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domenica 29 dicembre 2013
AUGURO A TUTTI, SOPRATTUTTO AI NEONATI, UN NUOVO ANNO DI API
AUGURO A TUTTI, SOPRATTUTTO AI NEONATI, UN NUOVO ANNO DI API. LA NOSTRA STUPIDA (IN)CIVILTA' DEL PROFITTO LE STA DISTRUGGENDO. E SENZA LE API NON CI SARA' VITA SUL PIANETA.
Agostino Spataro
(Ape impollinatrice dentro un fiore di cappero sulla terrazza di casa mia)
Se ne avete voglia date un'occhiata a questo recente articolo del Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/scienze/13_novembre_15/api-rischiarano-fine-dinosauri-65-milioni-anni-fa-3d141374-4df9-11e3-a50b-09fe1c737ba4.shtml
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sabato 28 dicembre 2013
IL KALASHNIKOV E' DI SINISTRA?
di Agostino Spataro
1… Lo scorso 23 dicembre è morto, all’età di 94 anni, Mikhail Kalashnikov inventore dell’omonimo fucile. Per tale “merito”, egli fu insignito per ben due volte del titolo di “eroe del lavoro socialista” dell’Urss e di “eroe della Russia” di Putin.
Pur col rispetto dovuto al fervore patriottico del suo inventore, c’è da restare quantomeno perplessi per questo triplice riconoscimento che due regimi ideologicamente contrapposti hanno conferito all’ideatore di un terribile strumento di morte divenuto l’arma più diffusa nel mondo.
Sul kalashnikov (AK-47) si sono dette e scritte tante cose. Taluni, muovendo dal fatto che essendo stato assegnato in dotazione alle forze dei Paesi ex socialisti e ai reparti di resistenza e/o di guerriglia, sono giunti a etichettare questo fucile come una sorta di “arma di sinistra”.
Oggi, specie dopo il crollo del blocco sovietico, tale definizione appare, a dir poco, impropria poiché il kalashnikov, in parte superato da nuove tipologie e tecnologie, viene usato diffusamente anche dalla criminalità organizzata e da gruppi terroristici integralisti religiosi che con la sinistra non hanno nulla a che fare.
Ovviamente, per sinistra s’intende quel complesso di partiti e movimenti che vogliono effettivamente cambiare lo stato di cose presente e non certa “robetta” scaduta, oggi prevalente in Italia e in Europa, ma anche in Cina, che vorrebbe contrabbandare come riformismo socialista la propria subalternità al dio mercato e al grande capitale finanziario che lo domina.
E qui mi fermo, poiché desidero parlare del kalashnikov in base al ricordo di un’esperienza vissuta (nel 1981) nel deserto del Sahara Occidentale .
2… Fu qui, infatti, che vidi, per la prima volta, quest’arma cucita addosso ai guerriglieri saharoui che ci scortavano in quel viaggio, lungo e accidentato, intrapreso, in compagnia di altri parlamentari italiani, su invito del Fronte Polisario che lottava, (ancora lotta) per l’autodeterminazione del suo popolo.
Il programma della nostra missione consisteva in visite ai campi profughi dov’erano ammassati decine di migliaia di saharoui (soprattutto donne, bambini e vecchi), in colloqui con i principali dirigenti del Fronte e in un sopralluogo a Guelta Zammur, una collinetta fortificata al confine con il deserto mauritano considerata strategica poiché sovrastava una sorgente (guelta) d’acqua chiara, l’unica in quella desolata regione.
Sapevamo che per possesso di tale “guelta” si erano affrontati, un mese prima, le forze regolari marocchine che la presidiavano e reparti combattenti del Polisario che sostenevano di averla conquistata.
Una vittoria contestata, negata (dalle autorità marocchine) che la delegazione parlamentare andava a certificare mediante una constatazione de visu.
Nella battaglia erano caduti, da entrambi le parti, centinaia di combattenti a molti dei quali non fu data nemmeno una degna sepoltura. Vedemmo corpi, pezzi di corpi umani, affiorare, semisepolti, dal sottile strato di sabbia che li copriva.
Migliaia di morti per una conca d’acqua che, quasi per una beffa del destino, non era più potabile poiché era stata avvelenata dai marocchini in ritirata. Noi stessi, per dissetarci, dovemmo raggiungere un pozzo posto a circa cento km di distanza.
3… Le jeep filavano dentro quel deserto piatto e brullo. A parte un paio di pastori, secchi e scuri come una carruba ragusana, non incontrammo in quel lungo cammino altre tracce d’umanità. La notte si dormiva all’addiaccio, sotto un tetto di vivide stelle, ognuno dentro un fosso ch’egli stesso s’era scavato nella calda sabbia per combattere gli effetti algidi dell’escursione termica.
Ogni tanto una sosta per sgranchirci le gambe. Intorno al pentolino del the si fraternizzava con quei giovani guerriglieri che non si staccavano un attimo dal loro fucile d’ordinanza.
Ci parlarono, con un entusiasmo quasi sportivo, della recente battaglia e del kalashnikov come del fucile più efficiente in circolazione: leggero, duttile e preciso “ riusciva a colpire- dissero- con micidiale precisione, un bersaglio posto a 700 metri”.
Vista la nostra assoluta incompetenza in fatto di armi, i fedayn- per risultare più convincenti- ci proposero di provarlo. Quasi a dire: provare per credere.
Anch’io tirai un colpo per curiosità, quasi per gioco. Una mattina, addirittura, imbracciai il fucile, così per celia, per indurre l’on. Tessari a fare le abluzioni mattutine. (vedi foto sotto)
Tuttavia, per quanto nobili fossero le ragioni della loro lotta, quell’elogio un poco mi atterriva, specie dopo aver visto tutti quei corpi semisepolti.
Immagini indelebili, ossessive che s’intrecciavano con quelle delle cataste di armi e di mine antiuomo e anticarro affastellate sul pianoro. La zona tutt’intorno alla sorgente, infatti, era minata. Gli sminatori avevano aperto un corridoio per consentire il nostro passaggio. Per tutto il tragitto di avvicinamento ci era stato caldamente sconsigliato di abbandonare lo stretto corridoio sminato da poco.
4… Tutti questi rischi per una conca d’acqua?
Interrogativi intimi, pensieri nascosti, forse da tutti condivisi ma inespressi.
Non riuscivo a liberarmi di quel funesto assillo, di quella mortifera relazione fra il fucile e quei corpi, quegli arti inanimati.
Sentivo, forte, una sensazione di repulsione, di sgomento per l’infamia delle armi verso le quali nutrivo un’innata avversità.
Contrarietà che diventerà rifiuto dopo aver percepito meglio, più distintamente, come membro della commissione difesa della Camera dei Deputati, gli intrecci perversi, spaventosi, e assai lucrosi, esistenti fra produzione, commercio e uso delle armi.
Oggi, il tempo vissuto, le lotte pacifiste e le tragiche conseguenze delle guerre in corso mi hanno convinto dell’inutilità delle armi ai fini della lotta politica, del ricorso alle guerre anche quelle cosiddette “umanitarie” o “fraterne” e di ogni forma di terrorismo (rosso, nero, verde, ecc) che della guerra è la degenerazione più odiosa. Per progredire, l’umanità ha bisogno di pace e di solidarietà!
Storicamente, la sinistra italiana edeuropea si è sempre ispirata alla pace, ha rifiutato la guerra e il metodo terroristico. A maggior ragione oggi in situazioni dove sono garantite le libertà fondamentali (di voto, di espressione, di associazione) l’unica “arma” è la scheda elettorale. Bisogna solo saperla usare.
5… Nel passato, talvolta, abbiamo sottostimato, perfino deriso, certe esperienze basate sulla “non-violenza”. A mio parere, oggi, è tempo di ricredersi e di assumere quel metodo di lotta politica come uno dei valori fondanti della nuova sinistra che, prima o poi, rinascerà dalle ceneri dell’impantanata sedicente sinistra attuale che, pur essendo al governo, non riesce (non vuole) a bloccare certe forsennate spese militari.
Ovviamente, sappiamo che è difficile parlare di non-violenza a chi lotta contro un’occupazione straniera o contro una crudele dittatura per affermare i diritti all’indipendenza e alla libertà dei popoli.
Tuttavia, secondo i casi, la non-violenza potrebbe essere la soluzione. La lotta dell’India di Gandhi è davvero emblematica.
D’altra parte, il conflitto del Sahara Occidentale dura dal 1976 con i marocchini barricati dietro un lunghissimo muro di sabbia (un'altro muro di cui nessuno parla!)che segna il confine del cd. “triangolo utile” e i saharoui “padroni” della restante parte del Paese ossia del vasto ed arido deserto nel quale hanno insediato il loro simulacro di Repubblica araba saharoui democratica (Rasd).
Da oltre 30 anni, nessuno dei due contendenti riesce a prevalere militarmente sull’altro, mentre la “comunità internazionale” cincischia, rinvia, non riesce a imporre una soluzione politica secondo i principi della Carta dell’Onu.
Un conflitto dimenticato che dilania un popolo altrettanto dimenticato, nel quale si confrontano aspirazioni legittime e avide pretese sub imperialiste che stanno portando l’Africa alla deriva, alla completa rovina.
Insomma, nel Sahara occidentale, come in tante altre realtà conflittuali, si è dimostrato che il kalashnikov non ha reso l’indipendenza al popolo saharoui.
Checché se ne dica delle sue favolose virtù micidiali, il kalashnikov non è la soluzione. In ogni caso non può essere etichettato di sinistra o di destra, è solo un’arma che, al pari di tutte le altre, va bandita.
(Agostino Spataro)
27 dic. 2013
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venerdì 27 dicembre 2013
QUANDO I CLANDESTINI SICILIANI SBARCAVANO IN TUNISIA
di Agostino Spataro
1... C'era un tempo, non molto remoto, in cui erano i "disperati" siciliani ad attraversare le acque del Canale di Sicilia per emigrare nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: in Tunisia, Libia, Egitto, Marocco, Algeria. Un percorso inverso rispetto all'attuale intrapreso dalle migliaia d'immigrati arabi e africani i quali, come i nostri di allora, fuggono dalla miseria e dalle guerre. Chi desidera documentarsi o semplicemente rinfrescarsi la memoria, può attingere una vasta e variegata bibliografia, inchieste sociologiche e giornalistiche, memorie e testimonianze di grande interesse. Sull'emigrazione siciliana in Tunisia, Stefano Savona, giovane regista palermitano, ha realizzato un cortometraggio "Un confine di specchi", premiato al 20° Torino Film festival edizione 2002. Esiste, inoltre, una letteratura (in gran parte in francese) dell'emigrazione europea e siciliana nel Maghreb.
E ricercando fra questi materiali si trovano tantissimi riferimenti all'emigrazione siciliana nel nord Africa, in particolare in Tunisia, iniziata a partire dal 1835, in piena epoca borbonica, col trasferimento di alcuni gruppi di tonnaroti e di corallari (soprattutto trapanesi) in diverse località costiere tunisine e algerine, a pesca di tonni e del pregiatissimo corallo. (vedi: Giuseppe Bonaffini-"Sicilia e Maghreb tra Sette e Ottocento", Salvatore Sciascia Editore)
Da emigrazione "specializzata" (che detto per inciso operava in condizioni di vita e di lavoro davvero disumane) i trasferimenti acquistarono le dimensioni di veri e propri flussi migratori; a partire dagli anni 70 dell'800, quando la presenza degli italiani, incoraggiata dal Trattato della Goletta (1868), veniva stimata fra gli 11 e i 25 mila. Anche allora era difficile censire gli immigrati, perché in maggioranza erano clandestini. Esattamente come accade oggi in Italia.
2... Nel 1870, il 94% dell'emigrazione siciliana era orientata verso la Tunisia- sostiene A. Grisafi.- I 4/5 della colonia italiana in Tunisia erano d'origine siciliana. Già nel 1860, nella sola città di Tunisi - rileva F. Arnoulet- su una popolazione stimata in centomila abitanti, vi erano fra 3 e 4 mila siciliani, 6-7 mila maltesi (anch'essi di origine siciliana) e solo 600 francesi.
Un richiamo specifico va dedicato a Lampedusa, divenuta uno dei simboli di questo dramma universale, sperando di far riflettere quanti nella piccola isola pelagica manifestano disagio o aperto rifiuto rispetto all'emergenza immigrati che, in quanto tale, non dovrebbe durare in eterno. E va citato quel ristorante, pardon a quella titolare di ristorante che si è schierata a fianco dei leghisti Bossi e Borghezio in questa poco esaltante battaglia d'inciviltà.
Anche se temo che sarà un'impresa ardua far riflettere un "ristorante" alla ricerca di clienti facoltosi.
"Ad Hammamet, la popolazione italiana era composta unicamente d'emigrati originari dalle isole di Pantelleria e Lampedusa. Essi vivevano di pesca ed erano anche proprietari di frutteti e vigneti dai quali traevano un reddito apprezzabile?"
Basterebbero queste poche righe, tratte dal libro dello storico tunisino Mustapha Kraiem ("Le fascisme et les italiens de Tunisie, 1918-1939") per aiutare a ricordare quanti non sanno, o fingono di non sapere, che negli anni venti e trenta del '900 erano lampedusani e, più in generale, siciliani, sardi, calabresi e perfino toscani e genovesi gli emigranti che sbarcavano sulle coste della Tunisia e d' altri Paesi del nord- Africa per sfuggire alla miseria, alle guerre e alle repressioni del fascismo imperante in Italia.
"Gli immigrati italiani- si legge nell'inchiesta condotta, fra il 1918-20, da Arthur Pellegrin- sono circa 100 mila e appartengono in gran parte alla classe lavoratrice e analfabeta. La maggioranza sono originari dalla Sicilia e dalla Sardegna. I loro costumi, in particolare quelli dei siciliani, sono un po' rozzi e violenti. Nella loro evoluzione mentale sono più passionali che razionali?" (citato da Guy Dugas, Università Paris 12, www.limag-refer.org)
3... Come si vede anche i nostri erano classificati rozzi, analfabeti, violenti, sporchi ecc, ecc. Addirittura, la propaganda xenofoba francofona coniò un odioso slogan "le peril italien" per indicare la presenza degli immigrati italiani come un rischio per la convivenza pacifica di quelle popolazioni e perfino per la stabilità politica di quei regimi sotto tutela francese. In particolare i siciliani erano dipinti come "criminali incalliti, irascibili, imprevedibili, violenti e molto pericolosi nella loro maggioranza gli europei della Reggenza e la popolazione tunisina accettarono questa rappresentazione negativa dell'elemento siciliano. Il luogo comune del siciliano bellicoso, armato di coltello o di revolver, che uccide per futili motivi rimase fisso nel tempo" (Alì Noureddine: "Le cas de la "criminalità sicilienne"- Sousse 1888-98). Per altro, va dato atto a Noureddine di avere, col suo pregevole saggio, tentato di demolire la falsa rappresentazione del siciliano "violento e arretrato".
Si trattava, infatti, di un'ingiusta generalizzazione, di uno stereotipo artatamente gonfiato e diffuso dalla propaganda razzista che fece presa sulla maggioranza della popolazione tunisina per un lungo periodo. A pensarci bene, quanti stereotipi anti-immigrati si stanno diffondendo in Italia, in particolare nelle regioni ricche del nord che sono quelle che più sfruttano, a loro esclusivo vantaggio, la presenza degli immigrati. In buona sostanza, la xenofobia, espressione di un egoismo gretto e ignorante solitamente al servizio d'interessi economici forti e sovente poco leciti, ha usato sempre e dovunque lo stesso linguaggio, le stesse immagini distorte e le medesime tecniche di comunicazione e di persuasione.
Rileggere queste cose, dette e scritte più di un secolo addietro contro i siciliani, e come leggere oggi quanto scritto e detto dai giornali e dai massimi esponenti della Lega Nord contro gli arabi e gli africani immigrati in Sicilia e in Italia. Tuttavia, fra le due esperienze si può rilevare una differenza nella qualità del trattamento e nelle opportunità d'inserimento nella società d'accoglimento, certamente più favorevole ai nostri, allora, emigrati in Tunisia.
4... La numerosa colonia italiana, distribuita lungo tutta la costa tunisina, era adeguatamente tutelata da accordi di cooperazione bilaterali stipulati sia con le autorità ottomane sia, a partire dal 1870, con quelle francesi che esercitavano il "Protettorato".
Gli italiani in Tunisia disponevano di una efficiente organizzazione economica e finanziaria, di una camera di commercio (fondata nel 1884), di alcune banche fra le quali la "Banca siciliana" e di una rete culturale e assistenziale di tutto rispetto: un quotidiano (l'Unione), teatri, librerie, cinema, un ospedale italiano, scuole di vario ordine e grado e numerosi enti di beneficenza. Non mancava nulla: persino una loggia massonica "Concordia" fu creata a Tunisi durante il ministero di Francesco Crispi, con l'intento di far fronte alla preponderanza francese.
I nostri emigranti erano in gran parte braccianti e contadini poveri, pescatori, artigiani, minatori, manovali, piccoli commercianti, ecc; tutta gente di fatica che fuggiva dalla miseria e dalla disoccupazione del sud e delle isole. E qualcuno anche dalle patrie galere. Cercavano l'America in Tunisia e molti la trovarono fra i vigneti, nelle miniere di bauxite e nei fondali pescosi.
Nonostante il fatto che il governo di Parigi incoraggiasse la "naturalizzazione" di migliaia di nostri emigrati in Tunisia, gli italiani erano molto più numerosi dei francesi: nel censimento del 1926, su una popolazione europea di 173.281 abitanti, figuravano 89.216 italiani, 71.020 francesi, 8.396 maltesi, ecc. (in Moustapha Kraiem, op.cit.). Una prevalenza anomala che fece scrivere a Laura Davi (nelle sue "Memoires italiennes en Tunisie") che "La Tunisia è una colonia italiana amministrata da funzionari francesi".
A parte queste eloquenti statistiche, c'è da aggiungere che i siciliani in Tunisia, oltre ad essersi bene integrati nel tessuto economico, vissero quella esperienza in un clima di reciproco rispetto, di tolleranza e di solidarietà con i locali. Vi sono, ancora oggi, a Tunisi, a Sousse, a Madia, a Sfax, quartieri dove si possono riscontrare i segni di questa feconda convivenza, anche sul terreno difficile delle religioni. La Goulette, la cittadina balneare fra Tunisi e Cartagine, era chiamata "la piccola Sicilia" poiché era stata creata (un po' abusivamente in verità) dai siciliani provenienti dalle province di Trapani, di Palermo e di Agrigento i quali crearono un idioma tutto loro: un arabo infarcito di siciliano, tuttora usato come lingua locale. In questa bella e solare cittadina nacque, da genitori trapanesi, Claudia Cardinale che nel 1956, a Tunisi, fu incoronata reginetta italiana e in questa veste partecipò al concorso di Miss Italia, da dove spiccò il volo verso una fantastica carriera cinematografica.
Memore di tutto questo e d'altro, la Sicilia, democratica e solidale, deve contribuire a risolvere il problema degli immigrati, anche per evitare che si affermi una pericolosa visione xenofoba, al limite razzista, che non rende onore al suo passato e al suo (purtroppo) presente di terra d'emigrazione.
In "La Repubblica", Palermo 28.6.2003
lunedì 16 dicembre 2013
IL PAPA NON SI OFFENDE SE LO CHIAMANO MARXISTA, MOLTI (ex) MARXISTI INVECE SI
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sabato 14 dicembre 2013
ALDO MORO, IL VERO ARTEFICE DELLA SVOLTA VERSO IL MONDO ARABO
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martedì 10 dicembre 2013
MANDELA: AI FUNERALI CI SONO TUTTI, NELLA LOTTA A SUO FIANCO ERANO POCHINI
MANDELA: AI FUNERALI CI SONO TUTTI, NELLA LOTTA A SUO FIANCO ERANO POCHINI
10 dicembre 2013 alle ore 13.23
E' bello leggere che la gran parte dei Capi di Stato, non solo i soliti "grandi della Terra", sono oggi in Sud Africa a rendere omaggio a Mandela, all'Uomo che, con le sue idee, il suo sacrificio, il suo alto esempio, ha indicato al suo popolo la via della liberazione dall' odiosa politica segregazionista della minoranza bianca.
Questo illustre e affollato corteo è, sicuramente, la sua più grande vittoria morale!
Oggi, tutti considerano Mandela un Eroe, un benefattore dell'umanità, soprattutto di quella ancora vittima del razzismo, della miseria, della esclusione sociale.
Ieri, purtroppo, così non era: molti trattavano Mandela e la sua ANC alla stregua di terroristi fanatici e sanguinari. Per queste ragioni è stato imprigionato e perseguitato così a lungo.
Di questa "solitudine" ho fatto un cenno nel mio libro "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi" (vedi foto)
Ricordo queste cose non per ritorsione polemica, nè per orgoglio, ma solo per accendere una riflessione, per ricordare che Nelson Mandela non era un cherubino disceso dal cielo, ma un Compagno in carne ed ossa, un esponente di primissimo piano della sinistra sudafricana e mondiale che ha saputo gestire, con fermezza, intelligenza e realismo, una lotta memorabile ed anche la successiva, difficile fase di transizione.
Insomma, un dono della sinistra più autentica per la libertà e la dignità dei popoli.
Siamo consapevoli che nella sua prima esperienza storica la sinistra (al potere) ha compiuto errori anche gravissimi (specie nei Paesi dell'Est europeo) che dobbiamo condannare desisamente. Tuttavia, non possiamo subire un giudizio liquidazionista della sinistra che ha dato al mondo uomini come Mandela, Che Guevara, Allende, ecc., e idee e valori di giustizia sociale, di emancipazione politica e di progresso culturale.
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mercoledì 4 dicembre 2013
"PORCELLUM", FINALMENTE LA SENTENZA: NO AL PREMIO DI MAGGIORANZA, SI AL VOTO DI PREFERENZA
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martedì 3 dicembre 2013
ALCUNE FOTO DEL VIAGGIO IN MESSICO, ottobre 2013
domenica 1 dicembre 2013
CO-INQUILINI INTELLIGENTI
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