Con gli Editori siamo pensando a una nuova edizione ampliata, anche in formato e-book.
https://www.iberlibro.com/9786075250519/SIGLO-XXI-ECONOMIA-TERROR-GIUSEPPE-6075250514/plp
Introduzione (testo in italiano)
SCENARI DELLA CRISI DEL MONDO
Con l’inizio del nuovo secolo, all’orizzonte
del nostro futuro si profila una tendenza inquietante, maturata nell’ambito
delle oligarchie neoliberiste dell’Occidente: il frequente ricorso alla guerra,
anche locale, come risposta ai problemi insorti con la crisi globale. Tale
tendenza è insita nella natura violenta, nella stessa dinamica del capitalismo
internazionale. Tuttavia, oggi, appare anche come una reazione metodica alle
difficoltà crescenti d’imporre il suo modello politico-culturale e
consumistico. Più che un fenomeno ciclico, essa parrebbe denunciare una
difficoltà, perfino un declino, non tanto del sistema capitalistico in se
stesso quanto dell’egemonia occidentale sul terreno dell’economia e della
cultura. Siamo a un cambio d’epoca? Si vedrà, nel tempo.
Intanto, appare necessaria un’analisi più
puntuale, più precisa dei sanguinosi conflitti aperti in varie parti del
pianeta; vere e proprie guerre locali che provocano morte e distruzioni, specie
laddove più si concentrano le principali riserve minerarie, di energie fossili
(petrolio e gas), di acqua e di beni alimentari. Con questo libro cercheremo di
analizzare, in particolare, la situazione di due aree fondamentali del Pianeta,
ricche di materie prime e di contrasti sociali, dove tali processi sono in
corso d’opera: l’America Latina e la regione Mena (acronimo di “Middle East
North Africa” comprendente il Medio Oriente e il Mediterraneo) nelle loro
relazioni con le nuove superpotenze dell’economia e della finanza.
C’è chi sostiene che tale conflittualità sia
propedeutica al “nuovo ordine internazionale” e pertanto necessaria per
garantire la transizione dal vecchio ordine al nuovo. Eppure, dal crollo
dell’Urss e del sistema dei Paesi a economia socialista (Comecon) è passato un
quarto di secolo e la “transizione” può dirsi compiuta, almeno sul terreno
politico ed economico. Tuttavia, il “nuovo ordine” non è arrivato o, peggio, si
presenta come un nuovo, pericoloso disordine internazionale. Ideologicamente,
il neo-liberismo ha vinto ed è dilagato anche nei territori ex socialisti. A
cominciare dalla Cina che si ostina a proclamarsi socialista seppure la sua
economia sia perfettamente inserita nel sistema globale di produzione
capitalista.
Sul campo non restano più forze antagoniste
organizzate, potenze rivali capaci di contrastare il disegno del vincitore. A
seguito di una guerra così lunga e snervante (anche se “fredda”), finita senza
spargimento di sangue e con la resa incondizionata del “campo socialista”, (per
la prima volta nella storia un “impero” si arrende al nemico senza colpo
ferire!), era lecito attendersi che “scoppiasse” la pace, che seguisse un
periodo di grande fervore costruttivo, di crescita compatibile con l’integrità
degli eco-sistemi e ri – equilibratrice degli storici divari fra Nord e Sud, di
benessere condiviso, ecc.
Invece, sta accadendo, esattamente, il contrario.
Dopo la “vittoria” del campo neoliberista, probabilmente truccata [1] ,
sono scoppiate le guerre regionali, religiose, tribali che insieme fanno una
guerra più grande, micidiale, una “ guerra infinita” che per Papa Francesco è
la “terza guerra mondiale”, non dichiarata. Venti di guerra soffiano in ogni
direzione e alimentano conflitti che sembrano divenuti insanabili, specie in
alcune regioni del mondo meno sviluppato (Medio Oriente, Africa, ecc),
disegnano scenari terrificanti che generano e alimentano paure e smarrimenti
nei popoli.
Secondo “Armed Conflict Database – 2015”
dell’IISS (International Institute for Strategic Studies), nel 2014, sono stati
42 conflitti armati fra i più sanguinosi e distruttivi che in diverse regioni
del mondo hanno provocato 180.000 vittime (in gran parte civili) e 12.181.000
di rifugiati. Da notare che bel 8 di tali conflitti si svolgono nella regione
Mena (Libia, Egitto, Israele – Palestina/Gaza, Iraq, Siria, Libano, Yemen),
mentre altri 14 in Paesi asiatici e africani di prevalente/ importante
tradizione islamica e dotati di rilevanti risorse petrolifere e di gas
(Nigeria, Nagorno- Karabach, Cecenia, ecc). Si potrebbe pensare a una
sottospecie di “guerra all’Islam”, ma così non sembra: la guerra è per l’accaparramento
degli idrocarburi che in buona misura si trovano nel sottosuolo dei territori
dell’Islam.
Il rapporto indica fra i conflitti più
sanguinosi anche quelli in corso in alcuni Paesi dell’America Centrale: nel
cosiddetto “Triangolo del Nord” (Guatemala, Honduras, El Salvador), in Colombia
e in Mexico (contro i narcotrafficanti) dove il numero delle vittime
(oltre 9.000 nel 2014) ha superato quello dell’Afghanistan (7.430). Nonostante
ciò, la globalizzazione neoliberista procede decisa e spietata, senza tener conto
delle perdite in vie umane, delle gravissime conseguenze sociali e ambientali,
degli squilibri politici e territoriali prodotti. Impropriamente, la chiamano
“crisi”, in realtà si tratta di una colossale sistemazione degli assetti
produttivi e di poteri che mira al dominio globale,
La “crisi”, infatti, evolve provocando
emarginazioni sociali e povertà e nuove concentrazioni di ricchezza,
intolleranze razzistiche, politiche di rapina supportate da vili commerci di
uomini e di armi, omologazioni culturali e pensiero unico, egoismi e
militarismi, ecc. Così procedendo, il XXI° rischia di caratterizzarsi
come il secolo della disuguaglianza e del terrore. Se il XX° fu detto “il
secolo breve” (che breve non fu) il XXI° potrebbe passare come il secolo
della guerra endemica, infinita, dell’esplosione degli odi razziali e di nuove
povertà. Questa è, oggi, l’atmosfera che sovrasta il mondo e deprime lo spirito
pubblico, soprattutto quello europeo, occidentale. Con l’aggravante che non
s’intravvede una via d’uscita.
Non è questa la sede per aprire una
riflessione su tali aspetti. Tuttavia, qualche cenno va fatto. I capi delle
grandi potenze occidentali tacciono perché non hanno risposte convincenti e
pensano di cavarsela, come sempre, a buon mercato, cospargendo l’umanità di
vecchi e nuovi “terrori” per meglio imporre il loro dominio e militarizzare il
sistema delle relazioni internazionali. Come se questo decadente Occidente,
dominato da una sorta di “governo profondo”, uscito dai consigli di
amministrazione di banche e di anonime società d’affari, non riuscisse più a
esercitare il suo ruolo storico, la sua attrattiva culturale e produttiva, non
fosse più capace di elaborare soluzioni alla crisi globale diverse dall’
opzione militare.
Ritorna la domanda: siamo all’ineluttabilità
della guerra globale?
Speriamo di no, anche se in giro si
avvertono strani sentori.A distanza di un secolo dalla prima guerra mondiale
(1914-18) e a settanta anni dalla seconda, anche in Europa si colgono una sorta
di stanchezza, un senso di pericolosa insofferenza verso la lunga pace e una
tendenza, presente anche in certa pubblicistica, che non esclude la
guerra come soluzione dei problemi di relazione insorti con altri paesi e
regioni.
Forse, non si arriverà alla guerra globale
per timore della conflagrazione nucleare ossia della “mutua distruzione
assicurata”, ma sono ammissibili, fattibili le guerre a livello locale,
regionale. E, difatti, si stanno svolgendo in varie parti del mondo
accompagnate dalla fanfara della propaganda psicologica e mediatica di
tipo bellicista che va dall’esaltazione del professionismo militare ai lucrosi
affari delle agenzie di contractors ossia le nuove compagnie di ventura, dai
giochi di guerra alle play- station, alle fiere internazionali degli armamenti,
ecc.
Tutto ciò contribuisce a rendere più
difficile la gestione politica e diplomatica della “crisi” che sempre più si
manifesta anche come crisi del pensiero occidentale. Poiché non c’è dubbio che
quando per risolvere un conflitto politico o d’altro tipo si ricorre alla
guerra vuol dire che si sta esaurendo la capacità di mediazione e di
ricomposizione delle controversie ossia l’egemonia politica e morale. Crisi
culturale, dunque, derivata dai processi di omologazione, dall’infiacchimento
della democrazia partecipativa e della laicità degli Stati, dalla scomparsa
dei grandi partiti di massa e dall’umiliazione della politica oramai asservita
ai disegni della finanza e delle consorterie economiche internazionali, dal
dilagare della corruzione e dei poteri criminali.
Soprattutto, pesa la crisi del modello dei
consumi (esorbitanti) e della struttura economica dell’Occidente, che si
caratterizza per alcune contraddizioni insanabili: non riuscendo più a
produrre le risorse (eccessive) che consuma, continua a importare,
e a sprecare, enormi risorse energetiche, inquinando il Pianeta; e, per
procurarsele, tormenta l’umanità più povera con guerre micidiali. Come detto,
non si tratta di una vera crisi, ma di una maschera che nasconde un disegno
politico ben preciso e mirato a cambiare i rapporti di forza e di produzione a
favore delle oligarchie finanziarie.
Le crisi, anche cicliche, ci sono sempre
state e, bene o male, sono state affrontate e superate. Questa volta, però, non
s’intravede una soluzione a breve termine e in armonia con gli equilibri
esistenti. Ai piani alti del potere oligarchico l’arroganza si alterna al
nervosismo. Si teme che, a conclusione di questo processo di globalizzazione,
probabilmente, l’Occidente non sarà più il principale protagonista della
storia.
Siamo in presenza di aspetti controversi,
complessi di una strategia unica sulla quale andrebbe approfondita la
riflessione e contro la quale suscitare una lotta a livello mondiale,
coinvolgendovi, nelle forme possibili, le grandi massi popolari che sono le
vittime passive di tali processi. Soprattutto, appare necessario ricominciare a
lottare per una vera giustizia sociale, riprendere, su basi nuove e planetarie,
la sacrosanta lotta di classe. Uscendo dall’equivoco, alimentato ad arte, secondo
cui la lotta fra le classi è finita con il “crollo del muro di Berlino”,
superata dalla storia, dal mercato.
In realtà, la lotta fra le classi non è mai
cessata. Oggi, in questo mondo unipolare, questa lotta è nel pieno del suo
drammatico svolgimento. La differenza fra il passato e il presente consiste nel
fatto che mentre prima si combatteva, ad armi quasi pari, fra un capitalismo
non parassitario e la classe operaia e le sue organizzazioni politiche e
sindacali, oggi la lotta ha un protagonista unico ovvero le oligarchie
finanziarie e i “loro” governi che infieriscono contro gli operai e i tecnici,
i lavoratori dipendenti, i pensionati, i giovani inoccupati lasciati soli e
indifesi.
Storicamente, c’è stato un conflitto tra
capitale e lavoro. Oggi, di fatto, sono rimaste in campo soltanto le forze del
capitale (nelle sue forme inedite e complesse) che continuano ad accanirsi
contro i lavoratori mentre i sedicenti rappresentanti politici e sindacali del
mondo del lavoro hanno, praticamente, smesso di lottare contro il capitale
oppressore e vindice. E, così, vediamo questo neocapitalismo finanziario
speculativo, detentore di tutte le principali leve del potere economico,
politico e mediatico, massacrare la classe lavoratrice, i ceti medi in ogni
regione del pianeta, sia nei paesi poveri sia in quelli “ricchi”.
La sfrontatezza di tali forze è giunta al
punto di spingersi- come ha fatto recentemente la Jp Morgan , società Usa
leader nei servizi finanziari globali a proporre per i Paesi del sud
Europa una cura davvero ripugnante oltre che iper – classista: sbarazzarsi
delle Costituzioni antifasciste del dopoguerra perché troppo sbilanciate a
favore dei diritti dei lavoratori. “I sistemi politici dei paesi del sud, e in
particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo,
presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la
maggiore integrazione dell’area europea…Poiché mostrano una forte influenza
delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta
dai partiti di sinistra…e presentano tipicamente le seguenti caratteristiche:
esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei
confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori;
tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di
protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo…” (Spataro,
2012).
Tutto ciò, in nome dell’occidentalismo,
della globalizzazione neoliberista. Senza mai chiedersi se tale globalizzazione,
imposta a tappe forzate e all’insegna dei “valori”del massimo profitto, sia la
risposta giusta o stia conducendo l’umanità verso il precipizio. In realtà, il
liberismo si sta dimostrando incapace di governare le economie e gli Stati Alla
sua prima uscita in pubblico, questo neo capitalismo, liberista solo a parole
giacché i conti dei suoi disastri li continua a scaricare sui bilanci degli
Stati e dei cittadini (vedi crisi delle borse in Usa, crisi finanziaria greca,
ecc.), non è stato all’altezza dei compiti derivati dai processi da esso stesso
generati.
Questa è la verità o se si preferisce la
sorprendente novità: il neoliberismo è un disastro in campo politico e anche
nei campi di sua pertinenza della finanza e dell’economia. Le banche, le borse
valori, le società di rating, i manager e i consulenti prezzolati, le teste
d’uovo avevano promesso il paradiso in terra, un “nuovo ordine internazionale”
più giusto e più equo. Invece, ci ritroviamo con un mondo in disordine e
segnato da nuove ingiustizie e disuguaglianze, da mortali pericoli per
l’ambiente, per la vita sul pianeta.
Conseguenze insite nel sistema che si
producono anche automaticamente come nota Thomas Piketty: “Quando il tasso di
rendimento del capitale supera regolarmente il tasso di crescita del prodotto e
del reddito- come accadde fino al XIX secolo e come rischia di accadere di
nuovo nel XXI- il capitalismo produce automaticamente diseguaglianze
insostenibili, arbitrarie, che rimettono in questione dalle fondamenta i valori
meritocratici sui quali si reggono le nostre società democratiche” (Piketty,
2014).
Tali processi, inoltre stanno riducendo gli
spazi di democrazia e dei diritti dei singoli e dei popoli. Incapaci di
governare il caos e decisi a fuorviare lo spirito pubblico, i “liberisti”
cercano a destra gruppi e partiti disponibili ad accendere la miscela esplosiva
del nazionalismo deteriore, del neo- nazismo perfino. Nulla di nuovo sotto il
sole. E’ questo un gioco vecchio, ma sempre pericoloso per la libertà e la
democrazia oggi più svuotata dei suoi valori fondanti, debilitata nei suoi
effetti politici. Come se il sistema democratico, invenzione e vanto della
borghesia illuminata, stesse troppo stretto agli attuali, anonimi gestori del
potere mondiale. Si profila una sorta di “democrazia illiberale”?
E così, vediamo in varie regioni del mondo
riaccendersi nazionalismi, anacronistiche pretese territoriali, intrighi
secessionisti, frustrazioni razziste, xenofobe, integralismi religiosi,
intolleranze politiche, ecc. Insomma, il neo-liberismo, non potendo
completamente addomesticare i popoli e gli Stati ai propri voleri, tenta di
frantumarli, di schierarli l’uno contro l’altro. Chissà se, alla fine, non ci
esca una bella guerra patriottica e/o di religione? Per la gioia dei produttori
di armi e dei mercanti di morte!
Tendenze e interrogativi drammatici che in
Occidente non sembrano sfiorare le “titaniche certezze” della gran parte dei
ceti intellettuali, degli economisti e dei partiti sedicenti di “sinistra” e/o
di centro- sinistra, in larga misura, asserviti al potere dominante. Tuttavia,
la rinuncia, l’abiura di alcuni non significa che siamo al tracollo della
sinistra, soprattutto delle sue idee di giustizia sociale. In tanti paesi,
soprattutto dell’America latina, forze importanti progressiste e di sinistra
stanno combattendo, anche con successo e da posizioni di governo, una dura
lotta di libertà e d’indipendenza economica nazionale e regionale. Lottano
anche per i popoli, per i lavoratori d’Occidente che sembrano narcotizzati dal
falso progressismo o rassegnati alla moderna subalternità.
Tuttavia, qualcosa si muove a sinistra anche
in Europa, specie nei paesi più colpiti dalla mannaia neoliberista quali Grecia
e Spagna. Anche nel campo dei moderati qualcuno cerca di abbozzare una
risposta, un’analisi controcorrente. Ecco- per esempio- cosa scrive Alì Laidi,
un giovane studioso maghrebino di tendenze moderate. “L’ideologia del
mundialismo pretende che la salvezza dell’umanità si trova nel libero mercato e
nella concorrenza libera e perfetta… Intendiamoci bene, non si tratta di
rifiutare la mondializzazione né di rigettare i suoi risultati positivi, ma di
mostrare che la mondializzazione occidentale è nociva quando si propone come
ultimo universalismo…” “E’ in atto una resistenza alla standardizzazione
dell’uso del mondo. Ciò che temono i popoli non è la mondializzazione, ma
l’assenza del loro punto di vista sul nostro destino comune…Questa mancanza di
rappresentanza rende furiosi i più radicali e li spinge nella violenza.” D’altronde-
continua Laidi – “L’Occidente sa che la generalizzazione del suo modello è una
chimera. L’Occidente ha capito che la Terra non sopporterà un’umanità vivente
con gli attuali standard occidentali. Un mondo totalmente occidentalizzato è
un mondo esausto, perduto, morto a breve termine. La vittoria
dell’occidentalizzazione del mondo significherà dunque la sua
disfatta…”.(Laidí, 2011)
Infine, ci sia consentita una nota a margine
per chiarire che la nostra critica, talvolta severa, verso l’ideologia e le
pratiche del neo-liberismo non è, non vuole essere “antiamericanismo” di
maniera ossia un’avversione preconcetta nei confronti delle politiche delle
amministrazioni Usa, ma un’analisi ragionata e motivata, per quanto opinabile,
di una nuova forma di dominio egemonico, unilaterale che mette a rischio la
convivenza pacifica e il progresso sociale e culturale dell’umanità. E’
necessario saper distinguere, separare gli interessi delle oligarchie
finanziarie e militari da quelli della maggioranza del popolo statunitense, la
prima vittima delle loro strategie, che bisognerebbe aiutare a liberarsi
dell’ipoteca consumistica di tipo neo-imperiale che l’opprime.
Prima o poi la crisi del gigante Usa, che
continua a vivere molto al di sopra delle risorse proprie, scoppierà e si
dovranno profondamente modificare politiche e comportamenti in contrasto con
gli interessi generali nazionali e globali, con la sopravvivenza stessa del
Pianeta. Su tale prospettiva bisogna aprire una riflessione generale e feconda,
cogliendo taluni segnali interessanti provenienti dall’interno della società
statunitense, anche per respingere le comode accuse di chi si rifugia
nell’americanismo furbastro per bollare come “antiamericanismo” le analisi
preoccupate sulla controversa realtà degli Usa.
Generalmente, chi si spinge in questi
“territori” rischia di essere tacciato perfino di razzismo da chi finge di non
vedere le odiose pratiche razziste in casa propria. Ovviamente, tale, eventuale
accusa non ci tange; la nostra formazione marxista, la nostra educazione
umanitaria ci pongono al di sopra di tali meschinità. La nostra critica
sottende l’auspicio che il popolo statunitense, che ha dato un contributo
notevole alla crescita democratica e allo sviluppo tecnologico mondiali, possa
tornare ad essere un soggetto primario del cambiamento, in senso progressista e
pacifista, dell’umanità.
Resumen
Con el comienzo del siglo XXI nuestro
horizonte se perfila inquietante, en donde el recurso de la guerra como
respuesta a los problemas derivados de la crisis de la economía mundial se
inserta en la mismísima naturaleza violenta de las dinámicas del capitalismo
por su intento de imponer un modelo político, económico y cultural. Más que un
fenómeno cíclico derivado de las constantes crisis que han caracterizado este
sistema, parece ser un declive de la hegemonía occidental en el terreno
económico y cultural. En ese sentido, ante un escenario de crisis
multidimensional de carácter sistémico que ha caracterizado la primera década
del siglo XXI, nos encontramos ante un futuro muy incierto que pone de
manifiesto el avance de un multilateralismo estratégico que impulsa un nuevo
orden económico y político internacional en el que las potencias del Sur han
asumido un papel importante.
Este libro pretende analizar los nuevos
escenarios que están reconfigurando la geopolítica mundial a partir del papel
que los recursos naturales juegan en dos áreas fundamentales, América Latina y
la región MENA “Middle East y North Africa” (que incluye al Oriente Medio…