mercoledì 16 giugno 2021

IMMIGRAZIONE, LE PROPOSTE DEL PCI ANCORA VALIDE: LEGALITA' E SOLIDARIETA: CHIUDERE CON GLI SBARCHI CLANDESTINI, ACCORDI DI COOPERAZIONE CON GLI STATI -

 






LA PROPOSTA DI LEGGE DEL PCI DI ENRICO BERLINGUER



PARI DIGNITA' FRA LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI 



SANZIONI SEVERE PER CHI FAVORISCE GLI INGRESSI ILLEGALI IN ITALIA...




 

Immigrazione: gli opposti estremismi

Nel 1981, quando l'ex compagno Matteo Salvini aveva 8 anni, presentammo la proposta di legge n. 2990* mirata a riconoscere agli immigrati regolari tutti diritti e i doveri attribuiti agli emigranti italiani soprattutto in Europa.

di Agostino Spataro *

Certo, oggi, il contesto politico nazionale e internazionale è mutato, tuttavia i valori restano. L’immigrazione è necessaria, ma va regolata, accolta nella legalità e nella solidarietà. 

In Italia siamo di fronte a un grave dilemma politico. Da un lato, l’ex compagno Salvini avrà tenuto a mente la citata proposta di legge e oggi, nella veste di leader della Lega nord (non più secessionista?), la usa a suo vantaggio elettorale, dopo averla depurata del suo carattere umanitario e solidaristico.

Dall’altro lato, gli “eredi” del Pci l’avranno dimenticata lasciandosi fagocitare da una lettura equivoca, distorta della crisi del mondo, da una visione destabilizzante del dramma delle migrazioni che non può essere affrontato nella logica degli interessi delle oligarchie finanziarie. I sedicenti “eredi” del Pci ragionano sulla complessa materia (anche da posizioni di governo) come se l’Italia e l’Europa si trovassero nel migliore dei mondi possibili quando, invece, sono vittime di scandalose disuguaglianze e delle pretese oligarchiche del neoliberismo dominante. 

Insomma, due “opposti estremismi” (razzismo e buonismo) cui contrapporre una terza via possibile, da costruire nell’ambito di una vera politica di cooperazione Nord-Sud, nella legalità e nella solidarietà.

Oggi, i “nuovi schiavi” non vengono cacciati e incatenati come i loro antenati, ma sospinti, incoraggiati, talvolta anche finanziati, a emi­grare clandestinamente verso questa vecchia Europa, opulenta e mo­rente, dove saranno usati come manodopera irregolare in taluni settori dell’economia locale.

Partono, all’avventura. Soprattutto quelli che sono in grado di pa­gare l’esoso passaggio ai trafficanti della “prima catena” (che si snoda dal luogo di residenza alle coste europee), di sobbarcarsi mi­gliaia di km per deserti inospitali, mesi e mesi di permanenza in ter­ribili campi di concentramento, traversate a bordo di natanti precari e rischiosi, ecc. E, finalmente, quando i più fortunati riescono ad ap­prodare in Europa li attende una seconda, variegata catena di pro­fittatori.

Importare il terzo mondo nel primo

In realtà, questi flussi sono anche incoraggiati dalle grandi oligar­chie globalizzate che perseguono un obiettivo chiaro “importare il terzo mondo nel primo” per produrre a costi da terzo mondo e vendere a prezzi da primo mondo.

Tutto ciò è umano? Chi è il vero razzista: il lavoratore preoc­cupato di perdere il posto di lavoro, la vecchia signora che si lamenta per certi disagi che riscontra nel suo quartiere o chi or­ganizza e/o sponsorizza tali traffici per trarne vantaggi e profitti scandalosi?

La questione non è nominalistica ma di sostanza ed ha un risvolto specificamente italiano. C’è, infatti, un dato drammatico, largamente sottovalutato, ignorato, che segnala una fragorosa ripresa dell’emigrazione italiana. I numeri sono davvero allarmanti. Dai media si ap­prende che, negli ultimi anni, sono emigrati all’estero 265.000 citta­dini italiani.                                       

I “corridoi umanitari” invocati possono lenire parte delle sof­ferenze ma non estinguerle.

Ci vogliono accordi di cooperazione con i Paesi d’origine, per legalizzare i flussi e sottrarli alle catene di pro­fittatori

Pertanto, é inaccettabile questa conflittualità da “opposti estremismi” che impedisce una discussione libera e proficua…Della serie: chi più blatera ha più ha ragione.

In realtà, siamo in presenza di una colossale mistificazione che vor­rebbe dividere gli italiani in razzisti e buonisti!

Si tratta di due rumorose minoranze, due opposti che alla fine con­vergono: da un lato una subcultura di tipo razzistico, xenofobo che rifiuta l’immigrato per principio, cui si contrappone una subcultura di stile “buonista”, per usare una fraseologia impropria, che non si fa carico di tutti i problemi (e dei diritti) delle comunità d’origine e di accoglienza.

In questo crogiuolo di posizioni convivono posizioni “in buona fede” e mire inconfessabili di carattere elettorale e venale. 

Il problema è uscire da questa logica paralizzante e ragionare, lottare per una giu­sta accoglienza nella legalità. A certa “sinistra” impellicciata si deve ricordare che - così agendo - si finisce per favorire l’affermazione elettorale (e culturale) delle destre in Europa e non solo.

Un’Europa dominata dalle destre non sarebbe un buon viatico, prima di tutto per gli emigrati.

L’attuale flusso migratorio non è un’emergenza, ma un dato costante e destabilizzante

Un’emergenza si apre e si chiude entro breve tempo. Quando supera l’arco dei decenni diventa qualcos’altro che abbiamo il diritto di ca­pire e, se del caso, regolamentare per correggerne le storture.

I governi devono governare i fenomeni non assecondarli

Compito dei governi è, per l’appunto, governare anche i fenomeni così complessi. Su come e con quali proposte si può discutere.

In attesa delle nuove regole, l’Unione Europea, invece di limitarsi a gestire malamente i flussi, dovrebbe attivarsi per costruire, insieme ai Paesi d’origine, una soluzione politica duratura e condivisa. Po­trebbe promuovere una Conferenza intergovernativa sulle migrazioni per giungere ad accordi, bilaterali e multilaterali di regolamen-tazione dei flussi, di cooperazione, di aiuto ai Paesi più poveri, finan­ziando programmi per uno sviluppo auto-centrato e diversificato.

A tale fine, appare necessario riformulare gli strumenti d’intervento della cooperazione internazionale, introdurre nuove norme per riqualificare la spesa di settore e rimodulare e re-indirizzare il ruolo delle Ong le quali devono produrre, in loco, istru­zione, formazione e, soprattutto, assistenza allo sviluppo economico, occupazione e cultura democratica, ecc..

Il dibattito resta aperto, senza dimenticare un diritto umano fondamentale che ho richiamato nel testo: “Se il mondo fosse più giusto e solidale, dovrebbe riconoscere, e attuare, come primo diritto umano quello di non- emigrare ossia non costringere gli uo­mini e le donne del Pianeta ad abbandonare la propria casa, la pro­pria terra in cerca di un lavoro, di una vita migliore. Per chi lo desidera, dovrà sempre esserci un diritto a emigrare, di spostarsi liberamente, per scelta non per costrizione. Purtroppo così non è.”

 

* già parlamentare del Pci, membro commissione Esteri della Camera dei Deputati, autore di "Immigrazione, la moderna schiavitù" (2018)

https://www.lafeltrinelli.it/libri/...

 

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martedì 8 giugno 2021

OGGI 37° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI ENRICO BERLINGUER / Achille Occhetto : "Pajetta ha parlato contro Berlinguer". Un ricordo di Agostino Spataro *

 


                                                                                                                                   Ioppolo Giancaxio , 11 giugno 1984 

 Oggi, è morto all’ospedale di Padova il compagno Enrico Berlinguer. Vi era stato ricoverato il 7 u.s. per un ictus cerebrale che lo ha colpito durante lo svolgimento del comizio. Una lunga e triste agonia, senza speranza di ripresa. In ogni caso, politicamente era morto. Questa mattina, verso le 10,00, mi telefona Siso Montalbano, della segreteria Fed, per comunicarmi di aver parlato con il Comitato regionale (C.R.) che gli avevano detto che Berlinguer era praticamente morto e che i funerali erano stati previsti per mercoledì 13 a Roma.

Brano autografo del diario dal mio quaderno n. 3 

In serata si dovevano tenere assemblee di commemorazione al chiuso. Non capii e chiesi: “Ma è morto o no”. Siso era imbarazzato. M’invitò a recarmi subito in federazione.   “Dunque, hanno deciso di tirare la spina?”- replicai.                                                            Accesi la radio, mentre mi preparavo per partire. Su Rai/1 davano una emissione sulla vicenda di Luther King. Alcun riferimento al dramma di  Berlinguer.                       Giunto in federazione (verso le ore 11,000) trovo esposta al balcone la bandiera rossa del nostro destino, listata a lutto. Non c’era più dubbio Enrico era morto. Eppure la radio non aveva detto nulla! Forse per non interrompere le trasmissioni programmate?              Dopo King, seguì un concerto di musiche italiane degli anni ’50.                                      In Federazione trovai tanti compagni e compagne in evidente apprensione. Volti tesi, scuri. Niente lacrime.                                                                                                        Origliai fra i vari capannelli. Parole bisbigliate, spezzate. Praticamente, capii che la morte di Berlinguer era avvenuta, ma non era stata ancora ufficialmente annunciata.        I compagni mi dicono che è morto stamattina intorno alle 9,30 che, però, la segreteria nazionale del partito ha deciso di annunciarne il trapasso verso le ore 13,00.                      Insomma, ufficialmente, era ancora vivo anche se erano stati programmati i funerali. Non capisco la ragione di tale strano (forse un po’ stupido) comportamento del Centro del partito. Mi dicono che, forse, prendono tempo per preparare il testo del comunicato.   Osservo che il comunicato si può emettere anche qualche ora dopo la morte. Intanto bisognava darne l’annuncio.                                                                                                   Il povero Gildo Mocada, cui sfuggiva il complicato ingranaggio di cui sopra, da vecchio partigiano pensò bene di esporre dal balcone la bandiera a lutto. Le due cose non reggevano: la bandiera confermava la morte che però non era stata annunciata. Si decise di ritirare la  bandiera.                                                                                             Qualcuno ri-telefona a Roma per avere ragguagli. Nulla di nuovo: è morto e la morte sarà comunicata più tardi. Ascoltiamo il Tg/uno delle 12,00. Il conduttore dice che “le condizioni di salute dell’on. Enrico Berlinguer si sono aggravate... L’elettrocardiogramma è piatto...ci sono pochissime speranze di ripresa.”             L’annunciò della morte verrà dato da Achille Occhetto al Tg/2 e rilanciato nell’edizione del Tg/1. Ancora non c’è un comunicato della Direzione. Sarà emanato in serata. Viene ri-esposta la bandiera a lutto. A questo punto non si capisce perché questa sceneggiata in cui sono state raggiunte punte di crassa stupidità che ometto per carità di ... partito.

La sera vado a Favara a tenere la commemorazione. Assemblea molto partecipata. Sono presenti delegazioni di altri partiti: Psi, Dp e Dc (guidata dall’on. Angelo La Russa).        Parlo a braccio. Non ho avuto tempo per preparare un discorso. Dico quel che sento, che ricordo del caro compagno Berlinguer che ebbi l’onore di presentare (10 anni prima, il 25 aprile 1974) alla grande manifestazione pro-divorzio del nostro Partito che tenemmo nella piazza Stazione di Agrigento.

Agrigento 25 Aprile 1974. Agostino Spataro introduce la grande manifestazione in piazza Stazione che darà conclusa con un discorso di Enrico Berlinguer.

Con il segretario generale capitava di vederci di tanto in tanto in Commissione esteri della Camera, di cui entrambi facevamo parte, e più spesso nell’Aula di Montecitorio, dove gli sedevo vicino. Tale vicinanza, fu resa possibile a seguito dal mio trasferimento dal settore contiguo a quello dei radicali, dopo che ebbi con l'on. Roberto Cicciomessere uno scontro piuttosto pesante ma necessario per fermarlo mentre stava per aggredire fisicamente la compagna Nilde Iotti che presiedeva la seduta.                                          
In genere, Berlinguer parlava poco. Preferiva ascoltare. Raramente rideva.

Luglio 1976, Agostino Spataro, accanto a Enrico Berlinguer, durante l'ovazione per l'elezione di Pietro Ingrao a Presidente della Camera dei Deputati. (foto da "l'Unità")

La direttiva del Centro, e quindi anche della Federazione, era quella di limitarsi a fare la commemorazione al chiuso e di evitare, fino al giorno dei funerali, discorsi elettorali. Mi parve una direttiva sbagliata, per altro, in contrasto con quanto ci raccomandò Berlinguer già colpito dall’ictus: “Continuate a lavorare, andate casa per casa...”                      Ripresi questo accorato appello e invitai i compagni a intensificare la mobilitazione elettorale. Almeno a Favara quella direttiva restò inapplicata.

AI FUNERALI DI BERLINGUER                                                                           Achille Occhetto : "Pajetta ha parlato contro Berlinguer"

Roma, 14 giugno 1984.                                                                                                     Ho assistito dal palco delle autorità istituzionali, in Piazza San Giovanni, a Roma, alla imponente manifestazione di popolo, del nostro popolo comunista, svoltasi per dare l’estremo saluto al compagno Enrico Berlinguer.                                                           Una manifestazione davvero grandiosa che- a detta degli esperti- ha superato tutte le precedenti per partecipazione. Senza offesa per nessuno.

Roma,13 giugno 1984- Veduta parziale della piazza San Giovanni per i funerali di Enrico Berlinguer.

Bella, calda, commossa la piazza, quanto scialbi, freddini i discorsi commemorativi di Nilde Iotti, di Marco Fumagalli (Fgci) e di Giancarlo Pajetta che era quello ufficiale, principale. Già sul palco circolavano critiche soffuse, leggere insofferenze verso le parole di Pajetta che continua ad atteggiarsi come il primo della classe.                              Uno che - come diceva Leo Longanesi di Curzio Malaparte - al matrimonio vuole essere la sposa e al funerale il caro estinto.                                                                     L’indomani (14/6), in partenza per Palerno, incontro all’aeroporto di Fiumicinio  Occhetto e la sua compagna. Con loro c’è anche Ammavuta.                                   Achille (che oggi quando m’incontra finge di non riconoscermi- ndr) si lascia andare, arrivando addirittura a sentenziare che “Pajettta ha parlato contro Berlinguer”.              Un giudizio eccessivo anche se, in effetti, dal suo discorso è venuto fuori un ritratto non pienamente corrispondente alla personalità del segretario del Pci, sicuramente, il più amato, e rispettato, dentro e fuori del Partito. In alcuni passaggi, a braccio, si lasciò sfuggire degli accenni critici (indiretti) alla più recenti posizioni di Berlinguer contro il decreto Craxi per il taglio della scala mobile e ai tentativi di ricerca di punti di contatto, di convergenza con la Dc, allusivi alla vicenda dell'on. Aldo Moro, non citato per nome.                                                                                                                                                   E' inutile negarlo, nel Pci c’e una corrente di pensiero (e d’azione) che flirta con il craxismo anche quando questo opera per ridimensionare il Pci, per capovolgere, in suo favore, i rapporti di forza all’interno della sinistra.                                                   Secondo questo pensiero in simil pelle, la grande forza popolare, democratica, elettorale del Pci costituisce in Europa un’anomalia da eliminare, quantomeno da ridimensionare.     Non è un mistero che, per quanto non dichiarata, tale tendenza si polarizza, si organizza intorno alla “corrente” migliorista a cui anche Pajetta si richiama.                                 Anche in questo drammatico frangente, Giancarlo Pajetta si è dimostrato un esibizionista, per altro senza più quella verve polemica, ironica che, in passato, lo ha contraddistinto nello scontro politico e parlamentare.                                                        E' vecchio, eppure non mostra alcuna intenzione di “far posto ai giovani”. Sostiene che vuole “morire sul campo” ossia non mollare gli incarichi di alta e delicata  responsabilità, specie nel settore esteri, che detiene da una vita.                                                              Pur sapendo di sfidare l’ira del nostro popolo, a piazza San Giovanni anche la Iotti ha voluto ringraziare, pubblicamente, Bettino Craxi, (per che cosa poi?) l’uomo che nel recente congresso del Psi, a Verona, non ha fischiato Berlinguer solo “perché non sapeva  fischiare”. Com’era prevedibile, al solo udire il nome di Craxi la piazza di San Giovanni insorse, fece partire una marea di fischi che annichilirono il serioso presidente del Consiglio seduto in prima fila sulla tribuna d’onore.                                              Posizioni di ostentato dissenso rispetto alla linea del defunto segretario nei rapporti con Craxi che creano confusione e disagio nel partito e consentono al leader del Psi di poter affermare che “non tutti nel Pci condividono la linea della scontro” e a Martelli di blaterare che Berlinguer è un “neurocomunista”.

Tutta “robetta” che non possiamo accettare passivamente. Perciò su tali aspetti nel Pci è aperto uno scontro duro, destinato ad aggravarsi dopo la morte, precoce e inattesa, di Enrico Berlinguer.                                                                                                            Chi sarà il nuovo segretario? Al momento nessuno può dirlo. Tutto è affidato alla direzione del partito che speriamo non sbagli la scelta. Delicatissima.                             La Direzione, con la “D” maiuscola, è una sorta di Olimpo del nostro partito, dove si concentra quasi tutto il potere decisionale di una forza che vanta circa due milioni d’iscritti e oltre dodici milioni di voti. Un dato - a dir poco- anacronistico, di fatto, prevaricante rispetto ai diritti democratici di partecipazione degli iscritti e degli elettori.    Non è più ammissibile tale, alta concentrazione del potere nelle mani di un gruppo ristretto di compagni, per altro non tutti e non sempre affidabili nella gestione. Non è solo un problema di uomini, ma di sistema, del meccanismo di formazione della decisione e della sua gestione politica, interna ed esterna, che bisognerebbe riformare il più presto possibile. Speriamo! Altro non possiamo dire. Speriamo!                                    La stragrande maggioranza dei compagni con i quali ho parlato in questi giorni si sono pronunciati per Pietro Ingrao e/o per Alfredo Reichlin. Eppure sappiamo che nessuno dei due potrà essere eletto segretario. Staremo a vedere... (a.s.)

Articolo connesso: 

https://www.welfarenetwork.it/che-cosa-ci-faceva-un-austriaco-armato-dietro-la-porta-di-berlinguer-agonizzante-agostino-spataro-20201123/

* queste note, tratte da uno dei miei 49 quaderni, sono state scritte in quei giorni drammatici. 

Biografia: it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro

  

 

 

 

 

 

giovedì 3 giugno 2021

IL PREMIO ANCHE AI MAFIOSI?

di Agostino Spataro

Forse non ci crederete, ma per scrivere l'articolo qui allegato sono partito da alcune solide ragioni politiche e sociologiche maturate a metà degli anni '80 e "suffragate" da un detto della medicina popolare che fu una pratica diffusa nella società contadina: "U muzzicuni du cani si sana cu lu pilu di lu propriu cani". Traduco per i palati più fini: "Il morso (del cane) si guarisce con il pelo del cane aggressore." Così succedeva che bisognava inseguire quel cane rancoroso per strappargli un ciuffo del suo pelame che - lo sciamano-  avrebbe applicato sulla ferita. Stiamo parlando di pratiche antichissime sopravvissute fino agli '50 del secolo scorso. 

Che dire? Talvolta tale metodo funzionava, altre volte no, provocando conseguenze ben più gravi del morso canino. 

Fuor di metafora, l'articolo, pubblicato in prima pagina da "Il Manifesto" del 30 ottobre 1984, credo rivesta una qualche importanza se non altro per il fatto che per la prima volta un deputato nazionale del PCI esponeva in pubblico un pensiero che correva fra le file del partito che però nessuno si decideva a esternare e magari a tramutare (siano a due anni dall'assassinio di Pio La Torre) in proposta di legge. In quei giorni, scosso anche da un episodio di mafia, feroce e terribile, accaduto a Palermo, scrissi il pezzo e lo inviai al Manifesto con il quale collaboravo per i temi di politica estera.

Fu pubblicato in "prima" e pertanto fece un certo scalpore nell'ambiente politico e parlamentare. Alcuni del mio partito dissero che era "una fuga in avanti" (la solita solfa di chi non vuole smuovere nulla), altri ch'era opportuno discuterne prima negli organismi (campa cavallo), altri ancora (più numerosi) vennero a congratularsi, senza farlo sapere in giro. Però. Fra questi un deputato che oggi siede sull'alto scanno della Corte Costituzionale.

Anche molti  "avversari", compresi alcuni membri del governo, vennero a complimentarsi in modo palese o sottobanco. Insomma, l'articolo aveva un pò scosso le acque stantie della politica in quel terribile frangente.

Un contributo sincero da certuni non gradito, forse perché si pensava che noi lì, in Parlamento, fossimo solo dei buoni monaci portatori d'acqua ossia di voti che, intruppati nei loro ordini debbono servire tacendo.   

Dopo l'articolo non successe nulla di concreto sul terreno politico e parlamentare. Bisognerà aspettare il 1991 quando, con la collaborazione assai qualificata dei magistrati dr. Giovanni Falcone e Antonio Scopelliti, il governo, presieduto dall'on. Giulio Andreotti, con Claudio Martelli ministro della Giustizia, emanò un decreto legge (n. 82 del 15 marzo 1991) che introduceva una efficace normativa premiale mirata a favorire la collaborazione con gli organi di giustizia dei cd. "pentiti" di tutte le mafie. Di tale normativa ne hanno usufruito in tanti, fra cui Giovanni Brusca.

Ma eccovi l'articolo: