giovedì 27 giugno 2013

I BEDUINI OVVERO IL RITORNO NEL DESERTO


( "Perline colorate" n. 2)

Le tribù beduine (dall'arabo "badawi" ossia abitante del deserto) della penisola arabica sono popolazioni nomadi generate, per espulsione, dall'Arabia meridionale e segnatamente dallo Yemen.
Successe, infatti, in epoche lontane, che questa era l'unica regione intensamente popolata grazie al clima mite, ai venti alisei che portano la pioggia, alla discreta fecondità della terra.
L'efficiente organizzazione economica favorì l'incremento demografico e del reddito. Tuttavia, l'eccessiva densità di popolazione in un ambito divenuto ristretto provocò un notevole abbassamento del tenore di vita e ampie sacche di miseria.
Da qui prese avvio la "guerra delle tribù" per la sopravvivenza, e i più deboli furono espulsi, costretti alla fuga.
Andare dove? Ad ovest e a sud c'era il mare carico d'incognite. Le uniche vie erano a nord e soprattutto a  est, verso l'immenso deserto del Rab Al-Khali, detto anche il "Quarto Vuoto".
"Così popolazioni originarie dalle alte terre dello Yemen, sospinte nel deserto da genti più forti, divengono nomadi contro volontà per mantenersi in vita...E chi resta nel deserto abbastanza a lungo, deve ricorrere inevitabilmente a Dio, come all'unico asilo e armonia di vita".
(Th. E. Lawrence in "I sette pilastri della saggezza")
Numerose tribù che, da tempi immemorabili, erano dedite alla coltivazione di piccoli e preziosi lembi di terra strappati alla montagna, si ritrovarono senza più terra e costretti a vivere nel deserto inospitale, spostandosi da un'oasi all'altra alla ricerca di acqua e di pascoli per i loro armenti.
Certo, la condizione di nomade è dura poichè comporta la perdita di ogni comodità, di molti beni materiali, ma, in compenso, esalta le libertà individuali e l'inerzia contemplativa.
I beduini per casa hanno la tenda e per patria il deserto infinito con i suoi segreti e i suoi tormenti...

da  "La notte dello sceicco- Reportage dallo Yemen" di Agostino Spataro, Edizioni Associate, Roma, 1994

martedì 25 giugno 2013

"OSSERVATORE DEL PCI NELLA LIBIA DI GHEDDAFI", nuovo libro di Agostino Spataro

Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi
Prezzo di vendita € 11,30
Prezzo di copertina € 16,5 €
Saggistica
3a edizione 6/2013
Formato 15x23 - Copertina Morbida - bianco e nero
264 pagine
Spedizione in 3 gg lavorativi

Presentazione
Un viaggio a Tripoli
Agostino Spataro, giornalista, direttore di "Informazioni on line dal Mediterraneo" (www.infomedi.it) già membro delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, in questo libro svolge una lettura critica, controcorrente del crollo del regime di Gheddafi e traccia un inedito, inquietante scenario mediterraneo e mediorientale in formazione (Il "Cerchio MENA") che emargina l'Europa ed esalta il ruolo strategico, politico e militare, degli USA nella regione e quello di guida politica e culturale delle organizzazioni islamiste uscite vittoriose dalle "primavere" arabe. Più volte inviato del PCI in Libia, Spataro racconta alcune fasi della lunga dittatura di Gheddafi nei suoi rapporti con l'Italia: con le Istituzioni, con le imprese e con i leader di governo e di opposizione: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Enrico Berlinguer, Giovanni Spadolini, Giorgio Napolitano, Giancarlo Pajetta, Silvio Berlusconi, etc.

sabato 22 giugno 2013

I FIGLI CONTRO I PADRI E I NONNI: L'INSIDIA PIU' BIECA DEL NEOLIBERISMO

Se avete due minuti leggete questo "contromano" di Curzio Maltese, pubblicato sul "Venerdì di Repubblica" del 14 giugno 2013. Credo ne valga la pena per capire e denunciare la manovra più odiosa e insidiosa portata avanti da certi settori del potere "oscuro" che domina il mondo. Oltre all'odio contro i lavoratori, ora stanno tentando d'iniettare odio tra figli e genitori e nonni. Odio e profitti, questo è il nuovo credo.

giovedì 20 giugno 2013

venerdì 14 giugno 2013

85° nascita del "Che"- NEMO PROPHETA IN PATRIA: PURTROPPO, NEMMENO ERNESTO GUEVARA LO E'





di Agostino Spataro





1… Oggi, 14 giugno 2013, Ernesto “Che” Guevara de la Serna avrebbe compiuto 85 anni, essendo nato a Rosario (Argentina) il 14 giugno 1928. Ottantacinque anni, un’età canonica mediamente raggiungibile da buona parte degli abitanti dell’emisfero Nord. Avrebbe potuto essere ancora fra noi.
Invece, il “Che” morì a 39 anni (il 9 ottobre 1967), a La Higuera, combattendo sulle montagne della Bolivia,  barbaramente trucidato, dopo la cattura, dagli sgherri boliviani di Barrientos e dagli agenti della Cia.  
So che qualcuno potrebbe liquidare questo ricordo come patetico. Francamente, me ne strafotto di questo “qualcuno” e continua a scriverne per afflato politico, per gli ideali che Egli (ci) ha inoculato, rafforzato e suscitato in centinaia di milioni di giovani nel mondo. Lo ricordo, con affetto, come un "congiunto" emigrato in Sud America, divenuto celeberrimo ma mai conosciuto di persona. 

2… La morte d'Ernesto Che Guevara ci giunse, terribile ed inattesa, nel salone dell'ex Cral di Agrigento dove eravamo riuniti per un'assemblea provinciale degli eletti comunisti, presieduta da Armando Cossutta.
Era un pomeriggio di una tiepida domenica ottobrina. I compagni erano venuti da ogni angolo di questa provincia povera ma combattiva col vestito della festa, come si usava allora.
In giacca e cravatta e con tante idee in testa, abbarbicati alle nostre granitiche certezze, udivamo l'eco lontana dei primi moti studenteschi in America, in alcune piazzeforti del potere della società occidentale.
Sapevamo del Che Guevara, del combattente intrepido che per noi giovani incarnava, in quel momento, il sentimento più autentico della rivoluzione socialista mondiale.
Taluni lo bollarono come un avventuriero romantico, votato al suicidio.
Qualcosa di vero c'era in quelle critiche. Tuttavia, a molti parve che quella bella ''avventura'' potesse scuotere quel corteo pietrificato di mummie che popolavano le dorate stanze del Cremlino.

3… Quel 9 d'ottobre del 1967, sulle montagne boliviane morì un uomo, ma nacque un mito potente e  affascinante che continua a segnare gli ideali di milioni di giovani. E non solo.
Un fenomeno talmente vigoroso sul quale, non a caso, hanno allungato le grinfie i mercanti delle multinazionali, gli stessi che fecero ammazzare il Che, barbaramente.  
Oggi, si può disquisire sulla bontà della strategia politica e/o della tattica della guerriglia guevariana, tuttavia nessuno può mettere in dubbio la forza seducente di un mito che nemmeno le più serie riflessioni critiche hanno scalfito.
Certo, anch'egli avrà commesso qualche errore, ma quel volto bello, velatamente intristito, è stata l'icona più amata del secolo passato.
Durante questi anni, altri ''miti'' si sono affacciati, soprattutto sul palcoscenico di cinema e tv, ma presto sono scomparsi, evidentemente perché effimeri come la moda che li ha generati.
Quello del Che ancora ben resiste e si tramanda di generazione in generazione.
E questo dovrebbe far riflettere poiché vuol dire che quel mito è ancora necessario per placare le nostre inquiete coscienze, per sperare d'uscire dal groviglio di contraddizioni e di ingiustizie che pesano sul presente e sul futuro dell'umanità. E poi, senza i Miti, l’uomo sarebbe una specie di verme allucinato.


4… Ma torniamo ad Agrigento, a quella domenica d'ottobre. Improvvisamente, nella sala l'atmosfera si fece pesante, gravida di preoccupazione, come quando s'attende l'emissione di un tg in edizione  straordinaria. Il presidente interruppe l'acceso dibattito sui magri destini dei nostri enti locali e diede la parola alla compagna Vittoria Giunti, partigiana e sindaco di S. Elisabetta.
Avrebbe voluto essere formale, Vittoria, secondo il rituale tipico di queste circostanze, invece dopo le prime parole ''Abbiamo ricevuto dalla Direzione la conferma...'' proruppe in un pianto irrefrenabile, sincero, che annunciava la morte di un sogno.
''E' caduto in combattimento, sulle montagne della Bolivia...'' aggiunse, quasi a volerci rassicurare che il "Che" era morto combattendo, com'era vissuto per la gran parte della sua esistenza, e che non aveva tradito il senso morale e politico della sua missione che ora, in forza del suo esempio, era affidata alle nuove generazioni.
Sono passati 46 anni dalla sua morte e ancora c'è tanto da conoscere, da discutere intorno a questa eccezionale figura di rivoluzionario un po' atipico.

5… Concludo, con una nota un po' amara, a margine di questa personale rievocazione di Ernesto Guevara il cui mito ancora resiste in tutto il mondo, tranne a Rosario sua città natia.
Nemo propheta in patria dicevano i latini, ma in questo caso il disinteresse della ''patria'' mi sembra davvero cieco quanto ingiustificato.
Stranamente, non si parla né si scrive di questa incomprensibile ritrosia che, per altro, si verifica in una città di tradizione operaia, quasi sempre guidata da amministrazioni progressiste.
A parte un “mausoleo” di mattoni grezzi creato dagli artisti rosarini e qualche souvenir per i turisti, il mito del suo illustre figlio ancora non è approdato su questa sponda del rio Paranà.
Si è arrivati al punto - come constatai nell'ottobre 2005 - che sulle pareti della casa natale del Che (in calle Entre Rios) non c'è una targa che ricordi che in quella palazzina nacque Ernesto Guevara de la Serna.














La casa natale del “Che” a Rosario

Una dimenticanza? Pare proprio di no. La causa - mi fu detto - era dovuta ad un ripetuto rifiuto dei condomini, fra cui una società di assicurazioni, i quali, forse, temono di veder turbata la loro quiete piccolo borghese. Una quieta veramente piccola, piccola.
Per rimediare a tale riprovevole diniego, gli estimatori del Che, compresi i rappresentanti diplomatici di Cuba, hanno applicato alcune targhe commemorative sulla parete della… casa di fronte. A ben pensarci, qualcosa di simile è successo anche in Italia, nella stessa Palermo quando si è voluto onorare la memoria e il sacrificio delle vittime di mafia. E' accaduto tempo fa per l'apposizione di una targa in memoria di Giovanni Falcone. D’altra parte, cosa si vuole quando il presidente del Parlamento siciliano, on. Miccichè, giunse a stigmatizzare, pubblicamente, “l'errore” di aver denominato l'aeroporto palermitano ''Falcone e Borsellino”' poiché - secondo lui - tale denominazione scoraggiava il turismo.
                                             Agostino Spataro

Joppolo Giancaxio,14 giugno 2013
N. B. Alcuni brani di questo articolo sono stati ripresi da un mio precedente apparso su “guidasicilia.it”,

lunedì 10 giugno 2013

DE VULGARI INSOLENZA


 Al “Ristorante Corleone” nel centro storico della bellissima e civilissima città di Cracovia (patria del papa Giovanni Paolo II), dove presidiano l’entrata, a perenne richiamo degli allocchi, due manichini raffiguranti don Vito e un  killer.  Ovviamente, c’è anche  un menù infarcito di “spaghetti alla lupara”, “pappardelle alla Don Vito, ecc. ecc.


DE VULGARI INSOLENZA

La sconcertante vicenda del pub viennese “Don Panino” ha provocato la giusta indignazione di tanti  contro  quei paninari austriaci (o di altra nazionalità?) che hanno avuto il cattivo gusto di accostare nel loro menù mafiosesco i nomi delle vittime a quelli dei loro carnefici.
Reazione sacrosanta, ma, forse, non fino al punto di promuovere un’azione diplomatica per rimuovere quella sconcezza.  Giacché, il risultato potrebbe essere esattamente contrario allo scopo: quello cioè di procurare una pubblicità (indiretta) al pub in questione.  Immaginate, questa estate, quanta gente, trovandosi a Vienna, andrà a fare una visitina al famigerato locale!
La chiamano “provocazione”. In realtà si tratta di un volgare artifizio per attirare clienti che, certo, non va sottovalutato ma nemmeno ingigantito.
In primo luogo, il problema è di tipo culturale, comportamentale e soprattutto bassamente commerciale e riguarda non solo i gestori ma anche gli  avventori che frequentano tali locali.
Purtroppo, di tali sconcezze ve ne sono diverse in giro per il mondo come si po’ vedere da questo piccolo campionario di foto prese in alcune, rinomate città turistiche, anche molto lontane dalla Sicilia.
Come reagire? I modi possono essere tanti. Il più efficace credo sia quello di non procurare pubblicità indiretta (anche se indignata) e soprattutto di non mettere piede dentro un posto che ricorre a un marchio, così tragico e infamante, per fare cassetta. Per il resto, sarà responsabilità, morale e culturale, delle autorità di non concedere simili licenze che certo non fanno onore alle loro civilissime città.
Agostino Spataro

N.B. Le foto sono mie; non sono molto professionali ma in compenso sono esenti dai diritti del copyright. Perciò accontentatevi!









Questa è la  pizzeria “Il Padrino- Pizza club” ubicata nel centro storico di Eger (antica città ungherese,  di grande  richiamo turistico. Un marchio, una garanzia. Qui le pizze sono proposte secondo il canone  mafioso. 









Questa è la vetrina del “Soho London” di Budapest ispirato al “Padrino” dove, con 699 fiorini (meno di 3 euro), ti danno una pizza al “padrino”. Mi dicono “immangiabile”.



Qui, invece, siamo a Calafate, (Argentina) nella Patagonia meridionale, in una regione estrema chiamata “Fine del mondo”, nelle cui vicinanze, scendono dalle Ande i più grandi ghiacciai terrestri del Pianeta: il Perito Moreno, Uppsala, ecc.

Calafate è una piccola città di pionieri dell’industria turistica, con un grande avvenire davanti a se. Anche qui è arrivato “Don Corleone” con il suo drugstore piazzato sulla promenade del lago Argentino.  (a.s.)






sabato 8 giugno 2013

LA NASCITA DEL DESERTO

                                          (foto tratta da windoweb.it che ringrazio)


Con questo frammento inizia la serie di "Perline Colorate" inedite o tratte da mie pubblicazioni.

LA NASCITA DEL DESERTO
Secondo un racconto popolare arabo, i deserti ebbero origine dalla volontà punitiva di Allah.
"Ogni qual volta l'uomo compirà un'azione empia, malefica Allah minacciò di far cadere sulla Terra un granellino di sabbia."
Nessuno tra gli uomini si curò di tale minaccia. In fondo, cosa erano mille, duemila o un milione di grani di sabbia?
Con il trascorrere dei millenni gli uomini divennere sempre più malvagi e si moltilicarono le cattive azioni e fiumi di arida sabbia si riversarono su quell'immenso giardino che era la Terra.
Il peccato domina e la collera di Allah non si è placata. Egli continua, dall'alto dei cieli, a rovesciare montagne di sabbia sul Pianeta. La desertificazione avanza, inesorabile.
In questa "teoria" c'è un punto di contraddizione da chiarire. I deserti coprono quasi per intero i territori abitati dagli arabi che sono i più ferventi adoratori di Allah, perciò mal si comprende la ragione di tanto accanimento. Delle due, una: o gli arabi sono la genia più peccaminosa della Terra oppure Allah non registra e non punisce i peccati degli altri popoli il cui giardino è rimastyo fertile e rigoglioso.
(tratto dal mio "La notte dello Sceicco")

domenica 2 giugno 2013

IO "VOTO" PER CAMILA...




  1. Io "voto" per Camila Vallejo leader riconosciuta di un grandioso movimento studentesco che sta scuotendo la società e il potere conservatore in Cile. Camila è la speranza. Anche per noi che viviamo in un altro emisfero.
    Giovane, bella, intelligente, decisa e con le idee chiare. E soprattutto comunista... E' candidata al Parlamento cileno.
    (a.s.)
    (2 foto)