(Foto da "Il Sole 24 ore") |
di Agostino Spataro
1… L’ITALIA IN VENDITA
C’era una volta in Italia una borghesia “compradora” oggi
divenuta “vendedora”.
Ho usato questo incipit non per il vezzo di parafrasare il
titolo del bel film di Sergio Leone *, ma solo per evocare quell’atmosfera e
narrare la “favola” triste di tale mutazione, in primo luogo ai giovani che,
spesso, non comprendono le ragioni per le quali nel nostro Paese si continua a
privatizzare, a vendere a stranieri pezzi pregiati della nostra industria,
quartieri e alberghi di lusso, società di calcio e anche ristoranti, esercizi
commerciali, ecc.
Si vende e si compra come un tempo avveniva nei paesi
colonizzati e/o neo-colonizzati, soprattutto dell’America latina, da parte di
una borghesia compradora, un mix di capitali metropolitani e locali, che si
accaparrava di tutto a prezzi vili; un ceto sociale molto speciale che svolgeva
una funzione predatrice delle risorse endogene (terra, manifatture, miniere,
trasporti, banche, servizi, ecc) e, al contempo, di mediatrice fra masse sfruttate
e oligarchie coloniali.
Oggi tale “modello” (ovviamente riverniciato) comincia a
prendere piede anche in taluni paesi sviluppati dell’Europa, specie in quelli
più deboli della fascia sud-mediterranea (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo,
un po’ anche Francia) e meno sviluppati del centro-est di recente, e
frettolosa, incorporazione nella U.E.
Non c’è più il colonialismo (che, a ben pensarci, fu una
delle prime forme d’internazionalizzazione capitalistica dell’economia), ma la
globalizzazione neo-liberista che abbatte le barriere dei mercati di beni e
servizi, viola i confini degli Stati per importare (illegalmente) pezzi di
terzo mondo nel primo ossia decine di milioni di “nuovi schiavi” usati per
destrutturare i “mercati” del lavoro a suo vantaggio; ora punta al grande
shopping d’imprese produttive, società finanziarie e calcistiche, anche fra le
più rinomate e longeve.
In misura diversa, l’intera Europa sta subendo l’assalto del
capitale extracomunitario, anche di dubbia origine o frutto di scandalose
rendite finanziarie e parassitarie..
La chiamano “libera circolazione dei capitali e degli
investimenti”. Troppo libera- direi- poiché imperversa senza limiti e regole
trasparenti e per fini non sempre lineari e dichiarati.
Come si può intuire dalla sottostante lista, l’Italia è uno
dei paesi maggiormente presi di mira:
2… L’ESPANSIONISMO
ECONOMICO E LA
DITTATURA DEGLI INVESTIMENTI
Oltre questa lista, gli acquisti sono continuati.
Recentemente, altri “gioielli” dell’economia nazionale sono stati venduti
astranieri: buon ultima la “Pirelli” ai cinesi.
Che triste destino per questo nostro Paese! Da un lato ha
visto partire, de-localizzare decine di migliaia d’imprese verso i territori
poveri U.E. ed extra U.E, (specie Cina, India, Brasile, ecc) e dall’altro lato
arrivare compratori provenienti da quelle stesse realtà.
“Todo cambia” dice una bella canzone di Mercedes
Sosa. Anche questa borghesia fedifraga che, in nome della “patria”, trascinò il
popolo italiano in due disastrose guerre mondiali, e che oggi, immemore del suo
spirito borghese e patriottico, da “compradora” diventa “vendedora”.
Insomma, si stanno mischiando le carte, arrivano capitali
freschi. Nessuno li vuole demonizzare, poiché non ci sfugge l’importanza degli
investimenti esteri per la nostra economia in affanno.
Vorremmo solo che fossero leciti, puliti e non ri-puliti;
sapere come si vuole giocare la partita: se col trucco o con regole certe e
trasparenti, senza ledere gli interessi strategici nazionali e quelli sociali
dei lavoratori coinvolti loro malgrado.
Ovviamente, bisogna anche salvaguardare altri
"valori" quali l’immagine, la vocazione produttiva del paese, al
limite la stessa sovranità economica nazionale ed europea.
Siamo in presenza di una situazione inedita, caotica, per
alcuni versi imprevedibile, che fa insorgere interrogativi angoscianti nella
coscienza dei popoli europei messi all’angolo da governi incapaci e servili.
Si tratta di libero mercato o di una moderna dittatura
degli investimenti?
L’U.E. dei banchieri e del dirigismo neo-liberista
riuscirà a superare la crisi (non solo economica) o l’Europa diventerà preda di
pericolose incursioni e di un espansionismo strisciante di varia provenienza?
Il pericolo dell’espansionismo esiste, forse è già
operante, mentre di nuovi ne vediamo comparire all’orizzonte. In primo luogo,
il progetto di trattato TTPI (in fase negoziale fra Europa e Usa) che
potrebbe sfociare in una sorta di “dittatura” degli investimenti, a tutto danno
delle prerogative di sovranità degli Stati nazionali e dei diritti dei
lavoratori.
Perciò, è bene parlarne, responsabilmente, per avviare una
riflessione e una lotta decisa per un futuro, ancora possibile, di pace e di
prosperità condivisa. Non si può continuare con una UE tentennante, divisa e
un’Italia che naviga a vista e non intravede una via d’uscita, e nemmeno
conl’attuale meccanismo decisionale molto accentrato e deresponsabilizzato.
In ogni caso, chi ha sbagliato non può continuare a
decidere. Le scelte programmatiche di fondo non possono essere appannaggio
esclusivo dei decisori di Bruxelles, ma vanno assunte dai parlamenti e dai
popoli europei, anche mediante un voto referendario.
3… PROGRESSO NELLA
LEGALITA’. I COMPITI DELLA NUOVA SINISTRA
Siamo di fronte a una realtà ostica, incandescente che
potrebbe costituire il principale banco di prova della “nuova sinistra” da più
parte invocata e che non può nascere da un glorioso raduno di reduci, ma da un
nuovo pensiero, da un movimento politico altrettanto nuovo, organizzato e
strutturato.
Per risultare credibile il nuovo soggetto politico dovrà
analizzare i fenomeni sociali, gli assetti di potere, le nuove tendenze con
rigore scientifico e coerenza sociale, con la ragione e non con il sentimento
che è la commozione del pensiero. E, per non sbagliare, deve mantenere come
punto di riferimento costante il progresso e il benessere delle larghe masse
popolari.
In particolare, si richiede una lettura della crisi mondiale
senza tabù e accanimenti ideologici, sapendo che la nuova sinistra, da sola,non
potrà farcela e pertanto deve ricercare le necessarie alleanze, programmatiche
e politiche, con i ceti sociali (anche di tendenza nazional-popolare) vittime
dei processi di “globalizzazione” selvaggia che non si fa scrupolo di favorire
l’entrata in Europa di capitali, merci e organizzazioni criminali.
Nell’indifferenza e/o nell’accondiscendenza dei governi e
della stessa UE.
Insomma, il varco è stato aperto e ognuno s’infila, come
può. I nuovi “compradores” agiscono senza freni: acquistano tutto quel che
luccica sul mercato con la complicità di una borghesia “vendedora” che (s)vende
al migliore acquirente, mentre continua a trasferire, illegalmente, capitali
all’estero e obsoleti impianti di produzione nei paesi emergenti.
Una vera e propria deriva che provoca erosione del potere
d’acquisto di salari e stipendi, disoccupazione(specie giovanile), illegalità e
insicurezza diffuse, corruzione, evasione fiscale, ecc.
Da qui, l'acuirsi della crisi, il crescente malcontento
popolare che la sinistra non può lasciare gestire alla destra e ai demagoghi di
turno che lo sfruttano a loro vantaggio.
La sinistra ha il compito di combattere queste piaghe in prima
persona e in nome della legalità che è un valore fondante e ineludibile della
democrazia, per le forze progressiste e di sinistra.
4… PIU’ STATO, MENO MERCATO
A fare le spese di questo disinvolto turismo di capitali e
d’impianti sono le fasce sociali più deboli, soprattutto lavoratori e giovani
inoccupati europei, doppiamente fregati in termini di disoccupazione e di
attacco ai loro diritti contrattuali.
Questo clima ha reso possibile in Italia il varo del
“Jobact”.
A pagare sono anche gli Stati che devono sobbarcarsi ingenti
oneri a copertura della maggiore spesa sociale derivata.
Tutto ciò è anche il risultato della teoria del “Meno
Stato e più mercato”, uno slogan efficace che sintetizza una grossolana
filosofia revanchista delle relazioni sociali, da cui prese avvio il disegno
neo-liberista che ha portato i popoli al disastro economico e sociale e
accelerato il processo di decadimento dell’Europa.
A fronte di ciò serve poco lo scatto d’orgoglio. Fra le tante cose da cambiare, da fare, servono una nuova politica economica e una svolta
nella politica estera euro-mediterranea nel senso di una cooperazione pacifica,
reciprocamente vantaggiosa.
Gli arabi, l’intera regione euro-mediterranea, il Medio
Oriente hanno bisogno di pace, di scambi culturali e commerciali e non di
guerre, di missioni “umanitarie” che, invece di spegnere, alimentano i
conflitti tribali e religiosi.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di far convergere, a
sostegno di un grande programma di rinascita, tecnologie e saperi
italiani, europei e capitali e risorse dei paesi arabi per creare uno spazio
economico comune, da intendere come primo nucleo di un nuovo polo dello
sviluppo mondiale. **
Una prospettiva ancora possibile nella quale gli Stati, le
istituzioni democratiche europee hanno da giocare un ruolo importante. Altro
che “ meno Stato e più mercato”!
Anzi, visti i pessimi risultati, è tempo d’invertire la
formula e propugnare “Più Stato e meno mercato”.
Non per innalzare il vessillo del socialismo (ir)reale o
per mera rivendicazione ideologica (che pure cista), ma per assicurare al
settore “pubblico”, allo Stato, risanato e ammodernato, un ruolo di equilibrio,
di compensazione, di orientamento programmatico e, quindi, di tutela degli
interessi sociali e strategici nazionali.
Qualcosa del genere accadde in Italia ai (bei) tempi del
boom economico(anni ‘60 e ’70) realizzatosi in un contesto di economia mista in
cui la componente pubblica e cooperativistica si attestava intorno al 40 %.
9
aprile2015 (Agostino
Spataro)
Note:
* “C’era una volta in America”
** A. Spataro- B.
Khader :http://www.lafeltrinelli.it/libri/khader-bichara/mediterraneo-popoli-e-risorse-verso/9788826701790
Nessun commento:
Posta un commento