(In attesa dell'edizione italiana, proponiamo il testo in italiano del nono capitolo)
IL NUOVO CALIFFATO E’ LA SOLUZIONE ISLAMISTA?
IL NUOVO CALIFFATO E’ LA SOLUZIONE ISLAMISTA?
1… Se Mena è stata la risposta sostitutiva
Usa ai trattati sul partenariato euro-mediterraneo di Barcellona, l’Is potrebbe
essere la nuova risposta islamista al tentativo (in gran parte fallito) di
aggregazione dei paesi arabi in tre Consigli regionali: Unione del Maghreb arabo, Consiglio di cooperazione del
Maskrek e Consiglio di Cooperazione del Golfo.
Al suo inatteso apparire sui
campi di battaglia si chiamò Isil (Islamic State dell’Iraq e del Levante). Poi
si estese in altre aree arabe di crisi (Egitto, Libia), minacciando,
addirittura, di voler aggredire l’Europa, e divenne semplicemente Is (Islamic
State). In arabo si chiama Daesh ossia “Ad dawla al islamiya fi 'Iraq wa
Shem” che è l’acronimo originale da cui discende Isil.
Su tale denominazione si è
aperta una vigorosa diatriba in Occidente e nel mondo islamico. Quasi che il
vero problema fosse il nome e non scoprire più precisamente la sua vera natura
e identità politica e soprattutto la finalità che persegue. Per semplificare,
lo chiameremo IS (Islamic State), come, generalmente, l’intende l’opinione
pubblica.
Il problema non è tanto
conoscere il significato del nome quanto capire la “missione” che si è data o
che gli è stata assegnata. L’opinione pubblica, sempre più terrorizzata, vuole
sapere cosa sia esattamente l’Is: un nuovo “flagello” che minaccia l’Oriente e
l’Occidente o una nuova sigla, fra le tante, subentrata a “Al Qaeda” che, dopo
la scomparsa di Osama Bin Laden, sembra avviata verso il declino?
L’IS vuole proseguire l’opera
intrapresa da “Al Qaeda” o realizzare un progetto nuovo, più ambizioso?
Oppure, sta facendo il
“lavoro sporco” per conto terzi ossia ripulire il Medio Oriente, l’area Mena,
di quei regimi residui che le armate occidentali e dei loro alleati in loco
(Turchia, Arabia Saudita, Qatar, ecc) non sono riuscite a scalzare?
Ci s’interroga,
legittimamente, su come sia nato, chi sia stato il suo mallevadore politico e
finanziario, chi sono, da dove spuntano queste migliaia di combattenti ben
addestrati e bene armati che stanno mettendo in serie difficoltà gli eserciti
della Siria e dell’Iraq ossia i più potenti del medio oriente, dopo quello
israeliano.
Per quanto è dato saperne, la
gran parte delle milizie proviene da vari paesi arabi e islamici poveri (dal
Maghreb ai paesi dell’Asia centrale ex sovietica) sospinti dalla fede e dalla
disoccupazione, attratti da buone paghe alle quali si aggiungerebbero, in caso
di morte, le promesse beatitudini del paradiso coranico. Taluni provengono
anche da diversi paesi europei, sarebbe più corretto dire da diverse periferie
urbane di grandi metropoli europee (Parigi, Londra, ecc.) e dalle regioni
balcaniche a prevalente confessione musulmana.
La sociologa francese Maryse
Esterle, che ha osservato a lungo il
fenomeno, soprattutto sul versante delle periferie
parigine, così tratteggia l’identikit del combattente islamista europeo:
“E’ evidente che la situazione socio-economica di uno
strato di giovani svantaggiati, disoccupati o discriminati sul lavoro, nella
vita sociale che vengono da nonni o genitori di origine nordafricana , è un terreno fertile per farli crescere nella
disperazione. Questo segmento di giovani è facilmente attratto dalla propaganda dello Stato Islamico.
Poiché trovano nello stato islamico una promessa di vendetta sociale, il
riconoscimento, la possibilità di appartenere a un gruppo guerriero, a una
ideologia di dominio, ultravirile, che promette loro di arrivare in paradiso
quando muoiono come martiri". (1)
2… Strano, però. Siamo davanti a
un’organizzazione politica e militare che conquista parti importanti di
territorio nel cuore del M.O., resasi responsabile di massacri e distruzioni
davvero riprovevoli e nessuno, nemmeno le centrali d’intelligence delle grandi
potenze, riesce a far sapere al mondo chi sono e che vogliono quelli dell’IS. E
dato ancora più strano, solo “Site”, un’agenzia di stampa diretta
dall’israeliana Rita Katz, (2) di stanza negli Usa, riesce a carpire (e a
vendere) le notizie e le foto più drammatiche della guerra dell’IS.
“Senza di lei - scrive il Corriere della
Sera- l' Occidente non avrebbe mai visto i filmati delle barbare
decapitazioni compiute dall'Isis nell'ultimo anno, compresa quella dei 21
contadini copti, né avrebbe saputo così tanti particolari sul Califfato e i
suoi obiettivi, in sintesi della sua propaganda.”
Cos’altro aggiungere? In
attesa di un’informazione più completa e veritiera, si può solo dire: meno male
che Rita c’è!
Comunque sia, dalle rare
dichiarazioni pubbliche (autentiche o attribuite?) si può rilevare che il
“califfo” Al Baghdadi miri molto in alto, dove nemmeno Bin Laden aveva osato.
Il quadro delle connivenze
non è chiaro. Tuttavia, si sa che Is ha goduto di aiuti notevoli da parte di
Arabia Saudita (specie nella fase iniziale dei combattimenti) e dell’ampia
cooperazione della Turchia islamista di Erdogan che è stata ( è) il corridoio
privilegiato per i collegamenti logistici, i rifornimenti di uomini e armi, e
per la vendita “clandestina” di enormi quantità di petrolio per
l’autofinanziamento. Come si fa, clandestinamente, a convogliare enormi
quantitativi di greggio, avviarli su pipeline internazionali, caricarli su navi
petroliere senza che le tante, occhiute autorità se ne accorgano? Mistero!
Fra un mistero e l’altro,
l’Is avanza e conquista parti importanti di territorio di Iraq e Siria (l’osso
duro), nodi strategici per il controllo della regione, sotto gli occhi,
evidentemente annebbiati dalle sabbie sollevate durante i rari decolli degli aerei
della coalizione internazionale occidentale appositamente creata e armata per
liquidare il tentativo del neo-califfato.
3… In attesa che qualcuno spieghi alle
opinioni pubbliche araba e internazionale che cosa sia effettivamente questa
organizzazione, chi la finanzia, chi la dirige, una cosa appare certa: l’IS
vorrebbe appropriarsi dell’idea del “califfato” che è anche un’aspirazione, non
del tutto sopita, politica e ideologica, che potrebbe riprendere quota
nell’immaginario del mondo islamico.
D’altra parte, l’idea non è
nuova ma vecchia quanto l’intera storia dello Stato islamico, fondato da
Maometto e proseguito dai primi quattro califfi “ben guidati” (rasiduna).
Una storia durata circa 13
secoli, interrotta drammaticamente il 3 novembre 1924 con l’abolizione del
califfato decretata da Mustafà Kemal (detto “ataturk”, padre dei turchi)
ispiratore e guida della “rivoluzione”
dei giovani turchi e padre della Repubblica laica della moderna Turchia.
Oggi, a quasi un secolo dalla
sua abolizione, lo vorrebbe far rinascere l’auto-proclamatosi califfo Al
Baghdadi.
Questo, grosso modo, il
problema. L’ambizioso progetto andrà avanti? L’IS si affermerà o sarà
cancellato dalla geo-politica del Medio Oriente?
La situazione resta confusa e
aperta a esiti diversi, anche di segno contrapposto. Vedremo.
Intorno all’IS ci saranno (ci
sono) le connivenze politiche, le strumentalizzazioni, gli interessi esterni,
ma c’è anche una certa “ricettività” sociale che consente a quest'
organizzazione, venuta dal nulla, di trasformarsi, in un lasso di tempo breve,
in una sorta di esercito di “liberazione”, in entità statuale insediata in
territori strategici a cavallo fra Siria e Iraq.
Tranne gli sciiti e le
formazioni curde, fra le quali le eroiche donne di Kobane, nessuno si oppone
sul serio all’avanzata dell’IS.
Nonostante gli errori, le
orrende stragi ammonitrici, le contraddizioni e le visioni, talvolta, inganne-voli,
l’IS sembrerebbe volere offrire al movimento islamista mondiale una risposta
concreta e affermativa a una grande questione, politica e ideale, che, da lungo
tempo, si pone nel mondo arabo: come uscire dal neo-colonialismo e restaurare
la “umma” ossia la comunità musulmana (senza confini geopolitici interni) con a
capo, appunto, un califfo.
4… Ipotesi, suggestioni, supposizioni che
evocano una storia antica. La questione del califfato, infatti, si pose subito
dopo la morte del Profeta provocando fra le diverse etnie e tendenze islamiche scontri
sanguinosi e più di uno scisma. Il più importante fu quello “sciita” avvenuto,
nell’anno 61 dall’Egira (680 d.C), a seguito dell’uccisione, a Karbala, per
mano di sicari degli Omeyyadi di Damasco, di Husayn aspirante califfo in quanto
ultimo discendente di Alì genero e cugino del Profeta.
Questo assassinio sancì la rottura definitiva
fra la corrente “sunnita” maggioritaria e la compo-nente fatimita (da Fatima,
figlia del profeta Maometto e sposa di Alì) che pretendeva la scelta del
califfo fra i discendenti del Profeta.
Ancora oggi, lo sciitismo,
dominante in Iran e diffuso in diversi paesi del M.O., divide il mondo islamico
e costituisce il principale nemico (interno) dell’IS.
Da segnalare all’interno
dell’antico confronto, la corrente dei “karagiti” che si differenziava da
entrambe le correnti maggioritarie, la quale nel 657 provocò una sanguinosa
sedizione per rivendicare l’uguaglianza effettiva di tutti i musulmani, di
condizione sociale e di razza, a poter accedere al soglio califfale.
Con la vittoria della
rivoluzione laicizzante dei “giovani turchi”, Mustafa Kemal abolì il califfato
e instaurò la repubblica, spostando la capitale da Istanbul ad Ankara.
Un taglio netto con una lunga
tradizione politica e religiosa, con l’istituzione che, più di ogni altra,
nell’Islam rappresentava la guida dei credenti e dell’impero.
Un vero trauma per la
comunità musulmana mondiale che da allora vive nel “dramma” di essere una
grande religione (circa 2 miliardi di fedeli) senza un capo spirituale e
politico cui fare riferimento.
Con tutte le differenze del
caso, immaginate quali conseguenze potrebbero derivarne per la chiesa cattolica
se qualcuno, improvvisamente, decretasse la fine del papato. Per altro,
diversamente dai Papi post- risorgimentali, il Califfo era una guida
ambivalente ossia dotata di potere spirituale e temporale.
In piena fase di
dispiegamento del “nuovo ordine mondiale”, la “questione” del califfato è
divenuta d’attualità poiché, a parte le elites delle petro-monarchie che nel
nuovo ordine sembrano trovarsi a loro agio, molte tendenze confessionali
islamiste, anche moderate, vogliono sottrarre il mondo arabo-islamico al controllo
economico e militare delle nuove potenze d’Occidente e d’Oriente.
Pertanto, la creazione del
califfato va vista, soprattutto, come una questione di potere, politico ed
economico, nel senso che si vorrebbe ri-unificare il mondo islamico sotto le
insegne di un nuovo califfo per farlo partecipare, da protagonista, alla
costruzione del nuovo ordine internazionale.
Ovviamente, anche questa può
essere considerata una chiave di lettura soggettiva, un’ipotesi interpretativa,
una deduzione logica, fra le tante, che
si possono trarre da questa iniziale esperienza dell’IS e che attendono il
vaglio della storia e della dura, ambigua realtà che la contorna.
5… Dopo l’invasione dell’Afghanistan dei
taleban e dell'Iraq di Saddam Hussein gli anglo-americani e i loro alleati
della Nato s' illusero d'aver vinto la guerra contro il “terrorismo” islamico
che, in più casi, era stato foraggiato, coperto dai servizi degli stessi paesi
belligeranti.
Vittorie illusorie, appunto.
Poiché gli eserciti “vittoriosi” sono ancora laggiù a combattere e/o a
presidiare governi fantoccio che non ce la fanno a risolvere gli immani
problemi sociali e tribali, mentre il “terrorismo”, dato per morto, appare più
baldanzoso e continua a diffondersi in paesi dove, prima, non era mai
attecchito, a cominciare dall’Iraq e dalla Siria.
A causa degli errori compiuti
dai leader occidentali e delle ambiguità dei loro servizi d’intelligence il contesto
operativo delle forze terroristiche si è ampliato, si è evoluto, passando da
“Al Qaeda” di Osama bin Laden, eliminato in circostanze ancora poco chiare, al
cosiddetto Stato islamico.
Nell'attesa che qualcuno si
decida a interrompere questo spietato "romanzo scellerato", vediamo
di abbozzare un ragionamento politico per tentare di capire gli obiettivi
principali della strategia della galassia
islamista.
Tutto iniziò nel 1967, a seguito della
sconfitta delle armate arabe nella guerra dei “sei giorni” contro Israele e non
nel 1979 anno della “rivoluzione” khomeynista in Iran che instaurò la
repubblica islamica di tendenza “sciita”, con la quale non s’identificano la
gran parte dei gruppi integralisti di tendenza “sunnita”.
Il famoso giornalista
egiziano Fuad Zakariya così sintetizza il senso di questo passaggio cruciale: “Oltre alla disfatta disastrosa della
“guerra dei sei giorni”, il 1967 segna nel mondo arabo l’inizio di tutta una
serie di rinculi: in politica estera, crescente sottomissione all’imperialismo
mondiale; in politica interna, aumento delle politiche repressive e
terroristiche; sul piano culturale, ritorno in forza delle tendenze più
retrograde ; sul piano economico e sociale, fallimento evidente delle società
musulmane a stabilire un minimo di giustizia e a mobilitare le loro risorse
(leggi: idrocarburi) ai fini di un autentico sviluppo.” (3)
6… La cosiddetta “guerra al terrorismo”,
proclamata da Bush, con singolare tempismo ossia il giorno stesso
dell’attentato alle Torri gemelle di New York, rafforzò nell'opinione pubblica
mondiale il fondato sospetto che egli l'abbia scatenata per il controllo
strategico dell'area del Golfo e delle immense risorse petrolifere irachene.
Così come - dall'altro lato –
si ritiene che Putin si ostini a mantenere lo stato d'occupazione russa della
Cecenia per il controllo sulle risorse petrolifere insistenti nelle regioni
dell'Asia centrale.
Da notare che dette regioni
costituiscono i due principali poli nei quali si concentrano le maggiori
riserve energetiche del pianeta e che entrambi insistono in paesi di tradizione
islamica o dell' agognata "umma" musulmana propugnata dalle
organizzazioni islamiste radicali.
Ovvero nei territori
dell'Islam che nel sottosuolo detengono immense ricchezze, mentre in superficie
mostrano le più grandi ingiustizie sociali: miseria, disoccupazione,
analfabetismo e arretratezza cronica, ecc. Il petrolio "islamico",
che per alcuni decenni farà ancora girare l'economia mondiale, è l'unica
risorsa strategica di cui dispone il mondo arabo, fino ad oggi malamente
gestita dai gruppi dominanti dei singoli
paesi.
Soprattutto dai clan regnanti
sulle petro-monarchie che realizzano una scandalosa concentrazione di ricchezze,
in buona parte trasferite nel sistema delle grandi corporazioni economiche e
finanziarie nord-americane e occidentali.
Pur con tutte le ambiguità e
le contraddizioni manifestatesi, una cosa appare chiara: il progetto islamista
mira al controllo delle principali aree petrolifere del Medio Oriente (comprese
quelle di pertinenza delle petro-monarchie) e della Libia e dell’Algeria nel
Maghreb ossia nella sponda sud del Mediterraneo.
A ben guardare, si tratta di
uno spazio geo-politico giustapposto a quello delimitato dal “cerchio” Mena. E
- fatto più sorprendente- ricalca, in larga misura, i confini del vecchio califfato,
dell’impero ottomano. Sempre rimanendo nel campo delle ipotesi possibili, si
può notare che se da un lato gli Usa hanno lavorato per sterilizzare il
progetto del partenariato euro-mediterraneo di Barcellona per lanciare il
progetto Mena, dall’altro lato l’IS (o chi verrà dopo) ha soppiantato l’idea
generica della “umma” musulmana di “Al Qaeda” per proclamare l’obiettivo del
nuovo califfato.
A questo punto potrebbe
insorgere un nuovo conflitto poiché i due disegni ( Mena e Stato islamico
neo-califfale) si vorrebbero realizzare sul medesimo territorio.
7… Sullo sfondo di tale “problema”
aleggiano alcuni interrogativi di non poco conto che pesano su questo spazio
molto conteso.
In particolare uno: la
competitività tra Is e cerchio Mena è vera o solo di facciata? E, se vera, fino
a che punto s’intende portarla avanti?
In assenza di riscontri
attendibili, non è possibile dare risposte certe a tali interrogativi che
stanno lacerando il Medio Oriente e mandato in tilt molte cancellerie.
Il discorso ritorna al cuore
del problema che sta nelle relazioni Occidente- mondo arabo/islamico e aventi
per oggetto della contesa il controllo delle risorse di petrolio e di gas
insistenti nella regione.
Nella sostanza, cambiano solo
gli attori del confronto e il contesto geo-politico di riferimento.
Seguendo la recente evoluzione
dei rapporti fra occidente (Usa / U.E) e mondo islamico si può notare- come
dato più rilevante- il passaggio da un disegno di cooperazione pacifica a uno
di tipo interventista qual è il Mena propugnato dalle amministrazioni Usa.
Per non avere ostacoli sul
cammino del Mena, è stato deciso di congelare l’iniziativa europea e di
sbarazzarsi della presenza, divenuta ingombrante, di Osama Bin Laden e della
sua “Al Qaeda”, oggi allo sbando. L’incubo sembrava finito con l’eliminazione
di Bin Laden. Quando, improvvisamente, è spuntato, fra i pozzi di petrolio
della pianura mesopotamica, il cosiddetto IS che si auto-propone come teoria
redentrice dell’Islam annichilito dalle sconfitte, dai “tradimenti” e come entità
statuale, come nucleo costituente del nuovo Califfato.
8… Molti, al solo sentire parlare di
“Stato islamico” sono balzati dalle loro comode poltrone di commentatori
blasonati, di direttori d’importanti giornali e canali televisivi, di
specialisti e di consulenti di “cose arabe”, ecc.
In realtà, nel mondo arabo l’esigenza
di uno Stato moderno, islamico o laico, è vecchia di almeno due secoli. Taluni
la fanno iniziare con il “risveglio” che seguì la memorabile spedizione in
Egitto di Napoleone (1798-1801) che portò sulle rive del Nilo lo spirito della
rivoluzione francese.
Nei circoli intellettuali
arabi (non solo egiziani) si aprì un dibattito sulla “modernità” che diede vita
a una importante corrente di pensiero “l’Ennahda” (la “rinascita”) che
influenzerà il corso politico e culturale di gran parte dei paesi di tradizione
sunnita.
Fu quello il primo serio
confronto fra il mondo arabo e l’Europa investita dalla rivoluzione francese
ossia da un evento epocale che aveva cambiato la natura del potere e dei suoi
rapporti con i cittadini.
Dall’Ennadha nacquero nuove
tendenze culturali e politiche, associazioni e movimenti per i diritti civili,
compresi quelle delle donne allora totalmente conculcati, che presto
incontrarono le idee innovative di Mohammed Alì Pascià, lo statista, il capo
militare, il politico visionario, costruttore dell’Egitto moderno e fondatore
della dinastia abbattuta nel 1952 dalla “rivoluzione” degli ufficiali liberi di
Gamal Abdel Nasser.
Abbiamo accennato a tali
riferimenti storici per dire che non sempre la storia moderna del mondo arabo è
stata così tenebrosa come oggi a molti piace rappresentarla.
9… Anche durante l’Ennahda si registrarono
alti e bassi, contrasti, contraddizioni.
Particolare menzione merita
il movimento wahabbita, sorto anch’esso sul finire del XVIII° secolo fra le
sabbie dell’attuale Arabia saudita per iniziativa del predicatore solitario
Mohammed Abdel Wahab che parve nato per contrapporsi al “risveglio” egiziano.
Fu quello l’Islam “beduino”,
nato fra le infuocate sabbie del Sahara detto anche “il quarto vuoto”. Un
movimento veramente fondamentalista rigido, conservatore che propugnava il
“ritorno” all’Islam delle pure scaturigini, contro ogni modernità e le
interpretazioni revisionistiche dei testi sacri.
Nonostante il suo carattere
ortodosso non si può dire che il wahabismo fu un’elaborazione originale poiché Wahab
attinse molto alle teorie fondamentaliste di Ibn Taimiyya, pensatore e teologo
siriano vissuto nel XIV° secolo.
Il wahabismo, per quanto
confinato nella penisola araba, acquisterà una crescente importanza nei primi
decenni del XX° secolo, quando incontrerà la “spada” della potente tribù dei
Saud e diventerà, praticamente, una sorta di religione del regno. Ancora oggi, il
wahabismo plasma e orienta certe azioni di proselitismo, di finanziamento
operate dalla potente dinastia che, oltre ad avere un’enorme ricchezza
petrolifera, e la custode dei principali luoghi santi dell’Islam: Mecca e
Medina. Tutto ciò per dire che non si sta parlando di “favole” di un misterioso
Oriente, di un medioevo superato dai tempi e condannato dalla storia, ma di una
pregnante, drammatica attualità che influenza il corso delle cose sia nel campo
dottrinario e morale sia in quello commerciale e finanziario internazionale.
Il “fondamentalismo” di cui si parla è figlio di
tali processi i quali sfociano in rivolte periodiche e quasi mai in vere
rivoluzioni.
La rivoluzione, oggi, necessaria per il mondo
arabo sarebbe quella per affermare la laicità dello Stato e i diritti civili e
politici dei cittadini.
Insomma, una rivoluzione come quella che fecero
i francesi nel 1789 ossia il più grande evento della storia moderna che, a
parte qualche eccesso, consentì ai popoli europei di passare dalla condizione
di sudditi di regimi assolutistici alla dignità di cittadini liberi.
10… Sulla questione dello Stato arabo
moderno, improntato sulla democrazia e sulla laicità, si sono incontrate forti
opposizioni, resistenze di vario tipo che hanno svuotato o impedito le poche
riforme avviate soprattutto dopo il crollo del califfato ottomano in diversi
paesi islamici.
Addirittura, con l’avanzare
dell’islamismo radicale e dei movimenti politici dei “Fratelli musulmani”, che
hanno cavalcato l’onda delle “primavere arabe”( in Egitto, Tunisia, Libia,
Yemen, ecc), si è temuta una regressione rispetto alle timide riforme civili
introdotte con lo Stato-nazione post-coloniale. Infatti, sia l’islamismo
radicale militante sia il wahabismo governante rifiutano i concetti di
democrazia e di laicità dello Stato.
Questione di enorme
importanza sul piano teorico e politico, ma anche sul terreno del confronto in
corso all’interno del mondo arabo e dello scontro che taluni gruppi (prima Al
Qaeda, oggi IS, ecc) hanno intrapreso, in un clima di ambiguità, contro
l’Occidente, variamente inteso e rappresentato.
Tale strategia s’innesta nel
malessere diffuso nei popoli arabi, derivato dalla crisi economica e dello
Stato-nazione, che nasce, soprattutto, non dalla pretesa inapplicabilità del
modello statale importato, quanto dal tipo di gestione politica dello Stato e
dagli andamenti del mercato e del contesto internazionali.
A causa delle immense risorse
petrolifere, gli Stati arabi moderni e le loro elites al potere hanno dovuto
subire, dal secondo dopoguerra in poi, i condizionamenti delle politiche delle
grandi potenze mondiali che hanno concentrato su queste aree le loro mire
egemoniche.
In assenza di una
partecipazione e di una cultura democratiche, in questi Paesi si sono avuti Stati
strutturalmente deboli, governati all’insegna di una concezione autoritaria,
talvolta anche tribale, all’interno della quale s’intrecciano elementi di
modernità e residuati di una visione dispotica e feudale.
Perciò, non si può fissare-
come nota il sociologo algerino Mohammed Arkoun- “una tipologia degli Stati contemporanei nei paesi islamici. Non si può
parlare né di monarchie puramente tradizionali o moderniste, né di repubbliche
effettivamente rivoluzionarie, né liberali, né di stati totalitari, né
Stati-nazione, ecc.” (4)
In realtà, lo Stato arabo
moderno, qualunque sia la sua natura politica e configurazione istituzionale,
ha retto fino a quando la situazione economica e finanziaria ha consentito di
tenere in equilibrio i due assi portanti sui quali poggiava: lo stato sociale,
fortemente assistenziale, per far fronte ai bisogni delle masse popolari e la
ricerca dell’arricchimento del blocco di potere che con lo Stato si è
identificato.
11.. Nei primi anni del nuovo secolo
(XXI°), a causa delle politiche liberiste e delle minori entrate dovute alle
frequenti riduzioni dei prezzi internazionali degli idrocarburi, tale, precario
equilibrio si è alterato a svantaggio dei ceti meno abbienti, degli inoccupati
(specie giovani diplomati e laureati ) che costituiscono la massa di manovra
dei movimenti estremisti e la parte più corposa dei nuovi flussi migratori
verso l’Europa.
Le minori entrate, la fuga
dei capitali all’estero, gli sperperi provocati da fenomeni di corruzione su
vasta scala, l’incremento vertiginoso delle spese militari e del debito
pubblico, l’indebitamento con l’estero, hanno fatto precipitare la situazione e
richiesto l’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali
(principalmente del Fmi) che con le loro politiche di aggiustamento hanno
accelerato la crisi degli Stati – nazione portandoli verso livelli
d’ingiustizia sociale insopportabili.
Su tale, diffuso malessere si
sono innestate le cosiddette “primavere arabe” in Tunisia, Egitto, Yemen e le
stesse “rivoluzioni” in Libia, in Siria, ecc. che trattandosi di movimenti in
gran parte in sintonia con la setta dei “Fratelli mussulmani” o, peggio,
sospettati d’essere ispirati e finanziati da alcune potenze occidentali non
hanno incontrato una vasta accoglienza fra le masse popolari più disagiate.
I risultati di tali azioni
sono sotto gli occhi di tutti: in meno di quattro anni i nuovi equilibri
politici sono stati ribaltati in Egitto con un colpo di stato e in Tunisia con
le elezioni, mentre per sovvertire il potere nella Libia del colonnello
Gheddafi e nella Siria di Bashar Assad so è dovuto ricorrere all’intervento dei
gruppi qaedisti residui e delle “armate” dell’Isis che vorrebbero imporre con
la violenza il califfato.
12… Nell'era della globalizzazione
dell'economia, i gruppi islamisti vorrebbero appropriarsi del petrolio e
trasformarlo in un'arma formidabile non per distruggere l'Occidente (obiettivo
quanto-meno improbabile, poiché nessun venditore si sognerebbe di distruggere
il suo miglior cliente), quanto per condizionarlo nel meccanismo basilare del
suo sviluppo e garantire allo Stato islamico che verrà un ruolo politico ed
economico decente nei nuovi assetti del potere che si andranno a determinare
nell'ambito del "nuovo ordine internazionale".
Non c'è dubbio che il primo,
grosso ostacolo al dispiegamento della strategia islamista era costituito dai
regimi al potere corrotti e succubi alla politica neo-coloniale dell'Occidente
che gli islamisti vogliono abbattere senza eccezione alcuna. “Laici” o
“integristi” che dir si voglia, poiché gli Stati cui ci riferiamo non sono né
laici e nemmeno integristi, ma semplicemente delle monarchie assolutiste e/o
delle repubbliche dittatoriali ereditarie.
Per gli islamisti radicali,
infatti, non c'era grande differenza fra il “diavolo” (perché relativamente
laico) Saddam Hussein e la dinastia wahabbita (fondamentalista e oscurantista)
dell'Arabia saudita o fra il “socialista” Gheddafi e il filooccidentale
Moubarak.
A loro dire, sono tutti
espressione e detentori di un potere abietto che sottrae all’Islam la sua arma
principale di emancipazione e di diffusione: il petrolio.
Perciò, quando Bush- figlio,
facendosi malissimo i conti, tolse di mezzo Saddam fece una cosa gradita agli
islamisti che non alzarono un dito per fermare le armate anglo-americane in
Iraq, anzi molti si aggregarono, parteciparono all’invasione.
In Arabia saudita, dove il
potere petrolifero è saldamente nelle mani dei Saud, i più fedeli alleati degli
Usa, ci hanno pensato i martiri di Al Qaeda a scuotere il regime a colpi
d'attentati suicidi, in attesa della sollevazione generale che, com'è successo
nell'Iran dello Scià, sperano travolgerà la dinastia più ricca e potente del
Medio Oriente.
In questa guerra anomala
contro "il terrorismo", combattuta fra ex alleati e per interessi
inconfessabili, alcuni governi europei fanno a gara per potervi intervenire,
anche con mansioni subalterne, per andarsi a sedere al tavolo dei vincitori e
spartirsi i dividendi prodotti dallo sforzo bellico.
Anche questo è un segno dei
tempi (bui) che stiamo vivendo: ieri ci si attivava per partecipare ai
dividendi della pace, oggi ci si accapiglia per accaparrarsi qualche modesto e
sanguinoso dividendo della guerra.
13… L'altro elemento della strategia dei
gruppi islamisti, da considerare con inquietudine, è il ricorso, ormai
sistematico, agli attentati stragisti come metodo privilegiato di lotta contro
i nemici interni della Dar-al- Islam (Arabia Saudita,
Algeria, Egitto, Yemen, Libano, ecc) ed
esterni della Dar al-Harb (Usa, Israele, Kenia, Francia, ecc.).
Tradizionalmente, i vari
gruppi hanno usato il terrorismo, anche suicida, soprattutto in azioni di tipo
resistenziale (come nei Territori palestinesi e nel Libano del sud occupati
dagli israeliani), seces-sioniste (Kashmir, Filippine, ecc) o per il
rovesciamento dei poteri cosiddetti "empi" (Egitto, Algeria, Siria).
Quasi mai l'attacco terroristico è stato portato fuori dei territori
dell'Islam.
C'è qualcosa che non quadra rispetto alle più accreditate teorie integraliste.
Sembrerebbe, infatti, che si sia entrati nella seconda fase del
"Jihad" preconizzata da Sayyid
Qutb, massimo teorico dell'islamismo contemporaneo, il quale di una “seconda
fase” della guerra per l'instaurazione della Umma mondiale alla cui direzione
candida "un nucleo scelto di
credenti plasmato nella fede in un sol uomo". (5)
Poiché nel “jihad”,
combattimento sulla via di Dio, (6) vi sono due fasi. Nella prima “sarà rivolto
all’interno dei territori dell’Islam contro tutti quei regimi che hanno deviato
dalla giusta via. Mentre nella seconda fase, che avrà inizio “dopo che la charia (legge islamica) sarà
ripristinata nei territori dell’Islam (Dar-al- Islam), il Jihad sarà rivolto
contro i territori degli infedeli (Dar al-Harb), letteralmente “territori della
guerra”, poiché la guerra santa potrà avere termine solo con la Umma mondiale ossia quando il
mondo intero sarà convertito all’Islam.”
(7)
Non è molto chiaro tutto quel
che sta accadendo dentro la galassia islamista. Tuttavia, prima Bin Laden oggi
Al Baghdadi (Is), nei loro minacciosi proclami, hanno teso ad accreditarsi,
agli occhi delle masse dei credenti, come i più autentici interpreti del
pensiero di Qutb, atteggiandosi a leader indiscussi, quasi predestinati, della
rivoluzione islamista mondiale.
14 …In questa
guerra atroce, oltre a copiosi mezzi finanziari e a complicità politiche e
logistiche, il terrorismo islamista dispone di un'arma davvero impareggiabile:
le coorti dei martiri della fede che alimentano questo assurdo rito
sacrificale, imprevedibile quanto micidiale, contro il quale è difficile
approntare rimedi preventivi e strategie efficaci.
I neo-martiri, infatti, si
caratterizzano per un autismo impenetrabile, per una volontà fredda e
determinata che solo il fanatismo estremo può sorreggere.
Come notiamo in altra parte,
gli Usa e la Nato
hanno contrapposto a questa”arma” umana una soluzione tecnologica ben più
efficace e micidiale ossia il drone che consente al tecnico della guerra,
comodamente seduto in ufficio, di orientare il vettore senza pilota su
obiettivi ben selezionati anche se non ben mirati visto sovente scaricano le
sue bombe su scuole, piazze e civili abitazioni.
La risposta alla piaga del martire kamikaze non
può essere di tipo militare e/o lo scontro di civiltà, come in Occidente taluni
sconsiderati propongono di scatenare. In entrambi i casi non si andrebbe a
incidere sulle cause determinanti questo complesso e devastante fenomeno.
Il problema è lo sviluppo
socio-economico e democratico del mondo arabo che - tramite il petrolio -
vorrebbe affrancarsi dalla duplice dipendenza derivante dalle politiche delle
grandi multinazionali e dalle dittature nazionali.
Le forze democratiche
europee, ma anche quelle degli Usa, dovrebbero avviare un dialogo con tutte le
componenti progressiste e pacifiste, laiche e religiose, che costituiscono la
stragrande maggio-ranza del mondo arabo, per meglio individuare e rimuovere le
cause generatrici dell'attuale males-sere arabo e per costruire insieme una
prospettiva di co-sviluppo e di sicurezza reciprocamente garantita.
15 …In primo luogo, e subito, bisognerebbe
rimuovere il più grave ostacolo che si frappone fra Occidente e Medio Oriente:
il conflitto israelo - palestinese.
Un accordo di pace, equo e
duraturo, fra israeliani e palestinesi, che assicuri a questi ultimi la
creazione di uno Stato sovrano e a tutti i paesi della regione confini sicuri,
avrebbe contro il terrorismo un effetto pari a migliaia di missili, poiché
farebbe venir meno il suo principale elemento di agitazione fra le masse arabe.
Per contribuire a questo
sforzo, bisogna far chiaramente capire agli Usa, schierati a fianco d’Israele a
prescindere delle azioni e delle posizioni sbagliate che assume, che l'Europa
non è disposta a seguirli nel suo azzardoso unilateralismo imperiale e
notificare ai governanti d’Israele un no deciso alla loro politica repressiva
ed espansionistica in Palestina.
L'Europa dovrebbe operare una
svolta credibile in favore della pace e della dignità del popolo palestinese se
non vorrà essere costretta, domani, a negoziare con i capi islamisti i nuovi
termini del rapporto di scambio fra Occidente e Oriente.
16… Non c’è dubbio che il fenomeno del
“fondamentalismo” islamico costituisce il fatto più dirompente di questo inizio
del secolo e con il quale si dovranno fare i conti per lungo tempo.
Ma si tratta di vero
fondamentalismo o di Islam politico?
Su questo punto la confusione
è grande, già a partire dalla stessa definizione del fenomeno che non può
essere- a mio parere- chiamato "fondamentalismo", poiché - come
diremo- non si tratta di vero fondamentalismo inteso nell’accezione comune,
persino etimologica, che si attribuisce a tale termine..
Anche definirlo non è facile.
Si può tentare ricorrendo ad alcuni confronti con altre tendenze simili
maturate nell’ambito di altre religioni monoteiste.
In base alle conoscenze
generali e alla luce delle ricerche effettuate, il termine
"fondamentalismo" non dovrebbe essere applicato al fenomeno presente
nel mondo arabo che molti chiamano,
impropriamente, "rivoluzione islamista".
Il
"fondamentalismo", nel senso religioso, è un termine che
correttamente può essere applicato, ad esempio, a quei movimenti cristiani che,
all'inizio del ‘900, crearono negli Stati Uniti d’America alla nascita di sette
e gruppi protestanti che predicavano il rifiuto della modernità e il ritorno ai
fondamenti della dottrina cui ispirare l’organizzazione della vita delle
comunità.
Invece, gli attuali movimenti
religiosi islamisti accettano una serie d'innovazioni verificatesi, nel corso
degli anni, sia nella religione che nella vita pratica.
All'incirca, per le stesse
ragioni non si può parlare d’integralismo islamico perché questo concetto
definisce e presuppone un certo tipo di pratiche rituali e comportamenti
religiosi tradizionalisti, presenti e/o rivendicati in certi settori del mondo
cristiano. Come, per esempio, nell’esperienza di monsignor Lefebre in Francia.
L’altro termine usato per
identificare il fenomeno è quello più generico e politico di "radicalismo
islamico". Forse, tale definizione più si avvicina alla realtà di questi
movimenti che- è bene ricordare - non sono omogenei e nascono in contesti
territoriali diversi e distanti fra loro.
17 …Osservando
la realtà e le istanze rivendicative di tali movimenti, operanti in quasi tutti
i Paesi di tradizione islamica, si coglie, infatti, in loro una forte spinta di
carattere politico.
Si tratta, in genere, di movimenti
elitari e/o con caratteristiche di massa che usano il sentimento religioso,
molto radicato e diffuso nei paesi arabi, per obiettivi di carattere politico;
per rovesciare i vari regimi “empi”, sia si tratti di petro - monarchie, sia di
"repubbliche" ereditarie.
Regimi assolutisti o
scarsamente democratici che organizzano i loro interessi sociali e politici
attorno al potere petrolifero, a sua volta subordinato agli interessi dei
mercati internazionali.
Oggi, tali sistemi sono
entrati in crisi perché si è rotto l'equilibrio basato sul compromesso
stabilito fra rendita petrolifera e stato-sociale, molto assistenziale, che ha
garantito il consenso popolare.
Insomma, sembra essere venuto
meno il rapporto fra le elites al governo, detentori delle ricchezze nazionali,
e la massa dei ceti meno abbienti, dei più poveri, perfino dei laureati e dei
disoccupati, sempre più emarginati rispetto alle fonti della produzione della
ricchezza e dei consumi. In mancanza della tradizionale assistenza sociale
pubblica, alla gran parte di loro non resta che passare alla militanza
jihadista o emigrare.
Qui, sta una delle chiavi interpretative
per capire anche i massicci fenomeni migratori verso l’Italia e verso l’Europa.
In società autoritarie come
quelle arabe, l’assenza di partiti, di organizzazioni laiche, progressiste e/o
di sinistra in grado di accogliere e convogliare il dissenso, ha favorito la
diffusione dei gruppi islamisti, in gran parte, finanziati dalle petro-monarchie
del Golfo.
In particolare dall’Arabia
saudita che, così facendo, spera di allontanare da se il “pericolo” e di
dirottarlo verso gli Stati “laici”, non confessionali quali: Algeria, Iraq,
Libia, Siria, ecc. che sono anch’essi depositari d’immense riserve
d’idrocarburi e realtà geo-politiche strategiche. Caratte-ristiche che li
rendono molto appetibili alle multinazionali occidentali.
18… Da tale crisi e dall’assenza di
un’alternativa laica del progresso nasce e si diffonde l’islamismo radicale nel
mondo arabo.
Come detto, il fenomeno
s’ispira ad antiche tradizioni dell’Islam puro e duro, ma ha trovato vigore
sulla spinta di avvenimenti storici piuttosto recenti.
Gli attuali movimenti
islamisti hanno acquisito caratteristiche di forza dirompente, alternativa ai
sistemi politici dominanti, da quando è divenuto ancor più strategico il ruolo
del petrolio arabo in rapporto al processo di globalizzazione dell'economia e
dei mercati.
Dove porterà la prospettiva
confusamente indicata dal radicalismo islamico?
A prima vista, sembra mirare
alla drammatizzazione della realtà per ottenere, in futuro, un controllo
politico e ideologico totalitaristico.
E’ tempo che in quest'
altezzoso Occidente si inizi a studiare, ad approfondire ciò che veramente
vogliono, l’ideologia, la cultura e la pratica di questi movimenti.
Non ci si può accontentare
dei pochi analisti, dei media che informano, con dovizia di orrendi particolari,
di ogni loro azione violenta, ma non spiegano qual è il loro retroterra
ideologico, culturale di tali gruppi, a quali fonti teoriche attingono.
Ad esempio, nessuno dice che
dietro Al Qaeda c'è l'ideologia di un “certo” Sayyid Qutb, eminente teologo
egiziano, membro influente della potente setta dei “fratelli musulmani”, autore
di una nuova teoria dell’islamismo radicale. Per queste sue idee fu
perseguitato da Nasser e alla fine giustiziato.
Ha lasciato, comunque, una
vasta produzione di scritti ideologici, da noi in gran parte sconosciuti, su
cui si formano le falangi dei movimenti integralisti.
Il gruppo di studenti che,
nel 1981, attentò alla vita di Sadat era imbevuto di queste teorie. Lo stesso Osama
Bin Laden ebbe come docente, nella facoltà d'ingegneria dell'università di
Gedda, un fratello di Sayyed Qutb.
Insomma, è importante capire
che questi gruppi non si caratterizzano soltanto per il fattore militare o
terroristico, ma anche per una loro ideologia e per una diversa visione del
mondo.
19…
Sul finire del secolo scorso, si cominciò a prendere coscienza che il petrolio era
ancora una risorsa strategica ma in via di esaurimento.
Nonostante questa presa
d’atto, i consumi invece che ridursi s’incrementano facendo impennare i prezzi
petroliferi su scala planetaria.
Stranamente, nonostante
l’incertezza del futuro degli idrocarburi e le guerre per accaparrarseli, non
si da corso a una politica seria, di ricerca e sviluppo, delle tecnologie di
risparmio energetico e di produzioni alternative alle energie fossili,
altamente inquinanti, costose e sempre più scarse.
Tutto ciò accade mentre
aumentano i consumi e i prezzi e nel pieno di una nuova corsa per
l’accaparramento delle risorse energetiche che vede da un lato le
multinazionali dei paesi dell’area Ocse e dall’altro lato i nuovi colossi
dell’economia mondiale come i Brics (Cina, India, Russia, Brasile, Sud-Africa)
e altri paesi in via di sviluppo.
Ovviamente, l’importanza strategica
di tali risorse non è sfuggita ai movimenti islamisti radicali, in particolare
ad “Al Qaeda”, che hanno fatto del “petrolio islamico” merce intoccabile, al di
sopra di ogni conflitto. Il petrolio è la bandiera della loro lotta per il
rovesciamento dei regimi interni e per emancipare i paesi produttori da una
posizione subalterna.
Una prova? Gli islamisti
radicali si sono macchiati delle più orrende stragi, hanno messo bombe ovunque,
ma mai hanno fatto saltare un oleodotto, un gasdotto. Il petrolio è “sacro”
anche per loro!
In realtà, si vorrebbero
mettere in discussione le tradizionali ragioni di scambio e il meccanismo di
rifornimento del mercato petrolifero mondiale, basato sulla sicurezza degli
approvvigionamenti a basso prezzo, oltre che su un rapporto di dipendenza
politica e militare. Per gli islamisti radicali il petrolio non è soltanto
un’arma, ma il fattore principale (forse unico) che, in una certa misura, potrà
far partecipare il mondo arabo al tavolo del nuovo ordine mondiale.
Sulla base di tale
impostazione e rivendicazione, il conflitto con gli Stati Uniti d’America e con
diversi paesi occidentali è divenuto, sempre più diverrà, inevitabile.
20… A questo proposito, è davvero
illuminante la vicenda umana e politica di Osama Bin Laden.
Nato in una delle famiglie
più ricche dell’Arabia Saudita, il giovane ingegnere parte, come tanti altri
militanti islamisti, per andare a combattere la “guerra santa” per liberare
l’Afganistan occupato dalle truppe sovietiche. Qui, con il supporto logistico
di settori dei servizi statunitensi e con l’aiuto finanziario dell'Arabia
Saudita, crea “Al Qaeda” ossia la prima organizzazione di militanti islamisti a
carattere sopranazionale.
Ironia della sorte, anche lui
inciamperà nel suo avventuroso cammino e ben presto si trasformerà da “eroe della guerra santa” antisovietica
a nemico numero uno degli Stati Uniti e dei loro alleati sauditi.
Il resto è noto. Si fa per
dire. Poiché la figura e l’opera di questo “emiro del terrore”, come la sua oscura
soppressione, restano avvolte nel mistero più fitto.
Tuttavia, a parte la sorte
toccata a Bin Laden, interessa rilevare, analizzare la funzione prevalentemente
politica di tale movimento. Dietro i discorsi dell’Islam duro e puro, si celano,
infatti, obiettivi politici e di potere. E cambiato solo il segno politico di
riferimento che, ieri, era “antisovietico” oggi “antiamericano”.
In realtà, pur conservando un
certo grado di ambiguità, sembra che tali gruppi vorrebbero colmare il vuoto
creatosi nel mondo di tradizione islamica a seguito della scomparsa dei
movimenti panarabisti progressisti (da loro stessi combattuti) e del crollo del
ruolo internazionale dell’Urss che, in qualche misura, controbilanciava
l’influenza occidentale.
L’islamismo radicale si
propone come nuovo soggetto politico mirante a creare un’alternativa islamista,
addirittura un nuovo califfato, sulla falsa riga dell’interpretazione qutubista
del testo coranico.
21… Di fronte a tale impasse,
l’Occidente, con in testa le amministrazioni repubblicane Usa, hanno pensato,
erroneamente, di aggirare l’ostacolo esportando in questi paesi la democrazia …
con i cannoni. Come agire di fronte alla diffusione di tali fenomeni?
Un interrogativo pesante,
insoluto cui l’occidente ha pensato di rispondere con la guerra, comunque
camuffata, invece che con il dialogo, con la cooperazione pacifica.
Ormai da 30 anni, gli Usa e
diversi loro alleati occidentali e orientali, con la scusa di portare in questi
paesi la democrazia, di combattere il terrorismo, flagellano i paesi arabi con
occupazioni militari, rivolte etero
dirette, accompagnate da massicce forniture di sistemi d’arma, con la “guerra
preventiva” ossia un mix di farneticanti castronerie politiche per giustificare
una nuova strategia di rapina; una clamorosa assurdità in contrasto col buon
senso e con lo Statuto delle Nazioni Unite.
Con ciò non si vuol negare
l’esistenza in quei Paesi di un serio problema di democrazia. Tutt’altro.
Il movimento progressista e
di sinistra internazionale lo denuncia da qualche tempo, prima che i Bush
andassero al potere. I governanti Usa non se ne siano mai accorti.
Specie, quando la denuncia ha
riguardato i paesi del Golfo, loro alleati e grandi produttori di petrolio,
governati dalle peggiori dittature, dove non sono assicurati i più elementari
diritti umani e civili, fra cui una Costituzione e il diritto di voto.
Come detto, il problema della
democrazia nel mondo arabo esiste e andrebbe affrontato però con un approccio
diverso dall' opzione militare e sempre sulla base della Carta dell’Onu che sul
punto è molto chiara. Ovviamente, accantonando la pretesa di esportare,
d’imporre i nostri modelli.
La democrazia non è una
medicina da assumere su ricetta del dottor Usa, ma un processo lungo e
complesso che ciascun paese deve sviluppare al suo interno, autonomamente, con forme,
forze e idee proprie.
22… Dall’esterno si possono solo indicare i
punti essenziali di riferimento, i grandi principi, i valori universali della
democrazia sanciti dalla Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite che,
purtroppo, la gran parte dei Paesi di tradizione islamica (e non solo) non
applicano.
E’ a dir poco
controproducente pensare d’imporre la democrazia, le libertà con i
bombardamenti, con le armate straniere. I destinatari del “beneficio”
potrebbero non capire, prenderla male. Inoltre, a forza d' ingerenze e di
occupazioni militari si rischia davvero una guerra globale.
La battaglia per la
democrazia nel mondo arabo e altrove (oggi si possono inserire anche diversi
paesi occidentali) dovrà essere di carattere culturale e politico e avere come
riferimento la citata carta dei diritti che vanno riconosciuti a tutti,
laicamente, di là del credo religioso e politico, del sesso, del colore della
pelle, della condizione sociale ed economica.
Insomma, ognuno scelga le
forme più appropriate di una società democratica, ma tutti i cittadini devono essere messi in condizione di poter fruire dei
diritti fondamentali di libertà e di azione.
Contro quei governi o regimi
che non applicano, calpestano, anche in parte, questa Carta possono essere
decise sanzioni, fino all’espulsione del paese dall’Onu e dagli altri organismi
internazionali collegati.
Ma gli estremisti islamici
vogliono la democrazia laica e pluralista?
Dagli scritti di riferimento
e dalle pratiche concrete (Taleban e Al Qaeda in Afghanistan, IS in Siria e Iraq)
parrebbe proprio di no. Essi, infatti, assumono l’Islam come sistema
totalizzante che si fa carico anche dei problemi di gestione dello Stato e di
organizzazione della partecipazione popolare. Perciò, propongono di eliminare
perfino quelle rare parvenze di democrazia (definita ingerenza occidentale) per
instaurare la “umma” musulmana, il califfato che sono la negazione di ogni forma
di laicità e di pluralismo politico, culturale, ideale.
23… Perciò, più che bombardare, bisogna
sforzarsi d’individuare, aggregare e mobilitare all’interno delle società arabe
tutte quelle forze disponibili al cambiamento in senso democratico e laico.
D’altra parte, fino agli anni
‘80, in quelle società c'era una presenza laica progressista, di sinistra che
si articolava in partiti politici, sindacati e movimenti culturali progressisti
e anche di sinistra. Fra i tanti, il Baath (siriano e iracheno) che - nei primi
decenni della sua vita- ebbe il grande merito storico di avviare impegnativi
processi di modernizzazione economica e della società, di emancipazione della
donna e, in generale, di sviluppo di un sistema politico tendenzialmente laico.
Purtroppo, l’Europa
progressista non offrì a queste forze e movimenti una sponda di riferimento, di
collaborazione.
Da qui, anche, lo
scoraggiamento e il rifugio entro uno schema di tipo dittatoriale (in Siria, in
Iraq, in Libia, nello stesso Egitto) che hanno, oggettivamente, favorito la
nascita e lo sviluppo dei gruppi integralisti.
Molti intellettuali,
dirigenti politici e sindacali progressisti hanno abbandonato i loro Paesi per
trasferirsi all'estero, soprattutto in Europa.
Forze importanti, qualificate
che bisognerebbe aiutare a ri-prendere il loro ruolo nei rispettivi paesi.
Non per farne “fantocci
ammaestrati” dell’Occidente, ma autentici dirigenti dei loro popoli.
Se ci fosse una vera sinistra
europea dovrebbe aiutare queste forze a tornare, a dar loro, e ai tanti giovani
cresciuti nella diaspora, la possibilità d’impegno nei paesi arabi. Per non
lasciarli morire di nostalgia a Parigi.
24 …Alla base del conflitto fra Occidente e
Oriente islamico c’è, dunque, un’incomprensione di carattere storico e
culturale che non può essere risolta con l’opzione militare, con lo scontro di
civiltà - come taluno propone- ma solo sulla base dello scambio economico e
culturale e della conoscenza reciproca.
Oggi, specie ai livelli più
alti del potere e del sapere, Occidente e Oriente islamico si percepiscono come
nemici,
In Occidente si vede il mondo
arabo come un’entità monolitica, indistinta, caratterizzata soltanto
dall’elemento religioso.
Non si riesce a vedere oltre il
dato religioso, oltre l’Islam, per altro considerato in un’accezione negativa,
senza riuscire, cioè, a scomporre questo mondo in culture, nazioni, Stati,
popoli, individui.
D’altra parte, in Oriente,
specie gli islamisti radicali, prevale una visione deformata dell'Europa e
degli Usa, visti come luoghi da cui si originano i mali attuali del mondo e i
fenomeni del neo-colonialismo e dello sfruttamento degli uomini e delle risorse
del terzo e quarto mondo.
Senza distinguere fra forze
dominanti, di governo e masse popolari occidentali anch’esse vittime delle
politiche neo-coloniali.
In realtà, Occidente e
Oriente islamico si conoscono poco e male. Oggi ancor meno di ieri.
Perdurando questo deficit di
conoscenza reciproca, due agguerrite minoranze estremiste potrebbero imporre il
loro disastroso punto di vista a due sterminate maggioranze: ossia lo scontro
di civiltà.
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