L'Oasi di Ghardaia (foto di Philippe Frey (da FB) |
1..Se c’è uno spazio dove arabi ed europei, ancor più che nel passato, sono destinati ad incontrarsi, a convivere pacificamente, a cooperare per costruire un nuovo avvenire comune, questo è certamente il Mediterraneo. Detta oggi, in un momento così critico delle relazioni euro-arabe, funestate dall’embargo dell’ONU contro la Libia, questa asserzione può apparire fuori di luogo o un atto di fede nella “mediterraneità”, in quel modo di essere specifico, in quel sentimento tanto radicato nella stragrande maggioranza dei popoli mediterranei. Per me è soltanto una “bella utopia”, ma un’utopia possibile, per la quale vale la pena impegnarsi. Le grandi utopie si sono dimostrate necessarie al progresso umano. Negli ultimi secoli, molte “utopie” hanno varcato gli orizzonti della scienza, della tecnica e della storia e sono divenute fattori di straordinario progresso dell’umanità. Permettetemi, allora, di illustrarvi il punto di vista che, nel tempo, vado maturando a proposito della “utopia mediterranea”, la quale, oggi, alla luce dei grandi sconvolgimenti in corso nel mondo, credo diventi ancora più possibile e verificabile.
2..Tali avvenimenti, infatti, hanno sconvolto, nel bene e nel male, i vecchi equilibri, non solo militari, sui quali si sono rette le sorti del mondo in questo mezzo secolo.Il mondo è alla ricerca di un nuovo ordine internazionale fondato sul concorso paritario di tutti i popoli e gli Stati. Tuttavia, il passaggio da un equilibrio bipolare ad un altro multipolare, e soprattutto più equo, si sta rivelando difficile e perfino rischioso. Si rischia, cioè, di giungere ad una soluzione unipolare, guidata dagli Stati Uniti d’America, basata su un modello economico liberistico, esasperato e senza regole, che potrebbe diventare causa di permanente conflittualità Nord-Sud e Nord-Nord. Lo scenario che si va delineando per il prossimo secolo, comincia a mettere a dura prova il complesso delle attuali relazioni ed istituzioni internazionali. Il punto di rottura decisivo potrebbe verificarsi all’interno del sistema di relazioni Nord-Nord e non come si teme nel sistema dei rapporti Nord-Sud. Il Sud, probabilmente, vivrà le sue crisi e le sue convulsioni interne sotto gli effetti di un divario economico e tecnologico sempre più stridente, ma non avrà la forza di reggere ad una sfida così impegnativa col Nord, anzi- come stiamo vedendo- tende ad allinearsi alle posizioni del “vincitore”.
La rottura potrà verificarsi a partire dal campo economico e commerciale per il controllo del mercato mondiale, divenuto l’idolo spietato di questo paganesimo di ritorno, di questa nuova religione chiamata “mondializzazione capitalistica”, che per svilupparsi presuppone l’accentramento delle leve di comando all’interno di una oligarchia finanziaria multinazionale e lo sfruttamento, anche disumano, delle risorse del Sud. Bastano pochi dati per avere un’idea della mondializzazione capitalistica: nel settore dell’industria dei semi-conduttori soltanto 17 società giapponesi e USA detengono il 62,5% del mercato mondiale. Nel 1990 la produzione di automobili di Giappone, USA e CEE è ammontata al 90% della produzione mondiale;
Gli stessi paesi, nel 1988,
realizzavano: il 70% della produzione chimica industriale, agricola e
farmaceutica.
(fonte: La mondialisation
industrielle-OCDE-1992)
3..Già oggi, fra queste tre grandi potenze economiche, si manifestano attriti e tensioni preoccupanti.
Il meccanismo dello sviluppo
mondiale, fondato su una eccessiva concentrazione di capitali e di consumi in
una ristretta area del pianeta, sembra essere giunto ad una soglia di
saturazione, oltre la quale è difficile andare.
Alcuni dati:
USA, Giappone e CEE, nel
1989,col 12,3% della popolazione mondiale, detenevano il 72% del PIL mondiale e
il 62% dell’interscambio commerciale mondiale.
Le stesse proporzioni si realizzano
in altri settori della produzione e dei consumi.
Il Nord ricco ed
opulento(anche se non tutti i cittadini del Nord sono ricchi ed opulenti)dopo
il crollo del campo socialista, ha un nuovo problema: l’individuazione del
nemico o dei nemici che possono minacciare il suo benessere.
E in mancanza di un “nemico”
vero, riconoscibile si è caduti nello sconforto psicologico.
Nella leadership occidentale
si sta diffondendo una forma di schizofrenia che la porta alla ricerca di nuovi
nemici, di nuove minacce per giustificare il mantenimento di un enorme e
micidiale dispositivo militare e nucleare.
4..Le minacce non sono più e soltanto quelle di natura militare, ma rappresentano una vasta gamma la cui natura spazia dal fattore economico a quello religioso, da quello politico ai processi sociali, agli scontri etnici, etc.
La minaccia più temuta sembra
essere quella proveniente dal Sud che reclama un riequilibrio economico fra
Nord e Sud, sulla base di una più equa distribuzione delle risorse.
Si identifica, in sostanza, il
concetto di sicurezza con quello di prosperità.
Una tale identificazione ha
portato ad un irrigidimento dei rapporti Nord-Sud, ad una progressiva
militarizzazione delle relazioni internazionali, ad una formidabile corsa al
riarmo e alla crisi delle Nazioni Unite, quali foro e strumento di risoluzione
pacifica dei conflitti.
Secondo questa singolare
dottrina le nuove minacce sono:
l’immigrazione, i conflitti
interetnici, i movimenti politici e religiosi anomali e tutto quanto può
mettere a rischio, anche a migliaia di km dalle frontiere nazionali, l’attuale
meccanismo di produzione e di consumo mondiali.
Siamo giunti, così, ad una
colossale mistificazione dei valori dei processi politici, economici e sociali
e dei diritti del Sud: i bisogni dei 4/5 dell’umanità sono divenuti una
minaccia mortale per l’altro quinto dell’umanità.
Il vero pericolo viene
dall’interno del Nord e si potrebbe sviluppare a partire dalle relazioni
commerciali fra le tre grandi potenze economiche del pianeta, quando i margini
di espansione del mercato si faranno troppo stretti per contenerle tutte.
Lo scontro fra queste potenze
potrebbe provocare la crisi dei centri vitali dell’economia e della finanza
mondiali.
Qualche nube di tale,
prevedibile crisi si affaccia - per esempio- nel futuro dell’Europa
Comunitaria, che pure sembra avviata verso una prospettiva, a breve termine, di
unione politica e monetaria.
L’Europa, infatti, sta vivendo
alcuni grossi problemi quali:
quelli della sicurezza nel
quadro del nuovo ordine “americano e in rapporto alle situazioni d’instabilità
dell’Est europeo e del Sud mediterraneo.
D’altra parte, una grande
potenza economica deve possedere una grande potenza militare autonoma e la
vecchia NATO, seppure proiettata sempre
più a Sud, non è più sufficiente a questo scopo. Anche il Giappone vive questo
problema.
alle sue relazioni commerciali
esterne, soprattutto nei confronti di USA ed anche del Giappone;
alla sua leadership politica
ed economica interna alla quale sempre più si candida la Germania riunificata,
per altro, impegnata a crearsi ad Est (dall’ex Yugoslavia all’ex URSS) una sua
grande area d’influenza che certamente peserà sul precario equilibrio dei
poteri interni alla Comunità.
Un accresciuto ruolo politico,
economico e militare della Germania potrebbe mettere in crisi il delicato
processo di unione europea.
6..Vi sarebbero altre
considerazioni che riguardano:
il riassetto politico ed
economico dell’Europa orientale e dell’ex URSS, che resta sempre la seconda
potenza nucleare;
la ri-aggregazione economica
dell’area del Pacifico con al centro il ruolo del Giappone e forse anche,
domani, della Cina il processo di fusione economica e finanziaria fra USA
e Canada;
l’evoluzione della crisi del
terzo e quarto mondo che non sappiamo quali conseguenze provocherà.
La situazione è, dunque, in
movimento ed è tale che porterà a ri-disegnare la geografia politica ed
economica del pianeta.
Ho richiamato questi elementi per meglio delineare uno dei più probabili scenari per il fine secolo, all’interno del quale bisognerà collocare gli sforzi per rivitalizzare il ruolo dell’area mediterranea, nel quadro di una prospettiva di pace e d’inedita cooperazione, basata sul co-sviluppo e l’integrazione economica.
Vediamo ora di evidenziare le potenzialità e il peso specifico dell’insieme dei 18 paesi mediterranei (esclusi quelli del Mar Nero) rispetto al mondo e in rapporto con i più importanti paesi ed aree economiche mondiali.
Alcuni indicatori principali:
a)nel 1990 l’area
mediterranea, con il 6,4% della superficie mondiale aveva una popolazione di
395 milioni di abitanti, corrispondenti al 7,4% della popolazione mondiale;
b)nel 1989, il PIL globale dei paesi mediterranei è ammontato 2.782 miliardi di dollari, corrispondenti al 14,7% del PIL mondiale. Da notare che il PIL globale mediterraneo è inferiore a quello del Giappone, pari al 16,7%, e superiore a quello realizzato insieme da Cina, India, Brasile ed ex URSS che non arriva al 10% ;
c)l’area mediterranea ha
realizzato il 6,4 % della produzione mondiale di petrolio e il 3,8% di gas
naturale; l’8,8% di acciaio, il 9,1% di alluminio;
d)il 15,4 % delle esportazioni
e il 17,5% delle importazioni
mondiali.
e)il 18% della flotta mercantile mondiale appartiene ai paesi
mediterranei;
f)con l’8,6% della superficie
coltivabile mondiale, l’area mediterranea realizza il 9,2% della produzione
agricola mondiale, di cui grano il 15% circa.
g)nei paesi mediterranei sono
arrivati, nel 1986,circa 125 milioni di turisti, ovvero il 36,4% del turismo
internazionale mondiale che ha prodotto il 32% delle entrate mondiali per
turismo;
h)la produzione industriale
mediterranea, nel 1985, rappresentava il 14% della produzione mondiale;
i)la pesca dei paesi
mediterranei ammontava, nel 1984, al 5,2% della produzione ittica mondiale;
D’altra parte sull’area mediterranea pesano:
l’8,7% della spesa militare
mondiale, pari a circa 80 miliardi di dollari nel 1989;
215 miliardi di dollari per
debito estero, corrispondente al 18% del debito globale dei PVS.
Naturalmente all’interno
dell’area mediterranea il peso dei 5 paesi CEE della riva Nord, soprattutto di
Francia e Italia, è rilevante e denota un divario, in taluni casi, davvero
clamoroso fra le diverse rive del Mediterraneo.
8..Il quadro ora tracciato, che abbiamo approfondito in una ricerca del nostro Centro Studi Mediterranei in corso di pubblicazione, ci aiuta a capire l’evoluzione globale dell’area mediterranea negli ultimi 30 anni nel contesto delle dinamiche di sviluppo mondiale.
Certamente il divario fra la
sponda Nord e le sponde Sud ed Est del Mediterraneo resta grande, tuttavia
-come dice Samir Amin-“ si è modificato il profilo delle società nazionali e le
forme e il livello del loro inserimento nel sistema mondiale.(S.Amin-La
Mediterranèe dans le monde”)
E’ utile perseguire
l’obiettivo di un più marcato inserimento del Mediterraneo nel sistema
mondiale. Ma è altrettanto utile l’inserimento “forzato” dell’economia
mediterranea nella linea di “mondializzazione capitalistica” ?
In questa linea, soltanto i
paesi comunitari della sponda Nord potrebbero trovare una relativa convenienza,
mentre il resto dei paesi mediterranei subiranno tutte le conseguenze derivanti
dalla loro molteplice
dipendenza dai mercati europeo e mondiale.
La questione che noi poniamo è
la seguente:
è possibile la trasformazione
dell’area mediterranea in uno spazio economico comune finalizzato alla
creazione di un nuovo grande polo mondiale fondato sul co-sviluppo e la
progressiva integrazione economica e sociale?
In questa prospettiva,
cambierebbero gli approcci e i termini dei problemi interni all’area
mediterranea, delle relazioni fra le sue rive; e molte delle questioni che oggi
dividono (immigrazioni, risorse energetiche, strategie militari, diversità
religiose e culturali, ect)invece che come minacce, potrebbero
essere percepite come fattori
di scambio, di compensazione.
A cominciare dallo squilibrio
demografico e della circolazione delle risorse umane fra il Nord e il Sud del
Mediterraneo.
Per essere chiari, non
pensiamo, almeno per il momento, ad una ipotesi “unionistica”, ma ad un grande
sforzo coordinato di confluenza e di programmazione che possa portare domani ad
una sorta di Comunità mediterranea, aperta alla cooperazione con altre
Comunità, con quelle del mondo arabo e con la CEE in particolare.
9..Tale ipotesi dovrebbe basarsi su alcuni presupposti essenziali, non solo quelli economici che abbiamo ricordato, ma anche quelli storico-culturali, etnici e morali che danno luogo alla” mediterraneità”; liberando i popoli da divisioni artificiose imposte dall’esterno o da situazioni e da espressioni culturali estranee che mortificano la tradizione mediterranea . Ai razzisti del Nord e ai fanatici del Sud bisogna ricordare che l’area mediterranea è certo un mosaico di popoli e di culture diverse, ma che, tuttavia, le caratteristiche morfometriche e genetiche dei tipi umani sono generalmente comuni a tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo.
Sono stati compiuti studi e ricerche, anche mediante l’analisi dei gruppi sanguigni di circa 500 nuclei di popolazioni differenti mediterranee, ed è stato accertato che “queste comuni basi biologiche e culturali restano piuttosto salde e presenti ancora oggi”(fonte: Le risorse umane del Mediterraneo ed. Il Mulino-1990)
Agli integralisti di tutte le
risme e latitudini, dobbiamo ricordare che il Mediterraneo è il luogo di
nascita delle tre principali religioni monoteiste, dove possono convivere in
pace, senza ingerirsi nella sfera politica, culturale e civile, secondo un
ordine laico e democratico che deve essere rafforzato ed esteso a tutta l’area
mediterranea.
Ai persuasori occulti delle
grandi multinazionali e ai dittatorelli di turno si deve dire che la libertà e
i diritti degli uomini mediterranei sono beni preziosi ed irrinunciabili,
specie qui nel Mediterraneo dove sono nate la democrazia, lo spirito di tolleranza
e la filosofia umanistica.
In conclusione, il
Mediterraneo possiede le risorse umane e materiali per costruire un avvenire
più prospero nella cooperazione nella libertà e nella democrazia.
Questo avvenire è nelle mani
dei popoli e delle loro classi dirigenti, perché -come ha scritto Braduel- “Il
Mediterraneo sarà come lo vorranno le genti mediterranee”.
Nessun commento:
Posta un commento