(Budapest, "Terror Haza") |
di Agostino Spataro
1… A Budapest, a poche decine di metri dalla “Oktagon ter” (già piazza Mussolini, poi Stalin, poi 7 Novembre. Speriamo che si fermino a questa neutra figura geometrica; qui la toponomastica nazionalistica, servile è dura a morire), sull’Andrassy ut, un bellissimo viale dichiarato dall’Unescu patrimonio dell’umanità, si affaccia un palazzone, avvolto in una lugubre cornice nera, che ospita la “Terror haza” (Casa del terrore), una sorta di museo della atrocità nazifasciste e staliniste che segnarono la vita politica ungherese nel secolo scorso.
La “Haza” fu la sede operativa delle diverse polizie politiche dove vennero imprigionati, seviziati, uccisi tanti oppositori del regime di turno. Qui furono ristrette e torturate anche tante vittime della repressione seguita ai fatti del ’56, dopo l’occupazione sovietica dell’Ungheria.
Oggi, questo tristo edificio viene anche maldestramente usato come "macchina di propaganda", come monumento celebrativo delle (improbabili) eroiche prodezze anticomuniste dei nuovi governanti i quali al tempo dell’odiata dittatura o erano bambini o uomini “in sonno” o, peggio, collaboranti.
Infatti, dopo i tragici avvenimenti del 1956, non si hanno notizie di atti eroici degni di nota: per 33 anni, il regime di Janos Kadar (anche lui imprigionato e torturato per ordine dello stalinista Matyas Rakosi) godrà del più tranquillo consenso possibile in tutti gli Stati dell’Est europeo.
La stessa “rivoluzione” del 1989 è avvenuta - ormai è notorio- con l’avallo del capo della potenza che si voleva abbattere ossia di Mihail Gorbaciov, segretario generale del partito comunista dell’Urss.
2... Comunque siano andate le cose, a parte gli eroismi della sesta giornata, in Ungheria gli orrori ci sono stati sia durante il regime dell’ammiraglio Miklos Horty (oggi rivalutato), sostenuto dalle milizie fasciste di Ferenc Szalasi e dai nazisti di Hitler, sia in quello dello stalinista Matyas Rakosi.
Due dittature da condannare senza esitazioni, anche se in fatto di vittime contano anche i numeri: quella nazifascista fra persecuzioni politiche e razziali (ebrei e zingari) di vittime ne provocò diverse centinaia di migliaia (si parla di mezzo milione di persone), mentre quella stalinista qualche migliaio. Ora, anche una sola vittima deve far scattare la nostra repulsione, la condanna del regime che la provoca, ma siccome stiamo parlando di persone umane credo che fra mezzo milione e due o tre mila ci corra bella differenza che in queste "celebrazioni" non si coglie.
L'avranno colta alcuni congiunti di vittime illustri dello stalinismo i quali parteggiano per i partiti della sinistra d'opposizione e sono molto critici per l'uso propagandistico che si fa del sacrificio dei loro cari.
Pertanto, è giusto ricordare, onorare le vittime di tali regimi, ma con la necessaria obiettività storica e politica, (che nella “haza” difetta) per offrire ai visitatori, soprattutto alle nuove generazioni, un quadro completo e veritiero di quelle tragedie.
3... Ricordare non vuol dire soltanto mostrare, ma anche riflettere, interrogarsi sul perché questi totalitarismi allignano, più facilmente, in Ungheria. I regimi, infatti, anche se indotti, favoriti dal contesto internazionale, furono espressione, piuttosto spietata, della realtà nazionale e usufruirono di un certo consenso locale.
A questo proposito, forse, c'è qualcosa che i ceti dirigenti, gli intellettuali magiari non hanno ben chiarito al mondo.
Perciò, bisognerebbe evitare di rifugiarsi nella comoda teoria degli “opposti terrori” che, talvolta, serve a coprire i silenzi, le complicità, i collaborazionismi di quanti, muovendosi abilmente fra quegli “opposti”, hanno conseguito fortunate carriere politiche e grandi patrimoni e “regalato” agli ungheresi, a quasi 30 anni dall’89, leggi fortemente limitative della libera informazione.
Ogni giorno, le redazioni di giornali e tv governative devono attendere l’arrivo del “mattinale” dell’agenzia MTI con le strisce delle notizie pubblicabili.
Mentre, proprio alla vigilia del 23 ottobre u.s., data del 60° della rivolta del '56, é stato comprato da persone vicine al governo, e subito chiuso, il principale quotidiano dell'opposizione, lo storico e prestigioso "Nepszabadsag".
Per avere un'idea della gravità di tale operazione, provate a immaginare cosa sarebbe successo in Italia e altrove se Berlusconi, mentre era al governo, avesse dato incarico a un suo sodale di comprare e far chiudere "La Repubblica" il principale quotidiano che l'avversava.
4… Per duemila fiorini, nei sotterranei della “Haza” si possono vedere, fra tanta propaganda malamente assemblata e fortemente sbilanciata a carico del “comunismo”, le celle dei prigionieri politici, le camere di tortura, di esecuzione (poste sotto le finestre che si aprono sulla via pubblica!), gli attrezzi usati prima dagli aguzzini nazisti e successivamente da quelli al servizio di Rakosi.
A un acuto osservatore non sfuggirà una stupefacente verità racchiusa in quelle segrete dove-di fatto- si realizzò un’odiosa "continuità" fra i due regimi contrapposti: le vittime di quegli orrori furono, in buona parte, comunisti, prima seviziati dai nazisti e dopo dagli stalinisti.
Ma di questo non c’è traccia nella “terror haza”.
Un dato politico interessante ma scarsamente conosciuto, forse volutamente trascurato, che conferma:
- da un lato l’esistenza in Ungheria, come in tanti altri Paesi, di una vena reazionaria che si nutre del sangue dei giusti e riesce a sopravvivere sotto ogni regime;
- dall’altro lato la presenza all’interno del partito comunista ungherese di una robusta tendenza antidogmatica e riformatrice che si dispiegherà durante la tragica rivolta del 1956, iniziata dagli operai comunisti delle fabbriche dell’isola di Csepel, divenuta poi una guerra civile, tragicamente conclusa con un' invasione straniera che provocherà moltissime vittime e tantissimi profughi.
Solitamente, si dimentica di scrivere (come hanno fatto alcuni illustri inviati stranieri in questi giorni) che la rivolta del ’56 partì dalle file operaie del partito comunista ungherese e fu diretta da esponenti del suo vertice, fra i quali Imre Nagy, capo del governo insurrezionale, il quale morì da comunista, pagando con la forca la sua insubordinazione a Mosca.
Un vero eroe ignorato dalla “tabellonistica” populista governativa in occasione delle recenti celebrazioni ufficiali del 60° anniversario della rivolta ungherese.
Quella componente, unitamente ad altre forze nazionali, combatté fino allo stremo un’ardua battaglia di progresso e di libertà che vinse all’interno del Paese, ma perse sotto l’avanzata degli eserciti invasori del Patto di Varsavia.
5…Una lotta memorabile nella quale agirono anche elementi provocatori, interferenze reazionarie esterne che, però, non cancellarono il valore di quell’autentico anelito riformatore che, purtroppo, non fu colto dal Pci e dagli altri partiti comunisti.
Comunisti schierati da questa parte della barricata, che tentarono di coniugare socialismo e democrazia, progresso sociale e libertà’.
Partendo da questa “verità”, e con un dovizioso “supplemento” di analisi, si potrebbe ipotizzare che se l’esperienza guidata da Nagy si fosse affermata avrebbe potuto cambiare il corso delle cose nell’Europa Orientale e nel mondo.
Considerando a parte la tragedia della guerra civile e dell’invasione sovietica del ’56, che in effetti meritano una riflessione specifica, si potrebbe più chiaramente cogliere, evidenziare la “verità” prima accennata e capovolgere la finalità del museo di Andrassy ut: da centro di mera propaganda anticomunista a luogo di testimonianza del sacrificio di molti comunisti che (insieme a tanti militanti di altre tendenze politiche) hanno resistito, e pagato, prima sotto il nazifascismo e dopo sotto lo stalinismo di Rakosi.
Poiché, lo stalinismo- ormai è assodato- fu statalismo burocratico, persecutore anche di comunisti e pertanto da considerare un’obbrobriosa degenerazione dell’idea del socialismo.(a.s.)
(26 ottobre 2016)
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