di Agostino Spataro
La vicenda dell’esecuzione dell’imam sciita Nimr
Al-Nimr per sentenza delle autorità saudite sta provocando serie ripercussioni
nelle relazioni fra Iran e Arabia Saudita e, più in generale, fra le
due principali comunità islamiche: sunnita e sciita.
Sperando che si giunga a un chiarimento e a una
ricomposizione pacifica dei pericolosi contrasti insorti, desidero segnalare,
per gli appassionati d’intrighi politici, l’episodio, altrettanto grave e
destabilizzante, della scomparsa (si saprà poi che fu un assassinio consumato
in Libia) del prestigioso imam Musa Al- Sadr, capo della comunità sciita
libanese, con legami altolocati in Iran.
Anche allora (1978) la comunità sciita minacciò rappresaglie
contro la Libia.
Per evitarle, Gheddafi tentò di scaricare le
responsabilità della “scomparsa” sull’Italia che non c’entrava nulla, come
scrivo nel mio “Nella Libia di Gheddafi”( http://www.amazon.it/NELLA-LIBIA-GHEDDAFI-Centro-Mediterranei-ebook/dp/B00DSQ1WEG) nel capitolo “L’assassinio dell’ambasciatore”
di cui segnalo i seguenti brani.
L’operazione Albolcan
... L’associazione
italo- libica andò per la sua strada, senza la mia partecipazione. Per altro, i
rapporti con l’ambasciata si allentarono, divennero sempre più radi. In via Nomentana non c’era più un ambascia- tore,
ma un consiglio popolare composto di giovani irruenti, per nulla diplomatici,
con i quali era difficile perfino
parlare.
Avevo praticamente sospeso, quasi del tutto,
i rapporti, in attesa di tempi migliori. Quando, la sera del 21 gennaio 1984
appresi, sgomento, dal Tg la notizia che Tagazzi era stato fatto segno di un
attentato, a colpi d’arma da fuoco, davanti alla porta della sua abitazione
romana, in via Mogadiscio. Morirà alcuni giorni dopo, a causa delle gravi
ferite riportate…
…Anche l’omicidio
del povero Tagazzi finirà nel pozzo dei misteri insoluti. Difatti, non si saprà
mai nulla del clamoroso attentato, delle sue motivazioni, dei suoi esecutori e
mandanti.
Un delitto
apparentemente inspiegabile, inatteso anche per la vittima che si muoveva per
la città senza alcuna precauzione, senza scorta.
Gli inquirenti
italiani vagavano nel buio più completo, mentre s’infittivano voci e
rivendicazioni provenienti dall’estero. Fra cui una proveniente da Londra che
fu ritenuta falsa, deviante poiché attribuiva la responsa-bilità ai fuoriusciti
libici colà riparati, i quali avrebbero agito per vendicare alcuni loro sodali
uccisi a Roma, tempo prima, da sicari inviati da Tripoli.
Fu scartata anche
l’altra rivendicazione, firmata “Albolcan” un’organizzazione
d’ispirazione sciita, che si attribuiva il delitto come rappresaglia per la
sparizione, avvenuta in un contesto d’intrigo interna-zionale, di Musa al Sadr
prestigioso imam e leader influente del movimento sciita libanese.
Era questo un altro giallo, un nuovo
inquietante mistero che si svolgeva tra la Libia e Roma.
Secondo la versione data dalle autorità
libiche, Musa al- Sadr era prenotato (e quindi imbarcato) sul volo n. 881
dell’Alitalia in partenza, il 31 agosto 1978, da Tripoli con destinazione
Roma.
Effettivamente, qualcuno s’imbarcò con quel
nome. Tuttavia, secondo le indagini effettuate dagli inquirenti italiani, sul
quel volo Musa al- Sadr non c’era.
Come, in seguito, dichiareranno i magistrati
italiani, l’imam non arrivò a Fiumicino, tantomeno a casa sua, a Beirut.
Insomma, l’imam sparì. Ma come, dove spari?
Un altro, sanguinoso
intrigo internazionale si profilava all’orizzonte, già incandescente, del
nostro paese, della città di Roma da anni tormentata dagli attentati, dalle
stragi terroristiche tra cui quella gravissima, avvenuta, pochi mesi prima, in
via Fani nella quale erano stati massacrati cinque poliziotti della scorta di
Aldo Moro, a sua volta sequestrato e, dopo 55 giorni, “giustiziato” dalle
sedicenti “brigate rosse”.
Si temeva, inoltre, che qualora fosse stata
accreditata o, peggio, accertata l’ipotesi della sparizione di Musa al Sadr in
Italia, ne sarebbero derivate serie conseguenze sul terreno della sicurezza.
Per evitare tutto ciò, senza conoscere tutti
i retroscena della vicenda, presentai un’interrogazione urgente al governo
mirata a scagionare la nostra compagnia di bandiera dalla insinuazione e, così,
allontanare il pericolo di eventuali rappresaglie contro l’Italia.
Per l’omicidio di
Tagazzi l’accusa più grave, fatta circolare da taluni ambienti politici
libici, fu quella che ne attribuiva la responsabilità a sicari dell’Olp che
avrebbero agito per rappresaglia contro le ingerenze libiche nella complicata
situazione interna dei palestinesi, contro il sostegno dato da Gheddafi ai
gruppi più estremisti contrari alla politica e alla leadership di Arafat.
Anche questa parve
una perfida montatura di chi cercava di pescare nel torbido. Da Tunisi, il
quartiere generale dell’Olp condannò duramente l’attentato e respinse
categoricamente le accuse di un suo coinvol-gimento. Ovviamente, anche il
governo e i principali partiti e sindacati italiani condannarono il vile
attentato che contribuiva ad acuire le tensioni nel nostro Paese e complicava
il quadro delle relazioni italo-libiche
Enrico Berlinguer
inviò alle autorità libiche un telegramma di condanna dell'attentato e di solidarietà con la
famiglia dell’ambasciatore e con il governo della Jamahirya.
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