martedì 23 febbraio 2021

VIOLET GIBSON: UNA MEZZA VERITA' SULL' ATTENTATO A MUSSOLINI - Perché si tace sul ruolo dell'on. Giovanni Antonio Colonna, duca di Cesarò e barone di Ioppolo ?

 

(Mussolini con la ferita al naso/ Scheda di Violet Gibson, ministero Interno)

di Agostino Spataro

1… Domenica scorsa (21/2/21) sono apparsi nelle pagine degli spettacoli di alcuni fra i più diffusi quotidiani italiani (Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero, La Repubblica, ecc) alcuni articoli aventi, grosso modo, stesso testo e stesso titolo, in cui si annuncia la "verità" su Violet Gibson la nobildonna inglese che, il 7 aprile 1926, attentò alla vita di Benito Mussolini e per pochissimo non lo uccise. In realtà, detti articoli sembrano finalizzati a promuovere il film di Barrie Dowdall "Violet Gibson, La donna irlandese che ha sparato a Mussolini", attualmente in proiezione in vari festival cinematografici internazionali, fra cui in quello di Chicago. In attesa di vedere il film, in base a quanto letto sui citati quotidiani si può affermare che più che la "verità" é stata strombazzata una "mezza verità", poiché viene assunta come vera la versione - a suo tempo concordata fra il regime fascista e il governo di sua Maestà britannica- secondo la quale la signora Gibson, figlia del cancelliere del Regno, compì in solitario l’attentato in preda a una crisi di nervi, di paranoia, di pura follia. Tale versione conveniva a tanti, soprattutto ai due governi che, di fronte a un'altra verità, avrebbero dovuto dare spiegazioni più convincenti. Dopo circa un anno di visite specialistiche, di minacciosi interrogatori degli organi inquirenti, la Gibson ammise la responsabilità dell’attentato, chiamando in causa altri (di cui diremo), per poi ritrattarle davanti al tribunale speciale fascista che la dichiarò pazza. Pazza col bollo giudiziario. E così, perdonata dal Duce e assolta dai giudici, fu ristretta in un manicomio prima a Roma e poi in Inghilterra, dove restò segregata per circa trentanni (mori nel 1956), essendole stati negati i permessi da lei richiesti. Anche a guerra finita e con il regime fascista sconfitto, si temeva che potesse palesare la sua verità. Fu lasciata marcire e morire in manicomio, non tanto per la sua pazzia quanto per la sua pericolosità politica! Perché? Una domanda atroce alla quale qualcuno avrebbe il dovere di rispondere in sede politica e storica. Eppure si trattò di un attentato importante contro Mussolini (quell'anno ne subì ben quattro) da cui si salvò per "miracolo", che, nel caso fosse andato a segno, avrebbe cambiato il corso politico italiano ed europeo; forse avrebbe evitato una lunga e brutale dittatura all'Italia e una terribile nuova guerra mondiale. Troppo importante, e misterioso, per essere liquidato con un film o con qualche articolo- a mio parere- assai accomodanti. Con una mezza verità, per l’appunto.
2...Negli articoli ricordati, che sembrano ispirati da una fonte unica, non si fa alcun riferimento ad altre responsabilità affiorate nel corso delle indagini e relative ad alcune personalità antifasciste italiane (qualcuno addirittura sospettato come possibile mandante dell’attentato) coinvolte nelle indagini e che avrebbero avuto buoni motivi politici (e forse anche personali) per fare uccidere Benito Mussolini. Mi riferisco, in particolare, all’on. Giovanni Antonio Colonna, duca di Cesarò e barone di Ioppolo Giancaxio (Agrigento), della cui storia politica, più volte, mi sono occupato sia per il suo importante ruolo politico, parlamentare e di governo (fu capo del partito della “Democrazia Sociale”, ministro (non fascista) nel primo dicastero Mussolini e, dopo la barbara uccisione di Giacomo Matteotti, anche attivo protagonista della secessione dell’Aventino ) e sia perché- se permettete- barone del mio comune di nascita e di residenza. Stando alle prime dichiarazioni della Gibson, il duca le fornì assistenza logistica e una rivoltella per attuare il piano omicida sulle scale del Campidoglio, all’uscita di Mussolini dal congresso di chirurgia. Addirittura, taluni storici sostengono che il duca fu visto accanto all’attentatrice nel momento dello sparo. Presenza che parrebbe confermata da una foto (inviata dall'America del Sud - Brasile?- e depositata presso gli archivi italiani) nella quale si vedono chiaramente il Duce di spalle con di fronte la Gibson e una persona (con il volto "scancellato" intenzionalmente reso irriconoscibile) somigliante alla fattezze fisiche del Colonna.
3… Una “storia” intricata, misteriosa, lunga già da me trattata in vari scritti di cui propongo un passaggio. “Come nota Michele Beraldo (3) dalle indagini e dagli interrogatori venne fuori che la Gibson per por­tare a termine il suo progetto era stata appoggiata da“qualcuno” in Ita­lia e a Roma in particolare. L’attentatrice dichiarò a verbale che era stata aiutata e indirizzata sull’obiettivo da membri della “Società Teosofica Indipendente” e, in particolare, dal duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò…
La Gibson dichiarò di conoscere da tempo il duca nell’ambito delle frequentazioni della società teosofica a livello europeo e che venne a Roma su richiesta del leader della Democrazia Sociale, il quale prov­vide ad alloggiarla in un albergo in via Gregoriana, di fronte alla pro­pria abitazione, e a fornirle la pistola per l’attentato al Duce. Il Colonna, sottoposto a diversi interrogatori, negò ogni responsabilità in ordine all’attentato anche se ammise di avere conosciuto la Gibson a Monaco di Baviera, (nel 1912), durante gli incontri europei della società teosofica. Secondo la polizia nel corso di una perquisizione in casa del Di Cesarò furono trovati documenti che comprovavano l’esistenza di un complotto di tendenza monarchica per rovesciare il regime. Si disse anche che nello stesso periodo il Colonna, vista anche la deludente conclusione della secessione aventiniana, avesse sostenuto, parlando con il principe Pietro Ercolani, che l’unico mezzo rimasto per ristabilire la democrazia in Italia era l’assassinio di Mussolini. Vi erano diversi elementi a carico del leader di Democrazia Sociale, il quale, come già detto, negò risolutamente ogni addebito. L’istruttoria si bloccò anche a seguito della ritrattazione che Violet Gibson fece a proposito del coinvolgimento del duca di Cesarò. La donna fu considerata “malata di mente” e rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Politicamente, al fascismo faceva più comodo avvalorare la tesi della “pazzia” che quella dell’attentato politico che presupponeva una certa organizzazione antifascista. ..”
4… La mia ricerca (tuttora in corso) ha acquisito altri materiali e notizie che rafforzano i legami fra la Gibson e il duca Giovanni Antonio Colonna, esponente di spicco delle società teosofica italiana, il quale insieme alla madre Emmelina Sonnino (sorella del più celebre Sydney, grande giornalista, due volte Capo del governo italiano), crearono nella loro casa di via Gregoriana un qualificato sodalizio di ferventi seguaci delle teorie di Rudolf Steiner le cui opere furono tradotte in Italia proprio dalla signora Emmelina. Dopo la vicenda del fallito attentato, il duca abbandonò ogni attività politica (anche perché vietata dalle leggi della dittatura fascista) per dedicarsi agli studi antroposofici e filosofici e anche ai... suoi feudi di Ioppolo Giancaxio da cui traeva le risorse finanziarie per mantenere un certo livello di vita a Roma.
Insomma, senza voler essere irriguardoso, ho costatato- da uno studio delle carte amministrative della “segrezia” del castello di Ioppolo - che la “lista delle spese” del barone la pagavano, con il loro sudore e subendo le angherie dei campieri, i coloni e i miseri braccianti del luogo. Concludo ricordando un incontro (nel 1996, nella casa di via Gregoriana) con la figlia del duca, duchessa Simonetta Colonna Romano, rinomata creatrice di moda, la quale mi confermò che il padre fu sottoposto a una rigida e assidua sorveglianza della polizia politica fascista, anche nelle sue attività private, familiari. Mi raccontò di un viaggio a Venezia e di una traversata del Canal Grande con “due gondole”: una per il duca e le sue bambine e un’altra per i suoi segugi. Il Colonna sarà sottoposto a tale rigido regime fino alla sua morte avvenuta nel 1940. Volle essere seppellito a Ioppolo Giancaxio, nella cripta del loro castello, insieme al padre (Gabriele, membro dello stato maggiore di Garibaldi ad Aspromonte e deputato della Sinistra crispina) e agli altri suoi illustri antenati.
(Ioppolo G. 23 febbraio 2021).
(3) Agostino Spataro “Il cavaliere e la notte” https://www.lafeltrinelli.it/libri/agostino-spataro/257930


giovedì 11 febbraio 2021

UN MONOLOGO NELLA CRIPTA

 




Racconto di Agostino Spataro *

 Una sera, dal barbiere, Ninuzzu raccontò una disavventura, capitata a lui, personalmente, nell’esercizio delle sue funzioni di sagre­stano. Un fatto sconvolgente che giurò essere vero “quantu è veru Id­dio”.
Profittando del suo ruolo, Ninuzzu parlava di Dio con una certa confi­denza, fino al punto da chiamarlo a testimone per ogni “cacatella” che diceva.
Con i santi, poi, era in intimità. Dio c’era ma non si mostrava, era invi­sibile. Invece, i santi li vedeva, li accudiva. Poveri vecchi impolverati!

Smargiassate di un povero nano per accreditarsi presso il pubblico come “omu ranni”, poiché, pur avendo cinquant’anni, mai lo era stato.
Una malattia rara, infatti, gli bloccò lo sviluppo fisico e psichico quando era appena dodicenne. E tale rimase per tutta la vita. Con l’aggiunta di alcuni difetti degenerativi come la scemenza e- si diceva- la pedofi­lia.
Quasi sempre vestito di nero, restò un “ragazzino introverso, “scantu­linu” (pauroso), facile alle suggestioni. Scambiava i suoi frequenti in­cubi per frementi realtà, da raccontare in pubblico. Così, per darsi un tono.
Qualsiasi cosa gli capitava, anche la più banale, per lui era un evento eccezionale avvolto nel mistero.
Perciò, attenti a quel che “cunterà”, stasera, dal barbiere!
Dopo aver suonato li “venturi” e prima di rientrare nella sua catapec­chia di “ncapu i morti”, Ninuzzu soleva salutare i santi con un inchino, spegnere i grandi ceri e le luminarie. Per risparmiare energia.
Il parroco era stato perentorio: “Astuta, astuta tutti li lampadi. Pirchì la bulletta (della luce) aumenta ogni misi, mentri li limosini calanu.”
Lasciò accese soltanto alcune candele, la cui luce tremula agitava le sagome dei santi, dei ceri, la sua stessa sagoma, dandole forme gigantesche.
Fantasmi, giganti che si rincorrevano, si spingevano uno contro l’altro, e si af­follavano verso il portone come se volessero scappare dal tempio.

Lo spettacolo delle ombre inquietò assai il sagrestano che sperimentò, a sue spese, come la tanto declamata (dai poeti) penombra fosse più inquietante dello stesso buio.
Il buio oscura, azzera tutto, È una dimensione che si addice alla morte. Invece, la penombra è viva, ruffiana, ambigua; è una via di mezzo fra la vita e la morte, fa intravedere le cose a lei più gradite, mentre altre le trascura…

Si stava avviando verso l’uscita, quando udì dei rumori, delle voci eccitate, come un cicaleccio provenire dalla cripta. Si bloccò. Stretto fra le voci di sotto e le ombre di sopra, il sagrestano si ritrovò dentro un nuovo incubo. Là sotto qualcuno stava facendo un baccanale!
Un baccanale nella cripta? Fra quegli scheletri spaventosi? Boh!
O, forse, alcuni ragazzacci si erano chiusi dentro e si stavano pren­dendo gioco di lui?
Non sarebbe stata questa la prima volta. Così, per tirargli uno scherzo, per terrorizzarlo. Per poi vantarsene in piazza e farsi quattro risate.
In quest'atmosfera d’incertezza, di paura, Ninuzzu, col cuore in gola e gli occhi sbarrati, si avvicinò alla bocca della cripta.
Le voci, i sorrisetti, i gridolini si fecero più chiari. Non c’era dubbio, là sotto qualcuno stava facendo baldoria. Ma chi?
Per scoprirlo bisognava scendere. Raccolse tutta la sua piccola riserva di coraggio e aprì la botola.
Solo raramente l’apriva, e sempre in compagnia del parroco, per dare una spolverata a quelle “quattro ossa” di preti, possidenti, graduati, malandrini e di qualche “donna” illustre, moglie e madre esemplare. L’elite del paese, i privilegiati che, certo, non potevano essere gettati nella fossa comune, confusi con il “popolo miserabile e cor­nuto”.
A quei pochi era riservato, dietro lauto compenso, un posto nella cripta…in attesa della promessa resurrezione. Una certezza secondo i preti i quali, periodicamente, aumentavano il canone alle famiglie dei ricoverati. La “resurrezione della carne” promessa dai Vangeli.
Perciò, bisognava conservare almeno le ossa. La carne si sarebbe rigenerata. A tal fine, era stata creata la cripta. Nella terra tutto andava perduto, marcivano la carne e le ossa. Senza le ossa, il defunto sarebbe risorto molliccio, inconsi­stente. Sarebbe risorto un ectoplasma. Meglio rinunciare alla resurrezione. Questa era la preoccupazione di quanti avevano scelto un posto nella cripta.
 
Ai suoi occhi si aprì una scena inimmaginabile, sbalorditiva. Gli scheletri, liberati dai lacci che li impalavano alle pareti delle teche, si muovevano per l’ampio vano, si salutavano, si toccavano a vicenda, s’inchinavano. Alcuni, i più distinti, facevano il baciamano alle signore.
Un tipo che si presentava come il cavaliere Costanera, mandrillo gaudente e raffinato, si prostrava in grandi inchini mentre col suo oc­chio, vacuo ma allenato, adocchiava qualche vecchia conoscenza. 
E quelle donne (si distinguevano dal largo bacino) civettuole che si prestavano.
Che indecenza: uno spettacolo di morti in… calore! La lussuria in quel luogo sacro, più volte benedetto!
Solo il frate domenicano non partecipava alla bagarre perché impedito dalla dignità del saio.
Se ne stava cupo, stizzito, in un angolo illuminato, a farsi vento col venta­glio di seta, ricordo del suo soggiorno missionario in Brasile.
“Guarda, guarda, sti sporcaccioni! Ma che fanno? Si abbracciano, ri­dono… Il sesso oltre la morte? Che assurdità! O, forse, questo è l’inferno? Sotto la santa chiesa!”
Ninuzzu era confuso, spaventato. Non sapeva se piangere o ridere o scappare. Non c’era dubbio: la cripta era infestata, dominata dallo spi­rito malefico del demonio. Il peccato terreno si era ravvivato.
Quegli scheletri lascivi, miracolosamente rianimati, ne erano la conferma.
Non si erano emendati. Avevano perduto ogni ritegno, violato i sacri divieti. Ossa che s’incontrano, che si accoppiano. Ossa scatenate, affamate di sesso come se volessero recuperare le occasioni perdute durante la vita.
 
Il suo sbigottimento fu notato. Uno scheletro, diritto come una candela, lo fissò e iniziò a sciorinare un rosario di pensieri empi, bla­sfemi.
“L’Aldilà? Una frottola per spiriti semplici. Ci siamo stati e presto ne siam fuggiti delusi, schifati dalla confusione. Che caos, che noia!
Perfino i servizi sono carenti, insufficienti. File dappertutto: per otte­nere udienza presso un santo anche modesto, per entrare nell’arena della sapienza dove si esibiscono i grandi padri. Anche per fare pipì c’è una fila…
Un problema serio, più importante degli inconvenienti che s’incontrano nella vita che può durare alcuni decenni, una bazzecola a fronte dell’eternità. Noi, che dovremo vivere in eterno, dobbiamo saper scegliere il posto giusto dove trascorrere l’eternità.
Se scegli il posto sbagliato, sarai fregato appunto per l’eternità. Lo so che stai pensando: il paradiso. Abbiamo dato un’occhiata.
Un ricovero per vecchi rincoglioniti. Perciò abbiamo preferito restare qui.   
Il nostro “paradiso” è in questa cripta, nel silenzio di queste notti afose temperate dall’umidità che i secoli, che qui si son fermati, ci conservano. Per il nostro diletto…come vedi. Oltre questa cripta, nel sottosuolo di questo paese, che è molto più vecchio di quanto si possa immaginare, c’è una rete di grotte e di camminamenti, scavati dagli antichi, che noi conosciamo e frequentiamo. Abbiamo la mappa! Qui sotto c’è un mondo che voi non conoscete. Anche le due rocche sono collegate. Le sorgenti che affiorano in paese nascono dallo stesso fiume sotterraneo che nasce dai monti Sicani.
Ti dico anche che in paradiso non ci sono alti prelati, preti marpioni, ministri di Dio o di Stato, mistici cristiani e sufì islamici. E che sono scemi? Quella è gente a modo, che sa vivere in terra e anche nell’Aldilà. Menti sopraffine che hanno inventato il paradiso per di­rottarvi i fessi, per godersi “in santa pace”, le delizie, i piaceri dell’inferno.

Favole, favole per gli allocchi. Per quelli che credono nella resurre­zione della carne. Un’altra frottola, un altro rinvio per privarci della porzione di felicità cui ha diritto ogni individuo.
Nei cimiteri, nelle fosse scavate qui intorno ci sono anime che atten­dono, da secoli, di essere resuscitate. Anime in pena, senza più lo scheletro, che si consumano nell’inedia, nelle privazioni.”
Io tant’assa nun ci cridu - usò il dialetto per scuotere il sagrestano che l’ascoltava con la bocca aperta come un cretino - ma se poi duvissi vi­nire pi veru sta risurrezioni, nantri - c’avemu lu schelitru interu - ni putemu subitu mettiri in caminu, ma chiddri ca hannu l’ossa sparpa­gliati, mangiati di li vermi comu putrannu stari dritti, caminari?
È chiaro che se dovesse venire, verrà per pochi, per coloro che manter­ranno i corpi ben conservati. L’esempio sono le mummie dei faraoni e degli scribi d’Egitto e-come vedi- noi che abitiamo nella cripta.
D’altra parte, se tutti i defunti dovessero risorgere te la immagini che gran confusione? Miliardi di morti stralunati, affamati, atterriti dal pro­gresso. No, mi pari ca sta prumisa nun avi né testa né cuda.
Ninuzzu accennò a una domanda. Lo scheletro lo fermò: “No, non è necessario che parli. Non hai nulla da dirci, né da domandare. Sei pure checcu e un poco scimunitu. Lascia perdere. Se proprio vuoi dire, fare qualcosa vai a raccontare a quelli di fuori ciò che hai visto e udito quaggiù. Sappiamo tutto di te: ti chiami Ninuzzu e sei un nano mali­gno, un poveraccio rifugiatosi qui per fame. Cosa dovremo dirci? Fra noi e te c’è un abisso. Ogni sera, udiamo i tuoi passi felpati, la girata della grossa chiave del portone centrale. Tu esci dalla chiesa e noi dalle te­che. Inizia il nostro “risveglio”. Chi ha ca tremi? Non ti spaventare. Noi siamo morti. I morti non fanno male a nessuno. Devi temere i vivi. E poi, non vedi quanta allegria fra noi?
Lo so. Ti leggo nel pensiero. Vorresti sapere come facciamo a sve­gliarci? E presto detto. Nel mio vagare, da un mondo all’altro, mondi visibili e mondi invisibili, ho incontrato alcuni spiriti benigni che mi hanno svelato il segreto del risveglio dei morti.
Un segreto originario dalle montagne dello Yemen che ho confidato agli abitanti della cripta.
E così, quando in chiesa non c’è traccia di viventi, i nostri scheletri si schiodano dalle pareti e si danno alla gioia, alla libertà.
Che facciamo di male? Cerchiamo solo di recuperare le delizie che il moralismo religioso e certe usanze ci hanno negato…

Tutti moralisti questi “padri” della chiesa, specie i convertiti come san Paolo, fulminato sulla via di Damasco, sant’Agostino illuminato sulla via di Milano. Lo stesso san Francesco (più umano, a dire il vero) si diede alla povertà dopo una vita di lussi e di bagordi…
Certo, non è la resurrezione della carne di cui ti ho detto prima. Anche perché la carne, come vedi, è stata prosciugata, l’hanno divorata i vermi.
La carne non è nostra. La carne è acqua e appartiene alla Madre Terra. Forse tu non lo sai: il 67% del nostro corpo è acqua. H2O Ninù! Acqua come quella che beviamo, acqua giogia che cade dal cielo sui tetti, che scorre nei fiumi, nelle fontane, che forma i mari, l’immensità degli oceani.
L’acqua è la vita, ma quando vuole è capace di un potere distruttivo, terrificante. È lei che crea i vermi e l’invia a recuperare il “prestito”. E questi vengono, a milioni, a miliardi, per divorare le nostre carni, i nostri umori e riconsegnarli alla Terra genitrice.

Ci lasciano solo le ossa che sono calcio, un materiale resistente, come le montagne da cui proviene. La Terra è una madre esosa, si riprende tutto quel ci ha dato. Anche le ossa.
Per le ossa ci mette più tempo perché ci vogliono denti supercorazzati che i vermi non hanno. Guarda i morti sepolti nel cimitero in sontuose, gentilizie, di loro non resterà nulla. Quelle bare costose servono solo per fare arricchire i lestofanti che si tengono ben stretto il commercio della morte.
Commercio lucroso, sicuro, infallibile poiché solo la morte è certa in questo mondo. Tutti dovranno ricorrere ai servizi delle pompe funebri. Non a caso, è gestito dalla criminalità e/o dai suoi complici e protetti.
Come vedi, noi siamo pelle e ossa, ma siamo ancora qui, a parlare, a ballare, ad abbracciarci.
Perciò, rifiutiamo la pratica ignobile della cremazione. Se ci avessero cremato, di noi non sarebbe rimasto nulla. Invece, come vedi…
Certo, col tempo, anche i nostri scheletri diverranno polvere fertiliz­zante che la terra assorbirà o il vento spargerà per gli anfratti più re­moti del pianeta. È ineluttabile. Però, nel frattempo, ci saremo goduti qualche secolo di vita posticcia.”
“In questo lungo intervallo ci godiamo il post-mortem, i frutti della nostra speciale resurrezione. Puoi dirlo agli zombi là fuori che hai visto questa allegra comitiva di trapassati.
Ci divertiamo, Ninù, non facciamo nulla di male, di scandaloso. Quello che ci è stato proibito in vita lo stiamo facendo nella morte o meglio in questa seconda vita. Stiamo riacquisendo il senso del piacere, Ninù! Il piacere che ci hanno vietato. Come ci ricorda Oscar Wilde, il piacere è il dono più bello di madre Natura, “è l’unica cosa che meriti una teoria; il piacere è la prova della Natura, il suo segno di approvazione.”
Ma lasciamo stare. Tu non puoi capire. Wilde non è un panneri di Raf­fadali, dove tu spesso ti rechi senza un perché. Sappiamo, sappiamo anche questo.
Qua, nessuno si fa illusioni. La nostra è una pantomima. Siamo morti e non potremo tornare fra i mortali. Non siamo eterni, abbiamo solo il privilegio di essere dei morti insepolti.
Tu stai pensando, so che stai pensando, la morale, il contegno. Non sono più problemi nostri. D’altra parte, che cosa sono il contegno, le buone maniere, il galateo, il bon ton, la rettitudine, ecc, ecc.?
Convenzioni. Solo comode convezioni inventate da quattro furbetti per turlupinare la gente, per irreggimentare l’umanità, per chiuderla dentro una gabbia.
Forme abiette di autolimitazione.
Poiché non si vogliono uomini liberi, guidati dalla ragione, ma indivi­dui miseri, terrorizzati, disciplinati, ignoranti e ubbidienti!
Un po’ come sei tu: un prototipo perfetto della nuova umanità che stanno creando.
La morale, il contegno servono per addomesticare gli esseri umani in­capaci di autoregolarsi.
O metti la rettitudine! Altro ambiguo concetto che i savi del monotei­smo hanno imposto agli uomini semplici. Che senso ha una sola via, “retta” e obbligata, quando davanti a noi si aprono migliaia di vie, di sentieri visibili e invisibili?
È una costrizione, una concezione povera, statica del progresso; è una forma edulcorata d’incolonnamento.
Chi ha stabilito che questa via è buona e le altre no? Per accertarlo bi­sogna esplorare, percorrere tutte le vie possibili. Altrimenti, addio alla cultura, alla scienza, alla filosofia, al progresso, al futuro…
 
Qui nella cripta la “vita” è lieve, libera. Tutto è permesso nulla è vietato. Ci autoregoliamo. Di giorno restiamo in catalessi, inchiodati a queste pareti umide e malsane. Di notte, quando voi dormite, ci ri­svegliamo; una stiratina alle ossa e via a fare baldoria. Baldoria, così per dire. In realtà, parliamo pochissimo e a voce bassa. Non sentiamo il bisogno di parlare. Ci scappa qualche risolino, ma ci portiamo la mano al viso per non scoprire la bocca sdentata. Sai l’etichetta!
Al massimo ci concediamo qualche bisbiglio, un brusio leggero, sof­fuso, simile a un sussurro prolungato che inonda lu stiddratu...”
Non capisci? Non riesci a seguirmi? Ninù futtitinni. Tu devi sulu rife­riri.

Vaghiamo nella notte eterna che è il nostro regno immenso, immortale.
Al solo pensiero del nostro vagare, voi viventi vi allarmate, tremate. Vi preoccupate, pregate per le nostre anime, forse dannate.
Rassicuratevi: noi viviamo la morte come se fosse una nuova vita, più lunga e più allegra della prima. Solo la luce un po’ ci terrorizza. La luce illumina la realtà. Nel buio tutto si confonde. Anche le nostre forme spettrali diventano corpi sinuosi, attraenti, ardenti di desiderio.
Perciò, evitiamo di amoreggiare nelle notti di luna piena. Qua sotto è ammessa solo qualche “picchiuseddra”.
Lo so, tu ti stai domandando: come si può fare l’amore fra due o più scheletri?
E presto detto. Certo, le prime esperienze non sono esaltanti.
Si ode un fragore di ossa dure, secche, decrepite che solo i gemiti d’amore riescono a celare, a sovrastare.
Non capisci? Voi viventi non potete capire. Siete troppo affannati ad accumulare beni, denaro, titoli e prestigio. Dimenticando che dovrete lasciare questi beni ad altri …
L’esempio è qui dentro, nella cripta. Nella nostra prima vita fummo ricchi, potenti, benestanti. Ora siamo tutti uguali: solo ossa. Le nostre ricchezze in quali mani sono finite?
Servi e parassiti se le stanno mangiando…
Una nuova ombra s’interpose fra il sagrestano e lo scheletro narrante. Ninuzzu, confuso e sospettoso, ne profittò per ritrarsi e fuggire.
Risalì la scala e scappò, volò come una mosca liberatasi da una ragnatela. Giarnu in viso e sbigottito, corse dal barbiere a raccontare.
 

(* in: https://www.amazon.it/cavaliere-notte-Agostino-Spataro/dp/8892326074)