittima dell’Egitto (nel 2015 l’indice era pari a 61,5).
- Il Canale di Suez si conferma uno snodo strategico per i traffici marittimi mondiali mercantili; oltre il 9% del commercio internazionale del globo utilizza questa grande via di passaggio.
- La crescita delle merci in transito registra valori importanti, confermata anche nel 2018, anno in cui è stato segnato il doppio record, in termini di numero di navi (oltre 18 mila, +3,6%) e di cargo trasportato (983,4 milioni di tonnellate, +8,2%).
Tutto ciò spiega perché la Francia, che ha interessi assai vasti e multiformi in Egitto e dintorni, ha insignito della "Legion d'honneur" anche il generale Sissi così come tantissimi altri personaggi simili o difformi.
Ma quanti "legionari" ci sono in giro per il mondo?

Articolo connesso" Petrolio e dittature": http://www.infomedi.it/petrolio-dittature.htm

martedì 15 dicembre 2020

FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA: PALERMO CANTIERE MEDITERRANEO

UN'IDEA DEL PCI DEI PRIMI ANNI '80 

"L'ORA" del 31 gennaio 1981- Periodico italo - arabo


di Agostino Spataro

Dal Giornale di Sicilia di oggi apprendiamo che “Palermo diventa polo mediterraneo per la costruzione di nuove navi: è stato firmato, infatti, nella sede di Fincantieri a Roma, da Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia occidentale, e Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri…”                                Finalmente, si potrebbe dire. Dopo decenni di lotte portate avanti da un fronte di forze sociali, culturali e politiche per rivendicare la salvaguardia dei posti lavoro e un ruolo mediterraneo per il cantiere navale di Palermo.     

Si é lasciato passare tanto tempo prezioso, facendo perdere tante opportunità create, in questi ultimi decenni, dalle grandi trasformazioni industriali, tecnologiche, commerciali, ecc.

Il mancato rilancio del cantiere palermitano ha provocato fenomeni di ridimensionamento, di dequalificazione, di marginalizzazione. Solo grazie alle dure lotte delle maestranze si é riusciti a impedirne la chiusura.
Eppure non era difficile capire come, a partire dalla seconda metà degli anni 70, l'asse dello sviluppo dei trasporti marittimi si spostava, sempre più, verso il Mediterraneo al centro del quale ci sono la Sicilia e il cantiere palermitano.
Si è disconosciuta la centralità mediterranea geo-economica dell'Isola, sacrificandola sull'altare della militariz-zazione (anche nucleare) e della creazione di un hub energetico (petrolio, gas, raffinazione, chimica di base, ecc) posto al servizio dello sviluppo del centro-nord italiano.
Una lotta esemplare quella per la difesa e il rilancio del cantiere navale di Palermo che é stata condotta sul terreno sociale, sindacale, ma anche in sede politica e parlamentare, soprattutto dalle forze della sinistra e in particolare dal Pci e dai suoi organi di stampa, primo fra tutti il quotidiano "l'Ora".
Il Pci si batté per salvare e rilanciare, come polo strategico, il cantiere palermitano, in raccordo con altre strutture cantieristiche operanti nell'Isola.

Già a partire dal 1981 lanciammo l'idea-proposta di "Palermo, cantiere mediterraneo" e, in tal senso, sviluppammo diverse iniziative politiche e parlamentari (all' Ars e alla Camera dei Deputati), anche a sostegno delle dure lotte dei lavoratori e dei loro sindacati che difendevano il posto di lavoro e il futuro del cantiere palermitano.
Dopo l'avvio felice della fase della cooperazione fra Italia, Sicilia e il mondo arabo (inaugurata con la realizzazione del grandioso metanodotto Algeria-Tunisia- Sicilia- Italia), elaborammo una vera e propria strategia di cooperazione siculo-araba che inglobava i settori più rilevanti dell'economia siciliana e dei Paesi arabi rivieraschi del Mediterraneo: dall'energia alla chimica fine; dalla cantieristica alle società miste di pesca; dai circuiti turistici integrati agli scambi culturali; dalle nuove tecnologie alle fibre ottiche; dai flussi migratori arabi verso l'Italia e la Sicilia a quelli siciliani verso i paesi arabi, dagli scambi agricoli e commerciali alla Banca mediterranea per lo sviluppo, ecc.
Insomma, una vera programmazione cui contribuirono le forze politiche presenti all'Ars, i governi regionali, i grandi Comuni, le province, le forze sindacali e imprenditoriali.
Uno sforzo immane, originale (aderente a sano spirito autonomistico) che cercai di riassumere nel mio libro "Oltre il Canale- Ipotesi di cooperazione siculo-araba" -Edizioni delle Autonomie, Roma, 1986, fra cui la problematica relativa alla cantieristica palermitana e siciliana.


Intorno a tali ipotesi si sviluppò un grande dibattito. Tuttavia, poco o nulla si fece  per  valorizzarle,
 realizzarle. 
Per indolenza nostrana, ma anche per un'opposizione evidente dei governi nazionali (specie quello presieduto 
dal senatore Giovanni Spadolini) che temevano una sorta di "fuga in avanti" della Sicilia verso il mondo arabo.
Preoccupazioni infondate che però hanno ostacolato tanti progetti, fatto sfumare tante occasioni di sviluppo nella cooperazione pacifica e reciprocamente vantaggiosa, in un contesto, allora, più favorevole dell'attuale. 
Comunque sia, oggi, é arrivata la buona notizia. La rileviamo con il più vivo interesse non per rivendicare primati, ma solo per domandare: ma perché ci sono voluti più di tre decenni per fare qualcosa di buono per il progresso della Sicilia? 

Agostino Spataro

(15 dicembre 2020)

martedì 8 dicembre 2020

L’EUROPA CHE STIAMO PERDENDO. IL CASO DELL'UNGHERIA

 

Sommario: A Budapest la fabbrica del populismo. Una sorda lotta per la leadership;  L'equivoco sul "sovranismo": la sovranità é un valore non una colpa da emendare; La depressione dello spirito pubblico europeo; Voto del 26 maggio in Ungheria: Orban verso il 50%?; La “sinistra” ungherese debole e divisa e carica di errori; Più Europa per assorbire i separatismi e le conflittualità territoriali; L'Europa che stiamo perdendo.   

Per ragioni familiari, frequento l'Ungheria da oltre 50 anni. Amo questo Paese, la sua splendida capitale, il suo popolo che certamente merita un futuro più degno. Ammetto che nonostante certe frequentazioni (soprattutto a sinistra) non sempre è facile capire e, soprattutto, far capire la sua realtà politica, certe dinamiche. Ancor di più quando si viene di fretta a Budapest (o si telefona all'amico giornalista) per scrivere articoli pre-confezionati- come fanno alcuni inviati dall’Italia- senza sforzarsi di analizzare le ragioni più profonde della crisi di questo Paese e del successo elettorale di Orban e della sconfitta della sinistra alla quale per ben 4 volte (dopo l’89) gli elettori ungheresi affidarono la responsabilità di guidare il governo.

A Budapest la fabbrica del populismo. Una sorda lotta per la leadership

Orban mira a collocarsi nel mezzo, a candidarsi come mediatore fra le due entità. Anche per recuperare appieno la fiducia del PP. La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini. L’assenza dei rappresentanti di Fidesz a Milano conferma l’esistenza all’interno dell’area populista di questa sorda contesa. Ma i sostenitori di Orban non hanno dubbi: a lui spetta la leadership.                                                                                                        Secondo il quotidiano magiaro (https://magyarnemzet.hu/…/diplomaciai-nagyuzem-az-unios-va…/ ), filo governativo, l’Ungheria è oggi una “grande fabbrica” della diplomazia europea e internazionale. E qualche ragione l’hanno. Infatti, l’Europa neo-conservatrice si riconosce, ruota intorno alle politiche populiste di Orban che si atteggia a leader di tale corrente e a grande statista di livello internazionale.

Certo, in ciò c’è l’enfasi della compiacenza mediatica verso il potente di turno (cosa che accade dovunque nel mondo), tuttavia la pretesa non è da sottovalutare. Negli ultimi tempi, Orban si è reso protagonista di una vera offensiva diplomatica. Un turbinio d‘incontri al massimo livello con i principali leader internazionali: da Putin a Ching-Ping, dal premier israeliano Netanyahu, costruttore di muri e tenace persecutore delle popolazioni palestinesi, al reazionario presidente brasiliano Bolsonaro, al recentissimo ricevimento di Trump, a Washington, di cui si è detto.

Con queste solide relazioni internazionali e con il PIL in crescita del 4,9 %, un saldo positivo della bilancia commerciale di circa 6 miliardi di euro e una disoccupazione (dichiarata) al 3%, (fonte: dati 2018, da Infomercati- Min. Esteri/Italia, 2019), Orban naviga piuttosto tranquillo (come qui molti prevedono) verso la riconferma del 50% nel voto di domenica prossima. Difficile capire esattamente cosa potrà accadere.                                                                                                                                      Una cosa è certa: il fenomeno Orban esiste e, in qualche misura, potrà incidere sul gioco politico del primo gruppo del parlamento europeo. Bloccarlo è difficile, tanto più se si continua a combatterlo soltanto con gli insulti, con i luoghi comuni. Senza sforzarsi d’indagare le ragioni del suo successo, le motivazioni di questa massa di elettori che, puntualmente, votano Fidesz. Anche per l’Ungheria vale il detto secondo cui “l’elettore ha sempre ragione”.                                          Perciò, si raccomanda ai commentatori un po’ più d’umiltà, meno certezze e più impegno d’analisi per cercar di capire le cause di questa spinta al populismo. Perché il successo di Orban, creatura politica di Soros, oggi suo acerrimo nemico? Anche qui: che cosa hanno visto l’uno dell’altro che noi non sappiamo?                                                                                                                                            Davvero una bella domanda alla quale si può rispondere con il motto: “Se lo conosci lo eviti”.

L’equivoco sul “sovranismo”: la sovranità è un valore non una colpa da emendare.

Ma torniamo al populismo che consiglio di non chiamare “sovranismo” perché si fa un altro favore ai populisti. Sovranismo? Che cosa vuol dire? Si tratta, infatti, di una specie di “parola d’ordine” ripetuta ossessivamente sulla stampa. Impartita da chi? Il risultato potrebbe essere controproducente. Infatti, non basta un “ismo” per dileggiare la sovranità popolare ossia una delle più grandi conquiste della Storia, a base della nostra vigente Costituzione. La sovranità nazionale è un valore fondante e condiviso e non una colpa da emendare, da espiare.                                                                    

E poi perché pretendere tale rinuncia soltanto dai Paesi europei? Provate a mettere in discussione la sovranità nazionale degli Usa, della Cina, della Russia? Del piccolo stato d’Israele che vorrebbe estendere la propria sovranità oltre il territorio concesso dall’Onu, sui territori dei palestinesi, dei siriani, ecc ?

Inoltre, dove sta scritto che la sinistra debba rinunciare a valori fondanti (costituzionali) quali la sovranità, l’identità culturale, ecc. ? La sinistra, di fatto, li ha abbandonati e il populismo, le destre se ne sono appropriati. Per altro, nessuno pretende una difesa di tipo integralista. Sappiamo benissimo che in certi casi si possono cedere quote di sovranità (già ne sono state cedute), ma sapendo esattamente in quali mani andranno a finire e per quali scopi.

In realtà, non si vuole la corresponsabilità, la condivisione dei progetti, ma solo fiaccare, indebolire la sovranità nazionale dei popoli europei destinati ad accodarsi ai disegni egemonici delle superpotenze economiche e militari.

La depressione dello spirito pubblico europeo

Anche sulla drammatica questione dell’immigrazione si è voluto ingigantire, allarmare oltre misura. In realtà, di fronte ai grandi problemi attuali dell’Europa quello dei flussi migratori non è da considerare come prioritario. Ovviamente, non si dovrà sottovalutare, ma operare per risolverlo con politiche di cooperazione con i Paesi d’origini, sulla base di una rinnovata disponibilità all’accoglienza, nella solidarietà e nella legalità. Invece, si è voluto privilegiare il tema dell’immigrazione, scatenando una guerra politica e mediatica, per eludere le vere grandi questioni che riguardano il presente e il futuro dei popoli europei.

Tutto ciò scoraggia, deprime lo spirito pubblico degli europei e favorisce l’insorgere dei populismi che, certo, sono un prodotto della crisi, ma anche una demagogica pretesa a rappresentare le paure, le reazioni della gente che si sente minacciata dai processi neoliberisti. A mio parere, i populismi sono anche conseguenza del grande vuoto, sociale e politico, lasciato dalla sinistra riformista e/o socialdemocratica, inopinatamente, passate dal campo del mondo del lavoro a quello del capitalismo neoliberista e globalista. Mai come oggi il conflitto capitale/lavoro è stato così acuto e asimmetrico, a favore del primo. In questo spazio, animato da masse di cittadini senza un lavoro certo, con meno diritti, abbandonati al loro destino, si sono inseriti, con discorsi ingannevoli, i movimenti, i partiti populisti, i gruppi della destra neofascista, mietendo insperate adesioni e disperati consensi elettorali. E ora siamo qui, in attesa del voto, sperando che l’elettorato non rafforzi loro e indebolisca l’Europa. Poiché è chiaro che tali movimenti mirano a indebolire, fors’anche a distruggere l’Unione europea, invece che riformarla, in senso democratico e sociale, come sarebbe necessario.

Voto del 26 maggio in Ungheria: Orban verso il 50%?

Aggiungo, da giornalista”senza giornale”, che non è vero che, dopo l’89, il popolo ungherese ha compiuto una sorta di opzione nazionalista, sciovinista perfino. Prima dell’affermazione di Orban, per ben 4 volte l’elettorato magiaro ha dato la maggioranza al Mpsz ossia al partito socialista erede di quello “unico” del vecchio regime. I suoi leader (tutti qualificati esponenti del regime di Kadar) divennero primi ministri, presidenti della Repubblica, ministri, commissari europei, ecc. In sostanza, quegli stessi ungheresi che oggi votano Orban (48,9%), taluni anche il Jobbik (un partito reazionario, al 19,6%) non ebbero pregiudizio verso la sinistra, anzi la preferirono.                              

Il ripensamento nacque quando irruppe sulla scena Victor Orban il quale abbracciò, in modo spregiudicato, le bandiera del populismo, del vittimismo e dell’anticomunismo. In ciò sostenuto dal suo mentore, il multimiliardario George Soros, ungherese di nascita e Usa di adozione, con un passato, e un presente, in gran parte da chiarire.

Al centro del suo discorso pose le paure di perdere l’identità nazionale, dopo avere perso gran parte del territorio nazionale (Trianon). Il Fidesz, sospinto dal partito ultradestra Jobbik, divenne il campione della riscossa magiara contro i “torti” storici, contro le ingiustizie provocate dalla vecchia Europa del primo dopoguerra e da quella attuale, unitaria, con capitale Bruxelles. Certo, qui tutti (anche gli avversari) riconoscono a Orban qualità politiche fuor del comune, frammiste a una spregiudicatezza senza limiti. Viene dipinto come vero “animale politico”, dotato di fiuto e di carisma, di capacità di manovra, di saper fare squadra a suon di premi politici e/o affaristici.

 La “sinistra” ungherese debole e divisa e carica di errori.

Tuttavia, la sua fortuna politica fu agevolata dagli errori della sinistra nella gestione governativa e, soprattutto, dall’attuazione del programma di privatizzazioni dei settori portanti dell’economia ( dalle industrie alle catene commerciali, dall’immobiliare alle strutture alberghiere, ecc,) a favore di capitali provenienti dalle multinazionali europee e d’oltreoceano, ma anche da Russia e Cina. E da altre fonti. Come dire, se ai propri meriti si aggiungono i demeriti altrui il trionfo è assicurato. Così accadde in altri Paesi europei, fra cui l’Italia. In Ungheria, dove lo stato si era ridotto all’osso e l’economia era in asfissia per mancanza d’investimenti pubblici e privati, il danno fu assai più grave. Il popolo ungherese visse la svendita del patrimonio pubblico come un secondo tradimento, dopo quello catastrofico del trattato di Trianon che, cent’anni fa, tolse all’Ungheria più della metà del suo territorio storico. In questi giorni, a piazza degli Eroi, il luogo più patriottico e visitato di Budapest, è possibile ammirare 72 bandierine di altrettante città (perdute o sottratte) che vanno dalla Transilvania (oggi rumena) alla Slovacchia, dalla Croazia alla Serbia. A questi ungheresi irredenti Orban ha concesso la doppia cittadinanza, una serie di agevolazioni commerciali e il diritto di voto per le consultazioni magiare. Oltre mezzo milione di elettori che fanno la differenza. Anche questo è un aspetto serio del problema.

 Più Europa per assorbire i separatismi e le conflittualità territoriali.

E inutile dire che su tali “ingiustizie” continuano a soffiare i demagoghi di tutte le risme, gli irredentisti nostalgici, la destra di Jobbik e ancor di più il Fidesz di Orban il quale, per non farsi scavalcare, alza la posta, con il consenso dei vertici della chiesa cattolica. E dire che questo dramma, e i diversi “separatismi” presenti in Europa, potrebbero essere risolti, senza rotture e/o improbabili modifiche dei confini, con “più Europa” ossia con l’attuazione del progetto di unione politica effettiva dei popoli europei enon delle multinazionali. Questa è la via, l’unica possibile da percorrere. Correggendo, però, gli attuali indirizzi politici, economici e i vigenti meccanismi di gestione dell’euro; superando le pratiche consociative subalterne (con forze e interessi extraeuropei) che stanno vanificando quel tanto di positivo fino a oggi prodotto. E’ chiaro che, in questa eventualità gli Stati diventerebbero un’articolazione funzionale di un’Europa democratica e solidale nella quale tutti i cittadini si potrebbero riconoscere. Nonostante le gravi difficoltà attuali, questo percorso può essere ripreso e concluso con successo. L’Europa può ridiventare una bandiera, una speranza per le nuove generazioni, per tutti i popoli europei per un futuro di pace e di solidarietà.

Se si vogliono battere il populismo e isolare le destre fascisteggianti, la sinistra (quella autentica), insieme a tante altre forze sinceramente europeiste devono rioccupare gli spazi perduti e intraprendere, dopo il voto, uno sforzo congiunto per un serio processo di riforma delle politiche e delle istituzioni europee. E’ assurdo che voteremo per un Parlamento che non ha poteri legislativi ampi e vincolanti; così com’è incomprensibile che i vertici, il governo della U.E., siano nominati e non eletti. Così come sono, dette istituzioni non servono granché, tranne che agli addetti ai lavori. La regola aurea della democrazia recita: senza controllo democratico ogni potere può trasformarsi in abuso.

 L'Europa che stiamo perdendo…

E’ inutile girarci intorno. L’Europa è assediata non tanto dai migranti (che vanno accolti nella solidarietà e nella legalità), quanto da mire e disegni d’influenza di potenze e superpotenze vecchie e nuove. La navicella della nostra Europa arranca, vacilla a ogni zaffata di vento che proviene dall’Oriente asiatico o da oltre Atlantico. Bisogna prendere atto della necessità di un ruolo autonomo di sviluppo e di pace dell’Europa i cui interessi non sempre coincidono con quelli dell’uno e dell’altro blocco di potere. Così come è stata progettata, costruita e diretta, l’U. E. non ha un futuro certo. Continuerà a oscillare, a districarsi fra una decadenza che sembra ineluttabile e una sorta di servitù volontaria dei suoi ceti dirigenti, subalterni ai disegni delle oligarchie finanziarie e delle super potenze. Resterà impigliata fra tentazioni nazionalistiche autoritarie (la nuova destra eterodiretta) e malcelate dipendenze di forze europeiste importanti che sembrano aver rinunciato a battersi per un ruolo autonomo della nuova Europa . Tutto ciò e altro hanno creato una condizione politica e morale negativa che provoca sfiducia, smarrimento nei cittadini i quali percepiscono la crisi come un assedio, mossa da più parti, scatenato, che potrebbe condurre l’U.E. alla dissoluzione. Reale o presunta, questa è la sensazione che molti hanno.

Una sensazione, dunque, diffusa che evoca altri, veri assedi della storia che videro crollare imperi e grandi civiltà. Memorabile è rimasto il lungo assedio mosso dai turchi ottomani contro Costantinopoli che resistette con fierezza e spirito di sacrificio, anche perché ben protetta dalle sue munite mura che nessuno era riuscito a penetrare. Fino al 29 maggio (!) 1453. Quel giorno cadde l’ultimo baluardo della civiltà greco-romana. Talune fonti ci dicono che la fatale caduta avvenne perché quella mattina apparve sotto le possenti mura un supercannone che riuscì a sfondare i contrafforti e ad aprire diverse brecce che consentirono alle armate ottomane di dilagare dentro la città. Si dice anche che l’inventore di questo supercannone fu un ungherese di nome Orban. Ovviamente, ogni riferimento a fatti e a persone realmente esistenti è puramente casuale.

Agostino Spataro- biografia in: https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro

 

giovedì 3 dicembre 2020

LA GUERRA CONTRO I VECCHI

 





di Agostino Spataro *

“…Questi vecchi ingombranti, longevi, con le loro case e pensioni e i loro risparmi, costituiscono una sorta di “potere” a se stante, ostativo della strategia di precarizzazione e di sottoproletarizzazione delle nuove generazioni…”                                                                                                                       “… Mettere i figli contro i padri è un risvolto davvero odioso, pericoloso che potrebbe rompere la catena della solidarietà umana, familiare e sfociare in una sorta di guerra fra generazioni…”

 

1… All’orizzonte del nostro presente, e ancor più del vostro futuro, si profila uno scontro sociale e morale inedito, atipico: una lotta, anche impietosa, contro i vecchi longevi, contro la longevità tout court. Da tempo, se ne avvertono i segnali, purtroppo passati quasi inosservati da chi (media, dirigenti  politici, leader religiosi, ecc) dovrebbe rilevarli, criticarli, contrastarli.                                                Una guerra strisciante ma crescente e, soprattutto, non dichiarata. Solo alcuni hanno avuto l’imprudenza di parlarne, apertamente. Anche in Italia. Voci dal sen sfuggite?                                                              Lo vediamo anche in questa maledetta pandemia del Covid 19 che si accanisce, mortalmente, contro le persone anziane. La qualcosa da certuni é accolta con rassegnazione quando non, addirittura, come un dato “confortante”, desiderabile poiché il Coronavirus sta facendo il “lavoro sporco” che i decisori non si possono permettere di fare : togliere di mezzo e dalle liste delle pensioni tantissime persone considerate “improduttive”.                                                                                                                          Fra le tante immoralità che fioriscono in tempi di neo liberismo senza freni e di “democrazia illiberale” (entrambi facce della stessa medaglia) questa appare una fra le più vergognose e riprovevoli.              Poiché al centro di questa guerra c’è la vita umana nel suo naturale sviluppo ossia un principio sacro (anche nella sua accezione laica) che é una fra le più grandi conquiste della civiltà umanitaria, solidaristica e progressiva degli ultimi secoli.                                                                                          Ma perché si fa la guerra ai vecchi?                                                                                                          Tentiamo di capire. Non credo si faccia soltanto per un perverso sentimento d’ingratitudine o per una degenerazione eugenetica (tipo nazisti per intenderci), ma per ragioni assai più concrete dettate dal materialismo vorace, dal profitto illimitato del capitalismo neoliberista penetrato anche nei gangli vitali dello Stato e dei suoi enti.                                                                                                                    In Italia, molti anziani sono proprietari di case e titolari di una quota importante del risparmio, soprattutto postale. Una gran massa di denaro accumulata negli anni, con sacrifici e rinunzie, in  autotutela personale e familiare, come garanzia di sopravvivenza nei tempi difficili che sono, appunto, quelli della vecchiaia. A ben vedere, negli ultimi tempi, case e risparmio sono entrati nel mirino del “raggio della morte”, divenendo obiettivi di rischiose manovre di natura speculativa. E dire che la vigente (poiché - grazie al voto degli italiani- non è stata modificata) Costituzione italiana prescrive la tutela del risparmio di tutti i cittadini.                                                                                                       Questi vecchi ingombranti, longevi, con le loro case e pensioni e i loro risparmi, costituiscono una sorta di “potere” a se stante, ostativo della strategia di precarizzazione e di sottoproletarizzazione delle nuove generazioni. 

2… Oggi, grazie ai loro vecchi, molti figli e nipoti, spesso inoccupati, possono resistere alle umiliazioni, ai soprusi del cosiddetto “mercato del lavoro” (che definizione schifosa: il lavoro, i lavoratori e le lavoratrici non sono merci che si vendono e si acquistano al mercato!) che li vorrebbe trasformare in manodopera precaria e sottopagata, concorrente con quella importata illegalmente. Insomma, gli anziani (italiani e d’altri Paesi) dopo una vita di duro lavoro, di lotte per il loro e per l’altrui benessere, cercano di sopravvivere con i loro acciacchi e con le loro modeste pensioni. E’ nel loro diritto. Non fanno nulla di male. Anzi sono un fattore di stabilità del sistema e di tenuta dell’ordine sociale e della sicurezza pubblica democratica.                                                                                      Eppure i vecchi sono oggetto di un attacco subdolo proveniente da più parti, soprattutto da talune istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale e, talvolta, anche la BCE, ecc) che li considerano “improduttivi” e divoratori di spesa sociale. Mai che a questi soloni venga in mente di proporre la riduzione delle spese militari. Quelle sì inutili e distruttive.                                                      A tale indirizzo si accodano vari governanti, presi a leasing, e la gran parte dei media di regime che lo amplificano. Si possono citare tante prese di posizioni, mi limito a questa del FMI, riportata dal Corriere della Sera (del 11/4/2912), che propone l’innalzamento dell’età pensionabile e/“ove non sia possibile agire su questo versante bisogna permettere «flessibilità» sulle prestazioni agli enti pensionistici: «dove non si possono alzare contributi o età pensionabili, le prestazioni potrebbero dover essere abbassate».   Un dilemma stringente, impietoso: alzare l’età pensionabile o ridurre il livello di assistenza sociale e sanitaria che in entrambe le ipotesi può portare alla morte anticipata dell’anziano.                            Giacché  alzare l’età pensionabile vuol dire aggravare il processo di logoramento fisico e psichico dell'anziano/a (per altro bloccando il turn over), e così“abbassare le prestazioni” vuol dire non fornire più, nella misura necessaria, l’assistenza  sociale e sanitaria ai vecchi lavoratori che fuoriescono dai parametri del FMI.

3… I fautori di tali teorie e pratiche dimenticano che la gran parte di questi vecchi sono stati i costruttori della nuova Italia repubblicana, gli artefici del boom del dopoguerra, i produttori della ricchezza della nazione che- in tempi di “prima Repubblica”- raggiunse il quinto posto nella lista delle potenze economiche del pianeta.                                                                                                          Oggi, coloro che hanno provocato, in vario modo, la decadenza economica e l’indebitamento grave del Paese, fanno sapere in giro che il PIL non ce la fa a coprire i diritti sociali dei vecchi lavoratori: operai, contadini, braccianti, minatori, tecnici, impiegati, artigiani, artisti, ecc.                                                                                Ora, nessuno vuol negare l’esigenza di una verifica appropriata per, eventualmente, correggere talune storture, ma non si può consentire di porre in discussione la tutela della salute e della vita umana.    Perché di questo si tratta: si vuole usare la morte (in anticipo rispetto alle aspettative di vita) come rimedio per risolvere la crisi sociale e di bilancio.                                                                                   Un utilitarismo spietato contro i vecchi che non producono PIL, ma lo consumano.                              La verità è che questi signori, per non ammettere il fallimento delle loro politiche economiche e sociali, hanno bisogno di montare una colossale mistificazione della realtà, di rompere la coesione sociale, di promuovere, favorire la divisione dei sindacati, della società, delle famiglie.                                          Infatti, in contemporanea c’è un’altra campagna, soprattutto mediatica, mirata a portare la divisione, lo scontro anche all’interno delle famiglie, fra le generazioni.                                                                    Non hai un lavoro, una casa, non ti puoi sposare? La colpa non è di governi incapaci di creare opportunità per i giovani, di una legislazione iniqua introdotta per favorire il precariato, il lavoro nero, clandestino, ma di tuo padre, di tuo nonno che, da biechi egoisti, si vogliono godere la sudata pensione con la quale fanno studiare, vivacchiare i figli inoccupati e/o sfruttati con contratti vergognosi.    Nessuno parla delle scandalose e sospette fortune accumulate, della voragine dell’evasione fiscale che, certo, non riguarda i pensionati e i lavoratori dipendenti.                                                                  L’intento è chiaro: deviare sui genitori l’immensa rabbia dei giovani che non intravedono un futuro degno. Mettere i figli contro i padri è un risvolto davvero odioso, pericoloso che potrebbe rompere la catena della solidarietà umana, familiare e sfociare in una sorta di guerra fra generazioni. Un perfido tranello nel quale- si spera- i giovani non cadano.

Agostino Spataro

 (3 dicembre 2020)

Biografia:  https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro

 

 

domenica 15 novembre 2020

CHE COSA CI FACEVA UN AUSTRIACO ARMATO DI COLTELLO A SERRAMANICO DIETRO LA PORTA DI BERLINGUER AGONIZZANTE?



di Agostino Spataro

Questa non la sapevo...

La mattina del 11 giugno 1984, un individuo stazionava, con fare sospetto, dietro la porta della stanza dell'ospedale di Padova,dove Enrico Berlinguer lottava tra la vita e la morte,  Qualcuno chiamò la polizia la quale fermò il giovane sospetto e accertò (vedi verbale della Questura di Padova) che trattavasi di un austriaco, proveniente da Viennaarrivato a Padova il giorno prima (ossia il terzo giorno di quella drammatica agonia che commosse l'Italia e il mondo) e che l'indomani mattina andò a piazzarsi, senza difficoltà e armato di un coltello a serramanico, dietro la porta della stanza in cui era ricoverato il segretario generale del Pci ossia del più grande e importante partito comunista d'Occidente.                   


Com'é noto, nel primo pomeriggio dello stesso giorno Enrico Berlinguer si spense dopo 4 giorni di agonia.                

Questi i fatti che inducono a porsi almeno due semplici domande: 

a) che cosa ci faceva quell'austriaco armato dietro la porta della stanza di Berlinguer?  b) perché l'episodio, assai strano e inquietante, non fu portato a conoscenza dell'opinione pubblica? 

Infatti, tranne un trafiletto (qui allegato) de "Il Corriere della Sera" (ripreso da Ansa), stranamente nessun altro giornale, Tv e/o altre fonti interessate diedero la notizia.  Per la cronaca: l'austriaco fu arrestato (vedi verbale completo Questura di Padova), processato e condannato per porto abusivo di arma. La pena fu lievissima e, per giunta, sospesa con la condizionale.                                                                                                                          Ora, la procedura giudiziaria sarà stata regolare, ma non si comprende come mai sul piano politico e della corretta informazione non si ritenne di dare al fatto e al suo bizzarro autore  una più ampia informazione per l'opinione pubblica italiana e internazionale, per i compagni e gli estimatori di Enrico Berlinguer che, praticamente, non ne seppero nulla. E questo non é regolare! Sarà stato un esaltato, un provocatore, un mero esibizionista? Non si sa.

Non vogliamo trarre conclusioni affrettate, né ipotizzare e/o condividere chissà quali scenari. Nemmeno quello affacciato dall'autore del saggio da cui abbiamo tratto la "notizia" (1) 

(1) Andrea  Montella su "Iskra" del 15/9/2010                                    http://www.iskrae.eu/riflessioni-sulla-morte-dei-tre-segretari-del-pci-e-la-situazione-attuale/

Tuttavia, non si può non rilevare che chi gestì, a vario titolo, quella tragica situazione aveva il dovere di far conoscere l' episodio e, possibilmente, spiegarne il senso, la finalità. 











sabato 14 novembre 2020

IL PCI NON MORI' DI MORTE NATURALE

 

di Agostino Spataro


(Agrigento,1974. A. Spataro introduce la grande manifestazione popolare del Pci per il divorzio conclusa da Enrico Berlinguer

Francamente non immaginavo che un mio post su FB, relativo allo scioglimento del PCI, potesse provocare  una vivace discussione che - nonostante qualche asprezza polemica- considero un buon segno di vitalità, di desiderio di conoscenza. Per ripartire..

Ma ecco il post sul quale si è aperto il dibattito, seguito da un secondo che vuole essere soltanto un chiarimento del primo. Ovviamente, se si vuole, la discussione può proseguire in altre sedi, possibilmente di presenza. Chiarisco che- a mio avviso- il primo atto (per altro inatteso e assai frettoloso. Perché così affrettato?) della volontà di sciogliere il PCI fu l’annuncio di Occhetto alla Bolognina, pochi giorni dopo il crollo del muro di Berlino (decretato da Gorbaciov) e pochi giorni prima di un incontro con gli esponenti più in vista dell’Internazionale socialista europea.  

Il fatale annuncio sconcertò non solo i militanti, i dirigenti intermedi del partito, ma anche alcuni autorevoli membri della direzione nazionale, in primis Pietro Ingrao che l’apprese dai giornali. In sostanza, alla Bolognina si annunciò una decisione già maturata in taluni settori del vertice del partito ossia la fine del Pci, nei congressi successivi si discusse su talune conseguenze provocate e, soprattutto, come e dove seppellire il cadavere del caro Estinto.                                                                            Perciò ho scritto: “C'é da prendere atto che il PCI, il grande Partito dei lavoratori, degli intellettuali, dell'antifascismo, ecc, non morì di morte naturale, ma fu soppresso, in modo inatteso, senza alcuna seria discussione preventiva negli organismi preposti, nelle sezioni, con i militanti di base. Ovviamente, dopo Berlino, era necessaria una riflessione, ampia e collegiale, sul futuro del partito, sui cambiamenti, adeguamenti da adottare. In ogni caso, la decisione non poteva essere assunta in modo sostanzialmente antidemocratico, poiché il Pci non era proprietà privata di questo o di quello o di una ristretta elite, ma una grande forza popolare, un grande patrimonio collettivo accumulato, nel tempo, con il contributo, il sacrificio di milioni d'iscritti e di elettori. L'annuncio della "Bolognina"? Una cazzatella per gli allocchi! In realtà, ancora non si sa perché e con chi fu concordata la grave decisione.” A ulteriore chiarimento ho postato il seguente pezzo che un po’ amplia  lo scenario.

“ANCORA SULLA "BOLOGNINA" E SULLO SCIOGLIMENTO DEL PCI

Seguo con grande interesse il dibattito suscitato intorno alla mia sintetica e modesta esternazione relativa al processo che portò allo scioglimento del Pci. Questa nota non vuole essere una risposta ai tanti quesiti, appunti, alle critiche manifestate, ma solo un tentativo di chiarimento del mio pensiero. L'esperienza mi dice che in politica, come in altri campi, ci sono un suolo e un sottosuolo. Solitamente, sopra il suolo si mostrano, si agitano i propositi propagandistici, nel sottosuolo si agisce, si bega per realizzare accordi, per tracciare programmi e prospettive al momento improponibili, ma ritenuti necessari, ecc. ecc. A mio umilissimo parere (può darsi pure sbagliato), fra questi due livelli nacque e si sviluppò l'idea non solo del cambio del nome del Pci, ma di una sua trasformazione genetica che nell'immediato puntò all'ingresso nell'Internazionale socialista e nel lungo periodo (continuando a cambiare nome), nelle mutate condizioni politiche nazionali e internazionali, approdò sulle rive del mare magnum del neoliberismo vincitore.

In quanto al famoso annuncio della Bolognina si son fatte diverse ipotesi (molte da verificare) fra cui quella (più ricorrente) di usare l'annuncio per far superare il veto di Craxi che impediva l'ammissione del partito diretto da Occhetto nell'Internazionale socialista. Di ciò si è parlato tanto, anche di certi colloqui "propiziatori". Aldo Garzia, storica firma de "Il Manifesto", ne ha scritto su Ytali del 21/5/2020                                                                                                                                                   “… Il veto di Craxi a un’adesione dell’ex Pci all’Internazionale socialista cadde su forte pressione dei partiti socialisti europei e si trasformò in assenso solo dopo che Achille Occhetto decretò l’agonia del Pci con un discorso alla Bolognina (12 novembre 1989)…”

Ora ognuno può pensarla come meglio crede, tuttavia taluni passaggi, anche congressuali, relativi al  trapasso del Pci non furono del tutto chiari. Nonostante ciò, molti che, come me, in quel frangente, erano vicini alle posizioni assai critiche del compagno Pietro Ingrao, cercammo una soluzione capace di evitare la scissione. Ma il tentativo si arenò. (L’idea fu quella di una mozione degli “ingraiani” per un partito di tipo federativo. ndr)

 

Pietro Ingrao ad Agrigento

Visto che siamo in argomento, aggiungo che, forse, bisognerebbe meglio valutare la "svolta" di Gorbaciov la quale, oltre alla caduta del muro di Berlino (che taluno ritiene fosse stata concordata con R. Reagan)- vedi qui: https://www.agoravox.it/Crollo-del-muro-di-Berlino-C-e-un..., provocò un ridicolo colpo di Stato in Urss e poi la pubblica umiliazione dello stesso Gorbaciov per mano di Eltsin e, come conseguenza ulteriore, la fine e/o la trasformazione dei Partiti comunisti, fra cui il Pci. Mi fermo, auspicando che questo dibattito possa diventare un'occasione per ricercare la via di una vera prospettiva di sinistra in Italia e nel mondo. Fraterni saluti. (a.s.)*

* https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro

PS. Certo, tutti abbiamo potuto commettere errori, ricordato male taluni passaggi, nulla di grave se in  buona fede. Pertanto, desidero assicurare qualche super critico che io sono un "vecchio" compagno che si sente "ancora iscritto al PCI" e che vuole soltanto offrire un modesto contributo alla Causa comune, ancora viva.



venerdì 16 ottobre 2020

COSA C’ENTRA IL CASO DE MAURO COL GAS ALGERINO?

 

di Agostino Spataro

 

Questo titolo é di 50 anni fa, ma conserva tutta la sua deludente attualità

 Suolo e sottosuolo

In politica, come in altri campi, ci possono essere un suolo e un sottosuolo infido e oscuro, dove tutte le ombre sembrano nemici. In realtà, sopra il suolo danzano i figuranti, qualche teatrante, nel sottosuolo agiscono i potenti, gli artefici dei “giochi grandi”; i complottisti veri i quali nel timore di essere scoperti gridano al complottismo altrui. In quelle oscurità, dove tutto ci cela e si confonde, viene generata e alimentata una verità “politicamente corretta” ovvero manipolata che, sbandierata ai quattro venti, servirà a “vestire” il mistero, a renderlo digeribile agli spiriti semplici. 

E in Sicilia - si sa- l’impianto del potere si regge sui tanti segreti e misteri irrisolti, accumulati nel tempo. Se fossero svelati l’edificio crollerebbe.                                                                                    Perciò si continuano a coltivare come se fossero piante officinali per lenire le ferite aperte e per occultare le tremende responsabilità di quanti hanno scelto l’Isola come campo di battaglia per attuare i loro inconfessabili disegni. Trame di respiro nazionale e internazionale attuate mediante “braccia operative”locali che ne traggono evidente tornaconto.                                                             

Chissà, se un giorno si dovessero svelare si potrebbe scrivere la vera storia della Sicilia e, in parte,  dell’Italia dell’ultimo secolo.

Questa breve premessa per introdurre il tema, in queste settimane, alla ribalta grazie al  “Blog d’autore.repubblica.it” di Attilio Bolzoni che ha proposto, a puntate, alcuni materiali interessanti, provenienti da atti della procura della Repubblica di Pavia, che riaprì l’inchiesta sul disastro aereo del 1962 in cui morì Enrico Mattei, nella parte relativa al sequestro del giornalista de “l’Ora” Mauro De Mauro avvenuto a Palermo il 16 settembre 1970.                                                                                                                                        

A distanza di mezzo secolo non c’è una verità giudiziaria definita e definitiva. Si teme che anche questo delitto possa andare ad accrescere la lista dei misteri, di cui sopra.   Per altro, c’è da notare che da queste carte emergono diverse piste. Forse troppe per cui diventa difficile batterle tutte a dovere.            Fra queste viene affacciata quella che porterebbe al metanodotto Algeria- (Sicilia) -Italia” che, francamente, appare incongrua rispetto alla sua storia e la suo svolgimento temporale, come si potrà rilevare dalla cronologia degli avvenimenti. (1)

Fu quello un dossier importante relativo a una infrastruttura strategica per la Sicilia, per l’Italia che ebbi la ventura di seguire per conto del Pci (con altri deputati Dc e Psi) alla Camera dei Deputati.

 

Il tracciato del gasdotto Algeria (Tunisia) Sicilia.

                
                                                                                                                                          Non rivelazioni solo constatazioni

Ed é su tale dossier che desidero concentrare l'attenzione. Le altre piste le lascio a chi ha le carte in mano, agli organi preposti. Ma vediamone un brano che costituisce il “pezzo forte” del ragionamento. 

Verzotto, nel 1970, era in “guerra aperta” con Eugenio Cefis per la storia del metanodotto: è stato detto più volte da Verzotto. In particolare al P.M. di Pavia l’8/11/1995 ha dichiarato “Con la morte di Mattei e l’avvento di Cefis, io sono stato gradualmente esautorato e quindi costretto a dimettermi. Io non ho mai avuto alcun rapporto con Eugenio Cefis, anche se la mia sensazione era di essere stato esautorato per avere calpestato interessi economici rilevanti. Circolava infatti voce che tutte le difficoltà frapposte dall’ENI alla realizzazione del metanodotto tra l’Italia e l’Algeria, di cui era l’ideatore e il presidente della società che avrebbe dovuto costruirlo, fossero dovute al fatto che c’era chi riteneva più sicuro e conveniente che il gas algerino fosse trasportato in Italia liquefatto in apposite metaniere. Si diceva anche che tali metaniere appartenessero ad una società che trasportava il metano alla stazione di rigassificazione di La Spezia, della SNAM, e che soci diretti o occulti di tale società fossero Cefis, Cazzaniga, Fornara e Girotti”.                                                                                          (tratto da “Una guerra sulla pelle di Mauro De Mauro”  del 5 ottobre 2020)

Dallo scritto non si capisce come, per cosa De Mauro potesse entrare in questa diatriba fra presidenti. In ogni caso le dichiarazioni sono da prendere con le pinze giacché fatte da persona indiziata (insieme al suo “nemico” Eugenio Cefis) nei processi sulla sospetta morte di Enrico Mattei e sul sequestro di Mauro De Mauro.

Rivalità vere o presunte? Tranquilli, non ho alcuna rivelazione da fare, solo qualche costatazione. A partire dai fatti che ci dicono- per esempio- che nel 1968 la Snam, del gruppo Eni presieduto da Eugenio Cefis, entrò a far parte (con il 20% delle azioni) della Sonems, costituita l’anno prima da Ems e Sonatrach per realizzare studi di fattibilità per la costruzione di un metanodotto Algeria- Tunisia- Sicilia.                                                                    

In realtà il problema che, a un certo punto, si pose fu quello di valutare la caratura e la consistenza dei due enti (italiani) partner di Sonems. Soprattutto dell’Ems, promotore dell’idea del gasdotto, ma stracarico di difficoltà finanziarie e da una pesante eredità operativa lasciatagli da Sochimisi, (miniere di zolfo,ecc).                             

Per queste e altre ragioni l’Ems di Verzotto non appariva in condizioni di reggere, da solo, il partenariato con la Sonatrach algerina ch’era (ed è) una fra le più importanti società di ricerca, coltivazione ed esportazione d’idrocarburi a livello mondiale. Insomma, fra i due partner lo squilibrio era assai grande, segnato da un’impietosa asimmetria Da qui l’intervento dell’Eni mirato a riequilibrare i rapporti con il socio algerino e, soprattutto, a garantire la realizzazione della infrastruttura su scala più ampia e la regolare fornitura delle quantità di gas da importare.  

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Agostino Spataro a un ricevimento dell’Eni - Roma, 1980.




Cefis e Verzotto, due nemici?

L’ingresso di Snam, oltre ad assicurare un apporto qualificato di competenze tecnologiche appropriate, fu  anche un cambio di approccio (in positivo) dell’Eni rispetto a una iniziativa (della regione siciliana) sulle prime un po’ snobbata. Fra i  due presidenti (Verzotto e Cefis) ci saranno state incomprensioni, gelosie perfino, sospinte magari da interessi da “sottosuolo”, tuttavia, dopo l’ingresso di Snam, è difficile motivare una “guerra aperta” dell’Eni contro l’Ems nel biennio 1968 - 1970.                                                                                          

Infatti, la collaborazione proseguì negli anni tanto che nel 1973 l’Eni (presidente Raffaele Girotti) stipulò accordi con la Sonatrach algerina, subentrando- di fatto- all’Ems di Verzotto, per un progetto più impegnativo ossia per un gasdotto dal costo di 2.500 miliardi di lire e lungo 2.200 km dai giacimenti di Hassi R’Mel (Sahara algerino) a Minerbio (BO), dove si sarebbe connesso alla rete dei gasdotti del centro-nord italiano.         

A tale svolta (a mio parere migliorativa e lungimirante) non fu opposta alcuna contrarietà degna di nota da parte di Ems e della stessa Regione siciliana.                                                                            La Sicilia chiese una quota del 30 % del gas trasportato a prezzi agevolati e il finanziamento delle reti di distribuzione nelle città capoluogo. Entrambe le richieste furono accolte e soddisfatte.                    

 Nel quadro della nuova realtà associativa, Eni e Sonatrach si accordarono per l'importazione annua di circa 12 miliardi di metri cubi di gas da trasportare mediante il Transmed che sarebbe approdato in Sicilia e  proseguire per la Penisola. Per la prima volta, una fonte energetica così rilevante e sicura avrebbe attraversato tutte le regioni del Mezzogiorno continentale che ne avrebbero tratto grandi benefici in termini di sviluppo industriale e civile. Una storia grande, complessa, con rilevanti risvolti economici anche internazionali. Non si capisce come potesse entrarci il giornalista Mauro De Mauro, a quel tempo, redattore della cronaca sportiva de “l’Ora” di Palermo.

1976, l’Eni opta per le metaniere

Un dossier, dunque, importante che, a un certo punto, divenne un “affaire” internazionale. Si temette, infatti, che la Francia, con il supporto dei tunisini, volesse realizzare un suo gasdotto (passando da Algeria, Marocco, Spagna) anche per rifornire il mercato italiano, mediante una diramazione verso la valle Padana.

Nello stesso periodo (1976) si bloccò la trattativa fra Eni e Tunisia a causa- si disse-  della pretesa eccessiva del governo tunisino che chiedeva una quota del 10% del gas trasportato per consentire il passaggio dei 370 km di “tubo” sul suo territorio. 

 

La rete dei gasdotti italiani


Oltre ai dibattito parlamentari, a una serie d’incontri politici a Roma e a Palermo, intraprendemmo un’azione politico-diplomatica, collaterale a quella del governo, presso le ambasciate di Tunisia (amb. Ahmed Ben Arfa) e Algeria (amb. Omar Oussadeck) che ritengo abbia dato i suoi piccoli frutti. Per tutta risposta l’Eni (presidente il moroteo Pietro Sette) prospettò un'ipotesi alternativa ossia il trasporto del gas con navi metaniere: dalla costa algerina al porto di Livorno.                                                            Ipotesi sciagurata poiché avrebbe tagliato fuori la Sicilia e l'intero Mezzogiorno che attendevano il gas algerino come il più efficace incentivo per il loro sviluppo industriale e civile.                                          Perciò, un gruppo di deputati dei tre principali partiti (Pci, Dc, Psi) insorgemmo e demmo battaglia alla Camera (2) per scongiurare l’assurda “alternativa” e ritornare al metanodotto, così come concordato, nel 1973, fra Eni e Sonatrach.                                                                                                                   Intorno al grave problema si scatenò la bagarre politica e mediatica. Noi decidemmo di non lasciarci coinvolgere, di tirare dritto verso l’obiettivo della realizzazione, nei tempi previsti, della grande infrastruttura energetica, frutto della pacifica cooperazione, economica e politica, fra Italia e Algeria.

Agimmo senza pregiudizi e faziosità, evitando di cadere nella rissa. Riconoscendo i meriti a chi aveva bene operato: dal presidente dell’Ems, Graziano Verzotto che nel 1967 ebbe la brillante idea del gasdotto al presidente dell’Eni Raffaele Girotti che nel 1973 concluse gli accordi con l’Algeria, al suo successore Pietro Sette il quale, anche a seguito delle nostra decisa iniziativa parlamentare unitaria, ritirò la grave decisione delle metaniere, diede corso agli accordi per la realizzazione del gasdotto.

 

Il direttore de “L’Ora” sapeva tutto sul caso De Mauro?

Il gasdotto, entrato in funzione nel 1983, si è rivelato (unitamente al successivo “gemello”proveniente dalla Libia) un fattore d’importanza strategica per l’economia della Sicilia e del Meridione. Sia per gli usi industriali che per quelli agricoli e civili. Quando ogni mattina accendiamo il fornello per il caffè dobbiamo ricordarci che quella fiammella viene alimentata dal gas proveniente dai giacimenti di Hassi R’Mel , nel cuore profondo del Sahara algerino.                    

Chiudo, per ora, (sulla questione penso di pubblicare un opuscolo più dettagliato per i bambini dai 6 anni in... giù) con una costatazione oggettiva: nella storia del gasdotto “Enrico Mattei” (relativamente al periodo che va dal 1967 al 1983) all’Eni si avvicendarono diversi presidenti (3) e le cose- tutto sommato- andarono bene. Si verificò un solo momento di acuta contraddizione  ossia la citata opzione alternativa del novembre 1976 (4) che mise a rischio il  progetto del gasdotto.  Dopo la nostra iniziativa parlamentare e diplomatica del febbraio-marzo 1977 l’opzione fu ritirata. Soltanto in questa occasione (nel nov. 1976)  fu affacciata la temuta ipotesi delle metaniere, di cui parlò Verzotto nel 1995 riferendola a una supposta manovra di Cefis, Girotti, Cazzaniga, ecc, che volevano attuarla già negli anni 1967-68 per far decadere il progetto di gasdotto Sonems. 

Attenzione, 1976 significa: 9 anni dal lancio della Sonems e 6 anni dopo il sequestro di De Mauro.  Ragion per cui… Beh, fate voi.                                                                                                         

Infine, una curiosità che non esula dal contesto. A un certo punto, l’estensore del documento intercala una frase davvero sibillina e inquietante. Eccola: "In ultimo, sempre per il ruolo avuto nella vicenda, non può non sapere tutto, o quasi, il direttore Vittorio Nisticò.”  (5)                                                                              

Parole, a dir poco, sorprendenti poiché chi ha conosciuto Vittorio sa che egli fu un maestro di giornalismo e uno dei più coraggiosi direttori di quotidiani dell’epoca.   

 

(16 ottobre 2020) 

 

Note:

  (1) L’idea di un gasdotto trans mediterraneo Algeria – Sicilia (vedi foto n. 1) fu avanzata, nel 1967, dall’Ente Minerario siciliano presieduto dal sen. Graziano Verzotto (dc) d’intesa con la Sonatrach società di Stato algerina. A tale scopo fu creata una società mista “Sonems” nella quale, nel 1968, entrò, con una quota del 20%, la Snam del gruppo Eni presieduto da Eugenio Cefis.

 (2) vedi atti parlamentari in “camera.it”, seduta del 4 febbraio 1977.

 (3)  Eugenio Cefis (1967-1971), Raffaele Girotti (1971- 1975), Pietro Sette (1975- 1979), Egidio Egidi –commissario- (1979-1980), Alberto Grandi (1980-1982), ecc.. 

 (4) A distanza di sei giorni il presidente Pietro Sette smentì se stesso: il 18 nov. 1976 confermò gli accordi per il gasdotto stipulati con Sonatrach nel 1973) e il 24 nov. 1976 propose l’opzione del trasporto del gas via mare, per mezzo di due navi metaniere.

  5) “Blog d’autore.repubblica.it”-  Un caso chiuso (e apertissimo) - 11 ottobre 2020.