martedì 8 dicembre 2020

L’EUROPA CHE STIAMO PERDENDO. IL CASO DELL'UNGHERIA

 

Sommario: A Budapest la fabbrica del populismo. Una sorda lotta per la leadership;  L'equivoco sul "sovranismo": la sovranità é un valore non una colpa da emendare; La depressione dello spirito pubblico europeo; Voto del 26 maggio in Ungheria: Orban verso il 50%?; La “sinistra” ungherese debole e divisa e carica di errori; Più Europa per assorbire i separatismi e le conflittualità territoriali; L'Europa che stiamo perdendo.   

Per ragioni familiari, frequento l'Ungheria da oltre 50 anni. Amo questo Paese, la sua splendida capitale, il suo popolo che certamente merita un futuro più degno. Ammetto che nonostante certe frequentazioni (soprattutto a sinistra) non sempre è facile capire e, soprattutto, far capire la sua realtà politica, certe dinamiche. Ancor di più quando si viene di fretta a Budapest (o si telefona all'amico giornalista) per scrivere articoli pre-confezionati- come fanno alcuni inviati dall’Italia- senza sforzarsi di analizzare le ragioni più profonde della crisi di questo Paese e del successo elettorale di Orban e della sconfitta della sinistra alla quale per ben 4 volte (dopo l’89) gli elettori ungheresi affidarono la responsabilità di guidare il governo.

A Budapest la fabbrica del populismo. Una sorda lotta per la leadership

Orban mira a collocarsi nel mezzo, a candidarsi come mediatore fra le due entità. Anche per recuperare appieno la fiducia del PP. La forza dei numeri e l’investitura di Donald Trump (ricevuta il 13 maggio scorso a Washington) potrebbero fare di Victor Orban l’ago della bilancia del centro- destra europeo e, sicuramente, il leader dell’area populista. Ruolo cui aspirano in tanti: dalla Le Pen a Matteo Salvini. L’assenza dei rappresentanti di Fidesz a Milano conferma l’esistenza all’interno dell’area populista di questa sorda contesa. Ma i sostenitori di Orban non hanno dubbi: a lui spetta la leadership.                                                                                                        Secondo il quotidiano magiaro (https://magyarnemzet.hu/…/diplomaciai-nagyuzem-az-unios-va…/ ), filo governativo, l’Ungheria è oggi una “grande fabbrica” della diplomazia europea e internazionale. E qualche ragione l’hanno. Infatti, l’Europa neo-conservatrice si riconosce, ruota intorno alle politiche populiste di Orban che si atteggia a leader di tale corrente e a grande statista di livello internazionale.

Certo, in ciò c’è l’enfasi della compiacenza mediatica verso il potente di turno (cosa che accade dovunque nel mondo), tuttavia la pretesa non è da sottovalutare. Negli ultimi tempi, Orban si è reso protagonista di una vera offensiva diplomatica. Un turbinio d‘incontri al massimo livello con i principali leader internazionali: da Putin a Ching-Ping, dal premier israeliano Netanyahu, costruttore di muri e tenace persecutore delle popolazioni palestinesi, al reazionario presidente brasiliano Bolsonaro, al recentissimo ricevimento di Trump, a Washington, di cui si è detto.

Con queste solide relazioni internazionali e con il PIL in crescita del 4,9 %, un saldo positivo della bilancia commerciale di circa 6 miliardi di euro e una disoccupazione (dichiarata) al 3%, (fonte: dati 2018, da Infomercati- Min. Esteri/Italia, 2019), Orban naviga piuttosto tranquillo (come qui molti prevedono) verso la riconferma del 50% nel voto di domenica prossima. Difficile capire esattamente cosa potrà accadere.                                                                                                                                      Una cosa è certa: il fenomeno Orban esiste e, in qualche misura, potrà incidere sul gioco politico del primo gruppo del parlamento europeo. Bloccarlo è difficile, tanto più se si continua a combatterlo soltanto con gli insulti, con i luoghi comuni. Senza sforzarsi d’indagare le ragioni del suo successo, le motivazioni di questa massa di elettori che, puntualmente, votano Fidesz. Anche per l’Ungheria vale il detto secondo cui “l’elettore ha sempre ragione”.                                          Perciò, si raccomanda ai commentatori un po’ più d’umiltà, meno certezze e più impegno d’analisi per cercar di capire le cause di questa spinta al populismo. Perché il successo di Orban, creatura politica di Soros, oggi suo acerrimo nemico? Anche qui: che cosa hanno visto l’uno dell’altro che noi non sappiamo?                                                                                                                                            Davvero una bella domanda alla quale si può rispondere con il motto: “Se lo conosci lo eviti”.

L’equivoco sul “sovranismo”: la sovranità è un valore non una colpa da emendare.

Ma torniamo al populismo che consiglio di non chiamare “sovranismo” perché si fa un altro favore ai populisti. Sovranismo? Che cosa vuol dire? Si tratta, infatti, di una specie di “parola d’ordine” ripetuta ossessivamente sulla stampa. Impartita da chi? Il risultato potrebbe essere controproducente. Infatti, non basta un “ismo” per dileggiare la sovranità popolare ossia una delle più grandi conquiste della Storia, a base della nostra vigente Costituzione. La sovranità nazionale è un valore fondante e condiviso e non una colpa da emendare, da espiare.                                                                    

E poi perché pretendere tale rinuncia soltanto dai Paesi europei? Provate a mettere in discussione la sovranità nazionale degli Usa, della Cina, della Russia? Del piccolo stato d’Israele che vorrebbe estendere la propria sovranità oltre il territorio concesso dall’Onu, sui territori dei palestinesi, dei siriani, ecc ?

Inoltre, dove sta scritto che la sinistra debba rinunciare a valori fondanti (costituzionali) quali la sovranità, l’identità culturale, ecc. ? La sinistra, di fatto, li ha abbandonati e il populismo, le destre se ne sono appropriati. Per altro, nessuno pretende una difesa di tipo integralista. Sappiamo benissimo che in certi casi si possono cedere quote di sovranità (già ne sono state cedute), ma sapendo esattamente in quali mani andranno a finire e per quali scopi.

In realtà, non si vuole la corresponsabilità, la condivisione dei progetti, ma solo fiaccare, indebolire la sovranità nazionale dei popoli europei destinati ad accodarsi ai disegni egemonici delle superpotenze economiche e militari.

La depressione dello spirito pubblico europeo

Anche sulla drammatica questione dell’immigrazione si è voluto ingigantire, allarmare oltre misura. In realtà, di fronte ai grandi problemi attuali dell’Europa quello dei flussi migratori non è da considerare come prioritario. Ovviamente, non si dovrà sottovalutare, ma operare per risolverlo con politiche di cooperazione con i Paesi d’origini, sulla base di una rinnovata disponibilità all’accoglienza, nella solidarietà e nella legalità. Invece, si è voluto privilegiare il tema dell’immigrazione, scatenando una guerra politica e mediatica, per eludere le vere grandi questioni che riguardano il presente e il futuro dei popoli europei.

Tutto ciò scoraggia, deprime lo spirito pubblico degli europei e favorisce l’insorgere dei populismi che, certo, sono un prodotto della crisi, ma anche una demagogica pretesa a rappresentare le paure, le reazioni della gente che si sente minacciata dai processi neoliberisti. A mio parere, i populismi sono anche conseguenza del grande vuoto, sociale e politico, lasciato dalla sinistra riformista e/o socialdemocratica, inopinatamente, passate dal campo del mondo del lavoro a quello del capitalismo neoliberista e globalista. Mai come oggi il conflitto capitale/lavoro è stato così acuto e asimmetrico, a favore del primo. In questo spazio, animato da masse di cittadini senza un lavoro certo, con meno diritti, abbandonati al loro destino, si sono inseriti, con discorsi ingannevoli, i movimenti, i partiti populisti, i gruppi della destra neofascista, mietendo insperate adesioni e disperati consensi elettorali. E ora siamo qui, in attesa del voto, sperando che l’elettorato non rafforzi loro e indebolisca l’Europa. Poiché è chiaro che tali movimenti mirano a indebolire, fors’anche a distruggere l’Unione europea, invece che riformarla, in senso democratico e sociale, come sarebbe necessario.

Voto del 26 maggio in Ungheria: Orban verso il 50%?

Aggiungo, da giornalista”senza giornale”, che non è vero che, dopo l’89, il popolo ungherese ha compiuto una sorta di opzione nazionalista, sciovinista perfino. Prima dell’affermazione di Orban, per ben 4 volte l’elettorato magiaro ha dato la maggioranza al Mpsz ossia al partito socialista erede di quello “unico” del vecchio regime. I suoi leader (tutti qualificati esponenti del regime di Kadar) divennero primi ministri, presidenti della Repubblica, ministri, commissari europei, ecc. In sostanza, quegli stessi ungheresi che oggi votano Orban (48,9%), taluni anche il Jobbik (un partito reazionario, al 19,6%) non ebbero pregiudizio verso la sinistra, anzi la preferirono.                              

Il ripensamento nacque quando irruppe sulla scena Victor Orban il quale abbracciò, in modo spregiudicato, le bandiera del populismo, del vittimismo e dell’anticomunismo. In ciò sostenuto dal suo mentore, il multimiliardario George Soros, ungherese di nascita e Usa di adozione, con un passato, e un presente, in gran parte da chiarire.

Al centro del suo discorso pose le paure di perdere l’identità nazionale, dopo avere perso gran parte del territorio nazionale (Trianon). Il Fidesz, sospinto dal partito ultradestra Jobbik, divenne il campione della riscossa magiara contro i “torti” storici, contro le ingiustizie provocate dalla vecchia Europa del primo dopoguerra e da quella attuale, unitaria, con capitale Bruxelles. Certo, qui tutti (anche gli avversari) riconoscono a Orban qualità politiche fuor del comune, frammiste a una spregiudicatezza senza limiti. Viene dipinto come vero “animale politico”, dotato di fiuto e di carisma, di capacità di manovra, di saper fare squadra a suon di premi politici e/o affaristici.

 La “sinistra” ungherese debole e divisa e carica di errori.

Tuttavia, la sua fortuna politica fu agevolata dagli errori della sinistra nella gestione governativa e, soprattutto, dall’attuazione del programma di privatizzazioni dei settori portanti dell’economia ( dalle industrie alle catene commerciali, dall’immobiliare alle strutture alberghiere, ecc,) a favore di capitali provenienti dalle multinazionali europee e d’oltreoceano, ma anche da Russia e Cina. E da altre fonti. Come dire, se ai propri meriti si aggiungono i demeriti altrui il trionfo è assicurato. Così accadde in altri Paesi europei, fra cui l’Italia. In Ungheria, dove lo stato si era ridotto all’osso e l’economia era in asfissia per mancanza d’investimenti pubblici e privati, il danno fu assai più grave. Il popolo ungherese visse la svendita del patrimonio pubblico come un secondo tradimento, dopo quello catastrofico del trattato di Trianon che, cent’anni fa, tolse all’Ungheria più della metà del suo territorio storico. In questi giorni, a piazza degli Eroi, il luogo più patriottico e visitato di Budapest, è possibile ammirare 72 bandierine di altrettante città (perdute o sottratte) che vanno dalla Transilvania (oggi rumena) alla Slovacchia, dalla Croazia alla Serbia. A questi ungheresi irredenti Orban ha concesso la doppia cittadinanza, una serie di agevolazioni commerciali e il diritto di voto per le consultazioni magiare. Oltre mezzo milione di elettori che fanno la differenza. Anche questo è un aspetto serio del problema.

 Più Europa per assorbire i separatismi e le conflittualità territoriali.

E inutile dire che su tali “ingiustizie” continuano a soffiare i demagoghi di tutte le risme, gli irredentisti nostalgici, la destra di Jobbik e ancor di più il Fidesz di Orban il quale, per non farsi scavalcare, alza la posta, con il consenso dei vertici della chiesa cattolica. E dire che questo dramma, e i diversi “separatismi” presenti in Europa, potrebbero essere risolti, senza rotture e/o improbabili modifiche dei confini, con “più Europa” ossia con l’attuazione del progetto di unione politica effettiva dei popoli europei enon delle multinazionali. Questa è la via, l’unica possibile da percorrere. Correggendo, però, gli attuali indirizzi politici, economici e i vigenti meccanismi di gestione dell’euro; superando le pratiche consociative subalterne (con forze e interessi extraeuropei) che stanno vanificando quel tanto di positivo fino a oggi prodotto. E’ chiaro che, in questa eventualità gli Stati diventerebbero un’articolazione funzionale di un’Europa democratica e solidale nella quale tutti i cittadini si potrebbero riconoscere. Nonostante le gravi difficoltà attuali, questo percorso può essere ripreso e concluso con successo. L’Europa può ridiventare una bandiera, una speranza per le nuove generazioni, per tutti i popoli europei per un futuro di pace e di solidarietà.

Se si vogliono battere il populismo e isolare le destre fascisteggianti, la sinistra (quella autentica), insieme a tante altre forze sinceramente europeiste devono rioccupare gli spazi perduti e intraprendere, dopo il voto, uno sforzo congiunto per un serio processo di riforma delle politiche e delle istituzioni europee. E’ assurdo che voteremo per un Parlamento che non ha poteri legislativi ampi e vincolanti; così com’è incomprensibile che i vertici, il governo della U.E., siano nominati e non eletti. Così come sono, dette istituzioni non servono granché, tranne che agli addetti ai lavori. La regola aurea della democrazia recita: senza controllo democratico ogni potere può trasformarsi in abuso.

 L'Europa che stiamo perdendo…

E’ inutile girarci intorno. L’Europa è assediata non tanto dai migranti (che vanno accolti nella solidarietà e nella legalità), quanto da mire e disegni d’influenza di potenze e superpotenze vecchie e nuove. La navicella della nostra Europa arranca, vacilla a ogni zaffata di vento che proviene dall’Oriente asiatico o da oltre Atlantico. Bisogna prendere atto della necessità di un ruolo autonomo di sviluppo e di pace dell’Europa i cui interessi non sempre coincidono con quelli dell’uno e dell’altro blocco di potere. Così come è stata progettata, costruita e diretta, l’U. E. non ha un futuro certo. Continuerà a oscillare, a districarsi fra una decadenza che sembra ineluttabile e una sorta di servitù volontaria dei suoi ceti dirigenti, subalterni ai disegni delle oligarchie finanziarie e delle super potenze. Resterà impigliata fra tentazioni nazionalistiche autoritarie (la nuova destra eterodiretta) e malcelate dipendenze di forze europeiste importanti che sembrano aver rinunciato a battersi per un ruolo autonomo della nuova Europa . Tutto ciò e altro hanno creato una condizione politica e morale negativa che provoca sfiducia, smarrimento nei cittadini i quali percepiscono la crisi come un assedio, mossa da più parti, scatenato, che potrebbe condurre l’U.E. alla dissoluzione. Reale o presunta, questa è la sensazione che molti hanno.

Una sensazione, dunque, diffusa che evoca altri, veri assedi della storia che videro crollare imperi e grandi civiltà. Memorabile è rimasto il lungo assedio mosso dai turchi ottomani contro Costantinopoli che resistette con fierezza e spirito di sacrificio, anche perché ben protetta dalle sue munite mura che nessuno era riuscito a penetrare. Fino al 29 maggio (!) 1453. Quel giorno cadde l’ultimo baluardo della civiltà greco-romana. Talune fonti ci dicono che la fatale caduta avvenne perché quella mattina apparve sotto le possenti mura un supercannone che riuscì a sfondare i contrafforti e ad aprire diverse brecce che consentirono alle armate ottomane di dilagare dentro la città. Si dice anche che l’inventore di questo supercannone fu un ungherese di nome Orban. Ovviamente, ogni riferimento a fatti e a persone realmente esistenti è puramente casuale.

Agostino Spataro- biografia in: https://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Spataro

 

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