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Dalla crisi non si esce con meno Europa, ma con più Europa. Ossia con l’avanzamento del
processo unitario sulla base di un progetto di riforma, politica, sociale e
istituzionale, mirato a realizzare il Terzo polo dello sviluppo mondiale,
inteso non come una nuova entità egemone, ma come soggetto fautore di una
crescita democratica, compatibile e diffusa nel mondo.
Dall’Atlantico agli Urali (e perché no al Pacifico), dal
Mediterraneo al Circolo polare artico.
Si, avete letto bene: dall’Atlantico al Pacifico.
Una questione ineludibile. A mio
umilissimo parere, un’Europa senza la
Russia sarebbe debole e incompleta. Con Putin o senza Putin. Il problema non è
personale (gli uomini passano), ma progettuale.
Anche nel nuovo secolo le
superpotenze economiche e militari, i centri di comando del “nuovo ordine
internazionale” saranno basati nell’emisfero nord del Pianeta.
A quello del Sud continuerà a
essere affidato il compito d’importare e consumare prodotti delle
multinazionali e di fornire braccia, a basso costo, per le economie del Nord.
Nonostante le dure polemiche di queste settimane, è
prevedibile che Usa e Cina giungano, nel medio termine, a un accordo di bi-partizione delle aree
d’influenza.
L’Europa diventerebbe ( è già) è il terzo incomodo, perciò
la vogliono indebolire, frazionare, liquidare come entità politica ed
economica.
Qualcuno anche come espressione
geografica: da continente a mera appendice dell’Asia.
Per impedire l’attuazione di tale
insano progetto, l’ U.E deve rafforzare ed estendere la sua unione e dotarsi di
un progetto per un nuovo futuro di pace e di cooperazione solidale con i Paesi
del Sud.
Con questo nuovo orizzonte dovrebbero misurarsi il Parlamento
neo eletto e gli organismi di governo
della U.E., purtroppo ancora nominati.
L’alternativa all’allargamento
e alla crescita democratica è la deriva nazionalistica.
Se dovessero dilagare le “uscite “ (alla Brexit per
intenderci), gli "indipendentismi", dichiarati e/o latenti, il nostro
Continente verrebbe frammentato in una miriade di micro stati che ne scardinerebbero la sua unità fisica,
economica e culturale.
In pratica, sarebbe cancellata
una civiltà che, più nel bene che nel male, dura da oltre tremila anni. Questo sembra
essere l’obiettivo, ormai conclamato, di talune superpotenze (gli Usa di Trump
in particolare) e delle forze anti-europeiste, sfasciste e destrorse, italiane
ed europee.
Tali fratture provocherebbero gravi conseguenze per la
convivenza pacifica e per il futuro dei popoli, dei lavoratori e dei giovani
d'Europa, dei livelli di benessere mai raggiunti prima.
In particolare:
1) segnerebbero la fine del
progetto di Unione Europea che bisognerebbe accelerare, facendolo uscire dalle secche di una sudditanza alle
politiche neoliberiste e mercantiliste;
2) potrebbero trasformare l'Europa
in uno sterminato campo di battaglia; dopo 75 anni di pace tornerebbero
l'instabilità permanente, i conflitti locali, perfino la guerra;
3) l'Europa, divisa e indebolita,
sarebbe percepita come una “pingue preda” che scatenerebbe i più ingordi
appetiti e disegni di conquista;
Certo, nell'UE vi sono tanti problemi irrisolti. Tuttavia,
nessuno dei suoi popoli è oppresso: ci sono libertà, democrazia, autonomie,
culture.
Pertanto, non abbiamo bisogno di staterelli consegnati
nelle mani di piccoli satrapi locali, della criminalità organizzata, di magnati
della finanza, ecc.
Per uscire dalla crisi più unita e
più forte e socialmente più giusta, l’Unione deve darsi nuove politiche sociali
armonizzate con i bisogni e i diritti dei suoi popoli e non gli interessi delle
oligarchie finanziarie.
Deve essere superata l’assurdità
di un Parlamento europeo eletto dai popoli, ma privo di poteri legislativi e di
una Commissione, nominata dai capi di stato, che accentra quasi tutte le
competenze di governo e di spesa e i poteri d’indirizzo politico.
Infine, uno sguardo ai territori, specie a quelli più
svantaggiati e/o trascurati, nei quali si gioca la credibilità del processo
unitario. I vari Sud, le “periferie” d’Europa dovranno essere pienamente
integrati sulla base di una seria riforma dei meccanismi di ripartizione dei
poteri e delle risorse finanziarie che favorisca un rapporto più diretto fra
l'auspicato "governo europeo" e le realtà regionali, anche per assorbire
le spinte secessioniste.
(6/6/2019)
Agostino Spataro- biografia:
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