Il fabbricante
di prove
Oggi, 4 ottobre 2018, al teatro Pirandello di
Agrigento, é stato ricordato il bicentenario della nascita (a Ribera) di
Francesco Crispi, fervente repubblicano mazziniano ma
con un debole per la monarchia dei Savoia. Non v’è dubbio che egli ebbe
una parte importante nelle lotte risorgimentali per l'unità d'Italia, tuttavia sul
finire dell'800 divenne uno degli uomini di potere più discussi e autoritari,
fino al punto, lui siciliano, di macchiarsi di un grave delitto politico:
reprimere nel sangue, sulla base di " prove" false costruite a
tavolino, il movimento dei "Fasci dei lavoratori " (siciliani), il
primo sorto in Italia, solidale e organizzato, popolare e di sinistra, che
avrebbe potuto innovare la vita economica e civile della Sicilia e cambiare il
corso della storia italiana. Un comportamento a dir poco osceno di cui quasi
nessuno parla e/o ne scrive. Nel sottostante articolo la mia modesta
ricostruzione dei fatti.
“Fin dagli albori della storia, la mala politica ha fatto
ricorso alla menzogna, alla contraffazione, ha imbastito intrighi e represso
complotti immaginari, per liquidare oppositori o paesi ostili. La "ragion
di Stato" è stata l' alibi per tante nefandezze. Una di queste sicuramente
è stata la sanguinosa e illegale repressione del movimento dei Fasci dei
lavoratori siciliani, decretata il 3 gennaio 1894, da Francesco Crispi, capo
del regio Governo e ministro dell' Interno, sulla base di "prove"
false, costruite a tavolino dagli apparati polizieschi, che lo statista, nato a
Ribera, ha sbattuto in faccia agli oppositori socialisti e radicali, nel corso
degli infuocati dibattiti parlamentari che precedettero e seguirono la
dichiarazione di "stato di assedio" della Sicilia.
In pratica, il siciliano Crispi fece quello che il
piemontese Giolitti, suo predecessore, si era rifiutato di fare: reprimere
senza valide motivazioni un movimento popolare, di natura mutualistica e
sindacale, reo soltanto di rivendicare nuovi patti agrari e più umane
condizioni di lavoro nelle miniere. Per Crispi e per gli agrari il movimento
dei Fasci doveva risultare eversivo, portatore di un disegno insurrezionale
mirante a scardinare l'integrità territoriale del giovane Stato unitario, tale
cioè da giustificare lo stato d'assedio e l'applicazione del codice penale
militare, in forza del quale sospendere le libertà civili, arrestare,
condannare, esiliare e "giustiziare" i dirigenti, compresi i deputati
in carica.
In pochi giorni, zelanti funzionari fornirono al governo le
"prove" del grave complotto, ovvero due assurde montature: primo, il
"Trattato internazionale di Bisacquino" (che sarebbe stato
sottoscritto da una parte dai rappresentanti del governo francese e dello zar
di Russia e dall' altra dall' onore-vole De Felice Giuffrida, capo dei
Fasci, dagli anarchici e da emissari del Vaticano), mirante a staccare la
Sicilia dall' Italia per porla sotto la protezione della Francia e della
Russia; secondo, un "proclama insurrezionale" sequestrato ad un
pastaio di Petralia Soprana, col quale s' invitavano ad insorgere «gli operai,
figli dei Vespri».
Per attuare il progetto repressivo fu incaricato il generale
Morra di Lavriano, cui vennero conferiti pieni poteri e 60 mila soldati, il
quale eseguì l' incarico con una spietatezza inaudita, accanendosi contro masse
inermi con metodi brutali e cruenti, che produssero 112 morti fra i lavoratori
e una sola vittima fra le forze dell'ordine.
La repressione dei Fasci ha segnato la vicenda umana e
politica dello statista riberese. Tuttavia, gli storici non sembra vi abbiano
dato un peso adeguato: alcuni l'hanno minimizzata, altri, addirittura,
sottaciuta, forse a causa di un malinteso patriottismo sicilianista. Massimo
Ganci, nel suo libro "Il caso Crispi", ne addebita la causa
«all'ombrosa emotività di Crispi, il quale vedeva trame e nemici laddove non
esistevano». Per molti storici è una giustificazione riduttiva per motivare
quella strage, che costò la vita a centinaia di lavoratori, di giovani e di
donne, che mandò in carcere e in esilio migliaia di dirigenti sindacali, che
sconquassò decine di comuni e che soffocò sul nascere il primo movimento
emancipatore della Sicilia post-unitaria.
Con la liquidazione dei Fasci l' isola perderà tutti gli
appuntamenti successivi con la storia del progresso sociale e civile
dell'Italia. Per rievocare questo avvenimento cruciale ci avvarremo dei
resoconti parlamentari e di alcuni organi di stampa dell'epoca, che descrivono
le famose "prove" che supportarono il discorso di Crispi, del 28
febbraio 1894, alla Camera dei deputati. Ecco alcune citazioni storiche: «Le
relazioni con lo straniero erano pure avviate; ma le definitive decisioni
furono prese in un convegno tenuto in dicembre a Marsiglia. Fu stabilita la
insurrezione per la metà di febbraio, ma fortunatamente mancò in alcuni la
virtù della pazienza. Si faceva correre la voce che una guerra sarebbe
scoppiata nel 1894, si parlava dell' invasione del Piemonte; di flotte
vincitrici nel Mediterraneo, dell'autonomia siciliana, e anche di un porto da
darsi alla Russia, che assumerebbe la protezione dell' isola nostra».
Questo a proposito del "Trattato di Bisacquino",
mentre per denunciare la mancata insurrezione di Petralia Soprana venne letto
il testo del proclama sequestrato al pastaio: «Operai! Figli del Vespro! Ancora
dormite? Corriamo al carcere a liberare i fratelli. Morte al Re, agli
impiegati. Abbasso le tasse. Fuoco al municipio e al casino dei civili. Evviva il
fascio dei lavoratori! Quando le campane della Matrice e del Salvatore
suoneranno, assieme corriamo armati al castello, ché tutto è pronto per la
libertà».
Presto si scoprirà la ridicola infondatezza del famoso
"Trattato internazionale di Bisacquino", così chiamato non perché
sottoscritto nel piccolo comune del palermitano, ma perché inventato, di sana
pianta, dall' ispettore napoletano Sessi, delegato di pubblica sicurezza a
Bisacquino. La questione fu portata in parlamento anche da Felice Cavallotti il
quale, nella seduta del 23 aprile 1894, dopo aver ricordato ad un imbarazzato
capo del governo, «quando Francesco Crispi, nel 1877, a proposito dello stato
d'assedio in Sicilia, denunziava i falsi rapporti dei questori e dei prefetti»,
ironizza sul «famoso trattato fra l'imperatore di Russia, il presidente della
Repubblica francese e l'onorevole De Felice (che, di lì a poco, a causa di
questo fantomatico trattato verrà condannato a 18 anni di carcere ndr)».
Ancora più bizzarra è la storia del proclama insurrezionale
di Petralia Soprana che Crispi, in polemica con un incredulo Camillo
Prampolini, assicurò essere autentico e "firmatissimo". Fu Napoleone
Colajanni, in un articolo dal titolo "Un romanzo inverosimile",
pubblicato il 7 marzo 1984 su "Il Secolo" di Milano, a sbugiardare il
capo del governo, denunciando l'artificiosità di detto proclama, frutto della
fantasia malefica, della vendetta d'amore del vice cancelliere della locale
pretura «perdutamente innamorato di una bella donna moglie di un pastaio. La donna
amata non dette ascolto alle disoneste proposte del vice cancelliere e questi,
sempre più innamorato e adontato dalle ripulse, le scrisse che, se non
consentiva di dargli almeno un bacio, nella qualità di vice cancelliere,
avrebbe fatto nascere un diavolo nella sua casa!». Di fronte all'ulteriore
rifiuto il funzionario «passò a vendicarsi nel modo più scellerato. Scrisse
precisamente il manifesto firmatissimo impostandolo nella vicina Petralia
Sottana all'indirizzo del marito di quella povera donna che aveva respinto le
sue laide proposte e scrisse due lettere anonime: una al delegato di Pubblica
sicurezza, l'altra al brigadiere dei Reali carabinieri, denunziando a loro
l'odiato marito come un anarchico che aveva ricevuto del denaro e della
dinamite per promuovere la rivoluzione e additò in prova delle sue asserzioni
il fatto che per mezzo della posta doveva arrivargli un manifesto sovversivo».
L'ignaro pastaio fu arrestato sulla base d'imputazioni
gravissime «allora la povera moglie vinse ogni riserbo e denunziò il vice
cancelliere; questi interrogato confessò il tutto allegando a propria scusa
l'aberrazione mentale cagionatagli da una fatale passione!». «E con documenti
di questo genere – conclude il Colajanni – si è imbastito un processo
scellerato, mostruoso».
* (pubblicato in"La Repubblica" https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/12/11/la-strage-dei-fasci.html
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