venerdì 30 aprile 2021
COME LA PROPOSTA DI LEGGE “LA TORRE” DIVENNE “ROGNONI –LA TORRE”
lunedì 19 aprile 2021
PAROLE CHIARE SULL'UNGHERIA / Perché Orban ha conquistato la maggioranza assoluta?
di Agostino Spataro *
1… Orban fuori dal PPE: l’asse Budapest, Varsavia, Milano
Nelle settimane scorse, con
l’uscita dei parlamentari ungheresi del Fidesz dal gruppo del Partito popolare
europeo (Ppe), si è consumato il divorzio fra Viktor Orban e il raggruppamento dei
popolari che fa riferimento al partito di Angela Merkel.
Victor Orban, fondatore e
leader maximo del Fidesz, per la quarta volta a capo del governo magiaro, ha
ritirato la sua delegazione, forse per prevenirne l’espulsione, ed è alla
ricerca di nuove alleanze per creare un nuovo raggruppamento politico e
parlamentare nell’area del centro-destra europeo.
Una crisi di appartenenza, sfociata
nella rottura (anche se priva di evidenze drammatiche), in un distacco irreversibile- e da non
sottovalutare- foriera di conseguenze, anche serie, sugli equilibri interni allo
schieramento prevalente nel Parlamento europeo.
Così come vanno valutate le
probabili conseguenze economiche dell’atto compiuto da un piccolo Paese, in
difficoltà, che dal punto di vista economico, commerciale dipende più dalla
Germania che dalla UE.
Vedremo gli sviluppi, anche
per ciò che riguarda i risvolti con la situazione italiana, dove figurano
almeno due partiti di centro-destra (Lega e Fratelli d’Italia) assai
interessati alle evoluzioni di Orban.
Sembra essersi delineato un
nuovo scenario sull’asse Varsavia- Budapest- Milano attorno al quale aggregare
altre forze europee conservatrici e di centro-destra.
Nel disegno del nuovo asse
sarà imbarazzante far posto alle formazioni più nettamente di destra di origine
neofascista quali il partito della Le Pen in Francia e FdI di Giorgia Meloni in
Italia.
Certo, si tratta di
supposizioni, d’ipotesi da verificare.
Tuttavia, così a fiuto, non è
da escludere , l’offerta di una sponda politica ai movimenti spontanei (meno) di
rivolta sociale causati dalle conseguenze drammatiche della pandemia che in
Europa è stata gestita piuttosto male.
In quanto a fiuto politico Orban ha dimostrato di possederne tanto. Quando, a metà degli anni ‘90, fece le prime apparizioni questo giovanotto, sostenuto dal miliardario George Soros (alias Gyorgy Schartz, ebreo ungherese di Budapest e noto speculatore della finanza internazionale), chiesi ragguagli al mio amico Robert Laszlo, ebreo ungherese di Pecs anch’egli costretto a cambiare il cognome di nascita- Roth, per salvarsi dalle retate nazifasciste, grande giornalista e personalità influente, di fiducia del vecchio regime e poi del partito socialista, il quale mi rispose: “Attenti a questo! è ambizioso, ha fiuto politico e vede lontano… E sa comunicare, sa parlare al pubblico…”
Viktor Orban e George Soros |
Qualunque sia il giudizio,
credo che non si possa liquidare il ruolo di Orban con la solita accusa della “democrazia illiberale”- da lui stesso
coniata- senza chiarirne il senso e la portata. Un’assurdità gratuita, ad
effetto, poiché alla democrazia non può essere accostato un aggettivo così
degradante come “illiberale”.
Un ossimoro, una
contraddizione evidente che ancor più complica una lettura corretta dell’attuale
realtà politica ungherese, incomprensibile a molti. Anche perché sull’Ungheria si
sconta un deficit di conoscenza, di corretta informazione, locale ed esterna.
Nel senso che si continua a polarizzare l’attenzione sull’effetto ossia sull’enorme
potere acquisito da Viktor Orban e si trascurano le cause che lo hanno
determinato.
Oggettivamente, non è agevole
scriverne specie per chi, venendo da fuori, si accontenta di farsi raccontare
(anche per telefono) i fatti salienti dall’amico giornalista magiaro per confezionare
il pezzo sulla falsariga di un collaudato cliché. Senza spiegare al lettore europeo
come e perché Viktor Orban, alla fine, riesce perfino ad assicurarsi la
maggioranza assoluta (l’ultima volta nel 2018) del voto popolare.
Senza dimenticare che stiamo
parlando di un piccolo Paese promotore del gruppo detto di “Visegrad” (composto
da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) che consente a Orban e agli
altri leader (oggi, soprattutto il polacco) di esercitare una pressione, al
limite della rottura, verso l’UE che pure è molto generosa nei finanziamenti
nei loro confronti.
Così come, Orban non disdegna
la cooperazione con alcune superpotenze mondiali (extra Nato) addirittura in settori
strategici: con la Russia (gas e centrali nucleari), con la Cina (“Nuova via
della seta e tecnologie informatiche). Ma questo in un’economia di pace (nella
quale siamo) non dovrebbe essere una colpa. Semmai un segno di distensione, di
convivenza pacifica.
Inoltre, aggiungo che nella
piccola Ungheria (10 mln di abitanti) dietro agli attori locali, protagonisti
del confronto politico, operano forze esterne consistenti e munifiche che
mirano a condizionare il Paese per portarlo dalla parte dei loro interessi
economici e strategici. La questione ungherese si gioca su più tavoli!
Una situazione davvero
complessa che nemmeno chi- come me che la vive da oltre mezzo secolo per ragioni
familiari- riesce a decifrare, a leggere
correttamente.
A volte capita di parlarne
con persone che accusano Orban di clientelismo, di favoritismo, di
autoritarismo. Avranno pure una qualche ragione, ma non spiegano perché in
elezioni democratiche (non ci sono state mai grosse accuse di brogli) la
maggioranza degli ungheresi vota per il Fidesz. Taluni svicolano per la
tangente, riproponendo la solita solfa di un popolo magiaro attratto da una ideologia destrorsa, neo
razzista, ecc. Ovviamente, esiste una componente di tal fatta. Come del resto
in altri paesi, in Europa e nel mondo, dove la paura dell’estinzione delle
identità nazionali, etniche induce molti a rifugiarsi nel cd “sovranismo” che
ancora troneggia, come principio inalienabile, nelle Costituzioni democratiche, prima fra tutte in
quella italiana che assegna la sovranità al popolo ossia la più grande conquista della storia umana. Chiaro o no?
Riflettendo sulla storia
travagliata del popolo ungherese- uscito da mezzo secolo di regime a partito unico, dalla tragica insurrezione
del ’56, nata come protesta degli operai (comunisti) dell’isola di Csepel
contro lo stalinista Rakosi- si rileva
che dopo l’89 ha dato, per ben tre volte, la maggioranza ai partiti e agli uomini
della sinistra provenienti dal vecchio Posu kadariano.
Evidentemente, i risultati
dei governi di sinistra non furono soddisfacenti se una parte consistente
dell’elettorato cambiò cavallo e optò per le posizioni di Viktor Orban che, per
quanto demagogiche e spregiudicate, riescono a intercettare il malcontento, le
preoccupazioni, a sintonizzarsi con le paure e le aspirazioni di una gran parte
della popolazione.
In politica nulla nasce per caso o per la mala sorte! Ogni fenomeno ha una sua ragion d’essere, una spiegazione. Basta cercarla. Dai dati della tabella allegata si possono notare le due parabole elettorali del confronto fra i due principali partiti alternativi ungheresi.
Il Partito socialista (Mszp)
che parte da un 33% del 1994, sale al 43% nel 2006 e crolla all’11% nel 2018,
mentre il Fidesz (di Orban) parte da un 29% nel 1998, sale al 52% nel 2010 e si
attesa al 49,5% nel 2018. Comunque la si giri il dato è impietoso: 49,5% Fidesz
, 11,9% Mszp.
4… In Ungheria non c’è stato un pregiudizio antisocialista
Schematizzando, si può dire
che nell’ultimo mezzo secolo (1970-2020) in Ungheria sono avvenuti cambiamenti radicali
riguardanti il regime politico, le alleanze internazionali - a carattere
militare ed economico- e un po’ anche i costumi e le tendenze culturali.
Questo periodo può essere
suddiviso in due: il ventennio (terminale) 1970-90 del regime di partito unico,
guidato dalla figura pragmatica (realismo socialista) di Janos Kadar e il trentennio post comunista
(1991-2020) caratterizzato da governi democratici (espressioni di libere
elezioni) che, per un certo tempo, si sono alternati alla guida del Paese.
Fino a un certo punto si
realizzò sorta di “democrazia dell’alternanza” che s’interruppe con la gestione
di Orban il quale, forte della maggioranza assoluta, proclamò la nascita della
“democrazia illiberale”.
Nel dettaglio dalla tabella n. 1, si nota che per ben
quattro volte (1994,1998, 2002, 2006) il neo Partito socialista è risultato il
primo partito e per tre volte i suoi esponenti, provenienti dalle fila del Posu ossia dal partito degli ex comunisti,
hanno guidato i governi del paese.
La qualcosa dimostra che nel
popolo magiaro non c’è una diffusa pregiudiziale antisocialista, ma un giudizio
politico sulla condotta dei governi.
La gente avrà modificato
l’orientamento elettorale alla luce dei risultati prodotti dai governi di
“sinistra”, purtroppo poco impegnati sul fronte dei problemi dei diritti sociali
e assai di più nella colossale opera di privatizzazione, a prezzi stracciati, del
patrimonio pubblico, industriale e d’altro tipo, a favore di certi gruppi
locali “amici” ed esteri, soprattutto dell’area del marco tedesco.
Spiace rilevarlo, ma l’impressione che se ne trae è quella di un comportamento utilitaristico, furbastro da parte delle oligarchie neoliberiste le quali hanno appoggiato e poi usato i governi di sinistra per attuare politiche di destra. Come è successo in vari paesi europei, dove anche la sinistra “riformista”, socialdemocratica è stata ridimensionata, addomesticata e posta al servizio della finanza e del grande capitale speculativo. A questa specie di sinistra, cui sono stati cambiati i connotati politici tradizionali, sono state affidate importanti funzioni di governo per fare il “lavoro sporco” che alla destra risulterebbe difficile fare. Una funzione innaturale, perversa, tanto da far dire che in Europa c’è una “sinistra” che governa per conto della destra. Fatte le privatizzazioni esplose la crisi della politica della sinistra ungherese che spianò la strada all’avvento del giovane Viktor Orban, ben visto dai democristiani tedeschi e sostenuto dal suo mentore George Soros, oggi rinnegato e tenuto alla larga. Chissà Orban cosa avrà visto di male in Soros che noi non vediamo? Per un certo tratto anche il Jobbik, formazione ultranazionalista, è stato alleato/concorrente di Orban. Insieme al governo le due formazioni di centro-destra attuarono programmi che da un lato davano “mano libera” e super agevolazioni fiscali agli investitori e dall’altro lato perseguivano una chiusura assurda, politica e culturale, di stampo nazionalistica, mirando a riaccendere i sentimenti nazionalistici latenti. Ovviamente, anche i “sacri furori” di Jobbik non fermarono, anzi agevolarono, i piani di conquista politica di Orban che si affrancò dall’alleanza con Jobbik grazie alla maggioranza assoluta conquistata nelle ultime elezioni legislative. Oggi, Jobbik fa “autocritica” ed è corso a iscriversi al fronte eterogeneo anti Orban, accanto al partito socialista suo acerrimo avversario, per non dire nemico. Dunque, tutti contro Orban alle prossime elezioni legislative del 2022. Nulla è scontato. Orban ha messo in campo la sua poderosa macchina del potere e del consenso. Il “fronte”potrebbe vincere la guerra elettorale, ma perdere il dopoguerra della gestione del governo. Vedremo.
Il mutato scenario indusse
gran parte dell’opinione pubblica ungherese, specie delle campagne,
della pustza profonda, a
rifugiarsi nel nazionalismo, anche esasperato, che è una tendenza di ritorno
soprattutto in quelle situazioni dove i popoli più piccoli (demograficamente)
si sentono minacciati, nelle loro identità culturali e storiche, dal dilagare
della (in)civiltà del neoliberismo globalista che sta imponendo il livellamento
verso il basso delle società, dei ceti sociali, anche medio/ alti, costretti ad
adorare, per sopravvivere, i nuovi idoli del “mercato”, del denaro, espressioni
di una concezione malefica del progresso che-come i suoi stessi teorizzatori ammettono)- sta "resettando" il mondo
secondo i suoi interessi culturali e materiali.
Viktor Orban con Giorgia Meloni e Matteo Salvini
Il nazionalismo, dunque, come paura verso una minaccia concreta. E la paura.- si sa- può generare chiusure verso l’altro, reazioni inconsulte, irrazionali che facilmente si aggrappano a chi si presenta, demagogicamente, come il combattente strenuo che difende la cittadella assediata.
Oggi, tutto ciò accade in
Ungheria, in Polonia, ecc. Se non si corregge la rotta neoliberista, non si
sconfigge la sua pretesa di dominio è probabile che tali tendenze potranno
affermarsi, dilagare perfino, in altri Paesi europei, con conseguenze imprevedibili, sicuramente assai
pericolose per la convivenza pacifica, per la tenuta democratica delle nazioni,
del continente.
E la “sinistra” che fa, che
farà? Quale Europa vuole: quella dei banchieri e degli affaristi o quella dei
popoli, democratica e socialmente equa?
Si tratta di due progetti
alternativi, ognuno dovrà scegliere da che parte stare. L’unica cosa che non si
potrà più fare è quella di restare, a gambe divaricate, con un piede in uno e
un piede nell’altro. Questo è il punto politico dirimente in Ungheria e nel
resto dell’Europa, nel mondo.
Il gioco, dunque, è davvero
grande, complesso. Non è una faccenda che riguarda soltanto gli ungheresi, gli
intrighi di potere dominanti nella politica del Paese, ma la prospettiva
generale, politica e culturale, di questa Unione europea, purtroppo, subalterna
e incompiuta.
Ungheria, le otto elezioni legislative nazionali
La prima consultazione si
ebbe nel 1990 e fu vinta dal Forum
Democratico di Joszef Antall che divenne primo ministro, con l’appoggio del
partito dei “piccoli proprietari contadini”.
Successivamente, ve ne sono
state altre sette di cui:
tre furono vinte dal Partito socialista (Mszp, aderente all’I. S.) negli anni: 1994, 2002,
2006. Capi di governo furono, nell’ordine,:
Gyula Horn (ex ministro esteri governi vecchio regime); Peter Medgyess, seguito da Ferenc Gyurcsany (ultimo segretario nazionale della gioventù comunista del
vecchio regime); ancora Ferenc Gyurcsany;
quattro (1998, 2010, 2014, 2018) sono state vinte da
Fidesz e alleati, con primo ministro sempre Viktor Orban, fondatore e
leader del Fidesz.
Tabella n. 1
Andamento del consenso elettorale dei due principali
partiti alternativi: 1994-2018
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Anno
Partito socialista Fidesz
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
1994 33% Inesistente
1998 33,9 % 29, 4%
2002 42% 41%
2006 43% 42%
2010 19,3% 52,7%
2014 25% 44,8%
2018 11,9% 49,5%
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Politicamente sono assai
lontano dalle idee di Viktor Orban che- come scritto in altro articolo- ebbi la ventura di salutarlo in due occasioni
ufficiali: durante una visita in Vaticano a Papa Giovanni Paolo II e a Budapest
durante la visita di Massimo D’Alema a Budapest presidente del consiglio
italiano. Aggiungo che a differenza delle
due persone citate che- pur avendo intrapreso percorsi assai diversi- si dichiarano entrambe ex
comunisti, io sono quel che sono stato e che spero di restare: un comunista. Punto.
Ho scritto questa “cosina”
senza pretesa alcuna, tantomeno di essere esaustivo, ma solo per offrire un punto
di vista, un contributo alla comprensione di taluni aspetti della realtà
politica ungherese che si dibatte fra democrazia e tendenze autoritarie.
D’altra parte, stiamo
parlando di una democrazia giovane, da consolidare e far crescere, in un Paese
che dopo un lungo periodo di servaggio sotto l’impero “austro-ungarico”, fu
trascinato nella sconfitta della prima guerra mondiale che pagò con un alto
tributo di morti e con la perdita di gran parte del suo territorio nazionale,
come deciso con il trattato di Trianon. Una “punizione” davvero eccessiva!
Nel 1919 ci fu un sussulto
rivoluzionario, la breve parentesi della “repubblica dei consigli” di Bela Kun,
che fu repressa nel sangue. A questa seguì un periodo di gravi turbolenze, di
repressioni sedate dalla ventennale dittatura dell’ammiraglio fascistoide
Horti, amico e subalterno di Benito Mussolini, che in cerca di una rivincita sulla
storia, condusse l’Ungheria all’abbraccio, mortifero, con il nazifascismo e al
disastro della seconda guerra mondiale. Una lunga storia di sconfitte quella
dell’Ungheria che continuò anche dopo la vittoria degli eserciti alleati che a
Yalta si spartirono l’Europa. I paesi del centro-est furono assegnati all’area
d’influenza dell’Urss.
Massimo D’Alema e Viktor Orban sfilano davanti al picchetto d’onore in piazza Kossuth a Budapest. (io il primo alla sin. Con il bavero alzato) |
Il nuovo regime di chiara obbedienza staliniana subì il primo scossone nel 1956 con rivolta operaia e popolare che sarà repressa nel sangue dagli eserciti dei paesi del Patto di Varsavia. Dopo il ’56, i nuovi esponenti del regime tentarono la via delle riforme moderate, adottando una linea pragmatica e tollerante che arrivò asl 1989, anno del “crollo” del muro di Berlino che, nel volgere di poco tempo, si portò dietro tutti i regimi appartenenti al Patto di Varsavia.
A conti fatti, l’Ungheria ha
iniziato a conoscere, a praticare il sistema democratico solo negli ultimi 30
anni. L’esercizio della democrazia autentica non è cosa facile e richiede tempo
e la libera partecipazione dei cittadini, nel rispetto di tutte le espressioni
politiche e culturali.
(Ioppolo Giancaxio- 20 Aprile 2021)
Articoli
connessi:
https://www.agoravox.it/Budapest-la-fabbrica-del-populismo.html
http://www.cittafutura.al.it/sito/delegazione-dal-papa-lex-compagno-victor-orban/
Budapest, marzo 2000- Agostino Spataro ricevuto da Goncz Arpad, Presidente della Repubblica d’Ungheria..
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venerdì 16 aprile 2021
UNA NUOVA GUERRA ITALO-TURCA PER IL CONTROLLO DELLA LIBIA? (articolo di Agostino Spataro)
di Agostino Spataro*
E’ auspicabile che l’attuale “querelle” italo- turca si chiarisca, e si superi, al più presto possibile, nell’esclusivo interesse della pace e della cooperazione fra tutti i popoli del Mediterraneo. Altrimenti che cosa facciamo: una nuova, disastrosa guerra italo-turca per il controllo della Libia? Ricordo che la prima fu iniziata dal governo Giolitti nel 1911 e, a dispetto della patacca commemorativa, fu conclusa nel 1931 (20 anni dopo !) solo a forza dei criminali bombardamenti del generale fascista Graziani, il quale ebbe “carta bianca da Mussolini, e usò i gas letali, i massacri e le deportazioni di massa delle popolazioni libiche, soprattutto della Cirenaica, che sostenevano la resistenza guidata da Omar al Mukhtar, impiccato dagli occupanti colonialisti italiani alla bella età di 74 anni. Nel 1911, l’uomo che diede inizio alle ostilità fu il sen. Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano, ministro degli esteri di Giolitti (dal 1910 al 1914), nato a Catania (nel 1852) da un'antica famiglia originaria, come il cognome stesso suggerisce, di Paternò. Il ministro legò il suo nome all’occupazione coloniale italiana della Libia e delle isole del Dodecaneso. Già allora: la Libia e il Dodecaneso, le isolette vicine alla costa della Turchia, oggi ri-divenute oggetto di una preoccupante contesa con la Grecia. Memorabile rimase l’ultimatum trasmesso, il 27 settembre 1911, alla Sublime Porta (al “Diwan”, divano per intenderci!) col quale s’ingiungeva al governo ottomano di abbandonare la Libia entro 24 ore e senza condizioni. Una dichiarazione di guerra pretestuosa, immotivata nella quale si annunciava l’occupazione italiana, da tempo decisa, affinché (cito dal testo) “giunga a fine lo stato di disordine e di abbandono in cui la Tripolitania e la Cirenaica sono lasciate dalla Turchia…” Insomma, buoni propositi e cattive maniere: l’Italia occupò la Libia per far rispettare l’ordine pubblico in quel paese! Il ministro giolittiano, forte di un accordo spartitorio con Francia e Gran Bretagna (anche allora!), rifiutò ogni proposta di chiarimento, ogni offerta di concessioni da parte turca e puntò dritto alla guerra, intimando al governo imperiale di dare “gli ordini occorrenti affinché essa (l’occupazione militare n.d.r.) non incontri, da parte degli attuali rappresentanti ottomani, alcuna opposizione…” ( in “La Stampa” del 30/9/1911) Il resto è noto. Il 4 novembre i contingenti italiani sbarcarono a Tripoli. Ma la guerra si protrasse per vent'anni a causa dell’accanita resistenza delle tribù libiche. La concluse, nel 1931, il generale fascista Graziani con azioni di straordinaria ferocia, compresi i bombardamenti con i gas letali e le deportazioni delle popolazioni nei campi di concentramento allestiti anche in Italia.
Foto ricordo con il vecchio Omar al Mukhtar (“Il leone del deserto”) condotto al patibolo. |
Altri tempi, altri uomini! O forse no. A mio parere, fra la guerra del 1911 e quella del 2011 la differenza sta in un “neo”, nel senso che la prima fu una guerra coloniale, mentre l’attuale è di stampo neo-coloniale. Nel 2011, davvero catastrofiche furono la decisione italiana di entrare nel conflitto anti-Gheddafi e la sua gestione politico-militare e diplomatica. Prima di tutto a danno del mite popolo libico, oggi vittima di una guerra (in) civile voluta e foraggiata da ben note potenze straniere, e in secondo luogo per l’Italia, per i suoi interessi politici ed economici che sono stati seriamente intaccati. Il caso volle che nel 2011, fu Ignazio La Russa, un altro ministro originario di Paternò, a gestire la partecipazione militare italiana nella guerra, scatenata da alcuni paesi della Nato, contro la Libia di Gheddafi che- come detto- fu anche una guerra contro l’Italia ossia contro gli interessi italiani in Libia. Quegli interessi che, oggi si sta cercando, faticosamente, di recuperare. O no! Insomma, due guerre alla Libia, a distanza di un secolo (1911-2011) in cui due ministri siciliani ebbero un certo ruolo. Solo una singolare coincidenza o c’è qualcosa che ci sfugge? A ben pensarci, tanta solerzia potrebbe essere spiegata dal richiamo di un legame antico, ancestrale fra la Sicilia e la Libia, risalente addirittura alla fondazione di Tripoli (tre polis) che, secondo Sallustio: “Oeaque trinacrios afris permixta colonos” cioè “Oea, l’attuale Tripoli, sarebbe stata fondata da coloni siciliani insieme ad africani “. (proff. Mastino e Zucca in: www.infomedi.it) Quasi che i due ministri siciliani, muovendo da questa fondazione mitica, avranno, forse, pensato di accampare qualche pretesa sulla Libia. Speriamo che così non sia. Altrimenti qualcun altro potrebbe ricordarsi della fondazione del Cairo, avvenuta nel 905 d.C, che secondo una fonte antica fu progettata da un architetto arabo-siciliano, e quindi aprire un contenzioso con l’Egitto… anche su questo.
* da un mio articolo
“Paternò alla guerra di Libia” pubblicato su “Infomedi”, Roma, 5 maggio 2011.
https://www.amazon.it/NELLA-LIBIA-GHEDDAFI-Centro-Mediterranei-ebook/dp/B00DSQ1WEG
sabato 10 aprile 2021
ITALIA- TURCHIA : URGE UN CHIARIMENTO PER SUPERARE LE DIFFIDENZE RECIPROCHE
di Agostino Spataro *
Oggettivamente, l’episodio del “divano turco” è increscioso e va rilevato. Tuttavia, non si dovrebbe enfatizzare più di quanto non hanno fatto i due rappresentanti della UE presenti all’incontro con il presidente Erdogan. Infatti, come dichiarato da Charles Michel, presidente del Consiglio europeo e pertanto personalità UE più alta in grado, si è preferito andare alla “sostanza” che- come noto- sono gli accordi, appunto sostanziosi, fra la UE e la Turchia in diversi settori. In primo luogo quelli relativi al contenimento dei flussi migratori e dei profughi. Partiamo dalla scena madre, dove si vedono assise su due sontuose sedie Michel e Erdogan ossia le due personalità più rilevanti delle due istituzioni a confronto e altre due personalità Ursula von der Leyen, presidente della commissione UE e il ministro degli esteri turco sedute su due divani. Alla sorpresa della signora (che tuttavia partecipa a pieno titolo al dialogo fra le due parti) fa da pendant l’impassibilità del presidente Michel che resta, seduto, a fianco a Erdogan.
Per cercar di capire si rende necessario svolgere alcune osservazioni.
1… Credo sia impensabile che un incontro così importante e al massimo livello si potesse svolgere senza un’adeguata preparazione e programmazione e al di fuori dei protocolli del cerimoniale. Come da consuetudine, i due uffici preposti al cerimoniale avranno discusso e concordato sia i temi in agenda sia gli aspetti protocollari. C’è da ritenere che la disposizione delle sedie e dei divani sia stata discussa fin nei minimi particolari e condivisa da ambo le parti. Per cui, le eventuali rimostranze da parte UE vanno rivolte in primo luogo agli addetti al cerimoniale che in tal senso hanno disposto i posti a sedere. In particolare, agli addetti della UE che- qualora in disaccordo- potevano consultarsi con i loro referenti politici e far decidere loro in ultima istanza. Se tale disposizione veniva percepita come lesiva del prestigio istituzionale e della dignità di genere della signora Leyen, l’autorità politica avrebbe potuto, per protesta o per altri validi motivi, non dar seguito agli incontri. Dalle dichiarazioni del signor Michel c’è da ritenere che i funzionari UE avranno informato, per tempo, i rappresentanti politici e che da questi (da uno o da entrambi? ) ne abbiano ricevuto via libera, poiché – come scrive Michel- ”si è preferito andare alla sostanza”. C’è da desumere che egli sia stato informato, ma non ha voluto farne un problema.
2… Se così si sono svolti i fatti, allora bisognerebbe indirizzare gli strali e quant’altro, innanzitutto verso coloro che hanno approvato e gestito il cerimoniale. Un chiarimento in tal senso credo potrebbe agevolare il rientro dalla imbarazzante polemica che ne è seguita. Addirittura coinvolgendo il nostro capo del Governo spintosi a definire “dittatore” il presidente Erdogan. E’ presumibile che per arrivare a tanto il dottor Draghi avrà avuto le sue buone ragioni e soprattutto buone informazioni, che però l’opinione pubblica ancora non conosce. La reazione può essere compresa qualora si potesse dimostrare che la disposizione (di sedie e divani) fu imposta da Erdogan in persona per umiliare la signora Von der Leyn, in quanto donna e presidente della Commissione UE. In tale eventualità si tratterebbe di una imposizione inaccettabile oltre che offensiva verso una donna al vertice delle Istituzioni europee. Ma bisognerebbe dimostrate tale assunto e- in caso affermativo- spiegare perché fu accettato dai diretti interessati. Solo dopo tali passaggi dimostrativi si potrà condannare fermamente la presunta pretesa del presidente della Turchia. Diversamente, verrà meno la ragione dichiarata della dura reazione e si creerà un “caso” davvero di ardua soluzione. Tranne che non ci siano altre motivazioni e obiettivi che l'opinione pubblica sconosce. Perciò è auspicabile che chi di dovere informi l’opinione pubblica su come si siano svolti effettivamente i fatti in quel di Ankara.
Istanbul, 1993, Marmara University, intervento di Agostino Spataro conferenza mediterranea |
4…Per concludere, torniamo al “divano turco” *** che ha provocato un vero parapiglia diplomatico internazionale, con probabili conseguenze per l’Italia, visto che il “governo” della UE, i grandi Paesi europei (a iniziare dalla Germania) non hanno attribuito all’episodio molta importanza. Di là delle motivazione (che sono basilari), sarebbe problematico per il nostro Paese restare isolato nel sostenere una posizione così aspra contro il presidente della Repubblica della Turchia. Da semplice cittadino, che ha avuto la ventura di occuparsi della politiche mediterranee e mediorientali, non mi permetto di dare consigli a chicchessia. Desidero, soltanto, esternare una preoccupazione (credo piuttosto diffusa) circa l’evoluzione della polemica italo-turca, accompagnata dall’auspicio che si possa giungere a un chiarimento sull’effettivo svolgimento dell’incontro di Ankara che potrebbe contribuire a far superare le reciproche diffidenze e asperità a livello bilaterale. Ripeto, sicuramente tale incontro ha avuto un’adeguata preparazione, secondo i protocolli, per cui la questione del “divano” poteva essere prevenuta e- se del caso- respinta.Vedremo. uttavia, oggi sono in ballo le relazioni italo-turche, politiche e non solo, in una fase assai complessa e movimentata in cui la Turchia di Erdogan è divenuta protagonista di un disegno mirato ad acquisire un ruolo internazionale più impulsivo, espansivo talvolta, in una vasta area che va dal Mediterraneo centrale al Medio Oriente, fino ad alcuni Paesi (ex Urss) dell’Asia centrale. Inoltre, segnalo che la presenza, soprattutto economica, della Turchia si fa sentire in diversi Paesi (anche UE) dell’Europa centro-orientale: dalla Germania all’Austria, all’Ungheria, alla Bulgaria, ai Balcani, ecc. Oggi, il caso più eclatante è quello della Libia. Però nessuno di coloro che hanno provocato prima la caduta di Gheddafi e dopo agevolato l’irruzione della presenza militare turca nel conflitto fratricida, ha spiegato all’opinione pubblica come siano andate, come stanno andando le cose.
* biografia in: https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro