“Con questo libro
intendo difendere il principio della “non ingerenza” negli affari interni degli
Stati che ha garantito la pace in Europa e in molte parti del mondo.
Non desidero
difendere l’indifendibile ossia gli errori, gli eccessi di Gheddafi e del suo
regime, ma nemmeno avallare l’evidente impostura, propinataci dagli “insorti” e
dai loro alleati della Nato, di avere combattuto e bombardato soltanto per la
libertà e per il progresso del popolo libico.”
(dalla IV di copertina)
Programma del viaggio in Messico di
Agostino Spataro
A PUEBLA
Su invito di:
Benemerita Universidad de Puebla
Instituto de Ciencias Sociales y
Humanidades
Presso Edificio Presno- Juan de Palafox, 208- Centro
Historico de Puebla
9 ottobre 2013, ore 17,00
Presentazione del libro di
Agostino Spataro
“Osservatore del Pci nella Libia di Gheddafi”
10 ottobre 2013, ore 10,00
Agostino Spataro interverrà alla
Tavola Rotonda sul tema:
“I movimenti anti neoliberisti in Europa, nel Mondo
Arabo e in America Latina”
A Città del Messico
Su invito di:
Istituto Italiano di Cultura
15 ottobre 2013, ore
19,00
Auditorium dell’Istituto
Italiano di Cultura, Avenida Francisco Sosa, 77
Nell’ambito della “XIII
edizione della Settimana della Lingua e della cultura italiana”, promossa
in tutto il mondo dal Ministero per gli Affari Esteri, Agostino Spataro,
presentato da Melita Palestini, direttore dell’Istituto, terrà una conferenza
sul tema:
“Cultura e società in Italia”
N.B.
Sono in corso di
definizione data e modalità di presentazione del libro presso la Universidad Libre
de Derecho di Città del Messico.
SCHEDA DEL LIBRO:
Autore:
Agostino Spataro
http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro
Titolo:
“OSSERVATORE DEL PCI NELLA LIBIA DI GHEDDAFI”
Editore:
Centro Studi Mediterranei
8° edizione, agosto, 2013
Codice ISBN n. 9788891054913
Pagg. 272- Prezzo di copertina Euro 17,00
Acquisto:
Il libro può essere acquistato presso tutte le
librerie
Feltrinelli e in diverse librerie on line fra cui:
www.lafeltrinelli.it , www.ilmiolibro.it,
www.amazon.com,
INDICE (dettagliato)
Una premessa necessaria
Cap. I
CHI ERA GHEDDAFI?
- Un
cittadino italiano di nome Muammar;
- il “pazzo di Tripoli”?
- fiuto politico e peccati d’orgoglio;
- se non la verità, accertare almeno le
falsità;
- Gheddafi tra fans e detrattori;
- il
Colonnello voleva abbandonare il potere.
Cap. II
LA LIBIA CHE HA TROVATO E CHE HA
LASCIATO
- La
Libia che ha trovato: confronti 1969-1988;
- la
Libia che ha lasciato: lo stato sociale;
- la comunità internazionale e il dispotismo in Libia;
- è stata detta tutta la verità? ;
- col senno del…prima;
- con Gheddafi bisognava chiudere
qualche anno fa, invece…;
- missioni “umanitarie” più disastrose dei crimini
dei dittatori;
- la guerra a debito delle grandi potenze;
- si può vincere la guerra, ma perdere il
dopoguerra;
- l’ineluttabilità della guerra come risposta alla
crisi globale?
- la vittoria dell’occidentalismo sarà la disfatta
dell’Occidente.
Cap. III
DALL’EUROMED AL CERCHIO “MENA”
- Barcellona: un “sogno” svanito;
- Sarkozy, fallimento o missione
compiuta?;
- oscuri piani Usa per il dopo-Clinton;
- il “Cerchio Mena”;
- l’Europa segue a ruota;
Cap. IV
LIBIA, UN’INSURREZIONE NON E’
“PRIMAVERA”
- Le “primavere” arabe;
- Morsisi, Morsi no. Sissi si, Sissi ni. L’Egitto nella
catena delle contraddizioni occidentali;
- l’Algeria ha già subito il
“trattamento” islamista;
- la “primavera” non sboccia in Bahrain;
- la
Libia, un boccone troppo ghiotto;
- la “translatio imperii”.
Cap. V
LA GUERRA PER LE MATERIE PRIME: L’ECONOMIA
DEL TERRORE ?
- La corsa per il controllo delle riserve libiche
d’idrocarburi;
- la
Nato è morta ma…bombarda;
- l’economia del terrore?;
- secolo 21: la “guerra infinita” per le materie
prime;
- l’Italia
fra la Russia
di Putin e la Libia
di Gheddafi;
- i russi sbarcano nel Mediterraneo;
- inclusione o esclusione: questo è il problema;
- Libia: rapporti di alleanza o di sudditanza;
- libertà e democrazia anche per gli “ultimi”;
- una “no fly zone” sulla Valle padana?
Cap. VI
L’ITALIA E LA GUERRA ALLA LIBIA
- Berlusconi: dalla contrarietà alla partecipazione;
- dai “Caschi blu“ dell’Onu ai “contractors” della
Nato;
- il ruolo della Sicilia nella guerra;
- il Trattato
Berlusconi - Gheddafi;
- un lungo negoziato in cui le parti hanno giocato
al rinvio;
- nel 1983.
Cap. VII
LA LIBIA E LA “PRIMA
REPUBBLICA”
- L’accordo a garanzia della neutralità di Malta;
- i missili a
Comiso;
- sanzioni Onu: embargo alla Libia o
all’Italia?;
- Andreotti in Libia;
- sulla Libia scontro nel governo
Craxi. L’appoggio discreto del Pci.
Cap. VIII
REAGAN ALL’ATTACCO DEL “PAZZO DI
TRIPOLI”
- 1986: anno cruciale per Gheddafi;
- il Colonnello salvato da Craxi?;
- i missili giunsero davvero a Lampedusa?;
- sicuramente,
non arrivarono a…Montecitorio;
- quel giorno Giorgio Napolitano alla
Camera…;
- il mancato incontro fra Gheddafi e il sindaco di
Lampedusa;
- impiccagioni
in diretta TV.
Cap. IX
L’ARCHIVIO DEL PCI E’ VUOTO
- Su Gheddafi due “tendenze” all’interno del Pci;
- io, osservatore del Pci in Libia;
- la battaglia degli aggettivi;
- “l’amico di Gheddafi in Parlamento”;
- “Il Borghese” piccolo piccolo;
- il mio mancato incontro con Gheddafi;
- l’archivio del Pci è vuoto;
- una stupefacente verità?;
- delegati siculo - arabi al congresso nazionale del
Pci;
Cap. X
LE ASSOCIAZIONI DI AMICIZIA
- L’italo – libica: buoni propositi e infide
compagnie;
- l’ italo-araba: fucina di dialogo e di
cooperazione;
- un colloquio con l’ambasciatore
libico;
- a pranzo col “ministrone” libico;
- parlo con Rubbi che parlerà con Pajetta…;
- l’assassinio dell’ambasciatore;
Cap. XI
ALDO MORO, IL VERO ARTEFICE DELLA SVOLTA VERSO IL
MONDO ARABO
- dalla “questione d’Oriente” alla “questione
araba”;
- il generale Miceli in soccorso di Gheddafi;
- la super corrente “filo araba” della
Democrazia Cristiana;
- la visita di Jallud a Roma.
Cap. XII
LA SICILIA E LA LIBIA
- I libici in Sicilia: un’illusione mediterranea;
- un controverso accordo tra Sicilia e Jamahirya;
- la “guerra del pesce” nel Canale di Sicilia;
- il “ fronte” si sposta nella Sirte;
- a Palermo il primo periodico bilingue arabo –
italiano;
- lo squattrinato Billy Carter nelle mani di due
compari catanesi;
- Billy Carter: da Atlanta a Tripoli,
passando per Catania
- investimenti
libici: vietati in Sicilia e benvenuti al
Nord;
- galeotta fu la lettera di Gheddafi a Nicolosi;
- due ministri di Paternò che fecero l’impresa
libica.
UN VIAGGIO A TRIPOLI
Nella Libia sconosciuta;
habemus Papa;
c’è un nesso tra golpe e calura?;
la Piazza
Verde: un verde chimico;
nella casbah abbandonata;
fra gli ex cittadini italiani;
Tripolis ovvero tre città in una;
la città coloniale;
fra coloro che son rimasti: il signor Prado;
“il Parlamento, inganno dei popoli”;
“alla faccia del caciocavallo”;
Tripoli, capitale mondiale della solidarietà;
arriva Gheddafi, inizia lo show;
uno sbadato complotto suicida;
da “osservatore” alla presidenza della Conferenza;
la nazionalizzazione non è l’anima del commercio;
il presidente della Repubblica
islamica degli Stati Uniti d’America;
a cena con il “senatore” Susanna Agnelli;
la notte di Tripoli: i cavalieri berberi e i fuochi
della rivoluzione;
finalmente, il gran giorno!;
Leptis Magna: una civiltà resuscitata.
Elenco dei nomi
Achilli, Michele
Adly, Farid
Agnelli, Susanna
Aiardi, Alberto
Al-Idrisi
Alagna,
Egidio
Algoud, Ahmed
Almirante, Giorgio
Amin, Samir
Andreotti, Giulio
Angelini, Vito
Arafat ,Yasser
Assad, Bachar
Assad, Hafez
Attolico, Bernardo
Badoglio, Pietro
Balbo, Cornelio
Balbo, Italo
Barca, Luciano
Ban Ki Moon
Bari, Atwan
Basaglia, Franco
Bassetti, Piero
Basso, Lelio
Belgasem, Younes
Ben Alì, Zine
Benkirane, Abdellilah
Berlinguer, Enrico
Berlinguer, Giovanni
Berlusconi, Silvio
Bin Laden, Osama
Blair, Tony
Bodrato, Guido
Boyle, Francis
Bolzoni, Attilio
Bonalumi, Gilberto
Bonnici, Carmine
Bonfiglio, Angelo
Bonsanti, Sandra
Borges, Luis (Nic)
Borghese, Valerio
Bottarelli, Giorgio
Brzezinski, Zbigniew
Bufalini, Paolo
Bush W. George
Bush George
Buttho, Alì
Cabras, Paolo
Cacciola, Biagio
Calderon, Horatio
Cameron, David
Camus, Albert
Capanna, Mario
Capriglione, Jolanda
Caputo, Sebastiano
Cararo, Sergio
Cardia, Umberto
Cardini, Franco
Caroli, Giuseppe
Carter, Billy
Carter, Jimmy
Casey, William
Castellina, Luciana
Castro, Fidel
Cavalchini, Luigi
“Che” Guevara, Ernesto
Chirac, Jacques
Churchill, Winston
Cicchitto, Fabrizio
Clark, William
Clinton,
Billy
Colombo,
Emilio
Contu,
Felice
Cooley,
Jonh
Corrao,
Francesca
Crawford,
Neta
Craxi,
Bettino
Crocetta,
Rosario
Crocetta,
Salvatore
Crozza,
Maurizio
Crowe,
William
Custonero,
Alberto
D’Alema,
Massimo
De Gaulle,
Charles
Del
Boca, Angelo
De
Lorenzo, Giovanni
De
Mita, Ciriaco
De
Pasquale, Pancrazio
De
Roberto, Federico
Di
Giulio, Fernando
Diliberto,
Oliviero
Dom,
Mintoff
Durra,
Mohanna
Eagleton, William
Einstein, Albert
Egoli, Emo
Fanfani,
Amintore
Fini,
Massimo
Formica,
Rino
Foschi,
Franco
Fracanzani,
Carlo
Fragapane,
Giovanni
Franco,
Francisco
Frescobaldi,
Dino
Gabrieli,
Francesco
Gannouchi,
Rachid
Gatti,
Giuseppe
Gelli,
Licio
Giadresco,
Gianni
Giovanni,
Paolo II
Giovannone,
Giorgio
Gheddafi,
Aisha
Gheddafi,
Hanna
Gheddafi,
Muammar
Gheddafi,
Zsofia/Safija
Gramsci,
Antonio
Granelli,
Luigi
Graziani,
Rodolfo
Grillo,
Beppe
Hamdi,
Omar
Hammad, Nemer
Hersch, Seymur
Hassan II
Heykal, Muammad
Hitler, Adolf
Hussein, Alì
Hussein,
Saddam
Idriss
(re)
Ippolito,
Roberto
Jallud,
Abd Al Salam
Lagorio,
Lelio
Laidi,
Alì
Lannutti,
Giancarlo
La Russa, Ignazio
Lauricella,
Salvatore
La Torre, Pio
Leanza,
Mario
Lentini,
Giacinto
Leuzzi,
Giuseppe
Lodato,
Saverio
Lombardi,
Riccardo
Luttwak,
Edward
Lutz,
Catherine
Mc Farlane, Robert
Magdi, Allam
Major, John
Malfatti,
Franco Maria
Manca,
Enrico
Mancuso,
Kris
Mandela,
Nelson
Mann,
Igor
Mannino,
Calogero
Mansour (min)
Mao Tse Tung
Marcos, Ferdinand
Marte,
Ferrari
Martelli,
Claudio
Martinelli,
Giovanni
Mattarella,
Piersanti
Mattei,
Enrico
Merkel,
Angela
Miceli,
Vito
Milazzo,
Nino
Mini,
Fabio
Mitterand,
Francois
Moro,
Aldo
Moro,
Domenico
Moubarak, Hosni
Mugabe, Robert
Mufta, Ahmed
Muktar,
Omar
Munthasser,
Omar
Musa
Al Sadr
Mussa,
Abu
Mussolini,
Benito
Karrubbi,
Mustafà
Khader,
Bichara
Khomeyni,
Rouhullah
Krosney,
Herbert
Napolitano,
Giorgio
Nasser,
Gamal
Nazamroaya,
M. Darius
Negri,
Alberto
Nenni,
Pietro
Nicolini,
Giusi
Nicolosi,
Rino
Nisticò,
Vittorio
Obama,
Barack
Obeidi,
Abdelati
Occhetto,
Achille
Orilia,
Vittorio
Orlando,
Giuseppe
Orwel,
George
Ossola,
Rinaldo
Pajetta,
Giancarlo
Pannella,
Giacinto
Papa,
Michele
Papandreu,
Andreas
Pappalardo,
Salvatore
Parlato,
Valentino
Paskert,
Dierk
Paternò,
Antonio S.Giuliano
Pernice,
Giuseppe
Pertini,
Sandro
Petillo,
Renata
Petruccioli,
Claudio
Pieralli,
Piero
Pinochet,
Augusto
Pointdexter,
John
Prado,
Stefano
Procacci,
Giuliano
Prodi,
Romano
Puglisi,
Gianni
Pumilia,
Calogero
Pulciano
(ten. col.)
Putin,
Vladimir
Quaroni,
Alessandro
Raphael,
Louis
Raimondi,
Pietro
Ramadan
(gen),
Ratti,
Giuseppe
Reagan,
Ronald
Redgrave,
Vanessa
Rice,
Condoleeza
Rizzitano,
Umberto
Rognoni,
Virginio
Romano,
Sergio
Rossino,
Giovanni
Rubbi,
Antonio
Rubino,
Raffaello
Ruffini,
Attilio
Sadat,
Anwar
Salati,
Remo
Salazar,
Antonio
Saleh,
Abdullah
Salerno,
Eric
Salvi,
Franco
Sankara,
Thomas
Sanza,
Angelo Maria
Sarkis,
Elias
Sarkozy,
Nicolas
Scalfaro,
O. Luigi
Scarcia
Amoretti, B.
Scebarras Trigona, Alex
Seneca
Shahati, Ahmed
Shalgam, Abdel Rahman
Shara (al) Farouk
Shiban,
Taher
Silvestri,
Giuliano
Somoza,
Anastasio
Spadolini,
Giovanni
Spini,
Valdo
Stalin,
Giuseppe
Stroessner,
Alfredo
Suharto
Tagazzi,
Ammar
Tabladini,
Francesco
Tedeschi,
Mario
Tlemcani,
Salima
Togliatti,
Palmiro
Tornetta,
dr.
Tremaglia,
Mirko
Triki,
Alì
Varvelli,
Arturo
Vignolo,
Mino
Vizzini,
Ino
Zaccaria,
Giuseppe
Zamberletti,
Giuseppe
Weimberger,
Caspar
Weissman,
Steve
Wertmuller,
Lina
Bibliografia
essenziale di Agostino Spataro
Giornalista, già membro delle
Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo”
(www.infomedi.it), collabora con “La Repubblica” e con altri
giornali e riviste. Biografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro
Ha scritto vari saggi, fra i
quali:
“Per la Sicilia”, (presentazione di Giorgio Napolitano), Agrigento, 1982
“Missili e mafia”(con P.
Gentiloni, A. Spampinato) Editori Riuniti, Roma,1985
“Oltre il Canale- Ipotesi di cooperazione siculo - araba”,
Ed. Autonomie, Roma, 1986 (tradotto in arabo)
“Missili addio!”, Edizioni
La Zisa,
Palermo, 1988
“I Paesi del Golfo”,
Edizioni Associate, Roma, 1991
“Il Mediterraneo” (con Bichara Khader), Editrice Internazionale ,
Roma, 1993
“La notte dello
sceicco”-Reportage dallo Yemen-
Edizioni Associate, Roma, 1994
“Il turismo nel Mediterraneo”,
Editrice internazionale, Roma,1998
“Mediterraneo, l’utopia possibile”,
Editrice internazionale, Roma, 1999
“Il Pianeta
unico” (con Naom Chomsky, Ricardo
Petrella, ecc), Eleuthera, Milano, 1999
“Le
tourisme en Méditerranée”, Editions l’Harmattan, Paris, 2000
“Il
fondamentalismo islamico- Dalle
origini a Bin Laden”,
(presentazione di Yasser Arafat ) Editori Riuniti, Roma, 2001
“El fondamentalismo islamico- El Islam
politico”, Editora Rosario,
Argentina, 2004
“Sicilia,
cronache del declino”, Edizioni
Associate, Roma, 2006
“Petrolio, il sangue della guerra- Da Badgad a
Tripoli: lo stesso disegno neocoloniale”, Ed. CSM- Ilmiolibro, Roma, 2012
“Sicilia, il decennio bianco”, Ed. CSM- Ilmiolibro, Roma, 2012
“Osservatore del Pci nella Libia di Gheddafi”, Ed. CSM-Ilmiolibro, Roma,
2013
Cap. IX
L’ARCHIVIO DEL PCI È VUOTO
Sulla Libia: due “tendenze” all’interno del Pci
1... Per la sinistra, e per il Pci in particolare,
il problema non era quello di essere pro o contro Gheddafi e il suo regime ma,
prima di tutto, di capire che cosa stesse effettivamente accadendo in Libia e
quali fossero i reali intendimenti politici del Colonnello.
Oltre che per certe
stravaganze in politica estera, per il suo agire dispotico e populista, il Pci
temeva che quel regime, al pari di altre esperienze antimperialiste nate come
“rivoluzioni democratiche e popolari”, potesse degenerare in dittatura più o
meno personale se non, addirittura, dinastica.
Specie dopo la
brutale repressione della “primavera” di Praga, tali “soluzioni” si erano
allontanate dai nostri orizzonti.
No, non ci piacevano
le dittature, i colpi di stato anche quelli fatti per “il bene del popolo”.
Così come ci
preoccupava udire il “rumore di sciabole”
e il “tintinnio delle manette” che
denunciò Pietro Nenni a proposito del tentato golpe del 1964 del generale dei
carabinieri Giovanni De Lorenzo.
Quelli erano anni
difficili per la giovane democrazia europea. Soprattutto nei paesi dell’Est,
ma anche in taluni paesi del Sud Europa. Le dittature, infatti, anche se in
misura diversa, non prosperavano solo all’interno del blocco del Patto di
Varsavia, ma s’imponevano anche in quello della Nato.
Conseguenze della
“guerra fredda” che, in talune realtà, conculcava le libertà democratiche e
affidava ai militari e ai “partiti unici” l’ingrato compito di tenere a bada i
popoli sottoposti.
Al Portogallo di
Salazar, alla Spagna di Franco, alla Grecia dei colonnelli, alla Turchia dei
generali, si tentò più volte di aggiungere l’Italia. Se a Est c’era la
“cortina di ferro” imposta dall’Urss, a Sud, nel Medi-terraneo, si voleva
erigere, su input della Nato, una sorta
di barriera autoritaria, militarista a protezione dell’Europa ricca del centro - nord.
Certo, in Italia i
progetti golpisti non erano di facile attuazione, anche per la forte presenza
di una vasta area democratica e di sinistra. Eppure, più di una volta ci tentarono
e toccò ai comunisti, ai socialisti, ai democratici cattolici e liberali
vigilare e lottare per farli fallire.
2... In Libia, Gheddafi, con la sua “terza teoria
universale”, provò a uscire dagli schemi classici del potere autoritario, ma il
suo modello di “democrazia delle masse” non convinse nessuno in Occidente e
in Oriente. Tuttavia, dall’inedita esperienza “rivoluziona-ria” libica affioravano
talune tendenze interessanti sul terreno eco-nomico e sociale e una schietta
collocazione antimperialista in campo internazionale.
In mancanza di
meglio- si riteneva all’interno del Pci- la nuova Libia poteva contribuire, con
alcuni altri Paesi nord-africani, a deli-neare una prospettiva di cooperazione
pacifica fra tutti i popoli del Mediterraneo.
La Libia dei primi anni della “rivoluzione” era una
realtà in movimento, complessa e in gran parte sco-nosciuta. Da ciò discendeva
una certa problematicità, teorica e di relazione, che si rifletteva nel
confronto interno del Partito, in particolare nelle commissioni internazionali
del Comitato centrale.
In sintesi, due
erano le principali correnti di pensiero nel Pci:
- la prima,
largamente maggioritaria durante la gestione di Giancarlo Pajetta del
dipartimento internazionale, che riteneva necessario coltivare, seppure con
prudenza, il rapporto col Colonnello nel quadro della solidarietà
antimperialista e anche per il consolida-mento dei buoni rapporti economici e
commerciali italo libici;
- la seconda, che
prenderà il sopravvento con la gestione del dipartimento da parte di Giorgio
Napolitano, non dichiaratamente ostile, che puntava al sostanziale
congelamento dei rapporti.
Ovviamente, non sono
in grado di documentare i termini esatti delle discussioni, i vari passaggi.
Tuttavia, quando iniziai ad occu-parmi di relazioni con la Libia (dal 1976 in poi), ebbi, da
subito, l’impressione che la posizione
maturata al vertice del Pci verso Gheddafi era quella di mantenere un rapporto
episodico, puramente formale, una sorta di sospensione non dichiarata delle
relazioni politiche.
Come dirò in
seguito, un riscontro indiretto di tale condizione l’ho avuto di recente nel
vedere i fascicoli relativi alla Libia dell’archivio del Pci sorprendentemente
vuoti.
Il travaglio
interiore del Pci non sfuggiva ai dirigenti libici, soprattutto ad Ahmed
Shahati, vecchio e buon amico di Pajetta, che insisteva nel proporre incontri “per chiarire e superare le diver-genze di
vedute e riprendere i rapporti di amicizia”.
In conseguenza di
tale stato di cose, i contatti si erano molto rarefatti.
Ogni tanto, si
accettava un invito a qualche conferenza internazionale, alla quale s' inviava
un compagno di livello intermedio che andava ad “osservare”, quasi a mettere
firma di presenza.
Era questo un modo
per non rompere completamente i rapporti e nemmeno per svilupparli. A me la
cosa non dispiaceva poiché, ogni tanto, venivo inviato in questo strano Paese
che Gheddafi aveva reso famoso nel mondo, ma che il mondo non conosceva.
Fra questi “quadri
intermedi”, infatti, c’ero anch’io, giovane deputato siciliano senza galloni,
che pratica-mente divenni una sorta d’inviato-osservatore del Pci alle
conferenze in Libia e in altri Paesi del “fronte del rifiuto”: Iraq, Siria,
Algeria, Olp.
Questi Paesi erano
così definiti perché avevano, appunto, rifiutato la pace separata firmata dal presidente
egiziano Sadat con Israele e il conseguente, reciproco riconoscimento diplomatico.
I miei erano viaggi
brevi ma intensi d’incontri e confronti interessanti, esperienze politiche in
capitali favolose quasi, irraggiungibili per altre vie.
Durante tali visite
ebbi la ventura d’incontrare e salutare tanti dirigenti politici, comandanti
militari, alcuni fra i massimi responsabili politici arabi: dall’iracheno
Saddam Hussein al siriano Hafez Assad, dal presidente dell’Olp Yasser Arafat
al rais tunisino Ben Alì, dal presidente libanese Elias Sarkis al re del
Marocco Hassan II, al leader libico Muammar Gheddafi, ecc.
Io, osservatore del Pci in Libia
1... Nell’agosto del 1984, tornai a Tripoli per
partecipare, in qualità di “osservatore”
del Pci, alle cele-brazioni del 15°
anniversario della “rivoluzione di Fatah”.
La mia nuova qualifica di “osservatore”strideva con quella degli altri esponenti
politici italiani venuti come “delegati” della Dc, del Psi, ecc.
La nuova veste mi
stava un po’ stretta. Ma questa era!
Alcuni amici libici
notarono subito tale stranezza e la interpretarono come un segno di diffidenza
del Pci nei loro confronti. Ed avevano ragione. In ogni caso, era un segno di
regressione nei buoni rapporti tra Pci e Libia.
Nei miei precedenti
viaggi, infatti, ero stato inviato, e accolto, alle loro conferenze come
delegato, a pieno titolo, del Pci.
La nuova “qualifica”
mi creava anche un certo imbarazzo poiché mi condannava a impersonare la
diffidenza, il distacco dei vertici del Pci nei confronti degli “amici” libici.
Fra delegato e
osservatore la differenza non è solo di status, ma è di sostanza (politica).
Nel senso che il delegato riceve dall’organismo rappresentato una delega, un
mandato pieno a rappresentarlo, mentre “l’osservatore” ha soltanto il compito
di osservare e riferire.
“Osservatore” fra
centinaia di delegati di quasi tutti i partiti e i sindacati di sinistra
(comunisti e socialisti) del mondo, a cominciare da quelli europei occidentali,
seguiti dalle forze politiche e movimenti più prestigiosi e seri (la gran
parte al governo) dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Presenze
numerose, qualificate che dimostravano che Gheddafi non era isolato. Anzi!
Intimamente, isolato mi sentivo io, specie quando vidi il mio nome relegato in
fondo alla lista degli “osservatori” inviati dall’Onu e da varie organizzazioni
umanitarie di beneficenza.
2... Lo status di “osservatore” è un po’ anche una
condizione dello spirito che si riverbera sul ruolo di chi ne è investito; è
una misura prudenziale, un modo di esserci e non esserci, una presenza che non
spezza la continuità di un rapporto ma che, al contempo, lo mette in mora.
Parafrasando
l’astruso linguaggio di Aldo Moro, si potrebbe dire che è una sorta di
“sospensione attiva” dagli esiti incerti.
Perfettamente
consapevole di tali limiti e prerogative, io andavo, osservavo e riferivo, per
iscritto, le cose sentite e viste, gli approcci confidenziali avuti con singoli
rappresentanti di partiti e movimenti che erano sicuramente i più fruttuosi e
interessanti. E più sinceri.
Talvolta, la
differenza fra discorso formale pubblico e informazioni confidenziali può
essere davvero grande.
In politica si
chiamano “doppiezze”; ci sono sempre state, ci sono ancora. Scandalizzarsi non
serve granché. L’importante è sapersi districare fra “verità” conclamate e “verità”
sussurrate, riservate per incamerare più informazioni possibili, filtrando e
selezionando le più attendibili da inserire nel rapporto. Il tutto condito con
poche, scarne opinioni personali. Questa era la ricetta per confezionare una
relazione.
Ovviamente, io per
primo avvertii la differenza di status, mettendolo a confronto con quello di
delegato del Pci alla Conferenza internazionale antimperialista (del 1979) ai
cui lavori partecipai attivamente con interventi in assemblea e in
commissione, con emendamenti e proposte in sede di redazione dei documenti
finali. Una conferenza dal titolo lunghissimo, più di quelli dei film di Lina
Wertmuller:
“Conference of
Tripoli on imperialist, zionist and reactionary schemes against the Arab
Nation, and the danger of these schemes to the vital interest of all nation and
to problems of peace and liberation all over the World”.
Già nel titolo c’era
un richiamo alla lotta contro il sionismo, dal Pci non condivisa, ma questo non
ci impedì di partecipare e di marcare il nostro differente punto di vista su
tale delicato aspetto.
Portai alla
conferenza (cito dal testo del discorso concordato con la delegazione): “il caloroso saluto del Pci al popolo della
Jamahiria araba popolare socialista che nel corso di questi dieci anni ha ottenuto
importantissimi successi sotto la guida del colonnello Muammar Gheddafi, leader
della Rivoluzione… Molto significativo appare in questo momento l’impegno
costante della Jamahiria libica a sostegno delle forze progressiste e dei movimenti
che, nelle diverse parti del mondo, lottano per la libertà e per l’indipendenza
contro ogni residuo di colonialismo e di razzismo, contro le manovre
dell’imperialismo, con particolare riferimento a quelle relative all’area
mediterranea e nel Medio Oriente, e, in primo luogo, nella difesa dei legittimi
diritti del popolo palestinese.”
3... Com’era prevedibile, nel dibattito si
registrarono critiche severissime e attacchi minacciosi contro l’Egitto di
Anwar Sadat co-protagonista degli accordi di Camp David. Anch’io mi associai
alle critiche, anche se con toni più moderati e mirando a salvaguardare il
ruolo dell’Olp di Arafat dagli attacchi e dalle insinuazioni dei libici e
della gran parte dei delegati arabi riuniti a Tripoli che privilegiavano il
rapporto con i gruppi dissidenti di Abu Mussa.
Partii, cioè, dalla
giusta critica alla “iniziativa israelo-
egiziana, pilotata dagli Stati Uniti, che ha puntato a realizzare una pace separata…”
per ribadire il pensiero del Pci su“l’Olp,
unico, legittimo rappresentante del popolo palestinese…”
Questa
sottolineatura non fu gradita, anzi fu criticata da diverse delegazioni arabe, in particolare dai
dirigenti della Jamahirya.
Informai di tali
reazioni la sezione esteri del Pci con una nota (alla quali allegai il testo
del mio intervento): “la parte araba, (specie
libici e palestinesi dissidenti) ha ritenuto insoddisfacente la nostra
posizione sugli accordi di Camp David e di Washington, che si ritiene diplomatica e non pienamente coerente con
l’analisi della manovra imperialista in atto nella regione…Ancora più drastica
è stata la critica al nostro rifiuto di condividere il loro giudizio sul
sionismo internazionale considerato come massima manifestazione imperialista
nell’area”
“Abbiamo espresso riserve anche sui contenuti
e sui toni dei documenti preparatori della conferenza di Lisbona che abbiamo approvato
con una dichiarazione di voto nella quale si afferma che la delegazione del Pci
approvava nello spirito e nei significati espressi con l’intervento in
assemblea del compagno Spataro” .
4... Il disaccordo, i sospetti giunsero al punto
che libici e palesti-nesi (anti-Olp), in un apposito incontro con la
delegazione italiana (Spataro e Pernice per il Pci e Achilli per il Psi), ci
chiesero, come scrissi nella nota,“l’annullamento
del Colloquio di Roma in quanto considerato non propedeutico ma in contrap-posizione
con Lisbona. In sub ordine, si sarebbero accontentati di una modifica
dell’ordine del giorno”
“Circa i rapporti specifici tra il nostro
Partito e la Libia
– continuava la nota- abbiamo avuto un incontro con Shahati,
responsabile libico del settore internazionale, il quale ha fatto alcune osservazioni
critiche sulla nostra posizione a proposito di Camp David ed ha rilevato
talune, presunte, incoerenze nostre in tutto lo svolgimento dei recenti
avvenimenti mediorientali…La sua critica si è appuntata di più sull’invito
rivolto al rappresentante del partito di Sadat al nostro XV congresso e alla
stessa relazione del compagno Berlinguer per la parte relativa al Medio
Oriente, giustificando la decisione presa da diverse delegazioni arabe di abbandonare
il Congresso”
“Noi abbiamo respinto queste affermazioni e,
data la loro gravità, proposto un serio
approfondimento a chiarimento delle rispettive posizioni da tenersi, in sede
più qualificata, tra i dirigenti libici e la Direzione del nostro
Partito”
Per tutta risposta,
Shahati disse che: “fino a quando il Pci
non as-sumerà una posizione, pubblica e formale, diversa da quella espressa in
precedenza (XV Congresso) su Camp David, loro non accetteranno proposte
d’incontri con dirigenti del Pci”.
“La questione, oltre che grave, mi sembra
preoccupante, specie se messa in relazione al fatto che, da qualche tempo, si
assiste ad un tentativo di ripresa di contatti tra i libici e il Psi (una
delegazione composta da Enrico Manca,
Rino Formica ed Emo Egoli, si è recata a Tripoli nello scorso mese di luglio);
un altro elemento da considerare è il rapporto di confidenza tra Achilli e i
dirigenti libici…
L’impressione è che da parte di alcuni
settori libici si voglia privilegiare il rapporto con il PSI per farne punto
di riferimento nella situazione italiana ed anche per possibili agganci con
partiti e personalità socialisti e socialdemocratici d’Europa…” [1]
I rapporti tra il
Pci e Gheddafi non erano, dunque, così idilliaci come certa stampa li
rappresentava. Anche il clima politico non era propriamente “amichevole”, anzi
era segnato da sordi e lunghi silenzi e da seri contrasti su punti politici
qualificanti.
Tuttavia, bisognava
evitare rotture definitive, mantenere vivo il legame di amicizia (anche nella
franchezza delle posizioni) e di collaborazione possibile. In attesa di tempi
migliori…
La battaglia degli aggettivi
1... All’interno del vasto movimento di
solidarietà, nei dibattiti politici e diplomatici c'erano veri e propri
scontri di posizioni accompagnati da rigide chiusure, specie quando il
discorso verteva sul ruolo dell’Olp divisa al suo interno e tormentata da
azioni provocatorie miranti a destabilizzare la leadership di Yasser Arafat.
Strascichi di tali
divisioni e polemiche spesso si riverberavano nelle conferenze internazionali
le quali, invece che per cementare ed estendere la “solidarietà” col popolo
palestinese, erano usate per crocifiggere il presidente palestinese.
Intorno alla
funzione dell’Olp, si combatteva, specie nel chiuso delle commissioni
preparatorie dei documenti, una sorta di “battaglia
degli aggettivi”. In particolare, su due si appuntava lo scontro: “unico” e
“ legittimo”.
Ovviamente, non si
trattava di una disputa lessicale, ma di un duro confronto politico, poiché,
usare “unico” voleva dire escludere le altre tendenze e/o organizzazioni
dissidenti o scissioniste; aggiungere “legittimo”era una sfida universale che
faceva insorgere, storcere il naso ai rappresentanti di organismi
internazionali, di Stati (specie occidentali), soprattutto degli israeliani che
non accettavano discussioni su questo punto.
In genere, l’accordo
si trovava più facilmente sull’aggettivo “equo” che, in realtà, vuol dire tutto
e niente.
Nell’intervento posi
l'accento sull’esigenza di ampliare e affinare la piattaforma del movimento di
solidarietà per aprire a partiti e a forze progressiste, cristiane e
socialdemocratiche, italiane ed europee che, diffi-cilmente, avrebbero potuto
condividere un’impostazione così radicale della lotta per la causa palestinese.
Ricordai, pertanto, “l’esigenza politica di evitare chiusure
settarie e toni che potrebbero rendere difficile l’adesione a questa giusta
Causa da parte di forze importanti che, seppure di orientamento relativamente
moderato, desiderano anch’esse contribuire, con noi, a risolvere,
positivamente, il nodo della vicenda medio orien-tale…In aree come quelle
europee, il nostro interesse deve essere di più mirato a sottrarre quante più
forze possibili all’influenza israeliana che, certamente, si estende molto al
di là delle varie comunità e lobby ebraiche… ”
Ovviamente, non
mancò l’auspicio per “il rafforzamento
dei legami di amicizia e di collaborazione tra i popoli della Jamahiria e
dell’Italia, all’insegna della cooperazione economica e del progresso
pacifico…”
Questo riferimento
era costante nei nostri discorsi in pubblico e nei colloqui privati con i
dirigenti libici.
Bisognava, infatti,
ricordare che avevamo a cuore la tutela dei circa ventimila tra operai e
tecnici italiani che lavoravano, con profitto, in Libia e la sorte delle
centinaia di pescatori siciliani che battevano le pescose coste libiche, delle
stesse imprese italiane che, in quel periodo, facevano affari importanti nella
Jamahirya.
Richiamo queste
cose, soprattutto, a beneficio di certi, nostri detrattori che mistificavano
la realtà dei rapporti del Pci con i dirigenti libici. Per quanto a me
risulta, nelle relazioni con il mondo arabo (non solo con la Libia), noi comunisti,
dall’opposizione, ci siamo sempre adoperati (talvolta con successo e sempre
senza alcuna contropartita venale) per tutelare gli interessi legittimi del
nostro Paese e dei connazionali. Gli interessi equivoci e gli affari sporchi,
no!
2... Ai vertici del Pci il rapporto con i libici
era, dunque, problematico, travagliato e pertanto trattato con prudenza e
anche con un po’ d’imbarazzo. Al contrario, nessuno scrupolo si facevano gli
altri partiti (Dc e Psi, per altro al governo) e i loro più autorevoli
esponenti (da Andreotti a Craxi, a tanti altri).
Credo che si possa
affermare, senza tema di smentita, che, in quegli anni, tutti i partiti
italiani intrattenevano buone relazioni con Gheddafi. Tranne il Pri, non per
scrupoli politici o per furore etico, ma solo perché non riusciva a liberarsi
della sua ossessiva “fedeltà atlantica”
e del suo specioso antiarabismo.
Relazioni che,
andando oltre il dato meramente commerciale, talvolta sfociavano in attività
di cooperazione economica e militare.
Non è un segreto per
nessuno che l’Italia vendeva armi alla Libia e istruiva i suoi ufficiali nelle
nostre accademie, che i nostri servizi segreti, più di una volta, sventarono
complotti anti- Gheddafi.
Come facevano
tantissimi Paesi occidentali e orientali. Purtroppo, in quel tempo la Libia era uno dei mercati più
appetibili del Pianeta. Maledette le armi, chi le fabbrica e chi le vende! E
chi le usa!
Del resto, l’Italia
era il primo partner commerciale della Libia con una bilancia quasi in
equilibrio, unico caso con un paese petrolifero.
Anche le alte
gerarchie del Vaticano non si lasciarono influenzare da certa propaganda e, da
circa mezzo secolo, mantengono a Tripoli un vescovo, mons. Giovanni
Martinelli, il quale si è sempre, pubblicamente, dichiarato più antimperialista
dello stesso Gheddafi che, per altro, stimava tantissimo, come confidò, in
un’intervista, ad Angelo Del Boca:
“Ho incontrato più volte il presidente
Gheddafi. È un idealista, un uomo sincero. Ha il coraggio di dire ciò che molti
libici ed arabi pensano, ma non osano dire, soprattutto contro i nuovi “crociati…”
[2]
Questo era, in
sintesi, il contesto in cui ci si doveva muovere. Sapevamo di operare su un
terreno difficile, scivoloso, reso ancor più impraticabile dalle “mine”
seminate dalla concorrenza anti-italiana.
Occorreva prudenza,
prevenzione ma non fino al punto di farsene paralizzare o di rinunciare a
svolgere il ruolo politico che competeva a un grande partito qual era il Pci.
“L’amico di Gheddafi in Parlamento”
1... Probabilmente, l’eccessiva prudenza, una
certa freddezza del Partito nei rapporti con la Libia faceva risaltare,
oltre il dovuto, il mio giovanile fervore. Alcuni giornali italiani dell’epoca
non ci misero molto a bollarmi come “l’uomo
di Tripoli” o “l’amico di Gheddafi in
Parlamento”.
Essendo un deputato
in carica, mi sarei aspettavo dal partito, dal gruppo parlamentare una
posizione di solidarietà, di chiarimento oppure una censura nel caso fosse
stato appurato quanto addebitatomi .
Invece, non successe
nulla. Soltanto qualche risolino, i soliti ammiccamenti.
Riflettei sopra le
accuse, feci come si suol dire autocoscienza, ma alla fine non trovai nulla di
sconveniente, di compromettente. Ritenendo di agire nel giusto e in modo
trasparente, non diedi molto peso a quei rumori che cercai di smentire con
fatti e argomenti appropriati.
In particolare, con
un’intervista al settimanale economico“Il
Mon-do” che però la mise sotto il titolo leggermente perfido: “Gheddafi ha un amico alla difesa”.
“Rompere i rapporti con la Libia sarebbe una catastrofe
economica. Anzi, bisogna marciare in direzione opposta: stringere ulteriormente
i nostri legami con la Libia
e più in generale con tutto il mondo arabo. A sostenere questa tesi
controcorrente, soprattutto dopo i due missili lanciati dal colonnello Gheddafi
contro Lampedusa, è Agostino Spataro, siciliano, deputato comunista dal 1976,
membro della Commissione difesa della Camera, dell’Associazio-ne di amicizia
italo araba e vicepresidente del gruppo
parlamentare italo-siriano… nonché autore del libro “Oltre il Canale. Ipotesi
di cooperazione siculo araba”…. [3]
2... Decisamente faziosa e falsa, la rivista
statunitense “EIR/Exe-cutive Intelligence
Review” la quale, in un lungo articolo (“Facts behind terrorism- Italy loosens its ties to Lybia”) a firma
di P. Raimondi), frutto di un collage male assortito di falsità e illazioni si
abbandonò a considerazioni, a dir poco, avventate con l’obiettivo di rilanciare
il paradigma della lobby libica ossia di una commis-tione d’interessi e di
pressioni, operante in Italia, fra Giulio Andreotti, potente ministro degli
esteri, e il Pci allineato alla strategia di Mosca.
Curiosamente, la
rivista “amerikana” attinse, a piene
mani, da un paginone, a firma di Sandra Bonsanti, pubblicato nei giorni precedenti
(ossia qualche settimana dopo il criminale attacco aereo degli Usa contro la Libia) da “La Repubblica” e da me smentito, almeno per la
parte che riguardante il Pci e me personalmente.
Il capolavoro di
malafede e di disinformazione della rivista Usa, credo specializzata in tali
poco virtuose attività, si ha quando tenta di mettere nello stesso calderone
dell’Associazione italo libica, il Partito comunista e l’on. Andreotti e i suoi
uomini effettivamente alla guida di quella associazione.
Scriveva, infatti,
(traduzione):
”Ma il centro di promozione e di pubbliche
relazioni di questo coacervo di attività economico-criminali è stato
l’Associazione per l’amicizia italo-libica, creata nel 1981…la cui “leadership
politica fu sempre nelle mani del ministro degli esteri Giulio Andreotti. Il
primo presidente dell’Associazione fu Giuseppe Caroli, un uomo di Andreotti,
membro del Parlamento italiano, e più tardi Felice Contu, anche lui del gruppo
di Andreotti. Egli fu sostenuto da figure del Partito Comunista come Agostino
Spataro, senatore della Sicilia, un sostenitore di più forti legami con la Libia…” [4]
“Mentira”, direbbero gli spagnoli, spudorata bugia: io non feci mai parte (come
appresso dirò) dell’Associazione italo-libica e pertanto non avrei potuto
sostenere nessuno dei suoi esponenti.
“Il Borghese” piccolo piccolo
1... Non era questo il primo attacco proveniente
da taluni organi di stampa reazionari e della destra fascista.
Cito per tutti
quello sferrato dal settimanale “Il
Borghese” il quale, sotto il titolo “I
complici di Gheddafi”, si abbandonò a un’analisi fantasiosa, di tipo propagandistico
per dimostrare l’esistenza, in Italia e in Europa, di un vasto campionario di
“complicità” internazionali con il Colonnello.
La lista dei
“complici” di Gheddafi era aperta da Andrea Papandreu, primo ministro greco, e
proseguiva con altre personalità in genere dell’Europa del Sud, alcune
italiane, fra le quali, immodestamente, anch’io.
“Gheddafi tuttavia non farebbe nulla se non
avesse in Italia preziosi complici. Nei giorni scorsi, proprio mentre il
dittatore libico avanzava le sue folli richieste (indennizzo dei danni di
guerra n.d.r.), un deputato comunista,
Agostino Spataro, accusava l’Eni di disinteresse nei confronti della Libia…
I comunisti insistono e l’Unità, in data 16
ottobre, ha affermato che Gheddafi è un buon “socio”dell’Occidente, spinto
nelle braccia di Mosca dalla follia “poco meno dittatoriale”di Reagan. Sono
queste alleanze da “quinta colonna” che permettono ad un pazzo, ad un
pianificatore dell’assassinio dei suoi oppositori, di continuare a far la voce
grossa…” [5]
2... Questo “Borghese”
piccolo, piccolo, diretto dal senatore missino Mario Tedeschi, si limitò a
lanciare accuse infamanti quanto infondate, ma nulla scrisse nel merito della
mia dichiarazione stampa che trovava ampie motivazioni sia nella difesa degli
interessi della pace nel Mediterraneo sia di quelli più peculiari, economici
e politici, dell’Italia.
Ecco qualche brano: “l’Italia resta il primo partner
commerciale della Libia , grazie a una direttiva di quel governo che accorda una
preferenza ai prodotti, alle imprese e al lavoro italiani; tant’è che la
bilancia commerciale italo libica si
mantiene su livelli di quasi costante equilibrio, mentre con altri Paesi arabi
produttori di petrolio è fortemente deficitaria a nostro svantaggio…Da quando
l’amministrazione Reagan ha deciso il boicottaggio alla Libia, le relazioni
italo libiche sono andate via via
deteriorandosi, la nostra presenza risulta ridimensionata a vantaggio di
operatori tedeschi (occidentali), inglesi e di altri Paesi che mirano a soppiantare
questo raro primato italiano… Tutto ciò mentre il ministro della Difesa, on.
Lelio Lagorio, alimenta una campagna su una presunta “minaccia libica” (mai
effettivamente dimostrata) per giustificare i programmi d’inquietante militarizzazione
del Mezzogiorno e della Sicilia…”
“Le relazioni italo-libiche- proseguiva la dichiarazione- risultano gravate da una contraddizione: non
si può essere il primo partner negli affari economici con un Paese considerato
“una minaccia” e diretto da terroristi e fanatici.
Ovviamente, rinviai
al mittente tali etichette. Mi sentivo la coscienza a posto e certo non dovevo
rendere conto del mio operato a un giornale scandalistico e, per giunta,
neofascista.
Durante tutta la mia
esperienza politica e parlamentare sono stato soltanto un “uomo di partito”,
del Pci; Partito che ho amato e vissuto non come un cast di primi attori della
politica, ma come un collettivo, un insieme di forze sane e vitali che
lottavano per rafforzare la democrazia e per il riscatto sociale dei
lavoratori e del popolo italiano e per la pace nel mondo.
Ho sempre agito
lealmente e di concerto con gli organismi dirigenti del Partito per servire i
suoi interessi politici e quelli più generali dell’Italia che, in questo caso,
coincidevano.
Il mio mancato incontro con Gheddafi
A proposito della supposta “amicizia” col colonnello
Gheddafi non ho nulla di cui pentirmi e/o di rinnegare poiché, non essendoci stata,
è mancata la causa del pentimento e/o del rinnegamento.
In fatto di amicizie
sono stato sempre molto parco: di amici veri ne ho avuti sempre pochi, quasi
tutti del mio paesino, Joppolo Giancaxio, in provincia di Agrigento. Anche
perché ritengo giusto che un uomo
politico, per mantenersi integro nella sua funzione pub-blica, non debba avere
amici, compari e parenti da tutelare.
Curiosamente, negli
anni d’oro del regime libico, in Italia e altrove, si assisteva a una corsa,
talvolta affannosa, di gente che, magari senza averlo mai incontrato di
persona, millantava l’amicizia di Gheddafi o lo condannava a priori e senza
appello.
Non avendo fatto
parte né dell’una né dell’altra schiera, rivendico la mia libertà di giudizio,
il mio spirito critico, la mia auto-ironia salvifica, e dirò, com’è nel mio
costume, la verità. Chiedendo venia per qualche eventuale inesattezza.
Dico subito che,
nonostante i diversi viaggi in Libia, con Gheddafi non ebbi mai un colloquio
politico diretto, un incontro personale. Lo vidi durante alcune manifestazioni
pubbliche e in due occasioni gli strinsi la mano: una volta a Bengasi sul palco
della manifestazione per il X anniversario della “rivoluzione” e una seconda
volta, a Tripoli, in occasione del XV anniversario.
In uno di questi
viaggi, su iniziativa dell’on. Michele Achilli del Psi, fu programmato un
incontro fra la “Guida della
rivoluzione” e alcuni membri della delegazione unitaria italiana.
L’incontro non ebbe
luogo a causa di una certa “impasse
protocollare” provocata da una diatriba interna insorta nella
delegazione che aveva preceduto la nostra.
Andò così. Quella
sera, verso le 21,00, fummo condotti alla caserma di Bab al Azazia e pregati
di attendere in un salone spoglio che fungeva da anticamera.
“Fra mezz’ora, un’ora al massimo, sarete
ricevuti”, assicurò il nostro
accompagnatore.
Passarono le ore e
noi lì ad attendere, sempre più nervosi e sconcertati per quel ritardo poco
protocollare. I camerieri continuavano a portare vassoi di dolci e orribili
limonate. Per fortuna, lo stanzone era rinfrescato dall’aria condizionata.
Qualcuno di noi
pensò di abbandonare l’impresa. Ma come andarsene? Con quali mezzi? Eravamo
dentro una caserma super sorvegliata. E poi i libici l’avrebbero preso per una
scortesia, anche se, di fatto, scortesi si stavano dimostrando loro nei nostri
confronti.
Eravamo in attesa da
diverse ore, quando, intorno all'una di quella calda notte tripolina, uno dei
segretari venne a scusarsi per il ritardo. Purtroppo, la “Guida” aveva in
corso un concitato incontro con una numerosa, e rumorosa, delegazione del
Burkina Faso, capeggiata dal capitano Thomas Sankara, fresco di colpo di
stato, e pertanto ci chiedeva di pazientare oppure propose di rinviare l’incontro
all’indomani.
Optammo per la
seconda soluzione e tornammo in albergo. Ovviamente, l’incontro non ci fu né
l’indomani né dopo. Credo senza danno per entrambi le parti.
D’altronde, questa era
la prassi. Fra i numerosi frequentatori delle conferenze in Libia chi può
affermare di non avere mancato un incontro col Colonnello?
L’archivio del Pci è vuoto
1… Da tempo, avverto l’esigenza di scrivere qualcosa della mia esperienza
nei rapporti con la Libia.
Ho sempre rinviato. Mi sono deciso a scrivere dopo il crollo
del regime di Gheddafi col solo obiettivo di apportare un piccolo contributo
alla ricostruzione delle relazioni fra il Pci e la Libia e, indirettamente, fra
l’Italia e la Libia
di Gheddafi, almeno per il periodo che va dal 1980 al 1986.
Per necessità di
ricerca, mi sono recato presso la
Fondazione “Antonio Gramsci” di Roma, dove si trova
depositato l’archivio del Pci, certo di trovarvi una gran mole di documenti, di
molto soverchiante i miei ricordi e i miei disordinati appunti.
Invece, con mia
somma sorpresa, vi trovai soltanto cartelle bianche, qualcuna contenente solo
alcuni ritagli de “l’Unità” dove si
dava notizia di un paio di telegrammi di Enrico Berlinguer ai dirigenti
libici.
Data l’esiguità dei
materiali, posso essere preciso nell’elencarli: il primo (1980) per sollecitare
la liberazione dei due capitani maza-resi trattenuti nelle carceri libiche; il
secondo (1984) per esprimere la condanna per l’assassinio dell’ambasciatore
Tagazzi; un brevis-simo sunto dell’incontro con Jallud (15/4/1981); un invito a
Berlinguer a visitare la Libia
(del 6/7/1981).
Tutto qui, durante
quei sei anni davvero cruciali!
In verità, nel
fascicolo concernente il 1984, oltre al citato telegram-ma di Berlinguer, c’è
anche il (mio) rapporto politico alla Sezione esteri del partito sul viaggio a
Tripoli del settembre di quell’anno per partecipare alle celebrazioni per il
15° anniversario della rivo-luzione.
Di fronte a quei
fascicoli vuoti, confesso che grandi sono stati il mio stupore e la mia
delusione
Secondo le
risultanze di tale archivio, dovremmo credere che du-rante quegli anni il Pci, il
grande partito che faceva politica estera talvolta in concorrenza con la Farnesina, non ebbe alcun
rapporto con il regime libico. A parte, naturalmente, il mio viaggio a Tripoli,
da osservatore.
1... Pensai a un errore di catalogazione. Esaminai
gli inventari concernenti l’attività della segreteria del Partito e quelli
personali di Giancarlo Pajetta, a quel tempo responsabile del dipartimento internazionale
e personalità di riferimento dei libici nel Pci. Cercai perfino, fra le carte
di Paolo Bufalini, membro della segreteria che si occupava di affari
internazionali, anche se, solo raramente, di “cose arabe”.
Trovai molta
documentazione, ma nulla che si riferisse ai libici. Insomma, una mancanza strana, persino un po’
sospetta.
M' interrogai,
chiesi lumi, pareri ad alcuni compagni e amici nella speranza di trovare una
spiegazione plausibile, logica direi.
Non avendola
trovata, formulai le seguenti ipotesi:
a)
Forse,
non saranno stati redatti i verbali degli incontri ?
Eventualità
altamente improbabile poiché, per metodo inveterato, nel Pci si stilavano
rapporti e note anche su fatti di minor conto, come si può evincere dagli altri
fascicoli dello stesso archivio;
b)
qualcuno
avrà “ripulito” l’archivio prima di consegnarlo al Gramsci?
Non è da escludere.
Non tanto per far sparire eventuali contenuti “compromettenti” riguardanti il
Partito quanto, semmai, per evitare “imbarazzi” personali a quanti, avendo
diretto le fasi della lunga transizione dal Pci al Pds, ai Ds, al Pd, hanno
avuto il problema di riciclarsi, di accreditarsi presso non si sa bene chi.
Com’è noto, taluni
esponenti nazionali del partito hanno di dichia-rato di non essere mai stati
comunisti pur avendo fatto parte dei vertici del Pci che- lo ricordo- non era una
marca di computer ma l’acronimo di Partito Comunista Italiano.
Desidero far notare
a coloro che si sono “chiamati fuori” da una esperienza politica, per altro
esaltante, che la “cosa” da un lato ci rattrista, ma dall’altro lato ci
solleva dall’angoscia di dover pensare che certe loro nefandezze politiche
siano state consumate da dirigenti comunisti autentici.
Per altro, questi ex
rischiano di passare per infiltrati ai vertici del più grande Partito comunista
dell’Occidente capitalistico.
Infiltrati per conto
di chi?
Ma, tranquilli, la
faccenda la possiamo chiudere qui: sappiamo che hanno abiurato solo per trasformismo, per carrierismo.
c)
esiste
un altro archivio coperto, segreto?
Una possibilità
improbabile anche se non è da escludere completamente. In caso affermativo, si
aprirebbe una caccia alle carte segrete del Pci…
Una stupefacente verità?
Fatto sta che, oggi, chi dovesse consultare questo archivio
resterà deluso poiché tutta l’attività del Pci nei suoi rapporti con la Libia, almeno per il periodo
considerato, appare limitata a quel mio viaggio del 1984.
“Incroyable!”, direbbero i francesi.
Parlai di tale,
clamorosa mancanza con Antonio Rubbi chiedendogli se, per caso, i materiali
relativi ai rapporti Pci - Libia non fossero stati versati in altro archivio o
fondo o trattenuti in casa da qualche compagno troppo zelante o cosa.
Antonio mi rispose,
candidamente, che nell’archivio del Gramsci c’è solo questo perché
probabilmente non c’era altro da archiviare. Una risposta, a dir poco,
disarmante che, per me, suonava come una stupefacente verità.
Gli ricordai le tre
quattro cosine trovate: davvero troppo poco per un grande partito come il
nostro.
Lui ribadì che
nell’archivio c’è quello che c’era stato.
Risposte secche,
sibilline che ingigantivano il mistero.
Di altro, accennò,
soltanto, a un viaggio (del 26 luglio 1977) di una delegazione del Pci
(composta da Giancarlo Pajetta, Rubbi e Giovanni Berlinguer) in Libia che
incontrò il colonnello Gheddafi per parlare della “questione palestinese” e in
generale dei rapporti con l’Italia.
Nel suo libro “Con Arafat in Palestina”, Rubbi parla
di questa missione a Tripoli come di “un mezzo disastro” per la sostanziale
chiusura mostrata da Gheddafi su alcune questioni che stavano più a cuore alla
delegazione del Pci: dalla proposta di conferenza internazionale sul Medio
Oriente alle tensioni tra la
Libia e l’Egitto di Sadat.
D’altra parte, su
tali argomenti non ci si poteva attendere una posizione morbida da uno dei
leader più radicali del cosiddetto “Fronte
del rifiuto”.
Com’è noto, le
diffidenze di Gheddafi e di altri rais del “Fronte
del rifiuto” verso Sadat
diventarono aperta ostilità con la firma degli accordi (separati) di Camp David
tra Egitto e Israele.
Tale contrarietà era
forte e diffusa in tutto il mondo arabo e in vari settori dei movimenti
progressisti e di sinistra internazionali. Anche il Pci disapprovò l’accordo
poiché lo considerava una scorciatoia unilaterale intrapresa da Sadat, con
l’avallo degli Usa, che divideva il mondo arabo e allontanava la prospettiva
di una soluzione negoziata, equa e globale, del conflitto arabo- israeliano.
Tanto da
condividere- scrive Rubbi- con una delegazione libica, diretta da Ahmed
Shahati, un comunicato che esprimeva “la
comune preoccupazione per una soluzione che prescinde dalla volontà dei Paesi
arabi direttamente interessati… e che ignora il popolo palestinese e i suoi
legittimi diritti”. [6]
Delegati siculo - arabi al congresso nazionale del PCI
Camp David creò tensioni e contrasti all’interno del mondo
arabo e nei rapporti tra le sinistre europee e le forze politiche arabe.
Come ricorda Rubbi
nel suo libro, la vicenda avrà una coda anche nello svolgimento del XV
congresso del Pci (Roma, aprile 1979), quando 23 delegazioni arabe, avendo
notato nella tribuna delle delegazioni straniere la presenza del rappresentante
del partito di Sadat, “pretesero che lo
cacciassimo altrimenti avrebbero clamorosamente abbandonato il congresso
facendone un caso pubblico. Naturalmente, per nessuna ragione avremmo cacciato
una dele-gazione da noi invitata, ma volevamo evitare un incidente diplomatico
che sarebbe stato sicuramente amplificato dai mass media…
L’obiettivo per noi era quello di guadagnare
tempo e continuare a discutere, garantendo al contempo la loro presenza al
congres-so…alla terza giornata ci fu posto l’aut- aut: o se ne andavano gli
egiziani o se ne andavano loro…Il loro vuoto nel palco delle delegazioni
sarebbe stato certamente notato. Ricorremmo allora a uno stratagemma
incaricando Agostino Spataro, un delegato siciliano che sembrava la copia
perfetta del capo delegazione del Baath irakeno, di ricercare tra i delegati
persone dai tratti più somiglianti a quelli dei nostri ospiti e di piazzarli
al posto degli assenti. L’operazione riuscì perfettamente: il proposito di non
far scoppiare l’incidente e farlo finire sulla stampa fu pienamente conseguito.
Rimaneva una riflessione politica molto seria da fare: i nostri rapporti con i
partiti dei paesi arabi erano molto più difficol-tosi che nel passato…” [7]
A raccontarlo, a
leggerlo oggi quell’episodio (in verità un po’ burlesco) può suscitare anche
una bonaria risata. Ma viverlo, come lo vissi io, non da “delegato siciliano”, ma
da accompagnatore e assistente politico
di quelle delegazioni, non fu, certo, uno scherzo.
Tutti i tentativi
politici per trattenerli erano andati a male. Fu così che per riparare la falla
ossia quel vistoso vuoto che si sarebbe creato sulle tribune degli invitati
stranieri proposi quell’espediente, come estremo rimedio.
Con l’accordo di
Rubbi e di Pajetta, diedi inizio alla “selezione” facendo leva sull’affinità
somatica e in particolare sui “baffi” poiché i delegati in fuga erano quasi
tutti baffuti.
Individuai un gruppo
di compagni siciliani e calabresi ai quali spie-gai la cosa e chiesi,
cortesemente, di spostarsi dall’austero banco degli invitati alla più comoda
tribuna delle delegazioni straniere.
Lo “scherzo” durò un
paio di giorni durante i quali i subentranti delegati siculo- arabi, ciascuno
col suo bel cartello indicante il partito e il Paese di provenienza, convissero,
muti e in perfetta concordia, con altri delegati stranieri. Perfino con l’ex
ministro egiziano che, imperterrito, rimase al suo posto e pareva contento dei
nuovi vicini di banco.
A ben pensarci, con
quel sotterfugio, quei bravi compagni avevano tolto dall’imbarazzo il congresso
nazionale del Pci e, in qualche modo, reincarnato l’insopprimibile arabità
della Sicilia che, secondo Achille Occhetto, “era l’unico Paese arabo che non aveva dichiarato guerra ad Israele”
Lo stratagemma andò
a buon fine. La stampa non si curò né delle assenze né delle nuove presenze.
Tuttavia,
intimamente, restai turbato quando non vidi più ai loro posti i 23
rappresentanti di partiti e movimenti progressisti e di sinistra arabi.
Queste forze, pur
con tutti i limiti e gli errori loro attribuiti, costituivano la speranza di
rinascita, su basi democratiche e laiche, dei popoli arabi. Avvertii come una
sensazione di sgomento per qualcosa che, forse, si era spezzato.
Il fatto era che
taluni di questi delegati mentre con Pajetta, con Rubbi e con Salati parlarono
solo nel corso di un paio d’incontri ufficiali, con me, che li accompagnavo per
l’intera giornata, si aprirono più fraternamente, confidandomi la loro
amarezza, la delusione, taluni anche la loro rabbia per “l’errore commesso dal Pci”.
Aggiungo per inciso
che, anche in altre occasioni, ho sempre tenuto verso gli arabi, portatori di
una causa giusta, un atteggiamento di sincera solidarietà anche umana, di
disponibilità che andava oltre la formalità del rapporto politico.
In quei giorni
convulsi, cercai anch’io di convincerli a restare, ma non ci fu verso di farli
desistere. Molti di loro credo fossero sinceramene dispiaciuti di abbandonare
il congresso poiché capivano, come noi, che con quell’atto si poteva spezzare un
antico legame, perdere un riferimento politico importante (qual era il Pci) in
Italia, in Europa e altrove.
Certo, la loro
pretesa era troppo rigida, e pertanto inaccettabile, tuttavia credo che in
quella occasione il Pci, soprattutto il suo gruppo dirigente, si giocò buona
parte della sua affidabilità, come partito di riferimento della sinistra
progressista del mondo arabo.
[1] A. Spataro, “Rapporto
per la sezione esteri sulla visita di una delegazione del PCI in Libia”, Archivio
Pci, Fondazione “Gramsci”, Roma
[2] A. Del Boca, op.cit.
[3] in settimanale
“Il Mondo” del 12/5/1986
[4] P. Raimondi in rivista“EIR-
Executive Intelligence Rewiew” del 30/5/1986
[5] in “Il
Borghese” del 30/10/1983
[6] A. Rubbi in “Con
Arafat in Palestina - La sinistra italiana e la questione mediorientale”,
Editori Riuniti, Roma, 1996
[7] A. Rubbi, op. cit.
Elenco dei nomi
Achilli, Michele
Adly, Farid
Agnelli, Susanna
Aiardi, Alberto
Al-Idrisi
Alagna,
Egidio
Algoud, Ahmed
Almirante, Giorgio
Amin, Samir
Andreotti, Giulio
Angelini, Vito
Arafat ,Yasser
Assad, Bachar
Assad, Hafez
Attolico, Bernardo
Badoglio, Pietro
Balbo, Cornelio
Balbo, Italo
Barca, Luciano
Ban Ki Moon
Bari, Atwan
Basaglia, Franco
Bassetti, Piero
Basso, Lelio
Belgasem, Younes
Ben Alì, Zine
Benkirane, Abdellilah
Berlinguer, Enrico
Berlinguer, Giovanni
Berlusconi, Silvio
Bin Laden, Osama
Blair, Tony
Bodrato, Guido
Boyle, Francis
Bolzoni, Attilio
Bonalumi, Gilberto
Bonnici, Carmine
Bonfiglio, Angelo
Bonsanti, Sandra
Borges, Luis (Nic)
Borghese, Valerio
Bottarelli, Giorgio
Brzezinski, Zbigniew
Bufalini, Paolo
Bush W. George
Bush George
Buttho, Alì
Cabras, Paolo
Cacciola, Biagio
Calderon, Horatio
Cameron, David
Camus, Albert
Capanna, Mario
Capriglione, Jolanda
Caputo, Sebastiano
Cararo, Sergio
Cardia, Umberto
Cardini, Franco
Caroli, Giuseppe
Carter, Billy
Carter, Jimmy
Casey, William
Castellina, Luciana
Castro, Fidel
Cavalchini, Luigi
“Che” Guevara, Ernesto
Chirac, Jacques
Churchill, Winston
Cicchitto, Fabrizio
Clark, William
Clinton,
Billy
Colombo,
Emilio
Contu,
Felice
Cooley,
Jonh
Corrao,
Francesca
Crawford,
Neta
Craxi,
Bettino
Crocetta,
Rosario
Crocetta,
Salvatore
Crozza,
Maurizio
Crowe,
William
Custonero,
Alberto
D’Alema,
Massimo
De Gaulle,
Charles
Del
Boca, Angelo
De
Lorenzo, Giovanni
De
Mita, Ciriaco
De
Pasquale, Pancrazio
De
Roberto, Federico
Di
Giulio, Fernando
Diliberto,
Oliviero
Dom,
Mintoff
Durra,
Mohanna
Eagleton, William
Einstein, Albert
Egoli, Emo
Fanfani,
Amintore
Fini,
Massimo
Formica,
Rino
Foschi,
Franco
Fracanzani,
Carlo
Fragapane,
Giovanni
Franco,
Francisco
Frescobaldi,
Dino
Gabrieli,
Francesco
Gannouchi,
Rachid
Gatti,
Giuseppe
Gelli,
Licio
Giadresco,
Gianni
Giovanni,
Paolo II
Giovannone,
Giorgio
Gheddafi,
Aisha
Gheddafi,
Hanna
Gheddafi,
Muammar
Gheddafi,
Zsofia/Safija
Gramsci,
Antonio
Granelli,
Luigi
Graziani,
Rodolfo
Grillo,
Beppe
Hamdi,
Omar
Hammad, Nemer
Hersch, Seymur
Hassan II
Heykal, Muammad
Hitler, Adolf
Hussein, Alì
Hussein,
Saddam
Idriss
(re)
Ippolito,
Roberto
Jallud,
Abd Al Salam
Lagorio,
Lelio
Laidi,
Alì
Lannutti,
Giancarlo
La Russa, Ignazio
Lauricella,
Salvatore
La Torre, Pio
Leanza,
Mario
Lentini,
Giacinto
Leuzzi,
Giuseppe
Lodato,
Saverio
Lombardi,
Riccardo
Luttwak,
Edward
Lutz,
Catherine
Mc Farlane, Robert
Magdi, Allam
Major, John
Malfatti,
Franco Maria
Manca,
Enrico
Mancuso,
Kris
Mandela,
Nelson
Mann,
Igor
Mannino,
Calogero
Mansour (min)
Mao Tse Tung
Marcos, Ferdinand
Marte,
Ferrari
Martelli,
Claudio
Martinelli,
Giovanni
Mattarella,
Piersanti
Mattei,
Enrico
Merkel,
Angela
Miceli,
Vito
Milazzo,
Nino
Mini,
Fabio
Mitterand,
Francois
Moro,
Aldo
Moro,
Domenico
Moubarak, Hosni
Mugabe, Robert
Mufta, Ahmed
Muktar,
Omar
Munthasser,
Omar
Musa
Al Sadr
Mussa,
Abu
Mussolini,
Benito
Karrubbi,
Mustafà
Khader,
Bichara
Khomeyni,
Rouhullah
Krosney,
Herbert
Napolitano,
Giorgio
Nasser,
Gamal
Nazamroaya,
M. Darius
Negri,
Alberto
Nenni,
Pietro
Nicolini,
Giusi
Nicolosi,
Rino
Nisticò,
Vittorio
Obama,
Barack
Obeidi,
Abdelati
Occhetto,
Achille
Orilia,
Vittorio
Orlando,
Giuseppe
Orwel,
George
Ossola,
Rinaldo
Pajetta,
Giancarlo
Pannella,
Giacinto
Papa,
Michele
Papandreu,
Andreas
Pappalardo,
Salvatore
Parlato,
Valentino
Paskert,
Dierk
Paternò,
Antonio S.Giuliano
Pernice,
Giuseppe
Pertini,
Sandro
Petillo,
Renata
Petruccioli,
Claudio
Pieralli,
Piero
Pinochet,
Augusto
Pointdexter,
John
Prado,
Stefano
Procacci,
Giuliano
Prodi,
Romano
Puglisi,
Gianni
Pumilia,
Calogero
Pulciano
(ten. col.)
Putin,
Vladimir
Quaroni,
Alessandro
Raphael,
Louis
Raimondi,
Pietro
Ramadan
(gen),
Ratti,
Giuseppe
Reagan,
Ronald
Redgrave,
Vanessa
Rice,
Condoleeza
Rizzitano,
Umberto
Rognoni,
Virginio
Romano,
Sergio
Rossino,
Giovanni
Rubbi,
Antonio
Rubino,
Raffaello
Ruffini,
Attilio
Sadat,
Anwar
Salati,
Remo
Salazar,
Antonio
Saleh,
Abdullah
Salerno,
Eric
Salvi,
Franco
Sankara,
Thomas
Sanza,
Angelo Maria
Sarkis,
Elias
Sarkozy,
Nicolas
Scalfaro,
O. Luigi
Scarcia
Amoretti, B.
Scebarras Trigona, Alex
Seneca
Shahati, Ahmed
Shalgam, Abdel Rahman
Shara (al) Farouk
Shiban,
Taher
Silvestri,
Giuliano
Somoza,
Anastasio
Spadolini,
Giovanni
Spini,
Valdo
Stalin,
Giuseppe
Stroessner,
Alfredo
Suharto
Tagazzi,
Ammar
Tabladini,
Francesco
Tedeschi,
Mario
Tlemcani,
Salima
Togliatti,
Palmiro
Tornetta,
dr.
Tremaglia,
Mirko
Triki,
Alì
Varvelli,
Arturo
Vignolo,
Mino
Vizzini,
Ino
Zaccaria,
Giuseppe
Zamberletti,
Giuseppe
Weimberger,
Caspar
Weissman,
Steve
Wertmuller,
Lina
Bibliografia
essenziale di Agostino Spataro
Giornalista, già membro delle
Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo”
(www.infomedi.it), collabora con “La Repubblica” e con altri
giornali e riviste. Biografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro
Ha scritto vari saggi, fra i
quali:
“Per la Sicilia”, (presentazione di Giorgio Napolitano), Agrigento, 1982
“Missili e mafia”(con P.
Gentiloni, A. Spampinato) Editori Riuniti, Roma,1985
“Oltre il Canale- Ipotesi di cooperazione siculo - araba”,
Ed. Autonomie, Roma, 1986 (tradotto in arabo)
“Missili addio!”, Edizioni
La Zisa,
Palermo, 1988
“I Paesi del Golfo”,
Edizioni Associate, Roma, 1991
“Il Mediterraneo” (con Bichara Khader), Editrice Internazionale ,
Roma, 1993
“La notte dello
sceicco”-Reportage dallo Yemen-
Edizioni Associate, Roma, 1994
“Il turismo nel Mediterraneo”,
Editrice internazionale, Roma,1998
“Mediterraneo, l’utopia possibile”,
Editrice internazionale, Roma, 1999
“Il Pianeta
unico” (con Naom Chomsky, Ricardo
Petrella, ecc), Eleuthera, Milano, 1999
“Le
tourisme en Méditerranée”, Editions l’Harmattan, Paris, 2000
“Il
fondamentalismo islamico- Dalle
origini a Bin Laden”,
(presentazione di Yasser Arafat ) Editori Riuniti, Roma, 2001
“El fondamentalismo islamico- El Islam
politico”, Editora Rosario,
Argentina, 2004
“Sicilia,
cronache del declino”, Edizioni
Associate, Roma, 2006
“Petrolio, il sangue della guerra- Da Badgad a
Tripoli: lo stesso disegno neocoloniale”, Ed. CSM- Ilmiolibro, Roma, 2012
“Sicilia, il decennio bianco”, Ed. CSM- Ilmiolibro, Roma, 2012
“Osservatore del Pci nella Libia di Gheddafi”, Ed. CSM-Ilmiolibro, Roma,
2013
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