LA GUERRA NON E' UNA PARTITA DI PALLONE
QUANDO FEDERICO II CONQUISTO’ GERUSALEMME SENZA COLPO
FERIRE
di Agostino Spataro
La guerra,
signore e signori che pontificate dai comodi e gettonati salotti televisivi,
non é una partita di pallone, ma una tremenda tragedia per i popoli coinvolti.
Soprattutto per chi la subisce come nel caso
dell'Ucraina.
Per altro, il conflitto rischia di allargarsi
all'intera Europa e al mondo. Non c’è dubbio che se ci dovesse essere uno
scontro diretto fra le potenze (Usa/Nato e Russia) il teatro sarà ancora una
volta quello europeo.
Perciò, non serve tifare per questo o per quello e
catalogare la gente come “filo questo o filo l’altro”. Questa è propaganda di
guerra!
A parte qualcuno che lo fa per mestiere, la
stragrande maggioranza di chi si esprime in controtendenza (talvolta anche
sbagliando) sono persone in buona fede che hanno a cuore la pace e la vita dei
popoli europei. Di quello italiano in primis.
Gli Stati
non belligeranti invece di fomentare la guerra hanno il dovere di fare tutto il
possibile per fermarla e di favorire la trattativa per giungere a una soluzione
politica, diplomatica, garantita dalla comunità internazionale. Se può servire a
questo scopo ricordo un evento storico unico per saggezza politica e morale. Da
prendere ad esempio.
Nel 1228
Federico II, promotore della VI crociata, approdò in Terra santa e invece di
portare la guerra ai musulmani occupanti propose negoziati di pace al loro sultano
Malik el Kamil e- dopo una lunga e piacevole trattativa con il suo inviato- si giunse all’accordo
che consenti a Federico di "conquistare" la "città Santa"
senza colpo ferire.
Così Federico divenne anche re di Gerusalemme, titolo
che ancora oggi rivendicano taluni suoi (im)probabili eredi. Ve l’immaginate se
la comunità internazionale riconoscesse tale titolo (mai formalmente abrogato)
cosa ne sarebbe del tragico e lunghissimo conflitto israelo-palestinese?
Ma andiamo
al resoconto di quella memorabile crociata. Mentre scorrono le agghiaccianti
immagini dei telegiornali, ci è balenato alla mente uno straordinario evento
storico, verificatosi 7 secoli addietro, che dimostra come, almeno quella
volta, si "conquistò" la pace fra cristiani e musulmani senza
spargimento di una sola goccia di sangue. E ci piace sottolineare come
quell'evento vide, in qualche modo, associati i nomi di Palermo e della Sicilia
a quelli di Gerusalemme e della Palestina. Ci riferiamo alla sesta Crociata,
all'anomala e controversa spedizione di Federico II, re di Sicilia e imperatore
(scomunicato) del Sacro Romano Impero, che il 7 settembre 1228 approdò a San
Giovanni d'Acri, sulla costa palestinese, a capo di una flotta e di un esercito
interamente raccolti nel regno di Sicilia, per liberare i luoghi santi dal
dominio dei discendenti del "feroce" Saladino.
Sfidando le
ire e le due scomuniche proclamate dal papa Gregorio IX contro Federico,
l'arcivescovo di Palermo, Berardo, volle accompagnare l'imperatore nella sua
ardita missione. In realtà, quella di Federico non fu una vera crociata, ma
un'operazione politica davvero eccezionale, forse unica, per l'epoca e per le
modalità con cui fu realizzata, poiché fra il capo dell'armata cristiana e
quello del soverchiante esercito mussulmano si stabilì subito un'intesa mirante
a risolvere la controversia mediante un accordo onorevole.
L'imperatore, che più di tutti desiderava evitare lo
scontro militare, scrisse al sultano d'Egitto, Malik al Kamil, parole
d'amicizia e di stima e gli inviò suoi legati, con ricchi doni, a spiegargli le
ragioni della sua forzosa presenza in terra di Palestina. Il sultano gradì
molto l'amabilità del gesto di Federico, ricambiò con più magnificenza i doni
ricevuti e lo informò del fatto che anch'egli era costretto a difendere
Gerusalemme per evitare le ire dei suoi correligionari mussulmani.
Insomma,
entrambi i sovrani erano stati costretti a una prevedibile carneficina perché
«Dio lo vuole», questo era lo slogan coniato alla bisogna dal clero cristiano e
dagli imam islamici che alimentava il peggiore fanatismo religioso che trasformò
entrambi i campi in una massa d'invasati impazienti di andare allo scontro.
Nel campo crociato montava la protesta per
l'atteggiamento dilatorio dell'imperatore che non si decideva a dare battaglia.
Pur di dimostrare la sua "doppiezza", i rappresentanti del Papa
ordirono la congiura dall'interno e tentarono perfino un'intesa col nemico
musulmano il quale sdegnosamente rifiutò la profferta, tanta era la stima che
il sultano nutriva per l'imperatore.
Federico,
noncurante di quanto avveniva nel suo stesso campo, s'intrattenne per cinque
lunghi mesi in piacevoli trattative (con al centro dotte discussioni di algebra
e di geografia, di poesia e di astrologia, di filosofia e di scienza
veterinaria) col suo vecchio amico Fahr El Din, ambasciatore del sultano, che
aveva già conosciuto alla corte di Foggia e fors'anche di Palermo.
L'11 febbraio 1229, finalmente i negoziati si
conclusero con un accordo soddisfacente per entrambe le parti: in cambio di un
trattato di alleanza, il sultano rimetteva all'imperatore Gerusalemme e gli
altri luoghi santi della cristianità, mentre ai mussulmani veniva garantito il
diritto del libero accesso alle moschee di Al Aqsa e di Omar. E fu così che
Federico entrò da "conquistatore" a Gerusalemme, di cui si
autoproclamò re, senza che una goccia di sangue fosse versata da ambo le parti.
In tutta la
storia pentamillenaria di Gerusalemme fu forse questa l'unica volta in cui una
controversia politico-religiosa fu risolta in modo incruento, sulla base di un
accordo di pace che assicurò un lungo periodo di convivenza civile e religiosa
alla Palestina e, in generale, all'area mediterranea. «Questo particolare - spiega lo storico tedesco Heberard Horst
(autore di "Federico II di Svevia") - fa della crociata di Federico
la più singolare di tutte le crociate: un'impresa quasi incomprensibile per la
mentalità aggressiva, lineare, intransigente dei crociati occidentali... Il
comportamento dei due sovrani può essere compreso soltanto con la mentalità
araba, alla quale Federico era molto proclive sin dai tempi della sua
adolescenza palermitana».
E la
Sicilia, che allora vide partire il suo illuminato re per quella memorabile
crociata, oggi vive con apprensione, date anche la sua collocazione
geo-strategica nel Mediterraneo e la presenza d’importanti basi militari
straniere (Sigonella, Augusta, Niscemi/Muos, ecc) la tragica evoluzione degli
eventi e, non essendoci un Federico in circolazione, spera in un guizzo di pace
dell’Europa, dell’Onu per fermare la guerra e giungere a una pace giusta e duratura,
garantita dalla comunità internazionale.
(17 marzo 2022)