venerdì 22 giugno 2012

"L'ISLAM POLITIQUE. Des origines à Ben Laden" di Agostino Spataro


Il libro

L'ISLAM POLITIQUE
DES ORIGINES A' BEN LADEN





Prezzo di copertina € 14 €
Saggistica
1a edizione 6/2012
Formato 15x23 - Copertina Morbida - bianco e nero
190 pagine

 

Presentazione

A fin de faire comprendre les thèmes et les protagonistes du débat e du conflit entre musulmans et entre Occident et Orient, dans ce livre Agostino Spataro fait "parler" surtout les auteurs arabes de diverses tendances et quelque spécialiste occidental. Il en résulte un contexte animé, riche, contradictoire qui s'entrecroise avec les événements tragiques actuels, démontrant que la bataille et politique reste ouverte et imprévisible dans ses résultats.
Comme a démontrée  la "printemps arabe".


giovedì 21 giugno 2012

LIMONI SICILIANI ALLA FINESTRA

                                          Limoni siciliani alla finestra di...casa mia a Joppolo Giancaxio
                            

mercoledì 20 giugno 2012

SE LA SINISTRA AVESSE LE PALLE L'ITALIA AVREBBE UN GOVERNO DEGNO



SE LA SINISTRA AVESSE LE PALLE…L’ITALIA AVREBBE UN GOVERNO DEGNO

di Agostino Spataro


Sommario:
- Grillo cresce perché diminuisce la partecipazione democratica dei cittadini;
- non un voto per punizione ma per convinzione;
- a Parma è nato un torbido connubio non la “terza” Repubblica;
- dopo il fallimentare dispotismo di Bossi e Berlusconi, un altro leader populista?;
- dopo Monti, un grande polo della sinistra democratica e progressista per governare il Paese;
- il Partito Democratico fuori dall’equivoco;
- se la sinistra si unisse


Grillo cresce perché diminuisce la partecipazione democratica dei cittadini
Scusate se insisto, ma ieri un nuovo sondaggio ha frastornato l’Italia: il signor Grillo sarebbe al 21% dei suffragi elettorali. Certi commentatori avvertono (o minacciano?) che, da qui alle prossime elezioni, la “scalata” potrebbe continuare fino a toccare livelli davvero sorprendenti.
Questo dato (reale o enfatizzato) accelera l’esigenza di cambiare registro e di correre ai ripari.
A cominciare da un’incisiva riforma della legge elettorale (“porcellum”) per introdurre la riduzione di almeno il 30% del numero dei parlamentari (una Camera di 400 membri e un Senato di 200) e il voto (numerico) di preferenza affinché sia l’elettore a scegliere il suo rappresentante in Parlamento e non più il capo-partito. Ed anche l’abolizione del “premio” di maggioranza che aggiudica allo schieramento che prende un solo voto in più un premio di circa cento parlamentari.
Una rendita scandalosa quanto inutile, che non è servita nemmeno a far funzionare per il meglio il “bipolarismo”.
In realtà, il “premio” è servito per  nominare altri cento servitori dei… capi-partito e per escludere dalla rappresentanza parlamentare quasi il 20% dell’elettorato.  
Il risultato di questa legge indegna è sotto gli occhi di tutti. Mai come oggi, è stata così coartata, umiliata la partecipazione dei cittadini, dei militanti alla vita democratica, alle scelte politiche ed economiche del Paese.

Non un voto per punizione ma per convinzione
Perciò, bisogna subito modificare il “porcellum”( perche non abolirlo?), anche attivando una corsia prioritaria in sede parlamentare, come chiedono i cittadini esasperati dalla mancanza di una reale possibilità di ricambio del ceto politico.
Senza queste modifiche cresceranno la sfiducia, l’astensionismo, le delusioni e il ritiro nel “privato”, il voto di protesta. Crescerà Grillo.
La preferenza unica non è la panacea, tuttavia potrebbe favorire il recupero di gran parte di tale disagio e sbloccare la situazione.
Con la preferenza, infatti, si stimolerebbe la partecipazione politica ed elettorale; si riporterebbero dentro i partiti il confronto e la protesta dei cittadini i quali, riappropriandosi della facoltà di scelta, potrebbero esercitarla all’interno della lista di riferimento.
Senza essere, cioè, costretti a votare per protesta: più per punire qualcuno che per scegliere un programma, un governo, un parlamentare.
Da questo malessere si originano, infatti, i dati preoccupanti dei sondaggi che un po’ fanno il paio con le manovre miranti a scardinare l’impianto democratico del Paese.
Il primo problema è, dunque, quello di ricreare normali condizioni di esercizio dei diritti democratici per rasserenare il clima politico e per consentire agli elettori di votare non per ritorsione,  ma per promuovere il benessere solidale della nazione.
Insomma, ognuno deve potere scegliere, serenamente, fra programmi e candidati, con convinzione e responsabilità. Eventualmente, anche le liste del signor Grillo.
Questo è il punto politico più urgente!        
Poiché, votare con la legge-porcata potrebbe significare un colpo esiziale alla nostra democrazia.

A Parma è nato un torbido connubio, non la “terza Repubblica”
Chiarito quest' aspetto, è necessario analizzare alcune tendenze emergenti dai sondaggi e un po’ dagli umori della gente che parrebbero indicare per l’Italia un futuro politico anomalo, incerto, probabilmente conteso fra il centro-sinistra e una forza populista senza progetto e senza statuto com’è quella del signor Grillo.
La situazione è preoccupante ma recuperabile. Nulla è scontato.
Tuttavia, non si può sottovalutare, poiché tali previsioni un qualche fondamento ce l’hanno poichè fanno  leva sull’esasperazione diffusa in alcuni settori dell’elettorato giovanile e di centro-destra.
Significativamente, il 21% dei grillini si realizza, quasi interamente, ai danni del PdL di Berlusconi, in caduta libera. Un déjà vu, potremmo dire. Un travaso già verificatosi a Parma con l’elezione del sindaco grillino che qualche autorevole quotidiano (tra questi, sorprendentemente, anche il mio “La Repubblica”) ha qualificato, addirittura, come atto di nascita della “terza Repubblica”. 
Ora, con tutto il rispetto delle opinioni, considero, a dir poco, un abbaglio il volere far nascere una nuova (terza?) Repubblica da un torbido connubio come quello che, di fatto, si è realizzato a Parma fra il candidato grillino e i berlusconiani i quali, esclusi dal ballottaggio dopo una lunga decade di malgoverno, hanno riversato, per ritorsione, i loro voti su Pizzarotti.
Una “terza Repubblica” che nascesse su una siffatta confluenza bisognerebbe indicarla al pubblico ludibrio invece che esaltarla, enfatizzarla.
Fin qui, nulla di strano: sono gli aspetti beceri di certa politica e di una vista corta.
Quel che più meraviglia è la lettura enfatica, e pertanto sospetta, che si continua a fare del “fenomeno” su  quasi tutti gli organi d’informazione - com’è noto- controllati dai soliti “poteri forti” i quali,  certo, non amano Grillo, ma vorrebbero usarlo come minaccia incombente per condizionare i singoli partiti in affanno, lo stesso governo Monti, per obiettivi di potere che poco hanno a che spartire con gli interessi veri del popolo italiano.

Dopo il fallimentare dispotismo di Bossi e Berlusconi, un altro leader populista?
Tuttavia, se siamo a questo punto delle ragioni ci sono e fra queste sicuramente alcune di cui quasi mai si parla: l’appiattimento dei partiti sugli interessi forti, italiani e stranieri; l’aggiramento della volontà popolare e la vanificazione degli stessi esiti referendari; la distribuzione iniqua del carico fiscale e della ricchezza nazionale; l’occupazione sistematica del potere pubblico; ecc. ecc.
Per rimuoverle non serve un mago con la bacchetta magica, ma è necessario riaprire le vie della partecipazione democratica per la ricostruzione morale ed economica del Paese, per ridare fiducia e una prospettiva di lavoro ai giovani; per riformare lo Stato, l’amministrazione, la scuola, l’informazione, ecc.
Uno sforzo immane, collettivo e solidale, che presuppone il ripristino di una corretta dialettica democratica, elettorale che affida ai cittadini, organizzati nei partiti e nelle associazioni, il diritto/dovere di cambiare uomini e cose.
Francamente, dopo il dispotismo fallimentare di Bossi e di Berlusconi, l’Italia non bisogno di un terzo “leader” populista che, dalla sua villa “a cinque stelle”, detti ordini in nome del popolo indignato.
Il discorso è di responsabilità nazionale e vale per tutti: cittadini e partiti di destra, di sinistra, di  centro.
Su questo terreno vanno verificati il ruolo, la volontà e la capacità propositiva dei partiti e dei loro raggruppamenti elettorali.
Specie in questa fase di acuta crisi e con un governo tecnico (e pertanto anomalo), il problema è di come, con quali idee e schieramenti, si prepara il ritorno alla normalità politica, al dopo-Monti.

Dopo Monti, un grande polo della sinistra democratica e progressista per governare il Paese
Il quadro è confuso, incerto. Il centro-destra ondeggia, perde pezzi, anche pregiati, del suo elettorato. Allo stato, non sappiamo se e come uscirà dalla sua crisi.
Una condizione propizia che dovrebbe favorire una sinistra davvero rinnovata negli uomini e nelle idee, portatrice di un progetto nuovo che rompe con i vecchi schemi ma anche con le ambiguità e le incoerenze accumulate in questi anni.
Per preparare il dopo-Monti, c’è necessità- a mio modesto parere- di un grande polo della sinistra democratica e progressista che assuma come compito costitutivo, identitario quello di rappresentare e difendere i legittimi interessi dei lavoratori, dei giovani, della cultura e degli intellettuali, dei ceti medi produttivi e professionali, dell’imprenditoria onesta e socialmente responsabile, ecc.
Oggi, questo immenso popolo è sotto attacco, sta pagando le più gravi conseguenze della crisi che altri hanno provocato e- cosa ancor più grave- è senza una forte rappresentanza politica.
Chi dovrà rappresentarlo? Questo è un altro punto politico chiave.
Non certo formazioni minoritarie per vocazione, individualiste, ma una nuova sinistra, un “Fronte ampio” di tutte le forze disponibili di area socialista, in alleanza con altre forze anche del centro popolare e soprattutto con settori della società prive di rappresentanza.

Il Partito Democratico fuori dall’equivoco
Per fare tutto ciò il Partito Democratico deve avere il coraggio di mettersi in discussione. Così com’è non ha dove andare. Può svolgere soltanto una funzione subalterna, ossequiosa dei poteri forti.
Alla prova dei fatti, il Partito Democratico non ce l’ha fatta a svolgere un ruolo di vero cambiamento e di rappresentare queste istanze. Forse non l'ha nemmeno voluto. Anche perché è nato con un vizio d’origine: quello di avere ideato e gestito la sua costituzione come sommatoria di due componenti importanti (la gran parte dell’ex PCI e una corrente dell’ex DC) e non come nuova entità politica e ideale animata da valori e concezioni condivise.
Poteva essere l’occasione storica di fondere in un nuovo partito le due “anime” davvero popolari del Paese (cattolica e di sinistra), come, forse, si tentò di fare con “l’Ulivo”. Ma così non è stato. 
In realtà, più che un partito è stato creato un contenitore, un loft- come fu chiamato- per garantire ai  vertici, centrale e territoriali, delle due componenti “un posto in prima fila”.
Per altro, nel PD, a parte il comune anelito governativista dei suoi vertici, su quasi tutto il resto le due componenti sono divise e sovente contrapposte.
Il disagio e la contraddizione si colgono anche nella composizione del gruppo dirigente ai cui vertici troviamo personalità che amano collezionare ruoli e frequentazioni in club esclusivi internazionali massimamente liberisti e altre che scendono in piazza, alla testa dei  lavoratori, per contrastare le mire e i disegni dei primi.

Se la sinistra si unisse …
Vere e proprie antinomie che vanno chiarite e superate. E pazienza se alcuni liberisti camuffati se ne andranno per la loro strada. Si perderà qualche bel nome, ma si guadagnerà tantissimo in credibilità e in voti.
E, soprattutto, si avrà la possibilità di creare un grande partito della sinistra democratica e progressista che, con altre forze popolari, può legittimamente aspirare a governare e a riformare questo Paese. Ovviamente senza chiusure autarchiche, settoriali, ma in sintonia con i valori e i nuovi fermenti che animano oggi la scena politica in Europa e nel mondo.
Perciò, se la sinistra avesse, non dico le palle (poiché a essa, essendo di genere femminile, non si addicono tali attributi), ma la voglia di unirsi e rimettersi in gioco, i lavoratori e i cittadini italiani avrebbero un grande partito e l’Italia un governo degno.                      

Agostino Spataro   20 giugno 2012         

        

venerdì 15 giugno 2012

Agostino Spataro nella storica collana "i Saggi" di Edizioni Associate

Mi piace condividere con gli amici e con i miei pochi lettori l'inserimento nel sito della casa editrice
"Edizioni Associate" di Roma,(http://www.edizioniassociate.it/) del mio nome nella storica collana "I saggi" accanto a quelli, ben più illustri, di Jean Paul Sartre, di Fidel Castro, ecc.
Un caro saluto a tutti.
                                           Agostino Spataro
Giugno 2012

El Cristo de la Recoleta (Buenos Aires)

domenica 10 giugno 2012


RESTITUIRE AGLI ELETTORI IL DIRITTO AL VOTO DI PREFERENZA
RIDURRE ALMENO DEL 30 % IL NUMERO DEI PARLAMENTARI

di Agostino Spataro

1… Credo si possa affermare, anche alla luce degli ultimi avvenimenti, che la causa principale dell’attuale deriva politica e parlamentare risieda nella vigente legge elettorale per il rinnovo del Parlamento (la n. 270 del 2005) meglio nota come “porcellum” o “porcata” come l’ha definita il suo proponente on. Calderoli, ministro della Lega di Bossi nel governo Berlusconi.
Un grave misfatto politico consumato ai danni della democrazia e della sovranità popolare poiché ha trasferito una parte importante del potere elettivo dal popolo a una diecina di capipartito che, di fatto, nominano i membri di Camera e Senato, determinando, per altro, una disparità incomprensibile fra i diversi livelli della rappresentanza elettiva.
Infatti, solo i membri del Parlamento nazionale sono eletti (nominati) senza preferenze, mentre tutte le altre rappresentanze (deputati europei, consiglieri regionali, provinciali e comunali e parlamentari delle circoscrizioni estere) sono elette col voto di preferenza.
Una condizione anomala che non sta né in cielo né in terra, ma solo nelle teste dei capi partito ossia di privati cittadini (perché tali sono secondo la Costituzione) i quali esercitano un diritto espropriato agli elettori.
Tutto ciò è inaccettabile! Anche perché, alla prova dei fatti, i gruppi dirigenti dei partiti, pur avendo tale enorme potere, si sono dimostrati incapaci di operare una selezione idonea delle rispettive rappresentanze parlamentari, preferendo alla competenza e allo spirito critico, la piaggeria, le amicizie, la parentela e il mero allineamento di cordata. 

2… Sappiamo che tale “capolavoro” è stato caldeggiato dai “poteri forti”, in gran parte, identificabili con i padroni dell’informazione, che lo hanno prima blandito e poi, cinicamente, usato per indebolire, condizionare il ceto politico e iniettare il germe infido del qualunquismo e della sfiducia verso le istituzioni rappresentative.
L’obiettivo è chiaro: screditare i partiti per prepararsi (come taluni stanno facendo) alla conquista diretta del governo dello Stato e al controllo economico e morale del Paese.
In ogni caso, la campagna è servita per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da più urgenti problemi e avere campo libero per realizzare affari colossali e spostare quote importanti della ricchezza nazionale dai ceti meno abbienti alle elites dominanti.
Un esempio che, da solo, spiega il senso di questa infinita transizione politica italiana: secondo l’Istat, i primi dieci “paperoni” italiani dispongono di una ricchezza equivalente a quelle di tre milioni di persone più povere. Semplicemente scandaloso per un Paese civile!
Purtroppo, con le loro condotte, talvolta aberranti, partiti e parlamentari hanno offerto il fianco a quest' odiosa campagna mirata a travisare l’idea stessa della politica come partecipazione democratica e ad esaltare il mito (falso e disastroso) del leaderismo che può diventare l’anticamera della moderna dittatura.

3… Tuttavia, al punto in cui ci troviamo, non serve attardarsi sui guasti, evidenti, provocati da questa legge indegna, semmai bisogna vedere che cosa fare per modificarla radicalmente e in tempo utile, cioè prima delle prossime elezioni politiche generali, anche anticipate.
Poiché, se si andasse al voto con il “porcellum” si potrebbe assestare il colpo di grazia a questa democrazia in evidente affanno. 
Le ipotesi sono tante: talune degne di considerazione, altre stravaganti o pensate a misura del proprio interesse particolare. Tuttavia, nulla si sta facendo in concreto.
L’unica cosa che trapela è questa sorda unanimità (quasi totale) contraria a re-introdurre almeno un voto di preferenza per restituire all’elettore la facoltà di scegliere il “suo” parlamentare, direttamente come contemplato nella vigente Costituzione.
Con la preferenza difficilmente si potrebbero eleggere conigliette e yesman e si restituirebbero dignità, forza e libertà al Parlamento e ai singoli parlamentari i quali, secondo il dettato costituzionale, non sono rappresentanti di questo o di quello, ma del territorio che li esprime e dell'intera Nazione.
In realtà, si teme la preferenza poiché potrebbe provocare una sorta di “rivoluzione copernicana” nel sistema politico italiano: il sole non sarebbe più il capo-partito che nomina, ma l’elettore che sceglie, col voto, anche il capo partito.
Taluni obiettano che il voto di preferenza favorirebbe il mercimonio elettorale e il conseguente controllo del voto.  
A parte il fatto che, come dimostrano diverse inchieste e condanne giudiziarie, il mercimonio si è verificato anche con la legge-porcata, si possono rasserenare gli ipocriti obiettori che per evitare l’indebito controllo basterebbe introdurre una sola preferenza numerica (non nominativa)e magari adottare il sistema del voto elettronico, come oramai avviene perfino in diversi  Paesi in via di sviluppo.

4… L’altra grande questione è la riduzione del numero dei parlamentari sulla quale, da 40 anni, si continua a nicchiare, a rinviare. Il problema non è solo di spesa, ma di funzionalità, di armonizzazione del quadro più generale delle rappresentanze elettive che, nel corso degli ultimi decenni, si è ampliato, ben oltre le reali esigenze e competenze attribuite.
Insomma, in alcuni casi non c’è piena corrispondenza funzionale fra la composizione degli  organismi elettivi e le competenze effettivamente svolte. Questo è il punto politico da cui partire per stabilire un criterio oggettivo in base al quale ridimensionare o anche sopprimere gli organismi in esubero.
Anche il Parlamento nazionale vive questo problema, avendo ceduto quote di potere (legislativo, d’indirizzo e di controllo) alle Regioni e alle istituzioni comunitarie. Perciò, può essere ridotto almeno del 30%  e così avere una Camera di circa 400 membri e un Senato di circa 200.
Purtroppo, il dibattito sulla riforma è viziato da una pretesa insana: quella di anteporre le esigenze particolari di partiti e/o di singoli parlamentari agli interessi generali, di funzionalità e produttività, delle assemblee elettive.
Il tempo stringe, tuttavia la riforma si può varare e così bloccare la pericolosa deriva.
Non servono le conventicole, ma prese di posizioni pubbliche, motivate e responsabili: ognuno dica se vuole o meno la re-introduzione di una preferenza numerica e la riduzione adeguata del numero dei parlamentari; la gente valuterà e agirà di conseguenza.

                                                    Agostino Spataro

8 giugno 2012

martedì 5 giugno 2012

I libri di Agostino Spataro in Library Yale University


Home > Spataro, Agostino > Il Mediterraneo : popoli e risorse verso uno spazio economico comune / Spataro, Agostino, 1948- Published 1993 Login to add favorites Oltre il canale : ipotesi di cooperazione siculo-araba / Spataro, Agostino, 1948- Published 1986 Login to add favorites Mediterraneo : l'utopia possibile / Spataro, Agostino, 1948- Published 1999 Login to add favorites Il fondamentalismo islamico : dalle origini a Bin Laden / Spataro, Agostino, 1948- Published 2001 Login to add favorites Il turismo nel Mediterraneo / Spataro, Agostino, 1948- Published 1998 Login to add favorites Ioppolo Giancaxio : fra storia e memoria / Spataro, Agostino, 1948- Published 1996 Login to add favorites Search HistoryAdvanced SearchCourse ReservesSearch TipsAsk! a LibrarianHome > Spataro, Agostino > Il Mediterraneo : popoli e risorse verso uno spazio economico comune /


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by Spataro, Agostino, 1948- Published 1986
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IL CAMILLERI CHE NON TI ASPETTI di Agostino Spataro




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L'infanzia, il sesso, il santo nero (ecco il Camilleri che non ti aspetti)



Figlio cambiato:
Come Pirandello, anche Camilleri da piccolo subi' il trauma del figlio cambiato: "Mamma e papa' per punire le mie 'vastasate', mi dissero che ero figlio di un ignoto carrettiere col quale, per errore, si erano scambiati i figli neonati"


Festa del patrono:
"Nel mio paradiso, deserto e privo di santi, c'e' solo S. Calogero, l'eremita giunto dall'Africa, nero e povero in canna. E forse non e' un caso se uscivo dal ventre di mia madre nello stesso momento in cui S. Calogero usciva dalla chiesa madre"






Porto Empedocle:
E' la vigata dei suoi romanzi, qui Camilleri e' nato nel 1926: "Per quanto piccolo era pur sempre un luogo piu' avanzato rispetto a Girgenti, poiche' le citta' portuali sono sempre un passo avanti rispetto a quelle dell'entroterra"



Per la prima volta, Andrea Camilleri si racconta, e per intero, davanti alla telecamera di Diego Romeo che ha realizzato un interessante documentario televisivo (Tra Vigata e Montelusa - Il racconto del figlio cambiato), in questi giorni trasmesso da alcune emittenti siciliane. La scena è quasi sempre dominata dal faccione rassicurante di Camilleri mentre fuma avidamente e parla, con dire flemmatico e suadente, dell´infanzia e della giovinezza, vissute appunto tra Vigata (ovvero Porto Empedocle, dove è nato nel 1926) e la vicina Montelusa (alias Agrigento, dove ha fatto il liceo) e dei ritorni frequenti in Sicilia a trovare gli amici, a respirare gli odori densi della sua Marina: «Odore del porto, poiché - sottolinea lo scrittore - ogni porto ha un suo odore fatto di nafta, di cordame marcito, d´alghe fradice: cattivi odori che, fra loro mischiati, formano un buon odore». Il racconto si scioglie in una sorta di confessione, a tratti pudica, che ci svela un´intimità gelosamente conservata, per 76 anni: la scoperta incidentale del sesso attraverso le visioni della pensione Eva, chiusa di giorno e animata soltanto la sera, dove si «affittavano» corpi nudi di donne a uomini che li guardavano con lascivia, come faceva lui quando, di soppiatto, spiava sotto le gonnelle delle cugine. Come Pirandello, anche Camilleri da bambino subì il trauma del figlio cambiato: i genitori ricorsero a questo espediente per punirlo delle sue vastasate, gli dissero che era figlio di un ignoto carrettiere col quale, per errore, s´erano scambiati i figli neonati. Sì, perché il giovanotto era talmente vivace da indurre la famiglia a internarlo presso il Convitto vescovile di Agrigento dove «non facevo altro che piangere, perché dalla finestra della camerata si vedeva il porto». Per uscirne ricorse a una trovata alquanto empia: tirò un uovo contro il crocifisso e con questo gesto, enormemente blasfemo e imperdonabile, si assicurò l´espulsione da quella sorta di anacronistico reclusorio. In questo vanto degli errori infantili, probabilmente, c´è il tentativo di «non morire di quella specie di buon senso progressivo... quando si scopre, troppo tardi, che le uniche cose che non si rimpiangono mai sono i propri errori» (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray ). Racconto intenso, sincero, umanissimo che svela un radicato sentimento d´appartenenza alla terra natia, il suo sentirsi figlio di questa provincia marginale, ancor oggi assetata e sfigurata da tante ingiustizie e dal predominio di poteri occulti e minacciosi. Ci riferiamo alla provincia di Agrigento così segnata da contraddizioni e asperità sociali e culturali da renderla prolifica di scrittori di successo (Pirandello, Sciascia, Camilleri, per citarne alcuni). Qui - come altrove in Sicilia - gli artisti non hanno bisogno di essere molto immaginifici, poiché la realtà stessa è immaginazione e rappresentazione, anche se la gran parte di questi talenti riescono a sbocciare soltanto lontano dai luoghi natii. Anche Camilleri per affermarsi è dovuto emigrare. Eppure - come lui racconta - è stato baciato da una sorte felice, fin dalla nascita. È l´unico sopravvissuto dopo due fratelli morti in tenerissima età e venne alla luce in una fausta coincidenza: precisamente, alle ore 13 della prima domenica di settembre, giornata dedicata alla festa di San Calogero: «Uscivo dal ventre di mia madre nello stesso momento in cui San Calogero usciva dalla Chiesa matrice per la processione; per la gioia la levatrice mi espose dal balcone, nudo come m´aveva tirato, alla visione della moltitudine che seguiva il fercolo del santo». Lo scrittore, che si proclama ateo, ammette che nel suo personale paradiso «deserto, privo di santi» c´è solo San Calogero, il «santo nero» il cui culto strambo (descritto nel romanzo Il corso delle cose) è tuttora vivissimo in molti paesi e città della fascia meridionale della Sicilia. In realtà, la sua non sembra essere devozione, ma sincera affezione per questa singolare figura di eremita, giunto dall´Africa in un tempo remoto, nero e povero in canna, la cui santità è stata imposta alla gerarchia cattolica a furor di popolo. Quando può, Andrea Camilleri ritorna alla Vigata dei suoi strabilianti successi editoriali, ma non ritrova più il paese ordinato e pulito della sua giovinezza, delle scorribande felici con gli amici, delle fabbriche operose, dei pescatori e dei commerci di sale e di zolfo, estratti dalle viscere di questa terra ingrata e ammassati sui moli del porto empedoclino che, per quanto piccolo, «era pur sempre un luogo più avanzato rispetto a Girgenti, poiché le città portuali sono sempre un passo avanti rispetto a quelle dell´entroterra». Oggi le fabbriche sono quasi tutte smantellate e il porto commerciale langue nella perenne stasi. Invece che bastimenti a Porto Empedocle arrivano traghetti carichi d´immigrati clandestini e carrette strapiene di disperati che vengono a morire sugli scogli. Camilleri non ritrova la sua Vigata, quella che chiama «la prima Porto Empedocle», perché è stata cancellata dalla tremenda alluvione del 1971. Della seconda, quella della mafia spietata cresciuta all´ombra dei «grattacieli ignobili della Lanterna», nemmeno ne parla. Lui, che si definisce «un siciliano di scoglio» (espressione coniata da Vittorio Nisticò per indicare quella categoria di siciliani che non osano avventurarsi in mare aperto), a questa seconda città volta le spalle e preferisce restarsene seduto sopra uno scoglio della vecchia, cara Marina ad assaporare l´odore del porto e a scrutare le profondità del mare africano.
Agostino Spataro - La Repubblica (ed. di Palermo), 24.10.2002