Testo in italiano del capitolo "Il cerchio Mena" del libro di G. Lo Brutto e A. Spataro
"SIGLO XXI- LA ECONOMIA DEL TERROR", uscito in Messico, nel giugno 2016, in
https://www.amazon.com/Siglo-XXI-econom%C3%ADa-del-terror/dp/6078344412
IL
“CERCHIO MENA”
Dopo
l’interventismo di George W. Bush, arrivò il “revisionismo” di Barak Obama il
quale, con il memorabile discorso del Cairo, tentò di correggere l’approccio Usa
verso il mondo arabo e di recuperarne la fiducia.
Il
neo presidente democratico, il primo di pelle nera e di padre islamico,
legittimò e rilanciò, in chiave più politica e culturale, la prospettiva
“americana” ossia la regione Mena caldeggiata dai principali organismi
finanziari internazionali (Banca mondiale e FMI) e dalle stesse agenzie delle
Nazioni Unite. E naturalmente, da molti paesi petroliferi della penisola araba.
Come
detto, si passò dal vecchio “arco dell’instabilità e della crisi”, che andava
dal nord-Africa all’Iran, passando dalla Palestina occupata, al Mena che taluni
specialisti, anche di tendenza moderata, ufficialista, spiegano così.
“L'obiettivo
americano è, comunque, quello di ridisegnare gli equilibri in un'area che va dal
Nord Africa all'Iran, dove la presa della potenza Usa si è costantemente
indebolita negli ultimi anni, a seguito del fallimento della politica di Bush. A
questo scopo, gli Usa stanno cercando di inserirsi nei sommovimenti in atto.
Anzi, c'è il dubbio che abbiano messo lo zampino anche nella fase delle rivolte,
come dimostrerebbe l'esistenza di un progetto, riportato da Wikileaks, di
liberarsi di Mubarak, ormai non più affidabile, o il ruolo di un'istituzione
americana come American Freedom nel training di blogger anti Ben Alì”. (Negri,
2011)
La
regione “Mena” si presenta come una sorta di “cerchio” ellittico ideale che
delimita una nuova entità geo-economica e si estende dall’Atlantico al Golfo
Persico, al Mar Caspio, inglobando i paesi rivieraschi delle coste Sud ed Est
del Mediterraneo, del sub - Caucaso, l’Iran e l’intera penisola araba[1].
Nell’area
vivono oltre 350 milioni di persone, quasi tutte accomunate dalla stessa lingua
(l’arabo) e dalla stessa religione (l’Islam).
Una
realtà in formazione, attraversata da tante contraddizioni e perfino da
conflitti, che contiene enormi riserve energetiche (petrolio e gas), grandi
risorse finanziarie e importanti mercati (dalle armi ai prodotti di lusso),
abbondanza di manodopera a basso costo, ecc.
Tuttavia,
la regione “Mena” si caratterizza per il fattore petrolifero e gasiero poiché vi
si concentra il 30% circa della produzione, il 40% delle esportazioni e il 65%
delle riserve petrolifere mondiali accertate.
Per
avere un’idea più dettagliata della realtà di tali settori basta osservare gli
andamenti realizzatisi fra il 2000 e il 2013.
Petrolio:
dal
2000 al 2013, le riserve accertate di petrolio di Mena sono cresciute da
725,4 a
869,6 miliardi di barili, corrispondenti al 52% delle riserve mondiali, al 72%
delle riserve Opec, al 77% di quelle dei paesi OCSE ossia l’insieme dei paesi
occidentali più industrializzati del Pianeta;
nello
stesso periodo si è registrato un forte incremento delle produzioni Mena,
precisamente da 27.2
a 31.4 mln b/g, corrispondente al 36% del totale mondiale
e al 87% di Opec e al 67% dei paesi
OCSE.
Gas:
Nel
periodo considerato (2000-2013), anche le riserve di gas naturale di Mena hanno
fatto registrare un notevole incremento da 66.494 a 88.570 (mld m/3). Il dato
relativo al 2013 corrisponde al 43% delle riserve mondiali e al 92% di Opec ed è
4,4 volte maggiore delle riserve OCSE;
Mentre
la produzione gasiera è cresciuta da 308,2 a 699,2 miliardi di m3,
superando nettamente quella di Opec (642,5) e attestandosi al 36% della
produzione mondiale contro il 24% dell’intera produzione
OCSE.
Ben
4 paesi Mena (Qatar, Iran, Arabia Saudita, Algeria) figurano fra i primi 10
paesi produttori di gas. Considerando il rapporto fra riserve e produzione (dati
2013) Mena potrà produrre per 127 anni, contro i 59 anni del Mondo, i 16 anni
dei paese Ocse, i 13 anni del Nord America (Usa e Canada), gli 11 anni
dell’Unione Europea, i 76 anni della Russia e i 144 anni del Medio
Oriente.
Numeri
forti che denotano l’importanza attuale e futura della regione con la quale
dovranno confrontarsi la gran parte dei paesi
industrializzati.
Tab.
7
CONFRONTI
MENA/ ALTRE PRINCIPALI AREE- Risorse energetiche, 2013
Riserve
petrolio (mld barili)
|
Prod.
Petrolio (mln b/g)
|
Consumi
petrolio/ capita
(barili)
|
Riserve
gas
(mld
mc)
|
Prod.
Gas
(mld
mc)
| |
MONDO
|
1.658,1
(100%)
|
87,3
(100%)
|
4,67
|
202,7
(100%)
|
3.425,9
(100%)
|
MENA
|
869,6 ( 52%)
|
31,4
(36%)
|
9,11
|
88,5
(43%)
|
699,2 (20%)
|
OPEC
|
1.207,2
(73 %)
|
36,8
(42,%)
|
7,54
|
95,2
(47%)
|
642,5 (18%)
|
OCSE
|
235,6 (14%)
|
20,9
(24 %)
|
13,32
|
19,8
(10%)
|
1.207,8
(35%)
|
U.
E.
|
6,0 (0,06)
|
1,5 (0,01%)
|
9,36
|
1,7
(0,8%)
|
157,0 (4,5%)
|
Nord-America
|
209,8 (12,6)
|
14,2
(16,3%)
|
22,32
|
11,0
(5,4%)
|
827,2
(24%)
|
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- Eni- 2014
Tab.
8
PETROLIO,
2013: PRIMI 15 PAESI PER RAPPORTO RISERVE / PRODUZIONE- (anni)
PAESE
|
ANNI
|
Venezuela
|
300
|
Georgia
(ex Urss)
|
154
|
Libia
|
139
|
Iran
|
135
|
Iraq
|
122
|
Siria
|
122
|
Canada
|
120
|
Kuwait
|
92
|
E.A.U.
|
75
|
Kirghistan
|
74
|
Arabia Saudita
|
64
|
Yemen
|
58
|
Nigeria
|
41
|
Cina
|
15
|
Usa
|
10
|
MONDO
|
52
|
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- ENI- 2014
Tab.
9
2013-
RAPPORTO RISERVE E PRODUZIONE DI PETROLIO E GAS PER PRINCIPALI AREE-
(anni)
Area
|
Petrolio
|
Gas
|
MENA
|
76
|
127
|
OPEC
|
90
|
148
|
AMERICA
LATINA
|
89
|
36
|
AMERICA
NORD
|
40
|
13
|
AFRICA
|
38
|
87
|
RUSSIA
|
24
|
76
|
ASIA-PACIFICO
|
16
|
35
|
U.
E.
|
11
|
11
|
OCSE
|
31
|
16
|
MONDO
|
52
|
59
|
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- ENI- 2014
Il
“cerchio Mena” contiene quasi tutti i cosiddetti “Stati-canaglia”, inseriti
nella lista nera degli Usa, e le principali aree di crisi che, in certi casi,
coinvolgono i territori di alcuni paesi centro asiatici di tradizione islamica
dell’ex Urss.
Un’area,
dunque, ad alta densità di conflitti, instabile politicamente sulla quale si
sono appuntati gli interessi di alcune fra le più grandi potenze mondiali ognuna
delle quali è portatrice di un proprio disegno politico ed economico.
In
particolare Stati Uniti d’America e Cina, ma anche la Russia di Putin che cerca di rientrare
nel gioco mediterraneo e mediorientale per ri-occupare il ruolo importante
svolto in passato dall’ex Urss.
L’obiettivo
del progetto Mena, che ha messo nell’ombra l’iniziativa dell’Unione Europea sul
partenariato euro-mediterraneo, sembra essere quello di controllare quest’area
per assicurarsi le risorse (energetiche e finanziarie) e per farla “pesare” nel
confronto globale polarizzato intorno a due aggregazioni principali: da un lato
gli Usa e i loro alleati occidentali, dall’altro lato i paesi Brics (Brasile,
Russia, India, Cina e Sud Africa) ossia le nuove potenze economiche emergenti (o
già emerse!) del terzo mondo.
Per
controllare questa regione sono stati provocati, con una cadenza impressionante,
micidiali conflitti religiosi e civili, guerre locali e “rivoluzioni”
improvvisate quanto sanguinose.
Anche
le “ primavere arabe” sembrano inquadrarsi in tale logica, per altri versi
inspiegabile. Infatti, nessuno comprende l’appoggio dato dall’Occidente alle
“primavere arabe” risoltosi in un madornale errore visto che i paesi
investiti (Tunisia, Egitto e Libia
nell’Africa del nord ) sono stati consegnati nelle mani dei fondamentalisti dei
“Fratelli musulmani” e di gruppi di qaedisti e dell’Islamic State (Is).
Errori
così pacchiani, ripetuti che autorizzano un dubbio atroce: gli Usa (e i loro
supporter europei) sbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di sbagliare?
Difficile
sciogliere tale dubbio anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali
occidentali pur di controllare il petrolio e il gas arabi non si fanno scrupoli
di allearsi anche con i più fanatici nemici degli Usa e dell’Occidente ossia con
la “tendenza integralista”, variamente connotata, probabilmente ritenuta l’unica
in grado di esercitare una seria influenza sul potere politico e sulle risorse
degli Stati islamici.
Nel
suo saggio, Sebastiano Caputo da questa interpretazione:
“Al
momento né Washington né Tel Aviv hanno suonato il campanello d’allarme,
difficile capire il perché. La prima ipotesi presuppone che gli Usa sappiano che
questi nuovi governi islamo- neocon-servatori agiranno principalmente nel campo
del sociale attraverso leggi che limiteranno la libertà, mentre difficilmente
metteranno le mani alla macroeconomia, vale a dire il libero mercato e il
sistema monetario attuale, di conseguenza risulterebbe inutile scatenare
pressioni o sanzioni… Tuttavia l’eclatante trionfo dei valori islamici su quelli
laici racchiude in sé una situazione para-dossale. Se si analizza l’evoluzione
della politica estera nord-americana dopo i cosiddetti attentati dell’11
settembre e l’atteggiamento scettico nei confronti dell’Islam, la domanda che
viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “garanti della
democrazia nel mondo” permettono un tale evento storico - politico? Perché
Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e pro-palestinesi di governare
Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?” (Caputo,
2013)
La
“guerra infinita” continua a destabilizzare i regimi, a massacrare, a
distruggere i Paesi del mondo arabo non perfettamente allineati alle direttive
d’Oltreoceano. Prima l’Afghanistan, poi l’Iraq di Saddam Hussein,
la Libia di
Gheddafi. Oggi è la volta della Siria di Bachar Assad. Domani, probabilmente,
dell’Iran degli ayatollah. Cambiano i presidenti in Usa e i governi nei Paesi
alleati, ma la “guerra” continua. Come
se fosse una sorta di “undicesimo comandamento”!
Un'
inquietante continuità che conferma il timore, piuttosto diffuso, secondo il
quale nelle “grandi democrazie” occidentali non comandano gli organi
costituzionali, eletti più o meno democratica-mente, ma i “poteri forti” che
agiscono nell’anonimato o nascosti “dietro il trono”.
D’altra
parte, tolti gli idrocarburi e i petrodollari derivati (appannaggio di pochi
clan tribali patrimoniali e politici), la regione Mena non è il migliore dei
mondi possibili. Tutt’altro! Le società di quei paesi soffrono, in termini più
duri che altrove, le conseguenze della crisi mondiale e quelle derivate dalle
ataviche condizioni di sottosviluppo.
Come
si legge in uno studio (del 2012) della Camera dei Deputati italiana,
nell’attuale fase di ripresa dalla crisi alcune aree della regione si trovano a
fronteggiare inediti sviluppi del proprio quadro politico, con implicazioni
potenzialmente di vasta portata; il quadro politico, caratterizzato dalla
richiesta di riforme della rappresentanza, dell’accountability e della
governance, risulta aggravato dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile e
dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Secondo
l’outlook della Banca Mondiale, (febbraio 2011) l’impatto economico della crisi
politica sull’area Mena si potrebbe manifestare attraverso alcuni fenomeni di
segno negativo:
- esitante ripresa della crescita, già lenta
soprattutto per i paesi importatori di petrolio, a causa della caduta delle
entrate derivanti dal turismo e le perturbazioni che hanno colpito le attività
finanziarie;
- impatto potenzialmente significativo degli
effetti della crisi sulle fasce più povere della popolazione, specialmente in un
quadro di crescita inflazionistica;
- diminuzione degli investimenti determinata
dal perdurare del quadro di incertezza e possibili complicazioni di lungo
periodo per gli operatori del settore finanziario;
- aggravamento del deficit fiscale a seguito
del rallentamento delle entrate e all’aumento della spesa corrente. Tale quadro
critico si sta inverando nei paesi i cui governi aumentano gli stipendi della
pubblica amministrazione e annunciano assunzioni nel settore pubblico, sussidi e
aumento del salario minimo;
- crescita generalizzata dei costi economici
in particolare nei casi di persistente instabilità o di mancanza di chiarezza
nella transizione politica in atto[2].
E
la “vecchia” Europa, dominata dall’euro-burocrazia di Bruxelles e dalle banche,
assiste, impotente, divisa e debilitata, a tali manovre che si svolgono nella
propria area di “pertinenza” se non altro per la prossimità
geografica.
A
soppiantarla anche nel Mediterraneo (ossia nel cortile di casa) sono gli Usa che
tirano le fila di un nuovo disegno politico- strategico qual è il
Mena.
La
novità è stata recepita. Non a caso, la gran parte degli attori politici
tradizionali, degli stessi sommovimenti arabi non guardano all’Europa ma agli
Usa come principale riferimento “esterno”.
L’Europa
segue a ruota sul terreno della strategia politica e su quello della politica
finanziaria anche per quanto riguarda il Mena in favore della quale l’U.E. ha
creato uno speciale “Fondo Mena” che- secondo il bollettino della Commissione
U.E. - ha “lo scopo di investire nel settore infrastrutturale ed energia in
Medio Oriente e Nord Africa…” facendo leva sulla partecipazione volontaria dei
Paesi membri, della Bers e del fondo fiduciario Neighbourhood Investiment
Facility (NIF).”
Così
anche sul terreno dell’impegno militare, nel quale si distinguono in particolare
alcuni paesi a più spiccata vocazione servile (quali, oggi, Francia, Gran
Bretagna e, in seconda fila Italia e Spagna) che sembrano avere rinunciato a
svolgere un ruolo autonomo di pace, per lasciarsi coinvolgere in avventure
rischiose e molto costose per i grami bilanci dei rispettivi
Stati.
La
non partecipazione della Germania, Paese guida dell’U.E., all’avventura libica e
in genere alle tante missioni “umanitarie” nel Mediterraneo e in giro per il
mondo (tranne in Afghanistan), do-vrebbe far riflettere i tanti “soloni” che
pontificano sulla democrazia degli altri che vorrebbero salvare o instaurare con
i droni e con i cannoni.
Anche
se, come scriviamo in altra parte, i grandi industriali tedeschi, timorosi di
restare esclusi, hanno cominciato a premere sul governo per un impegno diretto
delle forze armate tedesche nelle future “missioni di pace” ossia per
partecipare ai dividenti del bottino di guerra: le materie
prime.
In
questo crogiuolo di contraddizioni, l’U. E. rischia il blocco, la dissoluzione
del progetto d’unione politica ed economica. La stessa Europa rischia di
smarrire la propria identità storico- culturale e geo-politica, rafforzando il
punto di vista di chi sostiene che non sia un continente, ma solo una propaggine
dell’Asia verso l’Atlantico e il Mediterraneo.
Fisicamente,
così è. Tuttavia, da tremila anni, l’Europa è fonte e sede di una delle più
grandi civiltà umane. Purtroppo, oggi, è in declino e molti, amici e
concorrenti, cercano, di anticiparne la caduta; d’invaderla silenziosamente,
amichevolmente, per spolparsi le sue enormi ricchezze materiali e immateriali.
Più
che una speranza ben riposta, il futuro dell’Europa è un problema mal posto,
poiché resta incerto e succube di forze e interessi ostili e contrapposti.
L’Europa ha smarrito il senso della sua dignità storica, della sua autonomia
culturale e politica.
La
soluzione? La risposta non è facile. La crisi è tale che l’U.E. potrebbe,
perfino, disgregarsi. Per evitare tale pericolo, bisogna cambiare registro
politico e strategico e puntare a un' Europa dei popoli e non più delle
consorterie multinazionali.
Sulla
base di tale correzione di rotta, dovrà proseguire l’allargamento fin dove è
possibile nell’ambito dei popoli di cultura europea, abbandonando la politica di
provocazione e delle tensioni svolta per conto terzi in ambito
Nato.
In
tale prospettiva, diventa auspicabile, possibile il progetto di unire Europa e
Russia o, se si preferisce, di associare la Russia all’Unione europea. Sì, avete
letto bene, la sterminata Russia che ci è stata sempre presentata come l’eterno
nemico.
Ieri
da Napoleone e da Adolf Hitler, i quali tentarono, rovinosamente, di
conquistarla militarmente, oggi da certa oligarchia politica e finanziaria
occidentale che non si rassegna al fallimento del suo tentativo d’incorporare
la Russia fra
le sue “dipendences” orientali.
Un’idea
simile potrà apparire paradossale, fuori da ogni ragionevole previsione,
tuttavia un senso lo ha, una logica pure, specie se realizzata gradatamente e
alla luce delle nuove ri-aggregazioni (spartizioni?) mondiali che stanno
avvenendo su basi continentali.
Non
si desidera un’unione contro qualcuno (Usa, Cina o altre realtà del mondo), ma
un fattore di stabilità, di pace, di cooperazione; per dare un senso pieno
all’autonomia dell’Europa che, allo stato, appare fiaccata, barcollante al suo
interno, simile a un “continente” alla deriva.
Da
sola, l’Europa difficilmente potrà uscire da tale precaria condizione. Se
l’obiettivo generale del nuovo ordine è di creare un mondo davvero multipolare,
allora l’Europa dovrà proseguire nel programma di adesione e aggregare nuovi
soggetti per creare uno dei nuovi poli dello sviluppo mondiale.
Quali
nuovi soggetti? Gli Usa sono lontani e non sempre i loro interessi combaciano
con quelli europei; l’ipotesi euro-mediterranea è stata resa sterile per volere
degli Usa e per subalternità francese.
La
Cina
e le altre realtà asiatiche sono ancor più lontane e presentano caratteristiche
socio-culturali, al momento, non assimilabili. Così si può dire, anche per
ragioni di carattere logistico e funzionale, per altre regioni e/o continenti
quali l’Africa, il mondo arabo-islamico, l’America latina.
Non
resta che la
Russia ossia un Paese- continente, di prevalente cultura
europea, che si estende in continuità con l’Europa verso il cuore dell’Asia,
l’Oceano Pacifico.
Un
territorio sterminato e ricco di enormi riserve energetiche e metallifere, di
boschi, di acque, di terre vergini, di mari pescosi, ecc.
Evitiamo
ogni riferimento agli apparati e potenziali militari e nucleari che si spera
possano essere liquidati in tutto il mondo. Che, però,
esistono!
Risorse
importanti, strategiche che, unite al grande patrimonio europeo (tecnologie,
saperi, scienze, professioni, culture e tradizioni democratiche, ecc),
potrebbero costituire il punto di partenza per dare vita a “Euro-Russia”, a una
nuova “regione” geo-economica mondiale, dall’Atlantico al Pacifico, al
Mediterraneo.
Una
prospettiva di medio / lungo termine (anche se non lunghissimo!) che non può
essere inficiata o addirittura rifiutata a causa di stizzosi riferimenti a
situazioni di crisi locali, agli attuali leader.
Per
fortuna, gli uomini passano (anche i peggiori), le idee, se sono buone, restano
e potranno camminare con i piedi e con le teste degli uomini e delle donne che
verranno.
Anche
da parte della Russia, nonostante i minacciosi venti di guerra che da sud e da
ovest soffiano contro di essa (Ucraina, Cecenia, Georgia, ecc), si pensa a
grandi progetti e a grandi investimenti per collegare il Pacifico e l’Atlantico,
attraverso la
Siberia e l’Europa. Nel marzo del 2014, a Mosca, è stato
presentato dal presidente delle ferrovie russe, Vladimir Yakunin, un grandioso
mega progetto denominato “Corridoio euro-asiatico Razvitie” , che- come notano
M. Lettieri e P. Raimondi “negli anni potrebbe richiedere investimenti per
parecchie centinaia di miliardi di euro, per collegare con moderne
infrastrutture la costa russa del Pacifico con i Paesi europei fino
all’Atlantico. Nel corridoio, oltre ai trasporti ferroviari e autostradali, sono
previsti anche collegamenti continentali con pipeline per il gas, il petrolio,
l’acqua, l’elettricità e le comunicazioni. Si prevedono anche collegamenti
diretti con la
Cina, che del resto sta già attivamente portando avanti simili
politiche di sviluppo euro-asiatico attraverso la realizzazione di moderne Vie
della Seta, e con il Nord America, con la realizzazione di collegamenti
ferroviari che, passando attraverso lo Stretto di Bering, potranno collegare via
terra la Russia
e l’Asia con l’Alaska. Evidentemente la visione strategica del progetto va ben
oltre la realizzazione dei corridoi di transito. Infatti, si ipotizza anche lo
sviluppo in profondità di una fascia di 200-300 km lungo l’intera linea per nuovi
insediamenti urbani e nuovi centri produttivi. Secondo Yakunin un tale progetto
potrebbe creare almeno 10-15 nuovi tipi d' industrie basate su tecnologie
completamente nuove.” (Lettieri y Raimondi, 2014)
Ovviamente,
questo è solo uno spunto, una “bella utopia”. I giochi di guerra, gli intrighi
per il nuovo ordine mondiale sono in corso da qualche tempo. E sono ancora
aperti. Il problema è come vi si partecipa: se da protagonisti o da comprimari.
All’orizzonte
si profila una nuova bipartizione del mondo, con Cina e Usa come capifila.
Taluno prevede un’improbabile tripartizione, inserendo la Russia nel terzetto. Nessuno
pronostica un ruolo primario dell’U.E., condannata a restare sottoposta agli
Usa.
Non
sappiamo quali saranno la collocazione, il ruolo della Russia e dell’Europa fra
30/50 anni. Una cosa sembra sicura: divise, potranno solo sperare che uno dei
due capifila le inviti ad accodarsi.
[1] Con
l’acronimo MENA (Middle East and North Africa) viene indicata la regione che si
estende dal Marocco, ad ovest, attraversa la fascia nord-occidentale dell’Africa
e prosegue verso l’Iran nel sud ovest asiatico. I paesi che ne fanno parte, come
enumerati dalla Banca Mondiale, presente nell’area con propri progetti, sono
Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Iran, Iraq, Israele, Giordania, Kuwait,
Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Siria, Tunisia,
Emirati Arabi Uniti, West Bank and
Gaza, Yemen.
[2]
“Documenti –Camera dei Deputati, repubblica Italiana- Roma, 2012”.
Trovo molto interessante e ben documentato lo stralcio del libro di Agostino Spataro e di Lo Brutto. Non si può non condividere la critica all'Europa delle tecno-burocrazie, ridotta a una semplice espressione geografica e destinata all'irrilevanza se no diventa un'Europa dei popoli, partecipata dal basso. Anch'io sono dell'idea che anche la Russia debba far parte integrante dell'Unione europea, anche per il suo passato intriso di cultura europea e in particolare francese.
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