America del Sud: la via
giudiziaria al neoliberismo?
L’esperienza dei governi progressisti in America latina è da
considerare complessivamente positiva, perché frutto di processi elettorali democratici
e di politiche mirate all’inclusione sociale dei ceti popolari e meno abbienti.
Una esperienza, a tratti, esaltante tanto da configurarsi come
una sorta di “anomalia” felice nel contesto globale mondiale.
Negli ultimi anni,
però, è sotto attacco a causa di taluni errori compiuti durante il percorso e,
soprattutto, per effetto di manovre oscure, torbide (un nuovo piano Condor?)
mirate al superamento dell’anomalia ossia al “recupero” dell’America latina,
delle sue immense risorse naturali agli interessi delle oligarchie economiche e
finanziarie Usa ed europee.
Questa è la novità e
insieme il grande problema cui devono dare una risposta le forze democratiche e
di sinistra della regione e del mondo.
Per realizzare tale “recupero” sono state reclutate, mobilitate
forze diverse, interne e internazionali: dalle grandi banche d’affari alle istituzioni
finanziarie, dai grandi gruppi mediatici editoriali a governi servili, da personaggi
più o meno oscuri della politica, della letteratura, a settori delle gerarchie e
dei movimenti religiosi.
Si procede con una
intelligenza tattica degna di miglior causa. Da un lato “golpi” parlamentari
per rovesciare i governi eletti democraticamente e dall’altro lato magistrati,
un po’ troppo zelanti, che, di fatto, sembrano voler favorire una sorta di “via
giudiziaria al neo-liberismo” mediante processi e arresti di personalità
politiche avversarie che mirano a decapitare la leadership dei partiti e dei
movimenti progressisti.
Qualcosa di torbido
che un po’ ricorda quanto accaduto in Italia negli anni ’90. Per altri fini.
Ormai é chiaro che in America latina multinazionali e oligarchie nazionali vanno
dritte al sodo: non vogliono il dialogo con le parti sociali, ma lo scontro per
riappropriarsi del potere politico e delle risorse strategiche latinoamericane:
idrocarburi, acqua, terre e produzioni alimentari, litio, rame, ecc.
Anche a costo
dimettere a rischio il forzato equilibrio fra gruppi (dominanti) di origine
europea e popolazioni indigene povere ed emarginate. Qui si annida il pericolo
di un’altra gravissima frattura , poiché se la “questione” dovesse sfociare in
uno scontro etnico sarebbe difficile prevedere una ricomposizione pacifica.
È bene sempre
ricordare che gli europei vennero nelle Americhe (da conquistatori) circa 5
secoli addietro, mentre gli “indios”, (in realtà sono di origine “china”), sono
laggiù da almeno 20 mila anni ossia da 200 secoli!
Se i “nativi” dovessero prendere coscienza (come sta avvenendo
in varie parti dell’America latina: Bolivia, Colombia, Cile, Messico, ecc) della
loro storia e della loro forza le cose potrebbero mutare, radicalmente.
In tale contesto, non si capisce bene quale ruolo stiano svolgendo
le Chiese cristiane e in particolare quella cattolica che, dal 2013, ha un Papa
argentino.
Materia delicatissima sulla quale le opinioni sono contrastanti.
Forse, è prematuro un giudizio definitivo. Si può solo prendere atto di talune incongruenze
fra il forte messaggio papale e la (mancata) azione di cambiamento nei gangli del
potere e anche in periferia.
Dopo gli annunci, anche clamorosi, non si sono visti atti concreti
di dismissione di ruoli “mondani” (banche e società', ecc) e di un certo collateralismo
delle gerarchie con i poteri forti economici e politici.
In particolare, si
registra uno scarto oggettivo fra le clamorose denunzie “anticapitaliste” di
Papa Bergoglio (che hanno rabbonito i movimenti della teologia della
liberazione) e il dramma attuale dell’America latina sottoposta a un attacco
brutale del neo-liberismo che sta smantellando le politiche democratiche di
solidarietà e d’inclusione sociale.
Una strategia oscura, avventuristica che va condannata, apertamente,
da tutte le forze democratiche e pacifiste. Comprese le gerarchie religiose…locali
e internazionali.
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