Regalo di Natale
Copertina, collana " i Gufetti", 2019 |
(Pdf gratuito qui: https://libriagostinospataro.blogspot.com/…/i-miei-gufetti.…
Dall’introduzione di
Agostino Spataro
1… Questo piccolo libro prende spunto dal rinvenimento di
una bella poesia “La partenza dell’operaiu per l’America” di Domenico
Azzaretto, a noi ignota, pubblicata nel 1908 dalla stamperia di Giuseppe
Pennarelli di Fiorenzuola d’Arda, (Piacenza), recentemente segnalatami da .
Francesco Giuffrida studioso di tradizioni e di canti popolari siciliani.
Un lavoro davvero interessante che mette in luce il talento
di questo poeta di Ioppolo Giancaxio, come tanti emigrato negli Usa nel 1906.
Zi Minicu trasse da questa esperienza d’oltre Oceano ispirazione
per comporre due poemetti che, fatto raro per quei tempi, mettono al centro il
tema drammatico dell’emigrazione siciliana agli albori del secolo trascorso.
Una poesia semplice, spontanea ma intensa che, per altro, s’intona
con l’attuale fenomeno migratorio in uscita da Ioppolo, dall’Italia e
immigratorio proveniente dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina e
orientato verso l’Italia, l’Europa e il nord – America.
Chi era Domenico Azzaretto?
I pochi concittadini che lo conobbero- da me intervistati-
lo ricordano come u zi Minucu Azzarettu, poeta e suonatore ambulante.
Usava la sua poesia, la sua musica per vivere. Anzi, per
sopravvivere- direi- non avendo altri mezzi
di sussistenza.
Oltre a questi rari e vaghi ricordi, mi piace richiamare il
cenno biografico che ne traccia Mimmo Galletto nella piccola antologia “Voci della memoria- Poeti popolari ioppolesi”
(*) che rende bene il suo profilo umano e professionale..
“Egli nacque a Ioppolo
il 29 maggio 1864 e vi morì il 7 gennaio 1944. Professione ufficiale dagli atti
dell’anagrafe: suonatore ambulante. Svolgeva anche la funzione di sagrista e il
“mestiere” di poeta, nel senso che componeva versi su commissione e ne riceveva
un compenso. La sua poesia è al servizio di tutti per lodare o per biasimare,
infatti da “occasioni” e da “commissioni”, trae ispirazione. Con facilità, con
leggerezza quasi e spesso felicemente…”
A Ioppolo si conoscono soltanto alcune composizioni di
Azzaretto pubblicate nella citata antologia. Nessuno sapeva, sa, dei due
poemetti gemelli: “La partenza
dell’operaio per l’America” e “La
miseria dell’operaio in America”.
Una gradita sorpresa
che- a mio parere- si configura come un piccolo caso letterario nel più vasto
panorama della poesia popolare, vernacolare siciliana…
2… Questo libretto ha
lo scopo di rendere giustizia e onore al merito di Domenico Azzaretto, di
Giancasciu, autore di due poesie, intense e in controtendenza, composte agli
esordi del ‘900 e pubblicate e divulgate, a sua e nostra insaputa, negli ultimi
decenni e riprese, divulgate da studiosi di alto profilo, italiani e stranieri.
Un rinvenimento
postumo, clamoroso, figlio del caso, che, a 75 dalla morte, conferisce
all’Autore una sorprendente celebrità letteraria in Italia e, addirittura,
negli Stati Uniti d’America. Un poeta ritrovato, dunque! Come resuscitato a
nuova vita!
…Può accadere che un uomo poverissimo appartenente al
cosiddetto “populu vasciu” (basso), dileggiato per la sua povertà, possa
diventare (purtroppo a sua insaputa) un riferimento letterario importante della
cultura sociologica nazionale e internazionale?
Come vedremo, ciò é
accaduto a zi Minucu Azzarettu, poeta e suonatore ambulante, il quale non saprà
mai (perché morto nel 1944) della “scoperta” fatta da Roberto Cavallaro,
docente dell’Università “la Sapienza” di Roma, che nel 1982 pubblicò una dotta
recensione di una sua poesia sulla rivista “Studi Emigrazione/ Etudes
Migrations”, edita dal Centro Studi Emigrazione di Roma, che sarà ripresa da
altri studiosi italiani e stranieri.
Davvero una felice, clamorosa scoperta che rende merito alla
memoria, al talento di Azzaretto.
Confesso che, commosso, mi sono buttato in questo lavoro,
anche per rendere giustizia, moralmente s’intende, a questo uomo che in questi
scritti dimostra di possedere acume e sensibilità, purtroppo non sempre
apprezzato per la sua creatività, talvolta mal reputato dalla nostra stessa
comunità.
Io, che provengo dalla povertà ossia dallo stesso ceppo
sociale del poeta, che sono nipote di Agostino Cultrera (coevo di Azzaretto)
anch’egli povero e grande poeta dialettale, sono ben lieto di presentare al
pubblico (spero anche ai più giovani) l’altra faccia del nostro concittadino
che, al ritorno da New York, dove
incontrò la drammatica realtà dell’emigrazione, compose le due poesie che fanno riflettere sul “sogno” americano.
Il nostro vuole essere una sorta di risarcimento morale
verso questo poeta che- come detto- il caso ci ha fatto ritrovare sotto nuove
spoglie…
Per l’opinione popolare Azzaretto non era un poeta
autentico, come quelli illustri e celebrati nei libri di scuola o nei raduni
politici, ma solo un poveraccio che chiedeva la questua.
Parafrasando un
famoso detto latino, potremo dire: nemo poeta in patria. A Giancasciu, non lo
fu nemmeno Azzaretto. Seppure la sua poesia era assai conosciuta in paese
e- come vedremo- si farà strada in Italia e all’estero, divenendo un punto di
riferimento culturale per tanti studiosi.
Immagino come sarebbe
stato contento u zi Minicu nell’apprendere dell’interesse suscitato dai suoi
componimenti presso eminenti ricercatori, docenti e sociologi di importanti
istituzioni culturali e università italiane: dalla fondazione “Giovanni Agnelli
“ di Torino alle Università italiane di Roma e di Palermo; dalla “State University di New York”
alla “University of Central Florida”,
alla “Tennessee State University” degli Usa.
3… Talvolta, il
popolo, mal consigliato, scambia la povertà per una colpa e può diventare
perfino spietato con i suoi figli più poveri. Quasi che la miseria fosse
desiderata dalla sua vittima e non imposta dal potere dominante, locale o
globale, come conseguenza del suo dominio…
…Invece di aiuto, di conforto, al malcapitato viene
riservato dileggio, indifferenza, sospetto.
Effetto questo di una legge terribile e crudele, ancora
vigente, che non siamo riusciti ad
abolire. Nel passato, tale “legge” era imposta dalla
tracotanza dei baroni feudatari, oggi, nelle mutate condizioni economiche e
dello spirito pubblico, dalla perfida genìa che comanda il mondo.
A quel tempo, la gente lavorava e viveva in condizioni di
semischiavitù, malpagata e sfruttata fino all’osso, sempre sotto l’incombente
minaccia delle più abiette angherie di aristocratici assenteisti e dei loro
campieri e soprastanti che gli stavano col fiato sul collo.
Zi Minicu, per liberarsi di questa sorta di maledizione,
tentò- come tanti altri poveri ioppolesi - la via dell’emigrazione nelle
Americhe che richiedevano manovalanza europea per sviluppare e popolare i vasti
territori sottratti ai popoli indigeni con la violenza, talvolta con pratiche
genocide.
Il nostro poeta restò negli Usa per poco; il tempo
necessario per rendersi conto della realtà povera e violenta che caratterizzava
la vita nei quartieri degli immigrati di New York e, al ritorno, volle
avvertire, con i suoi versi, i tantissimi candidati in procinto di partire.
Un’esperienza personale che però illumina di luce sincera,
una realtà drammatica ben più ampia, di massa come fu l’emigrazione siciliana
transoceanica, a cavallo dei due secoli (800-900)
4… Per averne un’idea, basta scorrere taluni dati relativi
alle diverse fasi migratorie siciliane.*
Nel cinquantennio
1876-1925, gli emigrati siciliani diretti verso Paesi transoceanici (Usa,
Argentina, Brasile e altri) furono circa 1 milione e mezzo, corrispondenti a
circa il 18% del totale dell’emigrazione
italiana orientata verso le stesse aree.
Il flusso migratorio siciliano si orientò, in misura
crescente, verso gli Usa che nel cinquantennio 1876-1925 oscillerà fra il 74,2%
del 1876 e il 91,2% del 1925. Con una crescita del 17%.
Una vera e propria fuga di massa dalla Sicilia verso gli Usa
e il Sud America che nel ventennio 1901-1919 si concentrò prevalentemente verso
gli Usa per il 94% e solo per il 3,7% verso l’Argentina, per lo 0,5% verso il
Brasile e per lo 0,9% verso i restanti
Paesi dell’America.
Nel periodo considerato (1876.1925) l’incidenza %
dell’emigrazione siciliana sul totale Italia fu:
- del 4,3% nel periodo 1876-1900, di cui transoceanici 7,7%
- del 12,9% nel
periodo 1901-1914, di cui transoceanici 20,8%
- del 12,2% nel periodo 1915-1918, di cui transoceanici
22,3%
- del 11,7% nel
periodo 1919-1925, di cui transoceanici 20, 8%
- del 10.0% nel periodo 1876-1925, di cui transoceanici
17,0%
(* da “L’emigrazione siciliana negli ultimi cento
anni” di Francesco Brancato, Pellegrini Editori, Cosenza, 1995)
Anni duri, terribili che proseguirono anche nell’intervallo
fra le due guerre mondiali, durante il periodo fascista, nei quali ci si poteva
trasferire nelle colonie d’Africa e continuare a emigrare in America, sempre
attratti dal “mito” del benessere che, per molti, si rivelò una realtà
difficile e discriminatoria
Ioppolo non si
sottrasse a questo “destino”. Nel secondo dopoguerra, molti ioppolesi partirono
anche perché sospinti dal fallimento della lotta per la riforma agraria,
vanificata da certe leggerezze dei capi sindacali e, soprattutto, dalla minacciosa
protervia dei suoi nemici. Il sogno della terra a chi la lavora sfumò
miseramente e incentivò l’emigrazione ancora verso le Americhe: Canada, Stati
Uniti, Venezuela, Argentina e, fatto nuovo, verso alcuni paesi europei: Belgio,
Francia, Germania e Svizzera. Una migrazione bi-direzionale di massa che
assestò un colpo durissimo all’assetto demografico del paesino posto alle
spalle di Akragante, svuotando campi e catoi e accelerando il suo declino
socio-economico che continua ancora oggi.
Panorama di Ioppolo Giancaxio. primi decenni del ‘900.
5… Il caso di Ioppolo Giancaxio è davvero emblematico della
storia sociale e civile di tantissimi comuni dell’entroterra siciliano e
meridionale. Per averne un’idea basta guardarsi intorno o consultare le
statistiche più recenti secondo le quali Ioppolo, soprattutto a causa di un
saldo demografico negativo e di un flusso migratorio in ripresa, rischia
seriamente di perdere i requisiti fondanti di una comunità e, pertanto, di
scomparire come entità amministrativa autonoma.
Un pericolo evidente, anche fisicamente. Le case vuote, le
vie deserte. ..
... Il futuro di ogni
persona si dovrebbe realizzare nel suo ecumene, nel luogo natio. Prima del
diritto di emigrare, c’è (o dovrebbe esserci) un diritto umano fondamentale che
è quello di “non dover emigrare”.
Perciò, bisogna
guardare in avanti non indietro come vorrebbero i vari Pino Aprile che
ripropongono un improbabile Mezzogiorno borbonico e idilliaco (per chi? per
quanti?) omettendo di descrivere le condizioni disumane nelle quali vivevano le
popolazioni meridionali sotto quel reame.
Il discorso sulle cause dell’emarginazione del Sud italiano
sarebbe lungo e non è questa la sede per svolgerlo. Forse, una fra le più
antiche, si potrebbe individuare proprio nell’alleanza subalterna del Borbone
con gli interessi imperiali inglesi che blindarono la Sicilia per impedire la
propagazione delle idee dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese e,
soprattutto delle armate e delle riforme di Napoleone Bonaparte che cambiarono
gli assetti del potere e delle società europee dell’ancien regime.
Nell’Isola continuò a dominare la triade mortifera,
oppressiva della nostra dignità e libertà: lo Stato monarchico, l’oscurantismo
religioso, il feudo e la delinquenza al suo servizio.
Purtroppo, anche nelle mutate condizioni storiche post-
unitarie, il popolo meridionale ha continuato a vivere in miseria, in
semischiavitù. Una condizione inaccettabile da cui cercò una via di liberazione
mediante l’emigrazione.
E così, a quasi 160 anni dall’Unità d’Italia, nonostante
taluni innegabili progressi, il dramma migratorio continua ad angustiare le
famiglie, i paesi del Meridione.
E questa- a me sembra- la colpa più grave, ingiustificabile
che portano i governanti unitari.
Di ieri e di oggi.
Agostino Spataro
* (antologia pubblicata nel
1996 dal Comune di Ioppolo G.)