(Dopo gli eletti restano in attesa, speranzosi o rancorosi, i primi dei non eletti! Una libera interpretazione di fatti realmente accaduti.)
Il primo dei non eletti*
1…
Tempo di elezioni, di vittorie e di sconfitte, anche personali, tuttavia
con meno strascichi, ansie che, vigendo il vecchio sistema proporzionale,
coinvolgevano gli eletti e i non eletti: i primi perché temevano una morte
subitanea e i secondi perché, intimamente, si auguravano ciò che i primi
temevano.
Oggi, con i collegi uninominali,
questo problema non sussiste: in caso di vacanza del collegio non è previsto il
subentro ma é indetta una nuova elezione.
Onestamente, bisogna dire che molti
dei “non-eletti” presto si rassegnavano e rientravano nell’anonimato. Solo
taluni, nei casi più controversi, ricorrevano all’Ufficio centrale elettorale
o addirittura alle vie legali per ottenere una sentenza riparatrice che non
giungeva mai o solo qualche mese prima della scadenza del mandato.
C’era, invece, chi preferiva
aspettare…
Attendere gli eventi, talvolta
imprevedibili e funesti, confidando nella giustizia divina visto che in
quella terrena non c’era molto da sperare.
Con quali esiti? Questa storiella,
realmente accaduta non tanto tempo fa, è rivelatrice del clima di apprensione,
se non di vero e proprio terrore, che regnava fra gli eletti nella lista della
Democrazia Cristiana per la circoscrizione della Sicilia occidentale.
2…
“Murì, murì! Improvvisamente, stamattina”
“Cu è, cu è ca murì?”
“Giuvanni, Giovanni Fatta”
“Mischinu! E chi ci vinni? Comu fu?”
Quella mattina, c’era molta
agitazione davanti alla buvette di Montecitorio, dove un gruppetto di deputati
siciliani stavano commentando, concitati, l’inattesa dipartita dell’on.
Giovanni Fatta, deputato democristiano di Trapani. Uomo politicamente schivo,
quasi muto in Parlamento. Nessuno sapeva da chi e per quali meriti politici
fosse sempre eletto in quella circoscrizione. S’intuiva, si sospettava, ma non
si poteva dire…
Intanto, Giovannino, mutu mutu, si
era fatto tre legislature.
La notizia l’aveva portata l’on.
Ginesio, democristiano, eletto nella stessa circoscrizione del deputato
defunto.
Sopraggiunse un nugolo di
giornalisti armati di registratori che fecero cessare, di colpo, quel ronzio di
anime in pena. Gli onorevoli si chiusero in un terreo silenzio, visibilmente
tesi.
Come presto vedremo, ne avevano ben
donde.
Soltanto l’on. Ginesio non si dava
pace, continuava ad agitarsi.
L’udii sbottare: “Qui c’è la mano di
quello …Colpisce ancora stu disgraziatu. A tradimentu.”
Morte, tradimento? Si pensò a una
terribile congiura. L’uditorio raggelò.
“Quello chi, chi? Il cancro…?” -
chiese qualcuno.
“No. Quell’essere spregevole è
peggio del cancro”
Peggio del cancro? E chi mai poteva
essere quell’individuo dotato di poteri più micidiali della malattia del
secolo? Se non…
Tutti capirono a chi stesse
alludendo Ginesio, chi fosse il maligno. Tuttavia, nessuno osò pronunciarne il
nome. Non per omertà, come vorrebbe una certa vulgata applicata alla morale dei
siciliani, ma per la fottuta paura d’incappare nel raggio dell’azione malefica
dell’Innominato.
Confesso che a me, eletto in altra
lista e pertanto fuori della portata del raggio d’azione del maligno, quelle
bocche serrate, quei visi stravolti procurarono un intimo diletto. Erano
soltanto vittime di una forma acuta di scaramanzia.
Perciò, stuzzicai Ginesio a rivelare
l’abietto nome: “Ma quello chi?”
“Chi! Chi! E non si capisce chi può
essere. Sulu iddru nn’è capaci… quel iettatore di Binidittu.”
Sbottò Ginesio con due occhi di
fuoco straripanti dalle orbite.
3…
Benedetto Casello, era questo il nome del seminatore di morte e di
sciagure. Per tre volte primo dei non eletti, era subentrato alla Camera a
seguito del decesso di un deputato in carica.
Sulla sua strada erano caduti due
notabili di rango ministeriale, mentre nella precedente legislatura se n’era
andato, a meno di due mesi dall’insediamento, l’on. Colavolpe, in odor di mafia
e ras della Dc nissena.
Ricordo il suo rientro. Ai primi di
settembre, Benedetto lasciò la fossa dei non-eletti, comprò un abito nuovo e si
presentò a Montecitorio col suo portamento falsamente dimesso e il sorriso
malfermo stampato sul volto abbronzato, da sanguigno prevosto di campagna.
Richiesto di un commento diede una
risposta raggelante: “U Signori u vonsi e su chiamà…a me ha concesso il tempo
di godermi, in santa pace, le vacanze estive.”
Nella casella trovò un telegramma a
firma dell’on. Della Loggia, decano dei parlamentari dc siciliani, che
ringraziava il neo-arrivato per “la scelta oculata”.
Nonostante le tre legislature, la
posizione politica di Benedetto restava sempre precaria e incerta la sua futura
elezione. Nella campagna elettorale nessuno dei suoi colleghi di lista
(sbagliando) desiderava appaiarsi con lui. Correva da solo, con l’appoggio di
alcuni settori di un sindacato cattolico.
Qualsiasi combinazione gli era
preclusa: non entrava in alcuna quaterna, terna e, meno ancora, in ambi. Non
stiamo parlando del gioco del lotto, ma di metodi efficacissimi per la ricerca
delle preferenze. Solo e segnato col marchio di iettatore, non venne mai eletto
in prima battuta.
L’ultima volta la sua stella si era
ancor più oscurata; era precipitato al quarto posto della graduatoria dei non
eletti. Per rientrare occorrevano ben quattro decessi. Una vera ecatombe!
Con tale pedigrée, era inevitabile
che il suon nome divenisse sinonimo di seminatore di morte e di sciagure. Come uno spirito funesto che si placava
soltanto dopo la riconquista di uno scanno a Montecitorio.
Effettivamente, nelle legislature
considerate, dopo il suo rientro non era morto nessuno degli eletti della
circoscrizione.
4…
“Dietro ogni disgrazia c’è lui, ne sono sicuro.”, riprese Ginesio che
pareva essersi affrancato dal terrore.
“Per l’amor di Dio, lasciatelo in
pace, non lo nominate”, suggerì l’on. Giacomino Arnone, andreottiano, il quale,
essendo comprovinciale di Benedetto, più di altri temeva per se stesso.
Ginesio non lo stette a sentire. Era
già passato sotto gli influssi malefici di Benedetto che una brutta “botta”
gliela aveva già inviato. Se l’era cavata per miracolo della Madonna delle
Catene, protettrice di Porto Empedocle, suo paese natale, della quale era
fervente devoto.
“Se sono ancora vivo lo debbo a
questa santa Vergine che porto sempre con me.” Estrasse dal taschino la
piccola immagine e la baciò.
Che cosa era successo?
Mesi prima, durante un dibattito in
Aula, Ginesio stramazzò a terra colpito da un infarto violento, improvviso del
quale non aveva mai avvertito alcun segnale premonitore.
L’on. Lello Ruino, il quale essendo
medico fu il primo a soccorrerlo nell’Aula, ci raccontò che mentre gli
infermieri lo trasportavano in barella, Ginesio, ancora in stato
d’incoscienza, ebbe la forza di esclamare: “Quel disonorato di Binidittu fu.
L’ho visto stamattina e mi ha fatto un sorrisetto perfido…”
A dispetto della triste nomea,
Benedetto sembrava, almeno così si atteggiava, una persona mite, pia,
scherzosa, paziente e talvolta perfino banale.
Parlava sempre di amicizia e di
pace, di Dio e della famiglia che erano i capisaldi della sua concezione morale
e politica.
A volte incrociava le braccia al
petto, chiudeva le mani in segno di preghiera, come un monsignore durante
l’omelia.
5…
Di bassa statura, il suo aspetto attempato non incuteva paura, anzi
rassicurava, ispirava fiducia. Non c’è che dire: un simulatore perfetto.
Tuttavia, quelle morti pesavano e
contribuivano a consolidare la sua fama di iettatore cinico,
vendicativo, inesorabile. Tanto più che dalla sua aveva anche la fortuna.
Era uno dei pochissimi deputati che
viaggiava in treno. Non si capì mai se per prudenza o per spilorceria. Anni
prima, il treno sul quale viaggiava alla volta di Roma, giunto nelle Calabrie
deragliò. La gran parte dei vagoni finì in un burrone, provocando alcuni morti
e tanti feriti. Soltanto gli ultimi tre vagoni non precipitarono. Benedetto si
trovava su quello rimasto in bilico, sull’orlo del burrone.
L’episodio fu rubricato come
ulteriore prova della sua buona stella.
Quando, raramente, prenotava un
posto in aereo, i suoi colleghi facevano carte false pur di viaggiare sullo
stesso volo.
Con lui a bordo non c’era migliore
assicurazione.
Ricordo che una sera, non potendo
prendere un aereo di linea a causa di uno sciopero dei controllori di volo, il
governo apprestò alcuni aerei militari per consentire il rientro a casa dei
parlamentari.
Le condizioni meteo erano piuttosto
cattive. Molti erano incerti se partire o restare a Roma in attesa che
terminasse l’agitazione sindacale.
“E poi - disse qualcuno - con questi
aerei militari che cadono…”
Meglio aspettare, restare a Roma.
Benedetto, che non aveva di questi
timori, fu uno dei primi a iscriversi nella lista di prenotazione. La notizia
si sparse in un baleno. Come d’incanto, tutti vinsero la paura e andarono a
iscriversi sul foglio dove si era prenotato Casello, per il volo che avrebbe
trasportato i parlamentari della Calabria e della Sicilia.
Effettivamente, il volo fu
tormentato dal vento e dalla pioggia. Fulmini contorti illuminavano la notte,
ma i viaggiatori apparivano tranquilli. Benedetto si stava facendo un tresette
con i colleghi.
Mentre all’esterno imperversava la tempesta, all'interno del DC 9 militare c’era aria di festa.
Evidentemente, si riteneva di essere
al riparo da ogni pericolo grazie alla quieta potenza di Benedetto che giocava
a carte. Si scherzava, si rideva. Sembravamo un'allegra comitiva che partiva
per una gita, per una spensierata vacanza.
6…
Il suo cruccio era di non riuscire eletto in prima battuta. Non essendo
un notabile di rilievo, preferiva coltivare il suo elettorato in provincia di
Caltanissetta con il soccorso di santa Madre chiesa e sfruttando i canali di un
patronato sindacale di cui era dirigente.
Nelle campagne elettorali correva da
solo. Gli altri candidati papabili si rifiutavano di averlo insieme nelle
combinazioni delle preferenze.
L’on. Casello confidava soltanto
sulle proprie forze, ma non riusciva a spuntarla contro le poderose (e ricche)
macchine elettorali dei notabili concorrenti, dietro ai quali vi erano grandi
correnti di “pensiero” ossia pacchetti rigonfi di preferenze raccattate per
mezzo di “amicizie” più che chiacchierate e di stuoli di dirigenti di enti e
uffici governativi.
Delle vere e proprie potenze
elettorali con le quali egli non poteva competere. Usciva dal confronto sempre
schiacciato, umiliato. Al massimo, riusciva a piazzarsi come primo dei
non-eletti della lista. E da questa posizione iniziava la sua tenace, sorda
battaglia per riemergere dal fango e conquistarsi un posto dignitoso a
Montecitorio.
“Pazienza. Dove l’uomo non arriva,
Dio provvede!”, questo soleva ripetere ai suoi interlocutori che lo andavano a
consolare dopo il risultato elettorale.
Con l’aiuto di Dio, Benedetto fece
fuori nell’ordine: l’on. Festivo, potente ministro e capo corrente siciliano;
l’on. Cattarella, altro grosso esponente del sistema di potere isolano e l’on.
Colavolpe padrone e despota della Dc nissena.
Tre pezzi da novanta, morti
improvvisamente. Il terzo, addirittura, un mese dopo la rielezione.
7…
Un giorno, in una saletta attigua al corridoio dei “passi perduti”, mi
appartai con Giacomino, deputato della corrente di Salvo Lina e unico
rappresentante in parlamento della Dc nissena.
Egli sapeva, e vedeva, che ero uno
dei pochi che parlavano con Benedetto e pertanto voleva capire cosa frullasse
nella sua mente traviata.
Era letteralmente terrorizzato.
Temeva che “iddru” potesse essersi convinto che lui (Giacomino) gli avesse
soffiato il posto di deputato della provincia. Il nome non lo pronunciò mai.
Benedetto era “iddru” e tanto basta.
Voleva sapere da me se, per caso,
“iddru” mi avesse confidato un pensiero, un sospetto, un’inezia qualsiasi che
lo riguardassero. Il poveretto desiderava accertarsi se quel iettatore, in
qualche modo, ce l’avesse con lui.
Per tranquillizzarlo, ma non del
tutto, gli raccontai di una lunga chiacchierata che ebbi con Casello
all’inizio della legislatura.
Lo incontrai nella sala stampa e gli
dissi: “Binidì, temo che stavolta sarà difficile rivederti in Aula.”
Senza scomporsi e con dire serafico,
come se volesse misurare le parole a una a una, così parlò:
“Vedi mio caro (il “mio caro” non
mancava mai nel suo approccio), effettivamente non è facile, davanti ne ho quattro.
Non era mai successo! Tuttavia, non dispero. Con la grazia di Dio, nostro
signore Onnipotente, (volse gli occhi al tetto) e se la legislatura dura
cinque anni come previsto, potrei anche farcela… Perché come recita il santo
Vangelo: Benedetto è colui che viene nel nome del Signore.”
“Minchia! Così ti disse?” -
m’interruppe, sconvolto, Giacomino.
“Benedetto è colui che viene nel
nome del Signore…” ripeté.
“Nel nome del Signore…”
Ebbe uno scatto d’ira: “Ma che
minchia viene a fare qui ogni quindici giorni stu disgraziatu! Ci vuole
spaventare, terrorizzare, farci morire prima del tempo. Ma perché non si resta
a casa a godersi la pensione? Assassino…”
“Lui sostiene - ripresi io - che
viene a vedere come stanno gli amici in salute…”
Un altro colpo di minchia di
Giacomino rimbombò nella saletta. Si portò entrambi le mani ai genitali. Li
afferrò stretti e non li volle mollare per più attimi. Li strinse a lungo. Per
il tempo da lui ritenuto congruo per neutralizzare la micidiale scarica di
fluido letale che il suo avversario avrebbe potuto inviargli.
8…
D’altronde, il terrore, gli espedienti scaramantici erano comprensibili,
giustificati.
Si era al quarto anno della
legislatura ed erano già morti tre importanti notabili democristiani che
ostacolavano la sua faticosa risalita: Vito Zicari, primo dei non eletti,
ucciso nella sua Castelvetrano; poi era deceduto Giovanni Toia (altro pezzo da
novanta) e ora Giovanni Fatta. Bastava un altro decesso e Benedetto sarebbe
rientrato. Le condizioni di salute di alcuni superstiti di questa ecatombe lasciavano
intravedere qualche speranza. Anche a breve.
Tentai di volgere il discorso in
tono scherzoso, ma non ci fu nulla da fare. Arnone aveva perso le staffe e si
lasciò andare a una sfuriata nei confronti dell’ignaro Benedetto il quale, a
suo dire, era “un cornuto, un uomo inutile che campa sulle sventure degli altri
ca lu pani si l’hannu affannatu.”
Per tranquillizzare un poco
Giacomino, gli riferii una frottola passabile ossia che Benedetto aveva messo
gli occhi sopra due colleghi alquanto malfermi in salute o avanti negli anni:
l’on. Ginesio gravemente infartuato e l’on. Della Loggia ottantatreenne.
La notizia un po’ lo rasserenò e lo
fece riflettere sulla gravità delle accuse prima lanciate. Forse, temendo che
io potessi informarne Casello cambiò di tono. Fra il serio e il faceto, così mi
disse: “Agustì, tu che sei amico di entrambi e, soprattutto, sei di un altro
partito, diglielo a questo santo uomo che non ho nulla contro di lui, anzi che
gli voglio bene come a un vero amico. Digli che sono rimasto tanto dispiaciuto
per la sua mancata elezione. E non pensi che il posto glielo abbia soffiato
io! La gran parte delle mie preferenze le ho raccolto a Girgenti e a Palermo
grazie agli amici e a Salvo che per me si è svenato. A Caltanissetta manco
diecimila voti ho preso.
Ti prego, spiegagliele tu queste
cose, perché se gliele dico io non sarò creduto. Può darsi che a te creda visto
che sei fuori di questa terribile contesa.”
Lo assicurai che avrei riferito alla
prima occasione utile.
9…
Puntuale, come la morte che portava in serbo, due settimane dopo,
Benedetto si presentò a Montecitorio. Prendemmo un caffè alla buvette, sotto
gli occhi di tanti colleghi, preoccupati e/o divertiti, e gli riferii le parole
di stima e di amicizia profferite da Giacomino.
“Ora ci pensa il signorino! Quannu
lu dannu è fattu. Troppo tardi. Mi hanno voluto umiliare. Sono stato il quarto
dei non-eletti. Capisci? Il quarto! Una cosa inaudita, mortificante per un
deputato uscente. No, no troppo comodo. Ormai, il “meccanismo” è in moto e
nessuno può fermarlo. Nessuno. Nemmeno io. Unni arriva arriva.”
Gli chiesi cosa pensasse
dell’improvvisa scomparsa dell’on. Fatta.
“Eh, caro mio cosa possiamo fare
noi. U Signuri u vonsi e su chiamà. Questa é la prova che Dio esiste, vede, giudica e agisce. Glielo
ripeto ai miei colleghi di partito. Ma loro non sono cristiani, sono
miscredenti.”
Tenni per me la crudele risposta di
Benedetto. Non informai Giacomino che sicuramente sarebbe precipitato nel più
grave sconforto.
“Ah! Se avessimo dato ascolto a
Semilia! A quest’ora non saremmo in queste ambasce”, ripeteva Arnone, di tanto
in tanto.
L’on. Semilia, detto Lillo, deputato
della medesima circoscrizione, a inizio della campagna elettorale, aveva
proposto un “consorzio” fra deputati uscenti per impegnare duemila preferenze a
testa da riversare a favore di Casello, per farlo risultare eletto in prima
battuta.
In sostanza, con tale espediente,
Semilia voleva prevenire la nefasta azione di chi per tre volte era risultato
primo dei non eletti, con le ben note conseguenze sull’intera rappresentanza
parlamentare della Sicilia occidentale.
Stranamente, alcuna morte si
registrò fra gli eletti della Sicilia orientale. A Oriente, avevano tutti una
salute di ferro oppure - come molti malignavano- non avevano un Benedetto alle
calcagna.
La saggia proposta cadde nel vuoto.
Nessuno si dichiarò contrario e nemmeno favorevole. Fu semplicemente ignorata. E ora Benedetto, dal fondo della classifica, stava facendo una strage
per recuperare la sua poltrona a Montecitorio.
Per la storia. La legislatura durò
quattro anni, a causa dello scioglimento anticipato del parlamento.
Casello, quarto dei primi dei
non-eletti, non ce la fece a rientrare per un pelo. Di conseguenza, non fu
ricandidato nelle successive elezioni anticipate.
Nel mese di ottobre di quell’anno
(1983), ossia quattro mesi dopo le nuove elezioni “politiche”, morì
inaspettatamente l’on. Luigi Figlia, deputato dc da cinque legislature.
Non si seppe la causa specifica
della sua morte inattesa. Si pensò a quella dura dieta che stava facendo, in
una clinica svizzera, a base di te e di mele verdi. Una volta glielo dissi: “E
per fare questa dieta che bisogno c’è di andare in Svizzera?”.
L’on. Figlia si mostrò soddisfatto
dei risultati e proseguì la dieta.
Le solite malelingue sentenziarono
che quella morte era dovuta all’effetto programmato, sulla lunghezza dei
cinque anni, del meccanismo stritolatore attivato da Benedetto che nemmeno lo
scioglimento anticipato delle Camere era riuscito a interrompere, a fermare.
Insomma, se la
legislatura fosse durata cinque anni, l’on. Casello sarebbe rientrato in
Parlamento.
(Pubblicato,
in formato ridotto e con altro titolo, in “La Repubblica” del
24/5/2001)
P.S.
L’ultima sfida “mortale”- è il caso di
dire- fra Benedetto e Giacomino si consumò sul finire delle loro esistenze, a
Caltanissetta. Entrambi desideravano “accompagnare” il rivale all’ultima
dimora. Vinse la sfida Giacomino, per tre mesi.
(*) inserito in: https://it.eurobuch.ch/libro/isbn/9788892326071.html