Testo in italiano del capitolo "Il cerchio Mena" del libro di G. Lo Brutto e A. Spataro
"SIGLO XXI- LA ECONOMIA DEL TERROR", uscito in Messico, nel giugno 2016, in
 
 https://www.amazon.com/Siglo-XXI-econom%C3%ADa-del-terror/dp/6078344412
IL 
“CERCHIO MENA” 
Dopo 
l’interventismo di George W. Bush, arrivò il “revisionismo” di Barak Obama il 
quale, con il memorabile discorso del Cairo, tentò di correggere l’approccio Usa 
verso il mondo arabo e di recuperarne la fiducia.
Il 
neo presidente democratico, il primo di pelle nera e di padre islamico, 
legittimò e rilanciò, in chiave più politica e culturale, la prospettiva 
“americana” ossia la regione Mena caldeggiata dai principali organismi 
finanziari internazionali (Banca mondiale e FMI) e dalle stesse agenzie delle 
Nazioni Unite. E naturalmente, da molti paesi petroliferi della penisola araba. 
Come 
detto, si passò dal vecchio “arco dell’instabilità e della crisi”, che andava 
dal nord-Africa all’Iran, passando dalla Palestina occupata, al Mena che taluni 
specialisti, anche di tendenza moderata, ufficialista,  spiegano così. 
“L'obiettivo 
americano è, comunque, quello di ridisegnare gli equilibri in un'area che va dal 
Nord Africa all'Iran, dove la presa della potenza Usa si è costantemente 
indebolita negli ultimi anni, a seguito del fallimento della politica di Bush. A 
questo scopo, gli Usa stanno cercando di inserirsi nei sommovimenti in atto. 
Anzi, c'è il dubbio che abbiano messo lo zampino anche nella fase delle rivolte, 
come dimostrerebbe l'esistenza di un progetto, riportato da Wikileaks, di 
liberarsi di Mubarak, ormai non più affidabile, o il ruolo di un'istituzione 
americana come American Freedom nel training di blogger anti Ben Alì”. (Negri, 
2011)
La 
regione “Mena” si presenta come una sorta di “cerchio” ellittico ideale che 
delimita una nuova entità geo-economica e si estende dall’Atlantico al Golfo 
Persico, al Mar Caspio, inglobando i paesi rivieraschi delle coste Sud ed Est 
del Mediterraneo, del sub - Caucaso, l’Iran e l’intera penisola araba[1]. 
Nell’area 
vivono oltre 350 milioni di persone, quasi tutte accomunate dalla stessa lingua 
(l’arabo) e dalla stessa religione (l’Islam). 
Una 
realtà in formazione, attraversata da tante contraddizioni e perfino da 
conflitti, che contiene enormi riserve energetiche (petrolio e gas), grandi 
risorse finanziarie e importanti mercati (dalle armi ai prodotti di lusso), 
abbondanza di manodopera a basso costo, ecc.
Tuttavia, 
la regione “Mena” si caratterizza per il fattore petrolifero e gasiero poiché vi 
si concentra il 30% circa della produzione, il 40% delle esportazioni e il 65% 
delle riserve petrolifere mondiali accertate. 
Per 
avere un’idea più dettagliata della realtà di tali settori basta osservare gli 
andamenti realizzatisi fra il 2000 e il 2013.
Petrolio:
dal 
2000 al 2013, le riserve accertate di petrolio di Mena sono cresciute da 
725,4 a 
869,6 miliardi di barili, corrispondenti al 52% delle riserve mondiali, al 72% 
delle riserve Opec, al 77% di quelle dei paesi OCSE ossia l’insieme dei paesi 
occidentali più industrializzati del Pianeta;   
nello 
stesso periodo si è registrato un forte incremento delle produzioni Mena, 
precisamente da 27.2 
a 31.4 mln b/g, corrispondente al 36% del totale mondiale 
e al 87% di Opec e al 67%  dei paesi 
OCSE.
Gas:
Nel 
periodo considerato (2000-2013), anche le riserve di gas naturale di Mena hanno 
fatto registrare un notevole incremento da 66.494 a 88.570 (mld m/3). Il dato 
relativo al 2013 corrisponde al 43% delle riserve mondiali e al 92% di Opec ed è 
4,4 volte maggiore delle riserve OCSE;
Mentre 
la produzione gasiera è cresciuta da 308,2 a 699,2 miliardi di m3, 
superando nettamente quella di Opec (642,5) e attestandosi al 36% della 
produzione mondiale contro il 24% dell’intera produzione 
OCSE.
Ben 
4 paesi Mena (Qatar, Iran, Arabia Saudita, Algeria) figurano fra i primi 10 
paesi produttori di gas. Considerando il rapporto fra riserve e produzione (dati 
2013) Mena potrà produrre per 127 anni, contro i 59 anni del Mondo, i 16 anni 
dei paese Ocse, i 13 anni del Nord America (Usa e Canada), gli 11 anni 
dell’Unione Europea, i 76 anni della Russia e i 144 anni del Medio 
Oriente.
Numeri 
forti che denotano l’importanza attuale e futura della regione con la quale 
dovranno confrontarsi la gran parte dei paesi 
industrializzati.
Tab. 
7
CONFRONTI 
MENA/ ALTRE PRINCIPALI AREE- Risorse energetiche, 2013
Riserve 
petrolio (mld barili)                     
 
 | 
Prod. 
Petrolio (mln b/g) 
 | 
Consumi 
petrolio/ capita  
(barili) 
 | 
Riserve 
gas 
(mld 
mc)  
 | 
Prod. 
Gas  
(mld 
mc) 
 | |
MONDO 
 | 
1.658,1 
(100%) 
 | 
87,3 
(100%) 
 | 
  4,67 
 | 
202,7 
(100%) 
 | 
3.425,9 
(100%) 
 | 
MENA 
 | 
   869,6 ( 52%) 
 | 
31,4 
(36%) 
 | 
  9,11 
 | 
 88,5  
(43%) 
 | 
   699,2 (20%) 
 | 
OPEC 
 | 
1.207,2 
(73 %) 
 | 
36,8 
(42,%) 
 | 
  7,54 
 | 
 95,2  
(47%) 
 | 
   642,5 (18%) 
 | 
OCSE 
 | 
   235,6 (14%) 
 | 
20,9 
(24 %) 
 | 
13,32 
 | 
 19,8  
(10%)  
 | 
1.207,8 
(35%) 
 | 
U. 
E. 
 | 
       6,0 (0,06) 
 | 
 1,5 (0,01%) 
 | 
 9,36 
 | 
  1,7   
(0,8%) 
 | 
   157,0 (4,5%) 
 | 
Nord-America 
 | 
   209,8 (12,6) 
 | 
14,2 
(16,3%) 
 | 
22,32 
 | 
 11,0  
(5,4%) 
 | 
   827,2 
(24%) 
 | 
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- Eni- 2014
Tab. 
8
PETROLIO, 
2013: PRIMI 15 PAESI PER RAPPORTO RISERVE / PRODUZIONE- (anni) 
  PAESE 
 | 
     ANNI 
 | 
Venezuela 
 | 
       300 
 | 
Georgia 
(ex Urss) 
 | 
       154 
 | 
Libia 
 | 
       139 
 | 
 Iran 
 | 
       135 
 | 
 Iraq 
 | 
       122 
 | 
 Siria 
 | 
       122 
 | 
 Canada 
 | 
       120 
 | 
 Kuwait 
 | 
         92 
 | 
 E.A.U.   
 
 | 
         75 
 | 
 Kirghistan 
 | 
         74 
 | 
 Arabia Saudita 
 | 
         64 
 | 
 Yemen 
 | 
         58 
 | 
  Nigeria 
 | 
         41 
 | 
  Cina 
 | 
         15 
 | 
  Usa 
 | 
         10 
 | 
MONDO 
 | 
         
52 
 | 
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- ENI- 2014
Tab. 
9
2013- 
RAPPORTO RISERVE E PRODUZIONE DI PETROLIO E GAS PER PRINCIPALI AREE- 
(anni)
Area 
 | 
   Petrolio 
 | 
   Gas 
 | 
MENA 
 | 
     76 
 | 
  127 
 | 
OPEC 
 | 
     90 
 | 
  148 
 | 
AMERICA 
LATINA 
 | 
     89 
 | 
    36  
 | 
AMERICA 
NORD 
 | 
     40 
 | 
    13 
 | 
AFRICA 
 | 
     38 
 | 
    87 
 | 
RUSSIA 
 | 
     24 
 | 
    76 
 | 
ASIA-PACIFICO 
 | 
     16 
 | 
    35 
 | 
U. 
E. 
 | 
     11 
 | 
    11 
 | 
OCSE 
 | 
     31 
 | 
    16 
 | 
MONDO 
 | 
     52 
 | 
    
59 
 | 
Fonte: World Oil and Gas Rewiew- ENI- 2014
Il 
“cerchio Mena” contiene quasi tutti i cosiddetti “Stati-canaglia”, inseriti 
nella lista nera degli Usa, e le principali aree di crisi che, in certi casi, 
coinvolgono i territori di alcuni paesi centro asiatici di tradizione islamica 
dell’ex Urss.
Un’area, 
dunque, ad alta densità di conflitti, instabile politicamente sulla quale si 
sono appuntati gli interessi di alcune fra le più grandi potenze mondiali ognuna 
delle quali è portatrice di un proprio disegno politico ed economico. 
In 
particolare Stati Uniti d’America e Cina, ma anche la Russia di Putin che cerca di rientrare 
nel gioco mediterraneo e mediorientale per ri-occupare il ruolo importante 
svolto in passato dall’ex Urss.
L’obiettivo 
del progetto Mena, che ha messo nell’ombra l’iniziativa dell’Unione Europea sul 
partenariato euro-mediterraneo, sembra essere quello di controllare quest’area 
per assicurarsi le risorse (energetiche e finanziarie) e per farla “pesare” nel 
confronto globale polarizzato intorno a due aggregazioni principali: da un lato 
gli Usa e i loro alleati occidentali, dall’altro lato i paesi Brics (Brasile, 
Russia, India, Cina e Sud Africa) ossia le nuove potenze economiche emergenti (o 
già emerse!) del terzo mondo.  
Per 
controllare questa regione sono stati provocati, con una cadenza impressionante, 
micidiali conflitti religiosi e civili, guerre locali e “rivoluzioni” 
improvvisate quanto sanguinose. 
Anche 
le “ primavere arabe” sembrano inquadrarsi in tale logica, per altri versi 
inspiegabile. Infatti, nessuno comprende l’appoggio dato dall’Occidente alle 
“primavere arabe” risoltosi in un madornale errore visto che i paesi 
investiti  (Tunisia, Egitto e Libia 
nell’Africa del nord ) sono stati consegnati nelle mani dei fondamentalisti dei 
“Fratelli musulmani” e di gruppi di qaedisti e dell’Islamic State (Is). 
Errori 
così pacchiani, ripetuti che autorizzano un dubbio atroce: gli Usa (e i loro 
supporter europei) sbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di sbagliare? 
Difficile 
sciogliere tale dubbio anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali 
occidentali pur di controllare il petrolio e il gas arabi non si fanno scrupoli 
di allearsi anche con i più fanatici nemici degli Usa e dell’Occidente ossia con 
la “tendenza integralista”, variamente connotata, probabilmente ritenuta l’unica 
in grado di esercitare una seria influenza sul potere politico e sulle risorse 
degli Stati islamici.
Nel 
suo saggio, Sebastiano Caputo da questa interpretazione: 
“Al 
momento né Washington né Tel Aviv hanno suonato il campanello d’allarme, 
difficile capire il perché. La prima ipotesi presuppone che gli Usa sappiano che 
questi nuovi governi islamo- neocon-servatori agiranno principalmente nel campo 
del sociale attraverso leggi che limiteranno la libertà, mentre difficilmente 
metteranno le mani alla macroeconomia, vale a dire il libero mercato e il 
sistema monetario attuale, di conseguenza risulterebbe inutile scatenare 
pressioni o sanzioni… Tuttavia l’eclatante trionfo dei valori islamici su quelli 
laici racchiude in sé una situazione para-dossale. Se si analizza l’evoluzione 
della politica estera nord-americana dopo i cosiddetti attentati dell’11 
settembre e l’atteggiamento scettico nei confronti dell’Islam, la domanda che 
viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “garanti della 
democrazia nel mondo” permettono un tale evento storico - politico? Perché 
Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e pro-palestinesi di governare 
Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?” (Caputo, 
2013)
La 
“guerra infinita” continua a destabilizzare i regimi, a massacrare, a 
distruggere i Paesi del mondo arabo non perfettamente allineati alle direttive 
d’Oltreoceano. Prima l’Afghanistan, poi l’Iraq di Saddam Hussein, 
la Libia di 
Gheddafi. Oggi è la volta della Siria di Bachar Assad. Domani, probabilmente, 
dell’Iran degli ayatollah. Cambiano i presidenti in Usa e i governi nei Paesi 
alleati, ma la  “guerra” continua. Come 
se fosse una sorta di “undicesimo comandamento”!
Un' 
inquietante continuità che conferma il timore, piuttosto diffuso, secondo il 
quale nelle “grandi democrazie” occidentali non comandano gli organi 
costituzionali, eletti più o meno democratica-mente, ma i “poteri forti” che 
agiscono nell’anonimato o nascosti “dietro il trono”.
D’altra 
parte, tolti gli idrocarburi e i petrodollari derivati (appannaggio di pochi 
clan tribali patrimoniali e politici), la regione Mena non è il migliore dei 
mondi possibili. Tutt’altro! Le società di quei paesi soffrono, in termini più 
duri che altrove, le conseguenze della crisi mondiale e quelle derivate dalle 
ataviche condizioni di sottosviluppo. 
Come 
si legge in uno studio (del 2012) della Camera dei Deputati italiana, 
nell’attuale fase di ripresa dalla crisi alcune aree della regione si trovano a 
fronteggiare inediti sviluppi del proprio quadro politico, con implicazioni 
potenzialmente di vasta portata; il quadro politico, caratterizzato dalla 
richiesta di riforme della rappresentanza, dell’accountability e della 
governance, risulta aggravato dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile e 
dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Secondo 
l’outlook della Banca Mondiale, (febbraio 2011) l’impatto economico della crisi 
politica sull’area Mena si potrebbe manifestare attraverso alcuni fenomeni di 
segno negativo:
-     esitante ripresa della crescita, già lenta 
soprattutto per i paesi importatori di petrolio, a causa della caduta delle 
entrate derivanti dal turismo e le perturbazioni che hanno colpito le attività 
finanziarie;
-    impatto potenzialmente significativo degli 
effetti della crisi sulle fasce più povere della popolazione, specialmente in un 
quadro di crescita inflazionistica;
-    diminuzione degli investimenti determinata 
dal perdurare del quadro di incertezza e possibili complicazioni di lungo 
periodo per gli operatori del settore finanziario;
-    aggravamento del deficit fiscale a seguito 
del rallentamento delle entrate e all’aumento della spesa corrente. Tale quadro 
critico si sta inverando nei paesi i cui governi aumentano gli stipendi della 
pubblica amministrazione e annunciano assunzioni nel settore pubblico, sussidi e 
aumento del salario minimo;
-    crescita generalizzata dei costi economici 
in particolare nei casi di persistente instabilità o di mancanza di chiarezza 
nella transizione politica in atto[2].
E 
la “vecchia” Europa, dominata dall’euro-burocrazia di Bruxelles e dalle banche, 
assiste, impotente, divisa e debilitata, a tali manovre che si svolgono nella 
propria area di “pertinenza” se non altro per la prossimità 
geografica.
A 
soppiantarla anche nel Mediterraneo (ossia nel cortile di casa) sono gli Usa che 
tirano le fila di un nuovo disegno politico- strategico qual è il 
Mena.
La 
novità è stata recepita. Non a caso, la gran parte degli attori politici 
tradizionali, degli stessi sommovimenti arabi non guardano all’Europa ma agli 
Usa come principale riferimento “esterno”.
L’Europa 
segue a ruota sul terreno della strategia politica e su quello della politica 
finanziaria anche per quanto riguarda il Mena in favore della quale l’U.E. ha 
creato uno speciale “Fondo Mena” che- secondo il bollettino della Commissione 
U.E. - ha “lo scopo di investire nel settore infrastrutturale ed energia in 
Medio Oriente e Nord Africa…” facendo leva sulla partecipazione volontaria dei 
Paesi membri, della Bers e del fondo fiduciario Neighbourhood Investiment 
Facility (NIF).”
Così 
anche sul terreno dell’impegno militare, nel quale si distinguono in particolare 
alcuni paesi a più spiccata vocazione servile (quali, oggi, Francia, Gran 
Bretagna e, in seconda fila Italia e Spagna) che sembrano avere rinunciato a 
svolgere un ruolo autonomo di pace, per lasciarsi coinvolgere in avventure 
rischiose e molto costose per i grami bilanci dei rispettivi 
Stati.
La 
non partecipazione della Germania, Paese guida dell’U.E., all’avventura libica e 
in genere alle tante missioni “umanitarie” nel Mediterraneo e in giro per il 
mondo (tranne in Afghanistan), do-vrebbe far riflettere i tanti “soloni” che 
pontificano sulla democrazia degli altri che vorrebbero salvare o instaurare con 
i droni e con i cannoni. 
Anche 
se, come scriviamo in altra parte, i grandi industriali tedeschi, timorosi di 
restare esclusi, hanno cominciato a premere sul governo per un impegno diretto 
delle forze armate tedesche nelle future “missioni di pace” ossia per 
partecipare ai dividenti del bottino di guerra: le materie 
prime.
In 
questo crogiuolo di contraddizioni, l’U. E. rischia il blocco, la dissoluzione 
del progetto d’unione politica ed economica. La stessa Europa rischia di 
smarrire la propria identità storico- culturale e geo-politica, rafforzando il 
punto di vista di chi sostiene che non sia un continente, ma solo una propaggine 
dell’Asia verso l’Atlantico e il Mediterraneo. 
Fisicamente, 
così è. Tuttavia, da tremila anni, l’Europa è fonte e sede di una delle più 
grandi civiltà umane. Purtroppo, oggi, è in declino e molti, amici e 
concorrenti, cercano, di anticiparne la caduta; d’invaderla silenziosamente, 
amichevolmente, per spolparsi le sue enormi ricchezze materiali e immateriali. 
Più 
che una speranza ben riposta, il futuro dell’Europa è un problema mal posto, 
poiché resta incerto e succube di forze e interessi ostili e contrapposti. 
L’Europa ha smarrito il senso della sua dignità storica, della sua autonomia 
culturale e politica.
La 
soluzione? La risposta non è facile. La crisi è tale che l’U.E. potrebbe, 
perfino, disgregarsi. Per evitare tale pericolo, bisogna cambiare registro 
politico e strategico e puntare a un' Europa dei popoli e non più delle 
consorterie multinazionali. 
Sulla 
base di tale correzione di rotta, dovrà proseguire l’allargamento fin dove è 
possibile nell’ambito dei popoli di cultura europea, abbandonando la politica di 
provocazione e delle tensioni svolta per conto terzi in ambito 
Nato.
In 
tale prospettiva, diventa auspicabile, possibile il progetto di unire Europa e 
Russia o, se si preferisce, di associare la Russia all’Unione europea. Sì, avete 
letto bene, la sterminata Russia che ci è stata sempre presentata come l’eterno 
nemico. 
Ieri 
da Napoleone e da Adolf Hitler, i quali tentarono, rovinosamente, di 
conquistarla militarmente, oggi da certa oligarchia politica e finanziaria 
occidentale che non si rassegna al fallimento del suo tentativo d’incorporare 
la Russia fra 
le sue “dipendences” orientali.   
Un’idea 
simile potrà apparire paradossale, fuori da ogni ragionevole previsione, 
tuttavia un senso lo ha, una logica pure, specie se realizzata gradatamente e 
alla luce delle nuove ri-aggregazioni (spartizioni?) mondiali che stanno 
avvenendo su basi continentali.
Non 
si desidera un’unione contro qualcuno (Usa, Cina o altre realtà del mondo), ma 
un fattore di stabilità, di pace, di cooperazione; per dare un senso pieno 
all’autonomia dell’Europa che, allo stato, appare fiaccata, barcollante al suo 
interno, simile a un “continente” alla deriva.
Da 
sola, l’Europa difficilmente potrà uscire da tale precaria condizione. Se 
l’obiettivo generale del nuovo ordine è di creare un mondo davvero multipolare, 
allora l’Europa dovrà proseguire nel programma di adesione e aggregare nuovi 
soggetti per creare uno dei nuovi poli dello sviluppo mondiale. 
Quali 
nuovi soggetti? Gli Usa sono lontani e non sempre i loro interessi combaciano 
con quelli europei; l’ipotesi euro-mediterranea è stata resa sterile per volere 
degli Usa e per subalternità francese. 
La 
Cina 
e le altre realtà asiatiche sono ancor più lontane e presentano caratteristiche 
socio-culturali, al momento, non assimilabili. Così si può dire, anche per 
ragioni di carattere logistico e funzionale, per altre regioni e/o continenti 
quali l’Africa, il mondo arabo-islamico, l’America latina. 
Non 
resta che la 
Russia ossia un Paese- continente, di prevalente cultura 
europea, che si estende in continuità con l’Europa verso il cuore dell’Asia, 
l’Oceano Pacifico.
Un 
territorio sterminato e ricco di enormi riserve energetiche e metallifere, di 
boschi, di acque, di terre vergini, di mari pescosi, ecc. 
Evitiamo 
ogni riferimento agli apparati e potenziali militari e nucleari che si spera 
possano essere liquidati in tutto il mondo. Che, però, 
esistono!
Risorse 
importanti, strategiche che, unite al grande patrimonio europeo (tecnologie, 
saperi, scienze, professioni, culture e tradizioni democratiche, ecc), 
potrebbero costituire il punto di partenza per dare vita a “Euro-Russia”, a una 
nuova “regione” geo-economica mondiale, dall’Atlantico al Pacifico, al 
Mediterraneo.
Una 
prospettiva di medio / lungo termine (anche se non lunghissimo!) che non può 
essere inficiata o addirittura rifiutata a causa di stizzosi riferimenti a 
situazioni di crisi locali, agli attuali leader. 
Per 
fortuna, gli uomini passano (anche i peggiori), le idee, se sono buone, restano 
e potranno camminare con i piedi e con le teste degli uomini e delle donne che 
verranno.  
Anche 
da parte della Russia, nonostante i minacciosi venti di guerra che da sud e da 
ovest soffiano contro di essa (Ucraina, Cecenia, Georgia, ecc), si pensa a 
grandi progetti e a grandi investimenti per collegare il Pacifico e l’Atlantico, 
attraverso la 
Siberia e l’Europa. Nel marzo del 2014, a Mosca, è stato 
presentato dal presidente delle ferrovie russe, Vladimir Yakunin, un grandioso 
mega progetto denominato “Corridoio euro-asiatico Razvitie” , che- come notano 
M. Lettieri e P. Raimondi “negli anni potrebbe richiedere investimenti per 
parecchie centinaia di miliardi di euro, per collegare con moderne 
infrastrutture la costa russa del Pacifico con i Paesi europei fino 
all’Atlantico. Nel corridoio, oltre ai trasporti ferroviari e autostradali, sono 
previsti anche collegamenti continentali con pipeline per il gas, il petrolio, 
l’acqua, l’elettricità e le comunicazioni. Si prevedono anche collegamenti 
diretti con la 
Cina, che del resto sta già attivamente portando avanti simili 
politiche di sviluppo euro-asiatico attraverso la realizzazione di moderne Vie 
della Seta, e con il Nord America, con la realizzazione di collegamenti 
ferroviari che, passando attraverso lo Stretto di Bering, potranno collegare via 
terra la Russia 
e l’Asia con l’Alaska. Evidentemente la visione strategica del progetto va ben 
oltre la realizzazione dei corridoi di transito. Infatti, si ipotizza anche lo 
sviluppo in profondità di una fascia di 200-300 km lungo l’intera linea per nuovi 
insediamenti urbani e nuovi centri produttivi. Secondo Yakunin un tale progetto 
potrebbe creare almeno 10-15 nuovi tipi d' industrie basate su tecnologie 
completamente nuove.” (Lettieri y Raimondi, 2014)
Ovviamente, 
questo è solo uno spunto, una “bella utopia”. I giochi di guerra, gli intrighi 
per il nuovo ordine mondiale sono in corso da qualche tempo. E sono ancora 
aperti. Il problema è come vi si partecipa: se da protagonisti o da comprimari. 
All’orizzonte 
si profila una nuova bipartizione del mondo, con Cina e Usa come capifila. 
Taluno prevede un’improbabile tripartizione, inserendo la Russia nel terzetto. Nessuno 
pronostica un ruolo primario dell’U.E., condannata a restare sottoposta agli 
Usa.
Non 
sappiamo quali saranno la collocazione, il ruolo della Russia e dell’Europa fra 
30/50 anni. Una cosa sembra sicura: divise, potranno solo sperare che uno dei 
due capifila le inviti ad accodarsi. 
[1] Con 
l’acronimo MENA (Middle East and North Africa) viene indicata la regione che si 
estende dal Marocco, ad ovest, attraversa la fascia nord-occidentale dell’Africa 
e prosegue verso l’Iran nel sud ovest asiatico. I paesi che ne fanno parte, come 
enumerati dalla Banca Mondiale, presente nell’area con propri progetti, sono 
Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Iran, Iraq, Israele, Giordania, Kuwait, 
Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, 
Emirati Arabi Uniti, West Bank and 
Gaza, Yemen.
[2] 
“Documenti –Camera dei Deputati, repubblica Italiana- Roma, 2012”.

Trovo molto interessante e ben documentato lo stralcio del libro di Agostino Spataro e di Lo Brutto. Non si può non condividere la critica all'Europa delle tecno-burocrazie, ridotta a una semplice espressione geografica e destinata all'irrilevanza se no diventa un'Europa dei popoli, partecipata dal basso. Anch'io sono dell'idea che anche la Russia debba far parte integrante dell'Unione europea, anche per il suo passato intriso di cultura europea e in particolare francese.
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