di Agostino Spataro
Confesso la mia perplessità di fronte al fatto che siano
necessarie una legge dello Stato e/o una circolare ministeriale per (far) ricordare
a un popolo civile, ai giovani italiani la terribile tragedia, provocata dal nazifascismo,
ai danni soprattutto degli ebrei e di altri gruppi della società europea quali
gli zingari, gli antifascisti di varia tendenza politica, i
soldati italiani che, dopo l’8 settembre del 1943 e il tremendo monito di
Cefalonia, rifiutarono di combattere nelle armate nazifasciste.
Se per ricordare un crimine così efferato ed evidente bisogna
fare una legge, probabilmente altre leggi saranno necessarie per ricordare i
frequenti e recenti massacri (alcuni con caratteristiche genocide) in Africa,
in Medio Oriente, nei Territori palestinesi occupati dagli eserciti israeliani.
Tanto per ricordare…la realtà attuale.
Comunque sia, il 27 gennaio è il “Giorno della memoria” in
base alla legge n. 211 del 20/7/2000 che
va rispettata in tutte le sue parti,
come previsto nei due articoli che la compongono. Intendo dire: è giusto porre l’accento
sulla “shoa” (evitando però strumentalizzazioni che poco hanno a che fare con
le vittime, con lo stesso popolo ebraico di ieri e di oggi), ma senza
dimenticare le vittime non ebree richiamate dalla legge medesima ossia gli
zingari (circa mezzo milione), gli antifascisti e i militari italiani (circa
seicentomila) “internati” nei lager nazisti. In realtà, questi ultimi, chiamati
anche “schiavi di Hitler”, per quasi due anni furono obbligati a lavorare per
l’industria di guerra nazista in condizioni massacranti, senza cure mediche e adeguata
nutrizione. Molti morirono di fame e di malattie, pochi riuscirono a sopravvivere.
Fra questi soldati c’era mio padre, Pietro Spataro, operaio
siciliano mai iscritto al partito fascista e caporalmaggiore del regio esercito
italiano, il quale, rifiutò la collaborazione con i nazifascisti e per questo
venne catturato sul fronte dei Balcani e deportato in Germania a lavorare in
uno stabilimento di riciclaggio di metalli.
Di quella drammatica esperienza egli ne ebbe riconoscimento
purtroppo postumo, consistente in una medaglia del Presidente della
Repubblica che fu consegnata a me dal signor prefetto di Agrigento. Potenza della burocrazia, papà si fece la guerra e il lager nazista, ma la sua medaglia fu data a me, a oltre 60 anni dalla fine della guerra!
A parte il fatto personale, è giusto ricordare tutte le vittime
per meglio rendere la vastità e la varietà della catastrofe della guerra nazifascista che, oltre agli eccidi dei lager, provocò circa 50 milioni
di morti e d’invalidi, la gran parte civili inermi.
Onorare, dunque, la memoria di tutte le vittime, soprattutto
per inculcare ai giovani il valore inestimabile della pace, della fratellanza
fra tutti i popoli del mondo, per prevenire altre guerre che potrebbero
verificarsi in questo nuovo secolo e per chiudere tutti i conflitti aperti oggi nel mondo. A
iniziare da quello, emblematico e crudele, israelo-palestinese, per assicurare al popolo martire di
Palestina, dopo 68 anni di sofferenze, di esodi e di guerre, una patria e uno Stato
sovrani come deciso dall’Onu e com’è giusto che sia.
P.S. Per dare
un’idea della tragedia e anche delle complicità che l'hanno accompagnata e ben sfruttata, allego alcuni brani
tratti dal mio “I giardini della nobile brigata” * relativi all’iniziativa
“imprenditoriale” di Hugo Boss il quale, grazie alle amicizie con i
capi nazisti, alla guerra e alle deportazioni di cui sopra, realizzò una grande
fortuna.
"…Fra le tante fortune
insanguinate, formatesi col beneplacito del nazismo, un posto di rilievo spetta
a quella di Hugo Ferdinand Boss, il creatore della omonima casa di moda tedesca
e nazista della prima ora, il quale, sfruttando le buone relazioni con la
gerarchia, divenne il fornitore unico delle divise per le squadracce naziste
e, dal 1938, di quelle per l’esercito e per le famigerate SS.
Affari e politica,
dunque, e lauti guadagni per Boss che- secondo un libro del prof. Roman
Koester- riuscì, perfino, a farsi assegnare dal regime un “lotto” di 180
prigionieri (francesi e polacchi) che sfruttò a sangue nei suoi stabilimenti.
In particolare, al Boss si attribuisce il disegno e la confezione delle divise
delle Waffen SS.
Un vero successo!
Molti biondi giovanotti tedeschi furono attratti dalla bellezza, elitaria e
inquietante, di questa divisa che prometteva gloria e potere a chi l’indossava.
Il biondo- si sa-
spezza bene col nero!
Se questo fu l’effetto
che provocava sugli aspiranti aguzzini, provate a immaginare il terrore di chi
si trovò davanti questa “divisa” che veniva per arrestarlo e/o deportarlo nei
campi di sterminio.
Sicuramente, molti
ebrei, zingari, antifascisti, apolidi, ecc, saranno morti con negli occhi
l’immagine, pietrificata, di questa terrificante griffe di Hugo Boss….
... Personalmente,
sapendo cosa c’è dietro questo marchio, non sono mai entrato in un negozio Hugo
Boss. Anche perché quei 180 prigionieri a lui asserviti, mi ricordano la
vicenda drammatica di mio padre che, come loro, fu catturato (sul fronte
d’Albania) e internato in un lager nazista e costretto a lavorare, da schiavo,
in una fabbrica di metalli. A pane e acqua. Quando c’era il…pane!
Ovviamente, da tali
responsabilità sono esclusi i nuovi, gli attuali proprietari della società e del marchio…”
Nessun commento:
Posta un commento