1... “Professù, stamattina dov'é diretto? Dalla borsa mi pare nelle vicinanze.”
L’autista
dell’autobus accolse con un sorriso bene augurante il vecchio professor di francese Raffaello
Nicotra in partenza per il… mondo. Gli tese una mano per aiutarlo a salire il predellino d'accesso, troppo alto per le sue flebili gambette costrette a reggere il peso di un’ingombrante obesità.
“Dove va stavolta? Se non sono indiscreto.”
“Ma niente. Robetta.
Un simposio sulla metempsicosi che inizia domani all’università di Bologna.”
“Sulla che?”
“Me-tem-psi-co-si…”
“Ma cos’è una nuova
malattia?”
“No, che malattia!
Si tratta di una nuova teoria che ha a che fare con la filosofia orientale.
Robetta. Fra due, tre giorni sarò di ritorno.”
“E allora buon
viaggio e buon simposio, professù”, lo salutò l’autista che sapeva, e fingeva,
come tutti in quel paese.
Il bus delle 7,30
era affollato di studenti che andavano a studiare nel capoluogo. Alcuni erano suoi
ex allievi. Uno gli cedette un posto in prima fila. Anche loro sapevano e
fingevano.
Lo chiamavano,
affettuosamente, il “signor viaggio”. L’intero borgo sapeva e fingeva. Una
finzione collettiva, pietosa, solidale, complice per proteggerne un’altra drammatica, illusoria ossia quella del Nicotra che pareva essere uscito dal mondo del reale per entrare in quello del fantastico, della stravaganza.
Dopo una vita
irreprensibile in cattedra, era divenuto stravagante, curioso, desideroso di
viaggi e belle donne. Desideri per lui irraggiungibili per via dell’età e
del magro reddito.
Ed ecco, allora, l'invenzione del viaggio. Viaggi quasi sempre immaginari, fantastici che lo portavano da un capo all'altro dell'Italia, dell'Europa, quasi sempre per città rinomate, mitiche.
Una mattina “partiva” per Paris e rientrava in paese... in serata.
Una mattina “partiva” per Paris e rientrava in paese... in serata.
Come era possibile?
Semplice. Partiva con il primo bus della
“Delta trasporti” e rientrava verso le 18,00 con quello della
“Camilleri & Argento”. In tempo per la cena. Il suo "soggiorno parigino" si svolgeva sopra una panchina della stazione, a leggere un libro o il
giornale. O ad osservare la gente che passava.
Se qualcuno gli
domandava cosa stesse facendo rispondeva che era in
attesa del treno per Palermo per andare all'aeroporto e imbarcarsi sul volo per Parigi; a qualche altro diceva che era appena arrivato da Parigi e stava
aspettando qualcuno che lo portasse a casa.
2... Senza più la sua scuola, i suoi "ragazzi", i suoi colleghi, si sentiva ristretto, come in cattività, in quell'opprimente bilocale a primo piano.
Era convinto che
alle grandi idee non si confanno gli ambienti angusti, gretti, mortiferi come quelli di certi paesini che hanno smesso di essere contadini senza riuscire a diventare altro. Aggregati informi senza più una precisa identità culturale, privi di una configurazione sociale ben definita. Paesi in declino, dove la vita appare scandita dai tristi latrati dei cani e dai rintocchi delle campane a morto. Paesi-fantasma alla ricerca di un nuovo destino che nessuno intravede.
Grandi idee, grandi
spazi. Questo era il suo motto. Per dare sfogo ai suoi ambiziosi propositi,
il professore necessitava di grandi spazi, desiderava conoscere genti e luoghi
lontani, dialogare con altri "colleghi" visionari. Visionario. Questo era il suo nuovo status intellettuale, esistenziale. Poiché dai
visionari – sosteneva
- verrà la nuova elite destinata a plasmare, a guidare la futura umanità.
Sempre più avanti della realtà, i visionari potranno rompere le catene del pensiero unico, del miserabile profitto che lo genera, ridare libertà e dignità ai popoli del mondo.
Sempre più avanti della realtà, i visionari potranno rompere le catene del pensiero unico, del miserabile profitto che lo genera, ridare libertà e dignità ai popoli del mondo.
Una sera comunicò alla moglie "Domani mattina andrò all'aeroporto per prendere il volo per Bologna.”
La poveretta gli preparò la valigia con l'occorrente per tre quattro giorni. Anche lei recitava in questa sorta di commedia
degli inganni.
Fingeva, e piangeva,
ogni qual volta il marito “partiva”.
In famiglia, in
paese tutti sapevano e stavano al gioco. Un gioco triste che si fece evidente da quando
il professor cadde in depressione, soprattutto dopo l'assegnazione del Nobel per la letteratura a Dario Fo. Vi chiederete: che
cosa c’entri la messinscena con il premio conferito a Fo?
Se avete un po’ di
pazienza cercheremo di scoprirlo insieme.
3... Avrete capito che questa storiella, in parte vera, ha come protagonista un professore pensionato, avvilito della vita grama che la pensione gli aveva riservato. Il suo medico intuì subito il problema e gli consigliò un anti-depressivo assai singolare, basato su due “molecole” in particolare: scrivere e viaggiare. In quanto a scrivere aveva scritto tanto, in quanto a viaggiare aveva viaggiato poco. Ma- come detto- pensava di rimediare all'inconveniente con la fantasia.
Comunque sia, una terapia piacevole che gli consentiva di combattere il male e, al contempo, d’innalzare il livello di autostima, fino al punto di considerarsi degno del premio Nobel per la letteratura al quale, ogni anno, si auto-candidava.
Formalmente,
s’intende. Con tanto di lettera raccomandata RR indirizzata alla reale accademia svedese. Certo, costava un po’ quella missiva, ma poteva prendersi la soddisfazione di esibire agli increduli la ricevuta bollata della reale Accademia.
La candidatura fu sostenuta, così per celia, nei vari posti dove il popolo “babbia”. Specie in quei circoli
di sfaccendati che, dietro la facciata “culturale”, nascondono attività meno onerose quali il gossip e le bische clandestine. Sodalizi dove l’unica traccia
di “cultura” sono il quotidiano locale e qualche rivista, per la gioia di quei soci che vengono a leggere le cronache locali, senza bisogno di passare dalla edicola.
Un grande "dibattito" si accese fra le poltrone di un antico sodalizio intitolato al grande drammaturgo Luigi Pirandello, illustre
conterraneo e Nobel per la letteratura, il quale in una sua novella aveva menzionato il paesino.
Nei bar, per le vie c'era sempre un qualche figlio di
buona madre che lo incoraggiava.
Tutto ciò era per Nicotra una conferma della sua aspirazione al prestigiosissimo
riconoscimento. Ne era degno al pari di tanti altri recentemente insigniti. Fra
i quali, appunto, quel Dario Fo che in vita sua non aveva prodotto una vera opera letteraria.
4... Cominciò a girare con in tasca un testo stampato del
suo “Inno all’amore e alla pace” e con il ritaglio di un giornale polacco, dove fuoriusciva un suo primo piano mentre- seduto al
tavolino della trattoria “da Carmelo” fra piatti di trippa alla
giurgintana e un “pedi di porco” in umido- illustrava al giornalista straniero gioie
e dolori della sua marcia di avvicinamento a Stoccolma.
Anche la stampa internazionale
si stava occupando di lui, sosteneva la sua candidatura.
D'altra parte, il professore poteva
vantare una produzione letteraria di prim'ordine. Raccolte di poesie, odi e
inni a questo e a quello, poderosi poemi che amava recitare, in anteprima, per
i soci del “Parnaso”, il circolo dei più raffinati maldicenti del paese.
Gli mancava soltanto il grande romanzo.
Gli mancava soltanto il grande romanzo.
Il Nobel? Anche lui sapeva che era un'altra finzione, una presa in giro. Un gioco cui, il professore, eterno candidato, in fondo si prestava.
Gli piaceva giocare il ruolo
del poeta maltrattato, discriminato, volutamente ignorato perché temuto.
Comunque sia, per
“non sapere leggere e scrivere” (un modo di dire nostrano, in questo caso
paradossale se applicato a un aspirante Nobel per la letteratura), si diede a spulciare riviste specializzate per conoscere un poco i meccanismi e le regole procedurali dell' Accademia svedese.
Nel caso
fosse arrivata “The magic call”, la magica telefonata dell’assegnazione.
Insomma, si predispose a fronteggiare ogni emozione: l’assalto dei giornalisti, dei fotografi, gli
auguri delle più alte autorità, gli abbracci degli amici, della gente per le
vie, le lettere dei fan, dei suoi alunni sparsi per vari paesi della provincia.
Conosceva anche
l’ordine delle premiazioni: prima Medicina, poi Fisica, Chimica, Economia, Pace
e infine Letteratura. “A noi tocca per ultimi. Per chiudere in bellezza.”, si
compiaceva.
5...
Ogni
anno la stessa scena consolatoria, in attesa della prossima assegnazione. I suoi finti estimatori incoraggiavano il professore alimentandone le speranze, cantando le lodi delle eccelse, poetiche virtù.
Lo lasciavano
crogiolare nel suo brodo di giuggiole, senza manco informarlo che non bastava
una lettera raccomandata per essere ammessi fra i candidati al prestigioso
premio.
“Professore non si
scoraggi, verrà il suo turno. Alla prossima. Come si dice: non c’è due senza
tre.”
Il “due” si riferiva ai due Nobel siciliani: Luigi Pirandello e Salvatore Quasimodo. Il tre a lui…
Il “due” si riferiva ai due Nobel siciliani: Luigi Pirandello e Salvatore Quasimodo. Il tre a lui…
“Non si perda
d’animo. Anche a Stoccolma c’è un turno e non sempre é
premiato il merito…Lei lo sa meglio di noi. Però, non si sa mai.
Improvvisamente, può arrivare…Il Nobel non è più il riconoscimento riservato ai giganti
della letteratura. Anche a Stoccolma é arrivata la lottizzazione. Vi sono giochi politici, editoriali, commerciali, compromessi di diversa natura. La prova? Il Nobel a Dario Fo! Un attore di dubbio talento che non ha
scritto nulla per meritarlo.
Quel premio é stato un compromesso al ribasso!
I membri della giuria, non trovando l’accordo su una candidatura di alto profilo, si sono accordati su una di basso profilo.”
I membri della giuria, non trovando l’accordo su una candidatura di alto profilo, si sono accordati su una di basso profilo.”
Ricordargli il
premio a Fo era come affondare il coltello nella piaga. Nicotra perdeva
il suo aplomb da gentleman e il suo sorriso bonario, luminoso e, rosso in viso, le mani
tremanti, si lasciava andare contro il neo-Nobel.
“A parte il “mistero buffo”, scopiazzato e male assemblato, cos’altro ha scritto questo Fo? La sua letteratura in che cosa consiste?”
“A parte il “mistero buffo”, scopiazzato e male assemblato, cos’altro ha scritto questo Fo? La sua letteratura in che cosa consiste?”
6...
Non si
dava pace. Passava da manifestazioni di acuto nervosismo, che spesso scaricava sulla moglie, a stati depressivi veri e propri. Per evitare conseguenze più gravi, andava a barricarsi nel
suo studiolo da dove scorgeva solo un pezzo di cielo. La sua piccola porzione di cielo. Passava le ore, i giorni talvolta, a interrogare i
suoi libri, i suoi poeti.
Oltre al medico, anche gli amici consigliarono che era meglio “sbariari”, divagare,
riprendersi la libertà sopra quella vita soffocata dal provincialismo
cafonesco. Era questa la sua cura.
E fu così che iniziò
a viaggiare…in lungo e in largo.
In realtà, erano gite fuori
porta, contrabbandate per viaggi a lungo raggio per partecipare a conferenze di altissimo livello o per
rendere omaggio, e chiedere conforto, ad alcuni grandi scrittori che tanto amava.
Le
destinazioni più frequenti erano il pino del Kaos, per raccogliersi in adorazione di fronte al masso di calcare bianco contenenti un pugno delle ceneri di Luigi Pirandello, il Nobel suo conterraneo che
tanto lustro continuava a dare alla sua patria negletta, e la stazione di
Acquaviva Platani dove, per un certo periodo, visse con il padre ferroviere,
l’altro Nobel siciliano, il poeta Salvatore Quasimodo.
In questo sperduto
borgo dell'interno isolano visse anche Elio Vittorini, figlio di un cantoniere siracusano che diverrà cognato
di Quasimodo.
Una sorta di pellegrinaggio presso questi due luoghi isolati, popolati da lucertole e da uccelli di ogni tipo: il primo, il Kaos, bagnato dal mare “africano”; il secondo dal Platani
(“l’Halykos” degli antichi) il fiume-padre (e madre) di questa gran vallata che
dai monti Sicani scende fino alle spiagge di Eraclea Minoa, dove - secondo il mito- fu sepolto Minosse, il re di Creta, venuto in Sicilia per
vendicarsi di Dedalo spergiuro rifugiatosi presso Kocalo, il re
sicano.
Ma quanta bella
gente sulle rive di questo fiume un tempo navigabile per quasi l’intero corso!
7...
In particolare, al
professor Nicotra piaceva soffermarsi nei luoghi pirandelliani. Oltre alle visite al
Kaos, passava spesso per via della Verdura a rimirare la casa in cui il Nobel visse la sua adolescenza agrigentina. Qualche volta, faceva una puntatina a Porto Empedocle dove c'era la sua scuola o ad
Aragona presso le zolfare (chiuse) dove il giovane Luigi coadiuvò il padre
nella gestione della “pirrera”.
Seppe del soggiorno dei due illustri cognati letterati ad Acquaviva Platani dalla lettura di uno scritto di Eugenio Giannone (in “Il fiume Platani”)
di Cianciana, apprezzato cultore della storia del fiume e dei paesi lambiti.
“Il Platani è fiume
caro anche ad un altro grande, immenso poeta siciliano: Salvatore
Quasimodo [xvii], premio Nobel per la letteratura nel 1959, che nella valle
dell’Halykos, seguendo il padre ferroviere, trascorse un periodo della sua
infanzia presso la stazione di Acquaviva Platani… Quel posto, come tutta la Sicilia , patria solare
scambiata per le nebbie della Lombardia, ma i cui bugni di zolfo dondolano sul
suo capo, rivive in lui costantemente. La Sicilia , terra mitica, è il porto sicuro, il
luogo in cui si stemperano, al ricordo, le sue ansie di esule.”
Ne “ I ritorni” il
poeta modicano ricorda con nostalgia la sua residenza ad Acquaviva.
“Piazza Navona, a
notte, sui sedili
Stavo supino in
cerca della quiete,
E gli occhi con
rette e volute di spirali
Univano le
stelle,
Le stesse che
seguivo da bambino
Disteso sui
ciottoli del Platani
Sillabando al
buio le preghiere…”
Da “Che vuoi, pastore d’aria?”:
“Ed è ancora il
richiamo dell’antico
Corno dei
pastori, aspro sui fossati
Bianchi di scorze
di serpenti. Forse
Dà fiato dai
pianori d’Acquaviva,
Dove il Platani
rotola conchiglie
Sotto l’acqua fra
i piedi dei fanciulli
Di pelle uliva. O
da che terra il soffio
Di vento
prigioniero, rompe e fa eco
Nella luce che
già crolla; che vuoi,
Pastore d’aria?
Forse chiami i morti
Tu con me non
odi, confusa al mare
Dal riverbero,
attenta al grido basso
Dei pescatori che
alzano le reti…”
Acquaviva,
una storia lunga quasi quattro secoli che, in qualche misura, si intreccia con la vita di due fra i più grandi letterati siciliani.
Anche Elio Vittorini ricorda con nostalgia quel periodo in cui mangiava "grandi piatti di pasta e fave verdi “a frittedda”, preparati dalla madre.
Anche Elio Vittorini ricorda con nostalgia quel periodo in cui mangiava "grandi piatti di pasta e fave verdi “a frittedda”, preparati dalla madre.
Nella sua opera più
nota, “Conversazioni in Sicilia”, ambientò alcuni episodi nella casa cantoniera
dove aveva vissuto da fanciullo: “E pensai Acquaviva molto lontano nello
spazio, una solitudine in bocca al monte… e mia madre disse che era una
terribile estate e che era una terribile estate significava non un’ombra per
tutti quei chilometri, le cicale scoppiate al sole, le chiocciole vuotate dal
sole, ogni cosa al mondo diventata sole”.
In alcuni paesi dell'agrigentino v'erano le tracce del passaggio di altri illustri letterati per i quali il Nicotra nutriva grande stima. Perciò, ogni tanto, si recava nelle loro patrie
vicine per respirare l'aere, intriso di colori e di essenza di trementina, che le loro opere spandono tutt'intorno.
Di particolare intensità erano le visite nella Racalmuto di Leonardo Sciascia, nella Palma di Montechiaro, paese d'origine della famiglia del “Gattopardo” Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Di particolare intensità erano le visite nella Racalmuto di Leonardo Sciascia, nella Palma di Montechiaro, paese d'origine della famiglia del “Gattopardo” Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Solo per dire di
alcuni. Poiché nello zoccolo della Sicilia sud-orientale c'è stato un gran fiorire di scrittori, alcuni celeberrimi, altri “minori” che attendono, impazienti, il loro
turno.
8... Quella mattina salutò la moglie per andare a prendere l’aereo per Napoli, dove, su invito della magnifica università "Federico II di Svevia", doveva svolgere una prolusione in un simposio internazionale sulla vita e le opere di Giordano Bruno, nolano, mandato al rogo dalla santa inquisizione per essersi rifiutato di abiurare alle sue idee.
Il viaggio a Napoli
richiedeva almeno due-tre giorni. Per "coprirli" decise di avventurarsi per la
tratta Agrigento -Siracusa: trecento chilometri in nove ore e 15 minuti;
diciotto ore e 30 minuti A & R , quasi un’intera giornata a viaggiare.
Un sacro lentore che ancora oggi caratterizza i convogli delle FS.
Nel caso di questa
tratta ferroviaria, lo sviluppo si è davvero fermato al IV secolo avanti Cristo.
A ben pensarci, le 9 ore di oggi sono lo stesso tempo impiegato 2.370 anni
prima dai cavalieri siracusani che - secondo Plutarco - coprirono tale distanza in una sola nottata.
L’episodio - riportato
da Michele Lanza Caruso- risale al 358 avanti Cristo, quando Farace “accampato
nelle vicinanze della neapoli akragantina intese che Eraclide, il noto
traditore, si dirigeva verso Siracusa con la flotta per occuparla e allora
marciò tutta la notte alla volta di Siracusa, percorrendo 700 stadi, e poté
prevenire Eraclide”.
Dopo quasi 25
secoli, sono rimasti, sostanzialmente, invariati i tempi per il collegamento fra
queste due città, ieri le più potenti e opulente della Magna Grecia, oggi i due
più rinomati siti archeologici della Sicilia. Tutto ciò é un bene o un male? Forse, potrebbe essere un suggerimento a “rallentare” lo sviluppo, a rispettare i suoi limiti, invalicabili. Per salvare il Pianeta, la nostra casa comune.
D'altra parte, Agrigento-Siracusa è una seducente traversata sentimentale, fra scenari di luce e di storia che illuminano il passato e il presente di cittadine, più o meno illustri, disseminate sugli altipiani agrigentini o abbarbicate sulle pendici dei monti Eblei.
E' anche un itinerario letterario che si snoda fra colline e paesi incantati, calanchi d’argilla, opime pianure di serre di pomodori e di zucchine, città barocche e monumenti
plurimillenari, tradizioni e lingue primordiali.
Insomma, un paradiso che ha visto nascere grandi narratori, geni della scienza, della filosofia, dell’arte…
Peccato che il “paradiso”
sia stato violato, avvelenato da alcuni mega- complessi industriali di chimica
di base, di società venute dal nord o dall’estero le quali, in cambio di un po’
di posti di lavoro, hanno avuto mani libere per compromettere, seriamente, lo
sviluppo naturale di queste contrade.
Oltre alla chimica
(oggi in forte declino), questa fascia del territorio isolano ha altri due nemici da non
sottovalutare: le basi e gli impianti militari al servizio della Nato e di
potenze straniere e la siccità che continua a tormentarla.
Nessuno ne parla. Ma
vi sono studi previsionali piuttosto attendibili, commissionati dal governo
italiano, che pronosticano, da qui a un secolo, una mutazione dei territori del
sud-est siciliano da orti forzati a deserti di sabbia.
Il Sahara potrebbe vincere
la tremenda sfida con il mare e sbarcare in Sicilia, in pompa magna.
10...Un tragitto affascinante ma stancante che il professore spezzò con qualche fermata. A Canicattì la più lunga, in attesa di una coincidenza e per effettuare il cambio di scartamento poiché il treno usciva dalla linea principale (Agrigento-Roma-Milano) e imboccava quella secondaria
per Licata, Gela, Ragusa, Siracusa.
Nicotra ne profittò
per visitare il palazzo dello stravagante barone Agostino La Lumia che vi abitava, solo
raramente, con un gatto persiano designato suo erede universale.
Un gatto erede
di un ricco patrimonio?
Una decisione
davvero bizzarra, in sintonia con il personaggio, che fece imbestialire gli
eredi di sangue, i tanti figli naturali e non riconosciuti e, soprattutto, Pietro, il mite
domestico tuttofare, che lo accudiva fin da quando era un paffutello infante
dell’illustre casata.
In genere, il barone era in giro a “coglioneggiare” fra tanta bella gente per alberghi e
nigth di lusso. Nel volgere di pochi anni, lui e il suo gatto divennero
personaggi osannati, adulati da ammiratrici annoiate alla ricerca di emozioni
“forti” e da cronisti a caccia d’improbabili scoop di stagione.
Un ottimo
personaggio per il romanzo che, da tempo, il professore meditava di scrivere
per accontentare i suoi fan e la casa editrice.
“Dopo tanta poesia,
ci vuole un romanzo. - gli ricordava il solerte direttore - Il romanzo è un
veicolo che porta lontano, che fa conoscere l’autore al grande pubblico. Almeno
un romanzo ce lo deve dare, caro professore.”
Per accontentarlo,
Nicotra abbozzò un’idea di romanzo e si mise alla ricerca di un personaggio acconcio. Dopo
una vasta cernita, la scelta cadde sul patrizio di Canicattì.
Peccato che, dopo
vari tentativi, non era riuscito a parlargli, nemmeno a vederlo. Il barone era estremamente
mobile, non stava fermo in nessun posto. Tanto meno in casa propria. Le
cronache lo segnalavano a passeggio per le vie delle più rinomate località turistiche o nei nigth più in, con il suo
inseparabile persiano nero: un giorno a Taormina, un’altro a Cefalù, una notte a Capri,
un’altra a Roma, a Portofino, ecc. Agostino viaggiava, per davvero e in
continuazione. Anche per tenersi lontano dai tanti creditori che l’aspettavano,
furenti, a Canicattì.
Il macilento Pietro, che da molti mesi non vedeva una lira di stipendio, rispondeva che
Sua Eccellenza non era in casa, chissà dove gli lucevano “le corna”.
11...
Il viaggio in treno sulla tratta Agrigento - Siracusa può suscitare reazioni di segno contrapposto. Al solito turista frettoloso un’impressione
sconsolante, irredimibile della Sicilia. Mentre una persona colta e paziente lo apprezzerà come un’occasione irripetibile per osservare una sequela
di luoghi mitici e di paesaggi cangianti che riflettono la storia e la natura
mutevole della Sicilia e dei siciliani.
Per il professore Nicotra fu, soprattutto, un indimenticabile viaggio letterario. Una gioia.
Per il professore Nicotra fu, soprattutto, un indimenticabile viaggio letterario. Una gioia.
Lungo quegli altipiani e quei calanchi d'argilla s'incontrano i luoghi in cui nacquero autori di prima grandezza, nomi che illuminano
il firmamento della letteratura italiana e mondiale: dai due Nobel Pirandello e Quasimodo a Leonardo Sciascia, racalmutese, a
Vitaliano Brancati, pachinese, a Gesualdo Bufalino, comisano, a Elio Vittorini
siracusano. Solo per ricordare i più noti.
Certo, a Vittorini fu addebitata la grave pecca di avere bocciato il manoscritto de “Il Gattopardo” che il Tomasi inviò alla Mondadori. Ma fu vera pecca?
Certo, a Vittorini fu addebitata la grave pecca di avere bocciato il manoscritto de “Il Gattopardo” che il Tomasi inviò alla Mondadori. Ma fu vera pecca?
Il professor affrontò la traversata con entusiasmo giovanile, richiamato dal profumo
dei grandi autori che desiderava emulare fino in fondo. Fino al Nobel, per l'appunto.
A bordo del trenino scoprì questa metà della Trinacria contraddittoria e poco conosciuta:
dagli aridi altipiani dello zolfo e del sale del bacino fra Aragona, Grotte e Racalmuto
ai vigneti “plastificati” del comprensorio di Canicattì, dal colossale
petrolchimico di Gela (in gran parte ferraglia arrugginita) alle distese serricole di Licata e di Vittoria, dalle stupende città del barocco ibleo (figlie del terribile terremoto del 1693 in Val di Noto) agli agrumeti, alle vestigia greche del siracusano.
Colline brulle e panorami silenti che dall’erta di
Comitini-zolfare dominano paesaggi primordiali, paesi-fortezza e, laggiù in
fondo, le Madonie con le loro vette piatte, irregolari. Ai fianchi si aprono le
“bocche dell’inferno” ossia gli ingressi delle miniere di zolfo, ormai
inattive, dove si calavano uomini e carusi sventurati per cavarne milioni di
tonnellate di preziosa pietra gialla che contribuiva a formare empie ricchezze
e scandalose ingiustizie.
Dopo Canicattì, il
treno viaggiò, praticamente, solo per lui. Il professore, come un gran re del nord-Europa, stava facendo il suo piccolo "grand tour" attraverso un paesaggio incantevole, punteggiato di ombrosi carrubi, imbrigliato in un intrigo di muretti a secco, una meraviglia dell’ingegno contadino, che
s’inseguono fino alla periferia industriale di Ragusa.
A Modica “iusu”
(bassa), bellissima città barocca, per secoli capitale della potente omonima
contea, si fermò per visitare la casa natale di Quasimodo. Tappa obbligata per
un aspirante al Nobel.
E poi a Scicli, con le sue chiese e palazzi sontuosi, dove era
in corso la festa della "Madonna delle Milizie" che, secondo la
tradizione, intervenne a fianco di Ruggero d’Altavilla nella vittoriosa
battaglia del 1081 contro le armate arabe. Da cantore della
pace, il professore non capì come si potesse schierare a battaglia una Madonna
armata!Terminato il “viaggio in continente”, Nicotra prese un bus che i 4 ore lo riportò in paese. In tempo per la cena. Chapeau, monsieur le professeur et bon voyage...dovunque tu vada.
* dal mio "Il cavaliere e la notte"
https://www.ibs.it/cavaliere-notte-libro-generic-contributors/e/9788892326071