di Agostino Spataro
1… Oggi, 14
giugno 2013, Ernesto “Che” Guevara de la Serna avrebbe compiuto 85 anni, essendo nato a
Rosario (Argentina) il 14 giugno 1928. Ottantacinque anni, un’età canonica
mediamente raggiungibile da buona parte degli abitanti dell’emisfero Nord. Avrebbe
potuto essere ancora fra noi.
Invece, il “Che” morì a 39 anni (il 9 ottobre 1967), a La Higuera, combattendo
sulle montagne della Bolivia, barbaramente
trucidato, dopo la cattura, dagli sgherri boliviani di Barrientos e dagli
agenti della Cia.
So che qualcuno potrebbe liquidare questo ricordo come
patetico. Francamente, me ne strafotto di questo “qualcuno” e continua a scriverne per afflato
politico, per gli ideali che Egli (ci) ha inoculato, rafforzato e
suscitato in centinaia di milioni di giovani nel mondo. Lo ricordo, con
affetto, come un "congiunto" emigrato in Sud America, divenuto celeberrimo ma mai
conosciuto di persona.
2… La morte
d'Ernesto Che Guevara ci giunse, terribile ed inattesa, nel salone dell'ex
Cral di Agrigento dove eravamo riuniti per un'assemblea provinciale degli
eletti comunisti, presieduta da Armando Cossutta.
Era un pomeriggio di una tiepida domenica ottobrina. I compagni erano venuti
da ogni angolo di questa provincia povera ma combattiva col vestito della
festa, come si usava allora.
In giacca e cravatta e con tante idee in testa, abbarbicati alle nostre
granitiche certezze, udivamo l'eco lontana dei primi moti studenteschi in
America, in alcune piazzeforti del potere della società occidentale.
Sapevamo del Che Guevara, del combattente intrepido che per noi giovani
incarnava, in quel momento, il sentimento più autentico della rivoluzione
socialista mondiale.
Taluni lo bollarono come un avventuriero romantico, votato al suicidio.
Qualcosa di vero c'era in quelle critiche. Tuttavia, a molti parve che quella
bella ''avventura'' potesse scuotere quel corteo pietrificato di mummie che
popolavano le dorate stanze del Cremlino.
3… Quel 9 d'ottobre del 1967,
sulle montagne boliviane morì un uomo, ma nacque un mito potente e
affascinante che continua a segnare gli ideali di milioni di giovani. E non
solo.
Un fenomeno talmente vigoroso sul quale, non a caso, hanno allungato le grinfie
i mercanti delle multinazionali, gli stessi che fecero ammazzare il Che,
barbaramente.
Oggi, si può disquisire sulla bontà della strategia politica e/o della
tattica della guerriglia guevariana, tuttavia nessuno può mettere in dubbio
la forza seducente di un mito che nemmeno le più serie riflessioni critiche
hanno scalfito.
Certo, anch'egli avrà commesso qualche errore, ma quel volto bello,
velatamente intristito, è stata l'icona più amata del secolo passato.
Durante questi anni, altri ''miti'' si sono affacciati, soprattutto sul
palcoscenico di cinema e tv, ma presto sono scomparsi, evidentemente perché
effimeri come la moda che li ha generati.
Quello del Che ancora ben resiste e si tramanda di generazione in
generazione.
E questo dovrebbe far riflettere poiché vuol dire che quel mito è ancora
necessario per placare le nostre inquiete coscienze, per sperare d'uscire dal
groviglio di contraddizioni e di ingiustizie che pesano sul presente e sul
futuro dell'umanità. E poi, senza i Miti, l’uomo sarebbe una specie di verme
allucinato.
4… Ma torniamo
ad Agrigento, a quella domenica d'ottobre. Improvvisamente, nella sala
l'atmosfera si fece pesante, gravida di preoccupazione, come quando s'attende
l'emissione di un tg in edizione
straordinaria. Il presidente interruppe l'acceso dibattito sui magri
destini dei nostri enti locali e diede la parola alla compagna Vittoria
Giunti, partigiana e sindaco di S. Elisabetta.
Avrebbe voluto essere formale, Vittoria, secondo il rituale tipico di queste
circostanze, invece dopo le prime parole ''Abbiamo ricevuto dalla
Direzione la conferma...'' proruppe in un pianto irrefrenabile, sincero,
che annunciava la morte di un sogno.
''E' caduto in combattimento, sulle montagne della Bolivia...''
aggiunse, quasi a volerci rassicurare che il "Che" era morto combattendo,
com'era vissuto per la gran parte della sua esistenza, e che non aveva
tradito il senso morale e politico della sua missione che ora, in forza del
suo esempio, era affidata alle nuove generazioni.
Sono passati 46 anni dalla sua morte e ancora c'è tanto da conoscere, da discutere intorno a
questa eccezionale figura di rivoluzionario un po' atipico.
5… Concludo, con una nota un po'
amara, a margine di questa personale rievocazione di Ernesto Guevara il cui
mito ancora resiste in tutto il mondo, tranne a Rosario sua città
natia.
Nemo propheta in patria dicevano i latini, ma in questo caso il
disinteresse della ''patria'' mi sembra davvero cieco quanto ingiustificato.
Stranamente, non si parla né si scrive di questa incomprensibile ritrosia
che, per altro, si verifica in una città di tradizione operaia, quasi sempre guidata
da amministrazioni progressiste.
A parte un “mausoleo” di mattoni grezzi creato dagli artisti rosarini e qualche
souvenir per i turisti, il mito del suo illustre figlio ancora non è
approdato su questa sponda del rio Paranà.
Si è arrivati al punto - come constatai nell'ottobre 2005 - che sulle pareti
della casa natale del Che (in calle Entre Rios) non c'è una targa che ricordi
che in quella palazzina nacque Ernesto Guevara de la Serna.
La casa natale del “Che” a Rosario
Una dimenticanza? Pare proprio di no. La causa - mi fu detto - era dovuta ad un ripetuto rifiuto dei condomini, fra cui una
società di assicurazioni, i quali, forse, temono di veder turbata la loro
quiete piccolo borghese. Una quieta veramente piccola, piccola.
Per rimediare a tale riprovevole diniego, gli estimatori del Che,
compresi i rappresentanti diplomatici di Cuba, hanno applicato alcune targhe commemorative
sulla parete della… casa di fronte. A ben pensarci, qualcosa di simile è
successo anche in Italia, nella stessa Palermo quando si è voluto onorare la
memoria e il sacrificio delle vittime di mafia. E' accaduto tempo fa per
l'apposizione di una targa in memoria di Giovanni Falcone. D’altra parte,
cosa si vuole quando il presidente del Parlamento siciliano, on. Miccichè, giunse
a stigmatizzare, pubblicamente, “l'errore” di aver denominato l'aeroporto
palermitano ''Falcone e Borsellino”' poiché - secondo lui - tale
denominazione scoraggiava il turismo.
Agostino Spataro
Joppolo Giancaxio,14 giugno 2013
N. B. Alcuni brani di questo articolo sono stati
ripresi da un mio precedente apparso su “guidasicilia.it”,
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