L'arcobaleno sopra Montefamoso. Oggi
L’ILLUSIONE DEL GOVERNO APOLITICO
di Agostino Spataro
Ora che il tempo del governo dei “tecnici” è scaduto e Mario
Monti parrebbe orientato a candidarsi alla guida di una concentrazione
centrista si potranno comprendere meglio il senso e il fine del cosiddetto
“governo apolitico”.
Ovviamente, ognuno è libero di fare le scelte che vuole,
purché si esca dall’equivoco della soluzione tecnica, mai esistita, e che, in
ogni caso, non ha prodotto i risultati promessi e/o attesi. Anzi! In questi
tredici mesi, il debito pubblico e la disoccupazione sono cresciuti, mentre il risanamento
è stato fatto a senso unico, in pratica a spese dei ceti medi e meno abbienti.
Comunque, di là degli esiti di questa esperienza, la probabile
candidatura di Monti potrà aiutare a fare chiarezza, a sfatare il mito
dell’apoliticità degli uomini, dei governi e, soprattutto, a ripristinare la
corretta dialettica politica e parlamentare e il normale esercizio democratico
del governo del Paese, di fatto “sospesi” durante l’ultimo anno.
Ciò detto, passiamo ad altro. Poiché, il nostro intento non
è quello di occuparci della sorte personale dell’insigne professore, quanto dei
problemi e delle polemiche che il suo governo “apolitico” ha ingenerato e posto al centro del dibattito in
corso e che, ancor più, lo saranno durante l’imminente campagna elettorale.
Si è fatta la lotta alla
politica, quando al comando ci sono stati i “tecnici”
Quello di Monti è stato il primo governo, dichiaratamente e
interamente, “tecnico” della storia repubblicana. Una forte anomalia, nel bel
mezzo di una crisi strana e gestita con un approccio socialmente unilaterale,
quasi come una rivincita dei più forti contro i più deboli i quali, nel corso
degli ultimi decenni, erano riuscirti a strappare, con il lavoro e la lotta,
alcune importanti conquiste sociali e contrattuali.
L’esecutivo Monti è stato insediato al culmine di un
percorso, snodatosi per l’intero ventennio della “seconda repubblica”, in cui
si sono alternati diversi governi presieduti da “tecnici” di area (Amato,
Ciampi, Dini).
Insomma, è stata
fatta una campagna incessante, distruttrice contro la politica (antipolitica),
contro i politici rappresentati come il male maggiore, talvolta con qualche ragione,
ma non si è detto che, nei fatti, questa lunga transizione (1992-2012) è stata
caratterizzata, pilotata da governi diretti da “tecnici” “prestati” alla
politica e non più restituiti alle professioni originarie.
Ai nomi prima citati, si possono associare anche quelli del
professor Romano Prodi e dell’imprenditore Silvio Berlusconi i quali, per
quanto diversamente connotati sul piano politico e morale, pur essendo stati
votati dagli elettori, non sono politici di professione, ma personalità scelte
per le loro caratteristiche prevalentemente tecniche: il primo per essere stato
un importante manager d’aziende di Stato, il secondo perché ricco proprietario
di un impero mediatico e non solo.
Se ci fate caso, in questo ventennio, abbiamo avuto, per un
breve periodo e per vie un po’ traverse, un solo capo di governo che può
definirsi politico a tutti gli effetti: l’on. Massimo D’Alema.
Crisi della politica o volontà di annichilimento da parte
dei poteri extraparlamentari?
Comunque sia, questo è il dato reale cui non fanno cenno le
ben orchestrate campagne mediatiche mirate ad eccitare l’opinione pubblica contro la “casta”
dei politici (sottraendo le altre “caste” al pubblico ludibrio) e ad evocare come
“soluzione” il “governo tecnico”, apolitico, non ideologico, ecc. Magari, in
attesa che arrivi il “gran governo” diretta espressione di banche e di
oligopoli.
I governi “apolitici” e
l’iniqua distribuzione della ricchezza della Nazione
Una colossale manipolazione della realtà che ha deviato
l’attenzione della gente dai veri interessi in campo (spesso inconfessabili) e
creato, alimentato, l’illusione che il buon governo deve essere “apolitico” ossia
diretto da tecnici super partes.
E così abbiamo visto avvicendarsi, alla guida dei governi e
delle più alte istituzioni dello Stato, tecnici che hanno conseguito, all’ombra
della politica durante la vituperata “prima repubblica”, splendide carriere e accumulato ricchezze
inusitate.
Sia chiaro: nessuno vuole fare sconti al ceto politico e
parlamentare che si è prestato a questo gioco
perverso, accollandosi gravissime responsabilità nella gestione della
crisi, ma solo rilevare che la malfamata “politica” non ha dominato, come si
vuol far credere, il governo effettivo del Paese e tantomeno deciso le scelte
fondamentali del suo sviluppo.
Il risultato? Basta
andare a vedere cosa è cambiato durante la “seconda repubblica”. Poiché, molto
è cambiato a favore di gruppi ristretti di imprenditori e di affaristi della
finanza ossia la vera “casta” dominante
di cui nessuno parla o scrive sui giornali.
Sono stati profondamente modificati lo schema, i meccanismi
di distribuzione della ricchezza nazionale prodotta dai lavoratori. Le statistiche più recenti ci dicono che il
10% dei dichiaranti possiede il 47% dei beni e della ricchezza del Paese. Se ci
mettessimo le enormi ricchezze non dichiarate (e non tassate), tali percentuale
andrebbe ben oltre il 50%.
Un risultato clamoroso che genera nuove ingiustizie, nuove
povertà. A tali ricchezze l’uscente governo “tecnico” non ha voluto (o potuto)
imporre nemmeno una patrimoniale, un’imposta una tantum, come ha
fatto, in Francia, il nuovo governo socialista.
Il “porcellum” il male
maggiore
Le cause della crisi italiana sono diverse, molteplici.
Tuttavia, ritengo che in cima alla lista ci sia la vigente legge elettorale
“porcata” che nega agli elettori il diritto al voto di preferenza e
trasferisce ai capi-partito, ossia ad
una ristretta cerchia di persone, il potere di nominare, nei fatti, il
Parlamento della Repubblica. Tutto ciò è inaccettabile oltre che disastroso per
la democrazia italiana.
La legge, attribuita al leghista Calderoli, in realtà è
stata da quasi tutti voluta e da tutti usata ed abusata.
Il “porcellum” è un
cancro per la democrazia, ma per i gruppi dirigenti/dominanti dei partiti è divenuto
una pacchia poiché consente di perpetuare cordate e ruoli parlamentari senza essere
legittimati dal voto (democratico) di preferenza.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’infiacchimento,
il discredito del ruolo costituzionale del Parlamento e un diffuso sentimento
d’insofferenza verso la politica (antipolitica) che ha indotto settori
importanti della società a invocare il governo “apolitico”.
Si poteva, si doveva abolire, quanto meno modificare, questa
legge ignobile. Invece, nulla! Per la terza volta, si andrà a votare col
“porcellum”.
Al PD, che- chissà perché- si è opposto risolutamente alla
re-introduzione del voto di preferenza, va dato atto dello sforzo ammirevole di
volere, con le “primarie”, attenuare il danno e consentire una partecipazione
di base alle scelte di una quota di candidati. Meglio del nulla degli altri
partiti!
Tuttavia, le vere
primarie sono il voto di preferenza! Uno solo, e numerico, per evitare brogli e/o
la compravendita di voti.
Se si vogliono fare le
primarie bisogna introdurle nell’ordinamento, con una legge ad hoc che le
regolamenti e le renda obbligatorie per i partiti che attingono al
finanziamento pubblico.
Purtroppo, a febbraio, nonostante le “primarie”, le “primariette”,
le “parlamentarie”, i decaloghi berlusconiani, le aperture alla “società civile”
(come se l’altra fosse “incivile” o “militare”) dei centristi vecchi e nuovi, avremo
un ricambio minimo e una grande lottizzazione di parlamentari.
Esattamente, il contrario di quanto sarebbe necessario per
affrontare in altro modo la crisi e anche per avviare una nuova fase
costituente. E per evitare la minaccia, sempre incombente, di un nuovo governo
“tecnico”.
Agostino Spataro
22 dicembre 2012
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