Conferenza di Palermo (2018): il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte s'illuse che "pace fu fatta" tra Serraj e Haftar |
L’Italia non
deve ingerirsi, ma agire affinché in Libia cessi il conflitto e vincano la
pace e la concordia nazionale. In caso contrario, di fronte alla fuga di
profughi, certo, non si potranno chiudere i porti anche se non sta
scritto in nessun libro che devono accollarseli tutti l’Italia e l’Europa.
Saremmo di fronte ad una nuova emergenza
umanitaria internazionale che, in quanto tale, va affrontata in un quadro di
responsabilità internazionale,in ambito Onu e in altri, ripartendone il
carico, in misura proporzionata, ai Paesi europei ed arabi, in primo luogo a
quelli che hanno provocato e alimentato il conflitto. Poiché deve finire questa
storia che ci sono alcuni governi che accendono l’incendio e poi lasciano ad
altri l’onere di riparare i danni. Si dovrebbe introdurre una norma che
obblighi gli Stati bellicisti a far fronte alle conseguenze derivate in termini
di accoglienza dei profughi e di ricostruzione delle città, delle economie
distrutte.
La
guerra in Libia l’hanno accesa alcuni Paesi importanti e ricchi quali gli Usa,
la Francia, la Gran Bretagna cui si sono accodati alcuni stati arabi e
islamici, quale il Qatar, la Turchia e purtroppo anche l’Italia. Così come lo
Yemen è sotto attacco di una coalizione di sceiccati arabi, guidati dall’Arabia Saudita. D’altra parte, è preferibile
accoglierli nei paesi confinanti poiché, finita
la guerra, i profughi vorranno rientrare nelle loro case. Un esempio? La
piccola e povera Giordania che, da anni, accoglie diverse centinaia migliaia di
profughi provenienti da diversi Paesi del Medio Oriente: dai Territori
palestinesi occupati dagli israeliani, dall’Iraq, dalla Siria, dallo Yemen,
ecc.
2… Che fare? Agire per restituire
al mite popolo libico il livello di benessere conosciuto nel recente
passato e la speranza di una democrazia più evoluta e di vivere in pace con
tutti i popoli del Mediterraneo e dell’Africa. Se in Libia c’è, oggi, un
Paese europeo che sta rischiando qualcosa di grosso questo è l’Italia. Ho
scritto, per tempo, che la guerra a Gheddafi era anche contro gli interessi
italiani in Libia e che si poteva vincere la guerra ma perdere il
dopoguerra.(1)
Esattamente, ciò è
successo in questi 8 anni. Gli ultimi nostri governi hanno agito con
dilettantismo e in posizione subordinata agli interessi strategici di paesi
nostri concorrenti, per altro puntando sul cavallo sbagliato. Ed ecco il
risultato: disastroso per il popolo libico e per la pace e la sicurezza nel
Mediterraneo. Persistere nell’errore, oltre che
un’inammissibile ingerenza, sarebbe un assurdo accanimento contro se
stessi.
L’Italia, infatti, era (è?) il
principale partner europeo della Libia. Non so bene oggi, ma nel passato Italia
e Libia di Gheddafi potevano vantare un quasi pareggio della bilancia
commerciale. Fatto unico con i Paesi arabi produttori d’idrocarburi.
L’emigrazione si sviluppava in senso inverso: dall’Italia partirono circa
20.000 tecnici e operai per andare a lavorare in Libia. Un grande risultato politico
ed economico, frutto della sapienza e della lungimiranza della nostra politica
estera, elaborata e supportata da una intesa politica e parlamentare che
accomunava maggioranza e opposizione del Pci.
La
crisi libica è un affare interno del popolo libico!
L’Italia, l’Unione europea dovrebbero astenersi dalle ingerenze, dal vendere armi, semmai adoperarsi per favorire una soluzione politica del conflitto, per l’unità nazionale della Libia, politica e fisica.
L’Italia, l’Unione europea dovrebbero astenersi dalle ingerenze, dal vendere armi, semmai adoperarsi per favorire una soluzione politica del conflitto, per l’unità nazionale della Libia, politica e fisica.
3… D'altra parte, non si può affrontare il dramma delle
migrazioni verso l’Italia e l’Europa solo con misure di ordine pubblico (in parte necessarie) oppure monetizzando le politiche di
contenimento dei flussi. Tuttavia si deve por termine alle migrazioni clandestine. L’immigrazione deve avvenire nella legalità e nella
solidarietà, nel rispetto delle leggi e della dignità umana.
Per il ceto politico italiano il
dramma dei migranti non é un fatto umanitario, ma
materia di vergognosa contesa elettorale fra i due schieramenti (razzisti e “buonisti”). Per i profittatori gli immigrati sono visti come merce da trafficare o da rinchiudere nei lager in condizioni
disperate mediante accordi monetizzati mirati a bloccarli in Sudan o in Libia.
Fino a oggi, questo è stato il
profilo delle politiche portate avanti dall’Italia e dalla U.E. Soldi, soldi,
soldi per tenere lontano gli immigrati e soldi, tanti soldi, lucrati da trafficanti
spregiudicati (spesso pregiudicati) che controllano i flussi, impongono ai
malcapitati prezzi esagerati e condizioni di vera schiavitù.
Visti i pessimi risultati, appare chiaro che bisogna
cambiare radicalmente le politiche migratorie nazionali e comunitarie.
Una nuova politica migratoria è possibile.
L’Unione Europea, il
nuovo Parlamento che andremo ad eleggere a fine maggio, dovranno farsi carico
del problema, proponendosi come centro di programmazione e di coordinamento
delle politiche migratorie, creando un fondo specifico per finanziare le
azioni necessarie.
A tal fine sarebbe
auspicabile che l’U.E. promuovesse, con la partecipazione dei principali Paesi
d’origine, una Conferenza intergovernativa sulle migrazioni per giungere ad
accordi di programmazione
e di regolamentazione dei flussi, di promozione dell’accoglienza, favorendo
l’integrazione socio-economica e il rispetto dei diritti salariali e normativi
dei migranti legalmente presenti nei singoli Paesi europei.
Così come sul versante delle
organizzazioni non governative bisognerebbe rimodulare e re-indirizzare il
ruolo delle Ong le quali devono produrre in loco formazione, istruzione e soprattutto
assistenza allo sviluppo socio-economico locale, occupazione, cultura
democratica, ecc. (2)
4… La situazione è
difficile, al limite ingovernabile. Taluni pensano che possa essere risolta
ricorrendo ai tribunali.
Purtroppo,
in fatto di diritti umani, di crimini di guerra lo stesso Tribunale
internazionale, spesso invocato, c’è dove stravede e dove non vede.
Il problema delle migrazioni non può
essere affidato alle corti di giustizia e nemmeno trattato, strumentalmente, come cavallo di battaglia dello scontro elettorale fra
i due partiti di maggioranza (lega e M5S) che stanno polarizzando il
confronto, in un gioco delle parti davvero scandaloso ai danni dei migranti e di
una “sinistra” (quale?) che - secondo l’editorialista di “La Repubblica”
Federico Rampini- rischia di essere percepita dagli elettori come “il partito
degli stranieri”.
Certo,
alcuni eccessi ci sono stati e vanno condannati. Tuttavia, il problema non si
risolve deferendolo ai tribunali (che devono accertare e condannare le
eventuali responsabilità di chicchessia), ma con uno sforzo unitario di
comprensione, d’impegno politico a tutela dei diritti di tutti: dei migranti
e dei cittadini italiani che li accolgono.
Tripoli, 1984- Presidenza conferenza mediterranea: da sin. on. Agostino Spataro, prof. Oliviero Di Liberto e dr. Miloud, segr. gen. del simposio |
5… Perché la Libia? A mio parere, la causa principale sta ne valore intrinseco,
geo-economico e strategico, della Libia. Quanto
vale la Libia? Molto, anzi moltissimo. Per le sue importanti risorse di
idrocarburi (e anche per le sue riserve auree) questo Paese costituisce un
boccone troppo ghiotto per le superpotenze mondiali le quali non intendono
lasciare all’Italia il primato nelle relazioni preferenziali, economiche e anche politiche, conseguito durante i 42 anni della gestione di Gheddafi. Questo mi sembra il
punto politico dirimente.
La storia delle relazioni
italo-libiche nel secondo dopoguerra è davvero emblematica di una concezione
politica intelligente, accorta che, basandosi sul principio della reciprocità,
ha consentito di costruire un rapporto
solido e vantaggioso per entrambi i Paesi. A differenza degli ultimi governi, in passato
l’Italia ha operato, da protagonista, per realizzare, con successo, una politica estera, relativamente
autonoma, verso la Libia all’insegna
della non ingerenza e della cooperazione in diversi campi.
Un passato che non può essere
rimosso, anzi che andrebbe ricordato, nel bene e nel male, soprattutto alle nuove
generazioni che sconoscono taluni passaggi-chiave di tali relazioni.
A iniziare dal dramma (nostro) della cacciata,
nel 1970, dei circa 20.000 coloni italiani. Ai soliti tromboni che
chiedevano guerra, i governanti
italiani reagirono con saggezza e lungimiranza. All’indomani di quel
drammatico evento, il ministro degli esteri italiano, Aldo Moro, incontrò il ventisettenne Gheddafi, leader della "rivoluzione" libica, e insieme tracciarono le
linee della futura collaborazione economica, commerciale e, anche, militare.
Moro intuì le potenzialità del nuovo regime e le grandi opportunità che si
delineavano per l’Italia e si adoperò, realisticamente, per incrementare e
riequilibrare la bilancia commerciale e per rimpiazzare i 20.000 espulsi con 20.000
fra tecnici e operai specializzati italiani che sarebbero arrivati, di li a
poco, al seguito di grandi e medie aziende italiane. Fra queste di grandissimo
rilievo è la presenza dell’Eni e delle consociate.
Taluni, polemicamente, lo
definirono “lodo Moro”. Lodo o altro, quelle intese funzionarono a lungo, con
esiti reciprocamente vantaggiosi per la pace nel Mediterraneo e per il
progresso socio-economico dei due Paesi.
Un rapporto laborioso, talvolta
complicato, ma sostanzialmente leale. La nostra lealtà fu tale che quando, nel 1971, i nostri servizi scoprirono una nave
di congiurati libici in partenza da Trieste per Tripoli con l’obiettivo di rovesciare il regime di
Gheddafi con l’assistenza e le armi fornite
dai servizi di sua Maestà britannica, l’on. Moro diede ordine al
generale Vito Miceli, capo dei servizi, di bloccarla per far fallire il complotto.
Come dire: bisognava salvare Gheddafi per salvare gli interessi italiani in
Libia.
Altri tempi! Oggi, purtroppo, il
nostro Paese è allo sbando, isolato e maltrattato nel consesso delle nazioni,
alle prese con una crisi acuta, economica e di fiducia verso le istituzioni dello
Stato e il sistema economico, che mina gli assetti e il fururo della convivenza democratica
della società italiana. Speriamo bene.
(19/4/2019)
Agostino Spataro,
giornalista, già membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei
Deputati, è autore di ;
(1) “Nella Libia di Gheddafi” (2014)
(2) “Immigrazione. La moderna Schiavitù”
(2018)
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